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Card. Robert Sarah – Humanæ Vitæ, via di santità

Card. Robert Sarah

Pubblichiamo nella nostra traduzione, la conferenza dal titolo:

Humanæ Vitæ, via di santità

del Card. Robert Sarah Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti tenutasi nell’abbazia sainte Anne de Kergonan il 4 agosto 2018, per i 50 anni di Humanæ Vitæ.

Introduzione

Sono passati esattamente 50 anni da quando Papa Paolo VI ha firmato la sua ultima e più importante Lettera enciclica, la Humanæ Vitæ. Era il 25 luglio 1968. Se si colloca questo insegnamento del Beato Paolo VI nel suo contesto storico, ci si rende conto di quanto coraggio, quanta fede in Dio e quanta docilità allo Spirito Santo sono occorse al Papa per osare un tale atto. Mentre numerosi teologi e perfino alcuni tra gli stessi vescovi lo spingevano a far sì che la Chiesa si accodasse al mondo e ai media, il Papa ha ricordato con forza che la Chiesa può insegnare solo ciò che ha ricevuto da Cristo: la verità rivelata, che è la sola via di felicità e santità per gli uomini. [1]
Così, malgrado la tempesta suscitata da Humanæ Vitæ, possiamo vedere con i nostri occhi con quale potenza lo Spirito Santo abbia assistito e sostenuto l’Ufficio Petrino: in mezzo ad un mondo reso schiavo e dominato dalle perversioni della rivoluzione sessuale, abbandonato e isolato da molti cardinali, vescovi e teologi Pietro si è tenuto saldo ed è restato forte. Non solo Paolo VI ha riaffermato la dottrina tradizionale e apostolica ma si è soprattuto mostrato immensamente profetico. Cinquant’anni dopo la sua pubblicazione, questo insegnamento magisteriale manifesta non solo la sua verità immutabile, ma rivela anche la lucidità con la quale il problema fu affrontato.
I seguenti passaggi dell’Enciclica prevedono esattamente la perversione sessuale che viviamo oggi e la dittatura delle Autorità governative nord-europee liberali che destrutturano e demoliscono la famiglia, legalizzano e promuovono la contraccezione e l’aborto:

Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata.” (HV 17)

Non ci vuole molta esperienza per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini – i giovani specialmente, così vulnerabili su questo punto – hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza.” (HV 17)

Si rifletta anche all’arma pericolosa che si verrebbe a mettere così tra le mani di autorità pubbliche, incuranti delle esigenze morali. Chi potrà rimproverare a un governo di applicare alla soluzione dei problemi della collettività ciò che fosse riconosciuto lecito ai coniugi per la soluzione di un problema familiare? Chi impedirà ai governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo ritenessero necessario, il metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace? In tal modo gli uomini, volendo evitare le difficoltà individuali, familiari o sociali che s’incontrano nell’osservanza della legge divina, arriverebbero a lasciare in balia dell’intervento delle autorità pubbliche il settore più personale e più riservato della intimità coniugale.” (HV 17)

Paolo VI non ha potuto tacere, la grazia di successore di Pietro gli ha dato il coraggio di parlare con chiarezza e fermezza. Non ha potuto fare altrimenti perché ne va della Rivelazione, del messaggio di Cristo. Non ha potuto tacere perché nell’enciclica Humanæ Vitæ è in gioco, nè più ne meno che la santità delle coppie cristiane.

I – Lucidità profetica

Resistendo alla pressione mediatica e mondana, Paolo VI ha posto in essere un atto profetico. Non solamente perché ha in qualche modo anticipato le scoperte scientifiche più recenti sulla nocività dei contraccettivi chimici per la salute umana. Ma più profondamente perché, portando la luce di Dio sulla vita coniugale, ha valorizzato una via di santità.
Vorrei oggi insistere su questo aspetto dell’enciclica Humanæ Vitæ rileggendola in particolare alla luce dei grandi testi di San Giovanni Paolo II, che ne costituiscono l’interpretazione autentica. Dobbiamo prendere coscienza che Humanæ Vitæ non è semplicemente un documento disciplinare, una semplice condanna della contraccezione, molto più profondamente Humanæ Vitæ è un invito alla santità coniugale, a una maniera di vivere la vita di coppia e la responsabilità di genitori secondo il disegno di Dio. In essa Paolo VI è veramente come un profeta che invita il popolo di Dio alla conversione. Ci invita, vi invita, voi focolari cristiani, alla comunione con Dio.

II – Un errore di prospettiva

Il rifiuto di Humanæ Vitæ, la diffidenza verso questo insegnamento viene spesso da un errore di prospettiva. Si sente spesso dire: “la regola della Chiesa è dura”, oppure “La Chiesa manca di misericordia” oppure “la regola è impossibile da osservare nella pratica”.
Come se Paolo VI, condannando la contraccezione, avesse arbitrariamente deciso cosa permettere e cosa vietare. Qui c’è un errore fondamentale! Paolo VI non ha “un bel giorno” deciso di vietare la contraccezione per capriccio o per volontà di imporre un’opinione personale.
In verità è stato dopo quattro lunghi anni di studi, di riflessione, di consultazioni, di lettura di documenti scientifici autorevoli sulla questione, dopo aver lungamente pregato ed essersi totalmente rimesso allo Spirito Santo e mosso dall’acuta percezione della propria grave responsabilità di padre e pastore davanti a Dio, davanti alla Chiesa e davanti all’umanità, assolutamente fedele alla propria fede cattolica e docile al magistero perenne della Chiesa che Paolo VI ha preso la decisione di spiegare le circostanze e le ragioni che l’hanno motivato a ricordare l’insegnamento fermo della Chiesa.
Ecco ciò che egli stesso disse presentando l’Enciclica Humanæ Vitæ all’udienza generale del 31 luglio 1968:

