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Il vero pentimento

Il ritorno del figliol prodigo - dettaglio

Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di domenica 6 marzo 2016 (S. Messa del giorno).

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

Dai sogni di S. Giovanni Bosco: il sogno dei tre lacci

La sera del 4 aprile 1869 Don Bosco raccontò ai suoi giovani un sogno che li impressionò vivamente.

«Sognai — disse — di trovarmi in chiesa, in mezzo a una moltitudine di giovani che si preparavano alla confessione. Un numero stragrande assiepava il mio confessionale sotto il pulpito.

Cominciai a confessare, ma presto vedendo tanti giovani, mi alzai e mi avviai verso la sacrestia in cerca di qualche prete che mi aiutasse. Passando vidi, con enorme sorpresa, giovani che avevano una corda al collo, che stringeva loro la gola.

— Perché tenete quella corda al collo? — domandai —. Levatevela!

E non mi rispondevano, ma mi guardavano fissamente.

— Orsù — dissi a uno che mi era vicino —, togli quella corda!

— Non posso levarla; c’è uno dietro che la tiene.

Guardai allora con maggior attenzione e mi parve di veder spuntare dietro le spalle di molti ragazzi due lunghissime corna. Mi avvicinai per vedere meglio e, dietro le spalle del ragazzo più vicino, scorsi una brutta bestia con un ceffo orribile, somigliante a un gattone, con lunghe corna, che stringeva quel laccio.

Volli chiedere a quel mostro chi fosse e cosa facesse, ma esso abbassò il muso cercando di nasconderlo tra le zampe, rannicchiandosi per non lasciarsi vedere. Prego allora un giovane di correre in sacrestia a prendere il secchiello dell’acqua santa. Intanto mi accorgo che ogni giovane ha dietro le spalle un così poco grazioso animale. Prendo l’aspersorio e domando a uno di quei gattoni:

— Chi sei?

L’animale mi guarda minaccioso, allarga la bocca, digrigna i denti e fa l’atto di avventarmisi contro.

— Dimmi subito che cosa fai qui, brutta bestia. Non mi fai paura. Vedi? Con quest’acqua ti lavo per bene, se non rispondi.

Il mostro mi guardò rabbrividendo. Si contorse in modo spaventoso e io scoprii che teneva in mano tre lacci.

— Che cosa significano?

— Non lo sai? Io, stando qui, con questi tre lacci stringo i giovani perché si confessino male.

— E come? In che maniera?

— Non te lo voglio dire; tu lo sveli ai giovani.

— Voglio sapere che cosa sono questi tre lacci. Parla, altrimenti ti getto addosso l’acqua benedetta.

— Per pietà, mandami all’inferno, ma non gettarmi addosso quell’acqua.

— In nome di Gesù Cristo, parla dunque!

Il mostro, torcendosi spaventosamente, rispose:

— Il primo modo col quale stringo questo laccio è con far tacere ai giovani i loro peccati in confessione.

— E il secondo?

— Il secondo è di spingerli a confessarsi senza dolore.

— Il terzo?

— Il terzo non te lo voglio dire.

— Come? Non me lo vuoi dire? Adesso ti getto addosso quest’acqua benedetta.

— No, no! Non parlerò, si mise a urlare, ho già detto troppo.

— E io voglio che tu me lo dica.

E ripetendo la minaccia, alzai il braccio. Allora uscirono fiamme dai suoi occhi, e poi ancora gocce di sangue. Finalmente disse:

— Il terzo è di non fare proponimenti e di non seguire gli avvisi del confessore. Osserva il profitto che i giovani ricavano dalle confessioni; se vuoi conoscere se tengo i giovani allacciati, guarda se si emendano.

— Perché nel tendere i lacci ti nascondi dietro le spalle dei giovani?

— Perché non mi vedano e per poterli più facilmente trascinare nel mio regno.

Mentre volevo domandargli altre cose e intimargli di svelarmi in qual modo si potesse render vane le sue arti, tutti gli altri orribili gattoni incominciarono un sordo mormorio, poi ruppero in lamenti e si misero a gridare contro colui che aveva parlato; e fecero una sollevazione generale. Io, vedendo quello scompiglio e pensando che non avrei ricavato più nulla di vantaggioso da quelle bestie, alzai l’aspersorio e gettai l’acqua benedetta da tutte le parti. Allora, con grandissimo strepito, tutti quei mostri si diedero a precipitosa fuga, chi da una parte e chi dall’altra. A quel rumore mi svegliai».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

Il vero pentimento

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

Dal Libro di Giosuè, il Signore disse: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».