Questo documento pontificio non è soltanto la dichiarazione d’una legge morale negativa, cioè l’esclusione d’ogni azione, che si proponga di rendere impossibile la procreazione (n. 14), ma è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità «nella visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» (n. 7). È il chiarimento d’un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e sociale dell’uomo, ma non è la trattazione completa di quanto riguarda l’essere umano nel campo del matrimonio, della famiglia, dell’onestà dei costumi, campo immenso nel quale il magistero della Chiesa potrà e dovrà forse ritornare con disegno più ampio, organico e sintetico. Risponde questa Enciclica a questioni, a dubbi, a tendenze, su cui la discussione, come tutti sanno, si è fatta in questi ultimi tempi assai ampia e vivace, e su cui la Nostra funzione dottrinale e pastorale è stata fortemente interessata. Non vi parleremo adesso di questo documento, sia per la delicatezza e la gravità del tema, che Ci sembrano trascendere la semplicità popolare del presente settimanale discorso, sia per il fatto che non mancano già e non mancheranno, intorno all’Enciclica, pubblicazioni a disposizione di quanti s’interessano del tema stesso (cfr. ad esempio: G. Martelet, Amour conjugal et renouveau conciliaire).
A voi diremo semplicemente qualche parola non tanto sul documento in questione, quanto su alcuni Nostri sentimenti, che hanno riempito il Nostro animo nel periodo non breve della sua preparazione.
Sentimento di responsabilità per rendere disponibile la verità di un problema complesso, difficile e grave
Il primo sentimento è stato quello d’una Nostra gravissima responsabilità. Esso Ci ha introdotto e sostenuto nel vivo della questione durante i quattro anni dovuti allo studio e alla elaborazione di questa Enciclica. Vi confideremo che tale sentimento Ci ha fatto anche non poco soffrire spiritualmente. Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del Nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato. Alcune circostanze a ciò relative vi sono note: dovevamo rispondere alla Chiesa, all’umanità intera; dovevamo valutare, con l’impegno e insieme con la libertà del Nostro compito apostolico, una tradizione dottrinale, non solo secolare, ma recente, quella dei Nostri tre immediati Predecessori; eravamo obbligati a fare Nostro l’insegnamento del Concilio da Noi stessi promulgato; Ci sentivamo propensi ad accogliere, fin dove Ci sembrava di poterlo fare, le conclusioni, per quanto di carattere consultivo, della Commissione istituita da Papa Giovanni: di venerata memoria, e da Noi stessi ampliata, ma insieme doverosamente prudenti; sapevamo delle discussioni accese con tanta passione ed anche con tanta autorità, su questo importantissimo tema; sentivamo le voci fragorose dell’opinione pubblica e della stampa; ascoltavamo quelle più tenui, ma assai penetranti nel Nostro cuore di padre e di pastore, di tante persone, di donne rispettabilissime specialmente, angustiate dal difficile problema e dall’ancor più difficile loro esperienza; leggevamo le relazioni scientifiche circa le allarmanti questioni demografiche nel mondo, suffragate spesso da studi di esperti e da programmi governativi; venivano a Noi da varie parti pubblicazioni, ispirate alcune dall’esame di particolari aspetti scientifici del problema, ovvero altre da considerazioni realistiche di molte e gravi condizioni sociologiche, oppure da quelle, oggi tanto imperiose, delle mutazioni irrompenti in ogni settore della vita moderna…
Quante volte abbiamo avuto l’impressione di essere quasi soverchiati da questo cumulo di documentazioni, e quante volte, umanamente parlando, abbiamo avvertito l’inadeguatezza della Nostra povera persona al formidabile obbligo apostolico di doverCi pronunciare al riguardo; quante volte abbiamo trepidato davanti al dilemma d’una facile condiscendenza alle opinioni correnti, ovvero d’una sentenza male sopportata dall’odierna società, o che fosse arbitrariamente troppo grave per la vita coniugale!
Ci siamo valsi di molte consultazioni particolari di persone di alto valore morale, scientifico e pastorale; e, invocando i lumi dello Spirito Santo, abbiamo messo la Nostra coscienza nella piena e libera disponibilità alla voce della verità, cercando d’interpretare la norma divina che vediamo scaturire dall’intrinseca esigenza dell’autentico amore umano, dalle strutture essenziali dell’istituto matrimoniale, dalla dignità personale degli sposi, dalla loro missione al servizio della vita, non che dalla santità del coniugio cristiano; abbiamo riflesso sopra gli elementi stabili della dottrina tradizionale e vigente della Chiesa, specialmente poi sopra gli insegnamenti del recente Concilio, abbiamo ponderato le conseguenze dell’una o dell’altra decisione; e non abbiamo avuto dubbio sul Nostro dovere di pronunciare la Nostra sentenza nei termini espressi dalla presente Enciclica.”