Cos’è questa infamia dell’Egitto?

L’infamia dell’Egitto è il peccato; l’Egitto rappresenta perfettamente lo stato di peccato, rappresenta il mondo del peccato, il mondo del male, il mondo che perseguita, che aggrava, che schiaccia, che schiavizza, che opprime, che toglie la serenità e la pace, questo è il mondo dell’Egitto, l’infamia dell’Egitto.

Chi vive nel peccato, vive in questa infamia, e tutti lo abbiamo più o meno sperimentato; ogni volta che noi commettiamo un peccato, soprattutto se è grave, noi sentiamo il peso di questa infamia, cioè dell’essere senza fama, come se perdessimo di senso, come se ci svuotasse.

Quando ci viene allontanata l’infamia dell’Egitto?

Quando noi usciamo dall’Egitto, quando noi usciamo dal peccato; se noi non usciamo dal peccato, noi non possiamo sperimentare la Terra Promessa, perché rimaniamo in Egitto, schiavi dell’Egitto.

Allora, voi sapete che il Sacramento che ci libera dal peccato, cioè che allontana l’infamia dell’Egitto, è il Sacramento della Riconciliazione, la Confessione.

«Lasciatevi riconciliare con Dio!», dice San Paolo ai Corinzi, nella seconda lettura.

Questo è il tempo, mentre siamo vivi su questa terra, di lasciarci riconciliare con Dio, perché Dio cerca la nostra riconciliazione, Dio ci cerca, Dio ci chiama, Dio ci supplica, Dio continua a bussare, per riportarci a Lui.

La cosa terribile è che noi possiamo incontrare Gesù, incontrare i Santi, e non avvertire nessun richiamo alla riconciliazione.

Il Signore, alle volte permette anche malattie, permette sofferenze gravi, permette amarezze forti, brutte situazioni di vita, ma le permette per spingerci a rientrare in noi stessi, come questo figlio, il primo della parabola, che va, dissipa tutto, non gli rimane in mano niente, neanche i porci gli danno le carrube, e allora rientra in sé stesso. Ecco, vedete, quel passaggio, non è che lo facciamo tutti, non è che tutti facciamo questo passaggio di rientrare in noi stessi, e qui si gioca la conversione, qui si gioca la nostra anima, perché da questo dipende quello che verrà dopo.

Se io non rientro in me stesso, cioè se io non mi guardo e non mi dico: «Ma cosa sto facendo?», se non divento consapevole della follia che sto perseguendo, dell’inganno terribile nel quale sono caduto, non rientro in me stesso.

Spesse volte noi cadiamo dentro a degli inganni terribili del demonio, che usa il mondo, che usa tante astuzie, per farci credere di essere nel giusto quando non lo siamo, per farci auto giustificare, auto assolvere, per scusarci, per farci sentire in pace, nella falsa pace, e così non rientriamo in noi stessi.

Ci sono persone che perseverano dentro uno stato di peccato in modo ostinato (l’ostinazione nel peccato, tra l’altro, è uno dei sei peccati contro lo Spirito Santo), ma vanno avanti dentro a questa ostinazione, perché sono dentro a questo inganno.

Sentono oramai quell’esile, ultimo rantolo di voce della coscienza (infatti non fanno la Comunione), lo sentono che gli dice: «Non va bene! Ma cosa aspetti a smetterla, ma cosa aspetti ad andarti veramente a confessare, a chiedere veramente perdono a Dio?», ma non c’è niente da fare, non c’è niente da fare.

Ci sono persone che, come gli scribi e i farisei, possono incontrare Gesù e trovare sempre una ragione per fare polemica, trovare sempre una ragione per scusarsi, trovare sempre una ragione per condannare gli altri e non guardare mai se stessi.

Non so se voi avete incontrato persone che danno sempre la colpa agli altri, sempre, non è mai colpa loro; mai che dicano: «Io ho peccato».

È colpa del marito, è colpa della moglie, è colpa del cane, è colpa della società, è colpa del padre, è colpa della madre, è colpa dei fratelli, è colpa del datore di lavoro, è colpa dello Stato, è colpa della televisione, è colpa del computer…ma sii onesto, sii vero, siamo veri!

Se io faccio i peccati è solo colpa mia, basta!

Non è colpa di nessun altro!

Io ho scelto la strada del peccato, non gli altri, non è che mi hanno preso e mi hanno buttato dentro, nessuno può fare questo!

Se io bestemmio, è perché io scelgo di bestemmiare; se io urlo come un matto e mi arrabbio o dico le parolacce, è perché io ho scelto di cedere all’ira, non perché gli altri mi hanno spinto a cedere.

Gesù non ha mai bestemmiato, Gesù non è mai caduto nell’impurità!

Uno dice: «Ah…ma Gesù è Gesù».

No! Perché Gesù è perfettamente uomo, chi dice il contrario è eretico!

Se lo ha fatto Gesù, lo possiamo fare anche noi; Lui lo ha detto: «Voi farete cose ben più grandi, se crederete in Dio».

Allora, noi dovremmo usare la Quaresima per imparare a fare degli esami di coscienza veri.

Sapete, oggi non c’è più l’abitudine di fare la meditazione.

La meditazione non è guardare il cielo!

Vado in chiesa e mi metto lì a guardare il tabernacolo…

O noi siamo Santa Teresa d’Avila, o noi siamo San Luigi Gonzaga, o noi siamo San Pio da Pietralcina, che dopo trenta secondi entrava in estasi, ma se non siamo queste persone, cerchiamo di essere umili, portiamo un libro di meditazione e meditiamo.

L’ora di preghiera non deve diventare l’ora della biblioteca, dove mi leggo il libro, capite?

È il momento nel quale io leggo due o tre righe, poi mi fermo e guardo il Signore, e aspetto che il Signore mi parli.

La meditazione non è io che parlo a me stesso, non è il mio sguardo sull’ombelico, perché mi attorciglio; la meditazione è Dio che parla a me ed io che ascolto, questa è la meditazione, e Dio può dire quello che vuole, quando vuole.

Dio parla sempre?

Sì, no, dipende.

Quello che conta è che tu la faccia, perché così rientri in te stesso, ti spingi a rientrare in te stesso e a togliere da te tutto l’inganno che ti porti dentro.

Se no, cosa succede?

Succede che, quando andiamo a confessarci, le nostre confessioni sono invalide, altro inganno.

Per il semplice fatto che andiamo davanti da un Sacerdote a dire quattro cose, noi pensiamo che tutto vada bene…assolutamente no.

E questo lo dicono tanti Santi, non ultima Santa Teresa di Gesù; proprio lei narra di un incontro con Gesù, di un dialogo con Gesù sul Sacramento della Confessione, e Gesù, in questo dialogo che ha con lei (nel quale Lui le dice: «Devi diffondere tra i fedeli quello che Io ti dico»), si lamenta del fatto che le confessioni sono fatte male, anche di quelli che si confessano sempre, anche di quelli che si sono confessati in punto di morte, che lei vedeva cadere nell’Inferno.

Lei dice: «Vedevo anime cadere nell’Inferno come la neve che cade giù dal cielo», e Gesù le dice: «Io permetto questo per questa ragione: le confessioni fatte male».

Quando una confessione è fatta male?

In questo ci viene in aiuto San Giovanni Bosco, il grande cultore del Sacramento della Confessione.

Fu uno dei Santi che spese anima e corpo per questo Sacramento.

San Giovanni Bosco, quando andava a predicare gli esercizi, si assentava magari una settimana, due settimane, ma ovunque lui fosse, il sabato e la domenica tornava a casa, perché lui voleva confessare tutti i suoi ragazzi e lui non voleva che ci fosse nessun altro. Li confessava tutti lui, perché lui era un grande amante di questo Sacramento e sapeva quali sono gli inganni che stanno qui dietro.

In particolar modo, lui fece una volta un sogno (sapete che San Giovanni Bosco ebbe tantissimi sogni, fu molto segnato da questo carisma dei sogni), dove lui vide dei ragazzi in chiesa, che andavano a confessarsi e si presentavano davanti al Sacerdote; dietro ad ogni ragazzo c’era un diavolo orrendo, bruttissimo, che teneva una corda legata con tre cappi al collo del ragazzo e la tirava.

Era nascosto, quindi il Sacerdote nel sogno non lo vedeva, però lui, che era fuori dalla scena, vedeva questa bestiaccia che tirava il collo di questi ragazzi e questi ragazzi non riuscivano a parlare.

Allora lui chiese che significato avessero questi cappi che tiravano.

Il primo significato è la mancanza di pentimento, non erano veramente pentiti.

Questo è fondamentale: io devo essere veramente pentito dei miei peccati.

Il pentimento è caratterizzato da due aspetti: uno è il dolore, devo avere un vero dolore dei miei peccati; due, il proposito.