Sì! Disponibilità alla voce della verità, fedeltà alla Dottrina tradizionale ed attuale della Chiesa e sottomissione umile e filiale a Dio che ci rivela la verità dell’amore e dell’essere umano e il senso del matrimonio.
Cari amici, cari sposi se, in quanto cristiani, voi rifiutate la contraccezione, non è innanzitutto perché “la Chiesa lo proibisce”. È piuttosto perché voi sapete, attraverso l’insegnamento della Chiesa, che la contraccezione è intrinsecamente un male, cioè che essa distrugge la verità dell’amore e della coppia umana. Essa riduce la donna a non essere altro che un oggetto di piacere e di godimento, sempre disponibile in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza alle pulsioni sessuali dell’uomo. Questo mi sembra molto importante. Il principio della morale cristiana non è il rispetto di un dovere imposto dall’esterno e subito passivamente ma bensì l’amore del bene, della verità dell’essere.
Paolo VI con l’Enciclica Humanæ Vitæ ha cercato innanzitutto di contemplare la verità dell’essere umano sessuato e della coppia umana. Ha cercato di scoprire il disegno che il Creatore ha inscritto nella natura dell’uomo e della donna.
Paolo VI ha cercato di farci scoprire il bene verso il quale questa natura profonda ci fa tendere. Ha cercato di farci desiderare il bene soprannaturale, vale a dire la santità alla quale Dio chiama le coppie attraverso la loro vita coniugale.

III – Una verità conforme alla ragione e confermata dalla Rivelazione

È bene sottolineare che questa verità dell’amore umano è accessibile alla ragione umana. San Giovanni Paolo II ricorda infatti che l’affermazione secondo la quale “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (HV, 11), descrive la “verità ontologica”, la “struttura intima”, la “struttura reale” [2] dell’atto coniugale. Si tratta quindi anzi tutto di un’affermazione conforme alla ragione umana, accessibile ad ogni uomo che cerca la verità”. [3]
Questo carattere ragionevole fonda l’affermazione di Paolo VI e di Giovanni Paolo II: “Le norme morali di Humanae Vitae fanno parte della legge naturale. Ogni uomo di buona volontà può intuire e capire che un comportamento contraccettivo è contrario alla verità umana dell’amore coniugale”. [4]
Ma è necessario andare molto più in là. In effetti, San Giovanni Paolo II afferma con forza che la norma morale formulata in Humanae Vitae fa parte della Rivelazione divina. Perché la Chiesa insegna questa norma anche se essa non è formalmente espressa (nel senso di letteralmente) nelle Sacre Scritture; la Chiesa fa questo nella convinzione che l’interpretazione della legge naturale è di competenza del Magistero. Noi possiamo tuttavia dire di più. Anche se la norma morale, così come formulata nell’enciclica Humanae Vitae, non si trova letteralmente nelle Sacre Scritture, tuttavia, per il fatto di essere contenuta nella Tradizione e – come ha scritto Papa Paolo VI – di essere stata “ripetutamente esposta ai fedeli dal magistero” (HV 12), ne risulta che questa norma corrisponde all’insieme della dottrina rivelata contenuta nelle fonti bibliche (HV 4).
Una tale affermazione è capitale per comprendere l’errore di tutti quelli che chiedono un “cambiamento della disciplina”, di tutti quelli che dicono che “la Chiesa è troppo dura” oppure che “la Chiesa deve adattarsi”. Secondo l’enciclica Humanae Vitae, la Chiesa non fa altro che trasmettere quanto ricevuto da Dio stesso. Ella non ha e non avrà mai il potere di cambiare alcunché. La norma morale di Humanae Vitae “appartiene non soltanto alla legge morale naturale, ma anche all’ordine morale rivelato da Dio: anche da questo punto di vista essa non potrebbe essere diversa, ma unicamente quale la tramandano la tradizione e il magistero”. [5] Si può dunque affermare che Dio stesso si è preoccupato di rivelarci le vie della felicità e del Bene per la coppia umana.
Accogliere Humanae Vitae non è dunque principalmente questione di sottomettersi ed obbedire al Papa, ma di ascoltare e accogliere la Parola di Dio, la benevola rivelazione di Dio su ciò che noi siamo e su ciò che dobbiamo fare per corrispondere al suo amore. La posta in gioco infatti è la nostra vita teologale, la nostra vita di relazione con Dio. I Cardinali, i Vescovi e i teologi che hanno rifiutato Humanae Vitae e hanno incoraggiato i fedeli alla ribellione contro l’enciclica si sono perciò messi deliberatamente e pubblicamente in lotta contro Dio stesso. La cosa più grave è che essi invitano i fedeli ad opporsi a Dio. 

IV – Tre errori

Questi richiami ci permettono di distinguere tre errori a proposito di Humanæ Vitæ.

Il primo errore si colloca tra i fedeli e gli sposi in particolare. Alcuni potrebbero avere l’impressione che la Chiesa imponga loro un peso insopportabile, un fardello troppo pesante che finirà per gravare sulla loro libertà.
Cari amici, una tale idea è falsa! La Chiesa non fa altro che trasmettere la verità ricevuta da Dio e conosciuta dalla ragione. Ebbene, non c’è che la verità che ci renda liberi! Cari amici, care coppie che vivono di questa verità, voi dovete testimoniare in mezzo agli altri! Dovete essere voi stessi dei profeti! È necessario dire quanto il rifiuto delle pratiche e della mentalità contraccettive liberi la coppia dalle pesantezze dell’egoismo. Una vita secondo la verità della sessualità umana libera dalla paura! Essa libera le energie dell’amore e rende felici! Voi che lo vivete, ditelo! Scrivetelo! Testimoniatelo! È la vostra missione di laici! La Chiesa conta su di voi e vi affida questa missione!
Voi dovrete dunque testimoniare nei fatti che l’enciclica Humanæ Vitæ non deve essere ricevuta con un’obbedienza meramente materiale. Essa deve essere ricevuta con intelligenza e con l’assenso del cuore. L’intelligenza si deve appropriare della verità che vi è contemplata e svelata. Il cuore deve desiderare il bene proposto al nostro amore.
Accogliere Humanæ Vitæ non si riduce dunque, materialmente e sistematicamente, ad “avere tanti figli”. No! Vuole semplicemente dire aprirsi generosamente e largamente alla vita e accogliere i figli che la vostra salute, il vostro amore e i vostri mezzi vi permettono, all’interno di un sentimento profondo di gratitudine verso Dio. Accogliere Humanæ Vitæ, vuol dire entrare nella natura profonda dell’amore umano, e quindi impegnarsi in un cammino di paternità e maternità responsabili, che, rifiutando ogni pratica contraccettiva, sa aprire la coppia ad un’accoglienza generosa ed intelligente della vita, non a qualsiasi prezzo, ma secondo le capacità di ciascuna coppia. Sapendo talvolta, se delle circostanze giustificate lo richiedono, distanziare le nascite usando l’alternanza dei periodi di fertilità. Sempre per meglio proteggere l’amore coniugale e familiare.

Il secondo errore da evitare si verifica tra i teologi e i moralisti. Vorrei qui riprendere con forza le parole stesse di Gesù: “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15). “Questi tali – dice San Paolo – sono falsi apostoli, lavoratori fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce… ma la loro fine sarà secondo le loro opere.” (2 Cor 11, 13-15). Sì, guardatevi da coloro che vi dicono che, se l’intenzione della coppia è retta, le circostanze potrebbero giustificare la scelta dei mezzi contraccettivi. Cari amici, queste affermazioni sono delle menzogne! E chi vi insegna tali aberrazioni “falsifica la Parola di Dio” (2Cor 4,2). Non parlano a nome di Dio, parlano contro Dio e contro l’insegnamento di Gesù. Sono come i serpenti brucianti del libro dei Numeri, il cui morso faceva morire. Non prestate alcun ascolto alle loro parole. E tutti coloro che vengono morsi da questi serpenti della confusione dottrinale e morale non hanno che una cosa da fare: imitare il popolo d’Israele, correre verso la salute, lo sguardo fisso sul Serpente di bronzo, Gesù Cristo, sospeso sullo stendardo della Croce, per coloro che restano in vita (cf. Nm 21, 4-9). Sì, guardate Gesù, ascoltatelo e non obbedite che a Lui solo! È il solo Maestro!
Quando vi dicono: ci sono delle situazioni concrete che possono giustificare un ricorso ai contraccettivi, vi mentono! Vi predicano una dottrina adulterata (cf. 2Cor 2,17)! Ancora di più, vi fanno del male, perché vi indicano una via che non conduce nè alla felicità, nè alla santità!
A questo proposito Giovanni Paolo II ha potuto dire che “quando a ciò che la legge morale prescrive si contrappongono le cosiddette situazioni concrete, non si ritiene più, in fondo, che la legge di Dio sia sempre l’unico vero bene dell’uomo”. [6]
Come si può pretendere che “in certe situazioni” un atteggiamento che contraddice la verità profonda dell’amore umano divenga buono o necessario? È impossibile!
Pertanto, “c’è chi presume portare a questi problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall’uccisione delle nuove vite. La Chiesa ricorda, invece, che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine, che reggono la trasmissione della vita, e quelle che favoriscono l’autentico amore coniugale (cf. GS 51, §2). Sì! La pienezza della felicità coniugale passa sempre attraverso il rispetto della natura profonda della sessualità e dunque della sua apertura alla vita. La contraccezione è sempre un male morale perché distrugge sempre l’amore dei coniugi! Ella fa loro del male e fa fare a loro il male!
Non ci può essere conflitto di doveri qui.
Il bene della coppia passa sempre per una via in accordo con la sua natura profonda, secondo il suo essere. “Le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto «soggettivamente» onesto o difendibile come scelta.” [7]
Di conseguenza, non esiste alcuna situazione in cui la norma sarà impossibile da mettere in pratica. Infatti, questo implicherebbe che il Creatore si contraddica e ci domandi di andare contro l’ordine sapiente che egli stesso ha inscritto nella Creazione.
C’è in gioco una posta alta dal punto di vista pastorale, ricorda San Giovanni Paolo II. “Il fatto che la legge debba essere di «possibile» attuazione, appartiene direttamente alla natura stessa della legge (…) la «possibilità», intesa come «attuabilità» della norma, appartiene anche alla sfera pratica e pastorale.”. [8]
Allo stesso modo è falso opporre la verità della legge a realizzazioni pratiche contrarie.
Non si devono mai opporre la pratica pastorale e la verità universale della legge morale. La pastorale concreta è sempre la ricerca dei mezzi più appropriati per mettere in opera l’insegnamento universale, e mai per discostarsene.
Come disse San Giovanni Paolo II parlando di contraccezione: “nessuna circostanza personale o sociale ha mai potuto, può e potrà rendere in se stesso ordinato un tale atto”. [9]
Non si tratta, infatti, di una dottrina inventata dall’uomo: essa è stata inscritta dalla mano creatrice di Dio nella stessa natura della persona umana ed è stata da lui confermata nella rivelazione.” [10]