Se ho il dolore ma non ho il proposito, è solo sentimentalismo.

Io, quando mi vado a confessare, devo dire: «Io ho commesso questo peccato».

Prima di confessarmi, io devo già avere in mente quale sarà l’opera che farò per distruggere quel peccato, per distruggere l’occasione di peccare, per non farlo più, per impegnarmi a non farlo più; se poi lo rifarò, chiederò ancora perdono, ma intanto io, davanti a Dio, dico: «Io mi prendo questo impegno, so che per evitare quel peccato devo fare questa cosa».

Se non c’è il proponimento, quello è solo uno sfogo psicologico, la confessione non è valida, perché il pentimento è una delle cinque condizioni necessarie per la validità.

Quindi: dolore vero; propositi chiari, reali, concreti, fattibili.

Secondo cappio: la vergogna.

Attraverso la vergogna di dire i peccati, questi ragazzi rimanevano strangolati, o perché li dicevano male, o perché non li dicevano proprio.

I peccati vanno confessati bene, secondo il loro numero e la loro specie, perché capite che, quando vado a confessarmi, un conto è dire: «Ho rubato» e basta…

Cosa hai rubato?

Una mela? In una banca? Ad una signora anziana, la pensione? Il mangiare per un bambino? Cosa hai rubato?

È molto diverso eh…

Poi, quante volte hai rubato?

Un conto è che tu abbia rubato una volta in un anno o nella vita, un conto è che tu abbia rubato una volta al giorno, per un anno intero, per dieci anni; è diversa la valutazione morale, è diversa la terapia che ti dovrà dare il Sacerdote, è diversa la tua responsabilità e il tuo coinvolgimento con il peccato.

Un conto è uno che ha un brufolo sulla mano, e un conto è uno che ha una piaga, e un conto è uno che ha un cancro nel braccio; sul brufolo metto una crema, per il cancro forse devo anche amputare, per il cancro devo operare, ma se io non lo so, come faccio ad operare?

Se tu non lo dici…

Quando tu vai dal dottore, non è che dici un sintomo e l’altro no; se ho il cancro allo stomaco, vado dal dottore e dico: «Sa ho un po’ di mal di testa», quello ti cura per il mal di testa.

Certo che se tu non gli dici che hai un male pazzesco che appena ti tocchi vedi le stelle, a quello non verrà mai in mente di dire: «Facciamo una gastroscopia che forse c’è qualcosa di strano» e poi trovate dentro un buco grosso così…

Nella confessione è la stessa cosa: i peccati vanno confessati tutti.

Tutti i peccati gravi che noi facciamo, peggio ancora se mortali, vanno confessati tutti bene, bisogna dirli bene, e se hai vergogna, li scrivi e li fai vedere, ma bisogna dirli questi peccati, non si può tenerli dentro.

Prima di tutto, se io coscientemente, cioè volendolo perché ho vergogna, nascondo un peccato in confessionale, quella confessione è invalida e commetto sacrilegio. Da lì in avanti, tutte le confessioni saranno invalide, fino a quando io non andrò a confessare quel peccato che ho nascosto, dicendo che l’ho anche nascosto.

Quindi, che senso ha?

Cosa vado a fare?

Se rendo invalida la confessione, è inutile che mi vado a confessare.

Io devo dire i miei peccati, ma qual è la ragione di dire i miei peccati?

Perché devo vivere questa situazione di vergogna?

Perché è già una penitenza, no?

È già l’esprimere il tuo pentimento, esprimo che sono pentito dicendo i miei peccati, se no, che pentimento è?

Ho avuto tanto ardore di farli davanti a Dio, e non ho tanta umiltà di riconoscerli davanti ad un uomo?

Ma come mai?

Vuol dire che non sei pentito.

I peccati vanno detti con tanta semplicità e non biascicandoli, e i più grossi vanno detti per primi, perché così li abbiamo tirati fuori bene.

Senza stare lì tanto a girarci intorno, non c’è bisogno di fare diapositive, si dicono con tanta semplicità.

La terza corda è il dimenticare i consigli del confessore.

Dobbiamo stare attenti, quando andiamo a confessarci, di non essere più preoccupati di quello che noi pensiamo, che non di quello che ci dice il Sacerdote, perché in quel momento lì è Gesù che ci parla.

Quanta superbia, quanto orgoglio, quanta permalosità si respira in confessionale!

Uno che si va a confessare si presume che sia un peccatore, che abbia coscienza di avere offeso Dio, non ha superbia, infatti si mette in ginocchio.