Il terzo errore si trova presso i pastori: sacerdoti e vescovi.
Cari fratelli sacerdoti, talvolta cercano di colpevolizzarci e ci accusano di far portare ad altri fardelli che noi stessi non portiamo. Non lasciatevi intimidire: obbedite a Dio piuttosto che agli uomini. Se veramente Humanæ Vitæ è la legge di una vita coniugale condotta secondo la verità profonda della sessualità umana, allora noi non imponiamo alcun fardello! Al contrario, predicando Humanæ Vitæ, annunciamo la buona novella! Annunciamo la santità coniugale! Come potrebbero i nostri cuori sacerdotali privare le anime di questa via regale della santità coniugale? Come potremmo proporre una forma di santità “al ribasso”, incompiuta? Non possiamo!
Come disse Paolo VI: “Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime.” [11] e, rivolgendosi ai vescovi, il beato Papa continuava: “lavorate con ardore e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti responsabilità nel tempo presente”. [12]
Cari fratelli nel sacerdozio, annunciare la buona novella del Vangelo sulla sessualità, il matrimonio, è aprire alle coppie la via di una vita felice e santa! È nostro dovere di padri, di guide, di pastori!
Da parte nostra “silenzi, incertezze o ambiguità al riguardo, hanno come conseguenza di oscurare la verità umana e cristiana dell’amore coniugale”. [13] Per amore paterno verso gli sposi, per zelo missionario, per generosità nell’evangelizzazione, non dobbiamo avere paura di predicare e annunciare questa buona novella anche se dobbiamo sopportare gli attacchi, l’indifferenza, la solitudine e lo scherno. Proclamiamo la verità del Vangelo! Paolo VI ci ha mostrato con la sua enciclica un bell’esempio di carità pastorale, non dobbiamo aver paura di imitarlo! Il nostro silenzio sarebbe complice e colpevole. Non abbandoniamo le coppie di sposi alle sirene illusorie della facilità! Sottolineiamo comunque che il nostro celibato è un criterio di credibilità. Se noi viviamo in verità la gioia di una vita donata nella continenza totale per il Regno dei cieli (cf. Mt 19,12), possiamo predicare la gioia di una vita di sposi donata nella fecondità responsabile e nella generosità della continenza periodica quando è necessario.
Beninteso, più noi predicheremo con forza la verità, più sapremo accompagnare le persone con “pazienza e bontà” [14] come il Signore che fu intransigente con il male e misericordioso con le persone. Ma la misericordia senza la verità non esiste, perché Dio è verità!

V – Una via di santità per gli sposi

Avendo distinto questi tre errori, possiamo approfondire cosa sia questa via di santità descritta da Humanæ Vitæ.
Vorrei anzitutto sottolineare che a fondamento di ogni santità si deve trovare l’amore di Dio. Ora, colui che ama vuole ciò che vuole l’amato. Amare Dio significa volere ciò che lui vuole. Al vertice della mistica, si parla di unione delle volontà, o di comunione delle volontà.
Bisogna dunque iniziare col cercare la volontà di Dio. Dobbiamo decifrare il disegno che il Creatore ha inscritto nella nostra natura di uomini e donne, nella natura della coppia e del rapporto coniugale. È precisamente ciò che afferma Benedetto XVI quando dice: “La natura è espressione di un disegno di amore e di verità. Essa ci precede e ci è donata da Dio come ambiente di vita. Ci parla del Creatore (cf. Rm 1, 20) e del suo amore per l’umanità. (…) L’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una «grammatica» che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario” (cf. Caritas in veritate, 48).
Questo lavoro di obbedienza per comprendere il disegno divino, la volontà inscritta da Dio nell’ordine delle cose è stato iniziato da Paolo VI e magnificamente amplificato da San Giovanni Paolo II. Esso apre per gli sposi la via di una spiritualità di comunione con il progetto del Creatore. Paolo VI incoraggia così le coppie a: “conformare la loro condotta alle intenzioni creatrici di Dio”. [15] In questa volontà di aderire all’intenzione creatrice si trova una vera via di unione teologale a Dio e allo stesso tempo una giusta realizzazione di sé. È veramente amare Dio amare quello che la sua sapienza ha inscritto nella mia natura. E questo apre a un giusto e realistico amore di sé.
Infatti, come ha scritto Benedetto XVI: “Noi viviamo nel modo giusto, se viviamo secondo la verità del nostro essere e cioè secondo la volontà di Dio. Perché la volontà di Dio non è per l’uomo una legge imposta dall’esterno che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera. Se noi viviamo contro l’amore e contro la verità – contro Dio –, allora ci distruggiamo a vicenda e distruggiamo il mondo. Allora non troviamo la vita, ma facciamo l’interesse della morte. Tutto questo è raccontato con immagini immortali nella storia della caduta originale e della cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre.” [16]
Si può qui trovare un’applicazione profonda e mistica di ciò che Papa Francesco chiama “la conversione ecologica”. Infatti, noi siamo invitati a rinunciare a una concezione secondo la quale l’uomo deve possedere la natura e perfino la sua stessa natura, in una logica di dominazione e di manipolazione tramite la tecnica. [17]
Perché voler cambiare la propria natura? Perché violarla manipolandola? Noi non dobbiamo mutilarci per realizzarci secondo il nostro sentire o le nostre tendenze, in maniera diversa da ciò che Dio ha fatto di noi. Egli ci ha creati a sua immagine e sua somiglianza, maschio e femmina ci ha creati (cf. Gn 1, 27). Noi ci distruggiamo se vogliamo negare o rifiutare d’essere nati uomini e donne, decidendo di mutilare la nostra natura di uomini o di donne. Al contrario, dobbiamo entrare in una logica di accoglienza della natura della nostra natura propria come un regalo, come un dono gratuito del Creatore che ci rivela qualche frammento della sua infinita sapienza.
Di conseguenza non dobbiamo dominare o manipolare arbitrariamente la natura, la nostra propria natura, come dice Papa Francesco dobbiamo piuttosto “assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si tratta di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano”. [18]
Perché attraverso la nostra natura, colui che ci tende la mano e si rivela è l’autore della natura: il Creatore.
Come ha detto san Giovanni Paolo II: “il carattere virtuoso dell’atteggiamento, che si esprime nella «naturale» regolazione della fertilità, è determinato non tanto dalla fedeltà a un’impersonale «legge naturale» quanto al Creatore-persona, sorgente e Signore dell’ordine che si manifesta in tale legge.” [19] A lui sottomettiamo la nostra intelligenza il nostro cuore, entriamo veramente in comunione di intenti con lui.
Questo ci permette di precisare ancora la realtà di questa via di santità valorizzata da Humanæ Vitæ. Non si tratta solo di rispettare materialmente un ordine biologico ma piuttosto di conformare tutta la vita all’ordine della Creazione. L’ordine biologico, il ciclo della fecondità, è “l’espressione dell’ordine della natura, vale a dire del piano provvidenziale del Creatore, dall’esecuzione fedele del quale dipende il vero bene della persona umana”. [20] Ma questo piano del Creatore non si limita alla regolarità biologica. La fedeltà all’ordine della Creazione comprende molto di più.
La fedeltà al piano di Dio suppone l’esercizio di una paternità-maternità responsabile che si esprime attraverso un uso intelligente del ritmo della fecondità. Suppone una collaborazione tra gli sposi, una comunicazione, delle scelte comuni e libere, messe in atto in coscienza, rischiarate dalla grazia e dalla preghiera perseverante, fondate su una generosità di fondo, per decidere sia se dare la vita sia, per dei giusti motivi, [21] di rimandare a più tardi una nascita. Suppone una vera carità coniugale, una vera temperanza e padronanza di sé, soprattutto se si devono limitare le unioni coniugali ai periodi infecondi. In breve, si tratta di tutta un’arte di vivere, di una spiritualità, di un modo propriamente coniugale di santità!
Come già notava Paolo VI “questa disciplina, … apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione degli altri problemi; favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, e approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri” (H.V. 21).