Uno che si confessa si mette in ginocchio, è il Sacerdote che sta seduto.

Perché mi devo mettere in ginocchio?

Perché sto riconoscendo che io ho peccato, il mio corpo sta dicendo che io sto cercando il perdono di Dio.

Se io non ascolto quello che mi viene detto e continuo a fare quello che voglio, questo non rende utile la confessione, questa è una confessione fatta male, buttata lì.

Quante volte si ascoltano confessioni, che mah…non vogliono dire niente.

Che peccati sono quelli lì?

Sono più turbe psicologiche o fatiche mentali, ma il peccato è una offesa a Dio.

Solo che se tu dici: «Quali sono i peccati?»

«Ma io non faccio peccati».

Come non faccio peccati? Ma se la Bibbia dice che il giusto pecca sette volte al giorno, come fai tu a non fare i peccati?

Se San Carlo Borromeo si confessava ogni giorno, come fai tu a non fare peccati?

Quando mi vado a confessare io devo essere disposto a tutto, a tutto pur di staccare il peccato da me.

E invece noi ci andiamo a confessare già con la nostra idea, ci andiamo a confessare per abitudine alle volte, ci andiamo a confessare perché lo dobbiamo fare a Pasqua e Natale.

Andiamo lì, diciamo tre cose e ce ne andiamo…peccato che quello è il Sacramento del Sangue di Cristo!

Il Sacerdote non può vedere dentro l’anima del penitente, però Dio vede, Dio sa cosa c’è nella tua anima, e Dio non Lo può ingannare nessuno, nessuno può ingannare il Signore.

Dobbiamo chiedere al Signore questa grazia, in questo tempo di Quaresima (poi tra un po’ ci sarà anche la Domenica della Divina Misericordia), questa grazia proprio sincera di farci vedere i nostri peccati con una promessa da fare a Dio, che è questa: «Io ti prometto che, se Tu mi fai vedere i miei peccati, io li vado a confessare per quello che sono, però non farmi morire cieco, non farmi morire ingannato e pieno di me stesso, del mio orgoglio e della mia superbia, fammeli vedere!»

Chiediamo a San Giuseppe in questo mese la grazia di vedere bene i nostri peccati, senza scuse, senza “se”, senza “ma”, di essere veramente un figlio che torna alla casa del Padre, un figlio che veramente ci mette corpo e anima per tornare all’amicizia con Dio, per fare una buona, una vera confessione. Certo che se io non sono disposto a tutto, pur di avere il perdono, non c’è nessun perdono, non c’è nessuna Misericordia.

La Misericordia c’è quando uno si ritiene peccatore, vede il suo peccato e dice: «Beh…questo è il mio peccato, io da qui voglio uscire, sono pronto a tutto. Pur di venirne fuori, sono pronto a tutto, a qualunque cosa mi viene chiesta, ma io devo venirne fuori», che vuol dire che devo potermi accostare all’Eucarestia con la coscienza non turbata.

Non avviciniamoci all’Eucarestia, se la nostra coscienza è turbata!

Non avviciniamoci all’Eucarestia, se la nostra coscienza non è in pace!

Se la nostra coscienza ci dice solo una parola stonata, che è: «Mmm…non ci siamo, quella cosa lì non va bene», non avviciniamoci all’Eucarestia!

Gesù, a Santa Teresa di Gesù, dice così: «Queste persone hanno trasformato la medicina del Mio Sangue in veleno, e così si sono dannate».

Siccome noi siamo vivi, siamo ancora sulla terra, e abbiamo la speranza della salvezza, e abbiamo la confidenza nella Misericordia di Dio, la Misericordia di Dio ci viene incontro e ci dice: «Bene, vuoi la Misericordia di Dio? Allora comportati come un peccatore: alzati, vai da tuo Padre e diGli: “Ho peccato contro il Cielo e contro di Te, non sono più degno di essere chiamato Tuo figlio, trattami come uno dei Tuoi garzoni, non ho diritti, non ho nessun diritto, ho solamente la voglia di ritornare nella Tua casa, in qualunque stato, basta tornare alla Tua presenza».

Che il Signore ci conceda ogni giorno questa grazia!

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

 

Letture del giorno

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO C)

Prima lettura

Gs 5,9-12
Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

Salmo responsoriale

Sal 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

Seconda lettura

2Cor 5,17-21
Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Canto al Vangelo (Lc 15,18)

Lode e onore a te, Signore Gesù!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te.
Lode e onore a te, Signore Gesù!

Vangelo

Lc 15,1-3.11-32
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

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