VI – Un’arte di vivere

Sottolineare questo aspetto permette di eliminare un equivoco. A volte si parla di “metodi naturali di regolazione delle nascite”. Sono molti a credere che questi metodi siano “naturali” per il fatto che non fanno ricorso a procedimenti artificiali chimici o meccanici. Questo non è del tutto giusto.
Come sottolinea Giovanni Paolo II: “Da questo punto di vista, la riduzione alla sola regolarità biologica, staccata dall’ordine della natura cioè dal piano del Creatore deforma l’autentico pensiero dell’enciclica Humanæ Vitæ”. [22] Ma molto di più, continua questo santo Papa, che potremmo chiamare il Dottore della santità coniugale, “la qualifica di «naturale», che si attribuisce alla regolazione moralmente retta della fertilità (seguendo i ritmi naturali, cf. Humanae Vitae, 16), si spiega con il fatto che il relativo modo di comportarsi corrisponde alla verità della persona e quindi alla sua dignità: una dignità che «per natura» spetta all’uomo quale essere ragionevole e libero. L’uomo, come essere ragionevole e libero, può e deve rileggere con perspicacia quel ritmo biologico che appartiene all’ordine naturale. Può e deve conformarsi ad esso, al fine di esercitare quella «paternità-maternità responsabile», che, secondo il disegno del Creatore, è iscritta nell’ordine naturale della fecondità umana.” [23]
Piuttosto che di “metodi naturali” si dovrebbe dunque parlare di un esercizio della fecondità secondo la natura umana. Quest’ultima suppone una “maturità nell’amore che non è immediata, ma richiede un dialogo, un ascolto reciproco e un particolare dominio della pulsione sessuale in un cammino di crescita nella virtù”, dirà Benedetto XVI.
Così, si può parlare di vita secondo l’ordine della natura, secondo il disegno creatore, solo se un metodo naturale di regolazione delle nascite è vissuto in un contesto di virtù coniugali.
“Capita spesso che il «metodo», staccato dalla dimensione etica che gli è proprio, viene messo in atto in modo meramente funzionale, e perfino utilitario. Separando il «metodo naturale» dalla dimensione etica, si cessa di percepire la differenza che intercorre tra esso e gli altri «metodi» (mezzi artificiali) e si arriva a parlarne come se si trattasse soltanto di una diversa forma di contraccezione.” [24] Il Cardinale Lopez-Trujillo ha parlato a questo proposito di metodi naturali che si trasformano in “contraccettivi ecologici” [25]  perché sono usati nel contesto di una mentalità edonista, chiusa all’accoglienza della vita.
Al contrario, usati nello spirito di una vita secondo il disegno Creatore, un metodo naturale apre gli sposi alle virtù proprie della vita coniugale. Apre le porte a una piena libertà interiore nel dono di sé. “Il corretto modo di intendere e praticare la continenza periodica quale virtù decide anche essenzialmente della «naturalità» del metodo … Non si può quindi pensare a un’applicazione meccanica delle leggi biologiche. La conoscenza stessa dei «ritmi di fecondità» – anche se indispensabile – non crea ancora quella libertà interiore del dono, che è di natura esplicitamente spirituale e dipende dalla maturità dell’uomo interiore”. [26]
Detto in altri termini: i metodi naturali sono una base, ma presuppongono di essere vissuti in un contesto di virtù. Possono costituire una porta, una pedagogia per la scoperta per questa vita coniugale piena, ma senza questo contesto di responsabilità di generosità e di carità che è loro connaturale essi possono essere vissuti anche solo materialmente.

VII – Entrare nell’adorazione

Dobbiamo spingerci oltre e affermare che, in fondo, i metodi naturali aprono la via e richiedono una vera spiritualità coniugale. Questa spiritualità, questa vita di relazione con Dio trova la sua piena realizzazione sotto l’influenza particolare di un dono dello Spirito Santo: il dono della Pietà. La Pietà è quel dono che ci fa ricevere tutto da Dio come da un Padre, con rispetto e riconoscenza. Giovanni Paolo II sottolinea che non si può comprendere pienamente “il vero significato sponsale tutte le «manifestazioni affettive», che costituiscono la trama del perdurare dell’unione coniugale (…) senza questa comprensione spirituale che è il frutto fondamentale del dono dello Spirito che spinge la persona a rispettare l’opera di Dio”. [27]
Sì, bisogna spingersi fino a qui. Comprendere il disegno Creatore, riceverlo col cuore, suppone questo atteggiamento spirituale profondo di riconoscenza e di adorazione che è un dono dello Spirito Santo. Secondo le parole di Giovanni Paolo II: “Il rispetto per l’opera di Dio contribuisce a far sì che l’atto coniugale non venga sminuito e privato d’interiorità nell’insieme della convivenza coniugale – che non divenga «abitudine» – e che in esso si esprima un’adeguata pienezza di contenuti personali (…) e anche di contenuti religiosi, cioè la venerazione alla maestà del Creatore, unico e ultimo depositario della sorgente della vita”. [28] In verità questa è precisamente la posta in gioco in Humanæ Vitæ.”
Ricevendo con gratitudine l’ordine naturale, cercando di comprenderlo, di amarlo, non solo gli sposi realizzano il loro amore nelle virtù che consolidano la loro reciproca carità, ma ancor più essi si aprono all’adorazione contemplativa del Creatore. Humanae Vitae apre una strada di santità coniugale, una pedagogia dell’adorazione, dell’accettazione filiale e adorante del piano divino.
Dio stesso viene così amato come un Padre, i suoi doni sono ricevuti con riconoscenza e venerazione. La Sua premurosa maestà viene sperimentata dagli sposi.
Si comprende perché Giovanni Paolo II ha potuto affermare che “ciò che è messo in questione, rifiutando quell’insegnamento, è l’idea stessa della santità di Dio… quelle norme morali sono semplicemente l’esigenza, dalla quale nessuna circostanza storica può dispensare, della santità di Dio che si partecipa in concreto, non già in astratto, alla singola persona umana”. [29]
Affermare che le norme di Humanæ Vitæ non siano applicabili in ogni circostanza, equivale a negare che tutto sia ordinato alla santità, alla comunione con il Dio tre volte Santo.

VIII – La via regale della Croce

San Giovanni Paolo II aggiunge che rifiutare Humanæ Vitæ “vuol dire rendere vana la Croce di Cristo (cf. 1 Cor 1, 17). Incarnandosi, il Verbo è entrato pienamente nella nostra quotidiana esistenza, che si articola in atti umani concreti; morendo per i nostri peccati, egli ci ha ri-creati nella santità originaria, che deve esprimersi nella nostra quotidiana attività intra-mondana”. [30]
Sì, è tramite la Croce che siamo lavati dai nostri peccati. La Croce è proprio il mezzo per andare verso la santità di Dio. “Niente di sconvolgente allora se il sacramento del matrimonio impegna gli sposi su di un cammino in cui essi incontreranno la Croce.” [31] Il vostro amore di sposi deve somigliare all’amore di Gesù e l’amore di Gesù è un amore che va fino alla radice dell’amore, fino alla morte sulla Croce. Infatti, andare fino alla radice dell’amore è morire per coloro che si amano. Per questo motivo è impossibile entrare nell’Amore senza entrare nella sofferenza, senza morire come Cristo. Perché Dio ci ha predestinati a riprodurre l’immagine del suo Figlio, Gesù, affinché sia il primogenito di una moltitudine di fratelli (Rm 8, 29).
Sì, cari amici, cari sposi, io non vi predico la facilità. Io vi annuncio Gesù, e Gesù crocefisso! Cari sposi, vi invito ad entrare su questa via maestra della santità coniugale. Ci saranno dei giorni in cui non avverrà senza eroismo da parte vostra. Ci saranno dei giorni in cui sarete sul cammino della Croce. Penso alla “croce per coloro ai quali la fedeltà all’alleanza provoca prese in giro, ironie e anche persecuzioni”, [32]  croce dei problemi materiali che genera la generosità nell’accoglienza della vita, croci delle difficoltà nella via di coppia, croci della continenza e dell’attenersi a certi periodi. Cari amici, se io vi annunciassi altre cose vi mentirei, vi tradirei! Non sarei più ministro di Dio per condurvi al bene (Rm 13,4) né messaggero della sua Parola.
La felicità, la gioia perfetta delle vostre copie passa di qui. So che questo non è privo di sacrificio ma “i tentativi sempre rinascenti di un cristianesimo senza sacrificio, un cristianesimo liquido, all’acqua di rose, sono votati al fallimento”. [33] Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo esprime con forza: “Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce gli sposi potranno «capire» il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.” [34] Non possiamo fare economia della Croce. Il calvario è il punto dal quale noi tutti possiamo vedere con gli occhi di Cristo e quindi comprendere cos’è il vero amore. Così come ricordava Giovanni Paolo II “gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce”, [35]  è per questo che i focolari cristiani sono luoghi di gioia e di felicità. Perché ciò che è accaduto sulla Croce è allo stesso tempo la pienezza della sofferenza e la vittoria sulla morte, il sacrificio perfetto e la gioia più grande, la conseguenza del peccato e il compimento della santità. La famiglia è un luogo di immensa felicità perché è un luogo d’amore, quindi luogo al centro del quale s’innalza la Croce, la sorgente di ogni amore.
Parlando del sacramento del matrimonio San Paolo esclama: “questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef. 5, 31). Cari sposi cristiani, la Chiesa vi affida un immenso tesoro: vi domanda di essere testimoni dello stesso amore col quale Gesù ha amato l’umanità. Sì, amatevi “come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25). È la vostra missione, la vostra vocazione: amare come Cristo, fino alla croce! La vostra missione è bella! Grazie di ciò che siete in mezzo a noi! Grazie, care famiglie, della testimonianza che date tramite la vostra gioia e la vostra felicità! Il sorriso sul volto dei vostri figli è il miglior modo che avete di testimoniare la vostra felicità. Voi siete i più bei gioielli della corona della Chiesa! Voi siete l’avvenire della Chiesa e dei vostri paesi! La Chiesa vi ama!
Vi ringrazio della vostra attenzione e della vostra pazienza nell’ascoltarmi. E insieme a voi ringrazio Dio Padre onnipotente di averci donato Papa Paolo VI in un momento cruciale della nostra storia e di averlo illuminato e sostenuto. Dio è sempre fedele anche quando una gran parte della gerarchia della sua Chiesa gli è infedele ed eccelle nella confusione e nel disordine per degli interessi umani. Come disse Benedetto XVI in occasione del 40º anniversario di Humanæ Vitæ 10 anni fa: “Ciò che era vero ieri resta ugualmente vero oggi. La verità espressa in Humanæ Vitæ non cambia”. Che Dio protegga la Chiesa e la Chiesa protegga le famiglie e il mondo!

 

 

 

 

 

 

[1] Alcuni Cardinali e Vescovi, purtroppo, si erano organizzati per opporsi radicalmente e pubblicamente all’Enciclica Humanæ Vitæ. Dapprima la Conferenza Episcopale del Belgio, diretta dal Cardinale Primate Leo Suenens, pubblicò il 30 agosto 1968 una Dichiarazione dell’Episcopato del Belgio sull’Enciclica Humanæ Vitæ per manifestare la sua opposizione.

Dopodiché, un gruppo più allargato, composto dai Cardinali Suenens, Alfrink, Heenan, Döpfner e König si oppose all’Enciclica Humanæ Vitæ. Essi si riunirono a Essen per decidere della loro opposizione a Humanæ Vitæ il 9 settembre 1968, nel corso della Katholikentag d’Essen, in presenza del Legato del Papa il Cardinale Gustavo Testa. Una maggioranza schiacciante votò una risoluzione per rivedere l’Enciclica.

Il 30 luglio 1968, sotto il titolo di «Contro l’Enciclica Papa Paolo VI», il New-York Times lanciò un appello firmato da più di 200 teologi che invitavano i Cattolici a disobbedire all’Enciclica di Paolo VI. Questa dichiarazione, conosciuta anche come «Dichiarazione di Curran», (Charles Curran, teologo dell’Università Cattolica d’America), fu qualcosa che non si era mai visto in tutta la storia della Chiesa.

Nel 1969 altri vescovi olandesi, tra i quali il Cardinale Alfrink, votarono per la cosiddetta Dichiarazione d’Indipendenza che invitava i fedeli a rigettare l’insegnamento di Humanæ Vitæ.

«Nel 1968 – ricorda il Cardinale Francis J. Stafford – arrivò qualcosa di terribile nella Chiesa. All’interno del Sacerdozio ministeriale, tra amici, si produssero ovunque fratture che non si sarebbero mai più rinsaldate; queste ferite continuano ad affliggere tutta la Chiesa». Paolo VI fu traumatizzato dal conflitto che era emerso da alcune figure chiave del Concilio che erano le più vicine a lui. Il 7 dicembre 1968, in un’allocuzione al Seminario Lombardo, egli stesso parlò di «autodistruzione della Chiesa», di un processo che aveva scosso e distrutto la Chiesa dall’interno. Questa «autodistruzione della Chiesa» è continuata, è stata condotta da membri eminenti della gerarchia e del clero.

 

[2]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 18 luglio 1984.

[3]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 18 luglio 1984.

[4] San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 7 dicembre 1981.

[5]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 18 luglio 1984.

[6] San Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 84.

[7]  San Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 84.

[8] San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 25 luglio 1984.

[9]  San Giovanni Paolo II, Discorso al II Congresso internazionale di Teologia morale, 12 novembre 1988.

[10]  Ibid.

[11]  Beato Paolo VI, Humanæ Vitæ, 29.

[12]  Beato Paolo VI, Humanæ Vitæ, 30.

[13] San Giovanni Paolo II, Discorso al convegno nazionale degli operatori di pastorale per la famiglia, 7 dicembre 1981.

[14]  Beato Paolo VI, Humanæ Vitæ, 29.

[15]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 1 agosto 1984.

[16]  Benedetto XVI, Omelia dell’8 dicembre 2005.

[17]  Papa Francesco, Laudato si, 106-108.

[18]  Papa Francesco, Laudato si, 106.

[19]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 29 agosto 1984.

[20]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 29 agosto 1984.

[21]  Cf. Humanæ Vitæ, 16: «Se dunque per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità senza offendere minimamente i principi morali che abbiamo ora ricordato. (Cf. Pio XII, A.A.S. 43 (195 1), p. 816.)».

[22]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 29 agosto 1984.

[23]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 5 settembre 1984.

[24]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 5 settembre 1984.

[25]  Cardinal Lopez-Trujillo, in Famille chrétienne, 17 novembre 2001, p. 23.

[26]  San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 7 novembre 1984.

[27] San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 21 novembre 1984.

[28]  Ibid.

[29]  San Giovanni Paolo II, Discorso al II Congresso internazionale di teologia morale, 12 novembre 1988.

[30]  Ibid.

[31]  San Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Movimento Internazionale “Foyers des Equipes de Notre-Dame”, 23 settembre 1982.

[32]  Ibid.

[33]  Ibid.

[34]  Catechismo della Chiesa Cattolica, 1615.

[35]  San Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 13.

 

                   

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