Scroll Top

Le omelie del S. Curato d’Ars: il peccato mortale

peccato_mortale

Guai a noi, perchè abbiamo peccato
(Lamentazioni 5,16)

Il profeta Geremia, fratelli miei, si riteneva caricato dei peccati del suo popolo; egli grida, piangendo amaramente: «Ormai, ormai, abbiamo perduto, a causa dei nostri peccati, quei piaceri puri di cui gioivano i nosri cuori, le nostre gioie si sono cambiate in tristezza, e la corona di gloria che avevamo sulle nostre teste è caduta.
Guai a noi, perchè abbiamo peccato».

Che c’è, fratelli miei, di più degno delle nostre riflessioni e delle nostre lacrime, di queste parole del profeta, che ci mostra le devastazioni spaventose che il peccato opera in colui che ha la disgrazia di commetterlo?
Come oserei, fratelli miei, voler intraprendere a parlarvi della grandezza, della malizia del peccato, verso Dio, contro cui è commesso, e delle disgrazie che esso attira su colui che lo commette?
Ahimè! fratelli miei, parlarvi di distruggere in voi il peccato, di ripulirlo con le vostre lacrime, e di annientarlo con le vostre penitenze, è voler intraprendere a distruggere ciò che i re, per quanto potenti siano stati, non hanno mai potuto sconfiggere, nè con la severità dei supplizi, nè col rigore e la moltitudine delle loro ordinanze.
E’ voler impedire ciò che i profeti dell’Antico Testamento non hanno mai potuto impedire con la forza della loro eloquenza tutta divina; è voler distruggere ciò che gli apostoli, infiammati dall’amore di Dio e animati dalla forza dello Spirito Santo, non hanno mai potuto distruggere.
Ahimè! fratelli miei, è voler annientare ciò che tutti i martiri non hanno mai potuto soffocare nell’effusione di tutto il loro sangue.
Ah! che dico? E’ voler sterminare ciò che Gesù Cristo stesso, per quanto Dio, non ha sterminato completamente con tutti i suoi tormenti e i rigori inesprimibili della sua dolorosa e crudele passione.
Sì, fratelli miei, vi parlerò dunque del peccato, e cioè di ciò che il buon Dio stesso, da più di seimila anni, non ha potuto travolgere, con tutte le grazie della sua religione santa e divina, con tutta la forza dei suoi sacramenti e con tutto lo zelo dei suoi ministri (i seimila anni sarebbero quelli computati dalla creazione del mondo, secondo il calcolo biblico delle varie epoche; ma non è da prendere alla lettera; n.d.a.).

O peccato! o maledetto peccato mortale, così familiare agli uomini e così poco conosciuto dagli uomini!
O maledetto peccato, distruttore della nostra santa religione, crudele carnefice delle nostre anime!… germe di dannazione! orrore del cielo e desolazione della terra!
O maledetto peccato, che sei la causa di tutte le nostre disgrazie, nel tempo e nell’eternità!
O sanguinoso assassino di Gesù Cristo stesso!
O mio Dio! se conoscessimo bene che cosa sia il peccato, potremmo mai commetterlo con piacere? e, dopo averlo commesso, potremmo mai vivere tranquilli?
Mio Dio! come siamo ciechi!
Vediamo dunque tutti insieme che cosa sia il peccato mortale, la sua malizia, e in seguito l’accecamento di colui che lo commette, e i mali che ci attira.

No, fratelli miei, giammai sarà dato ai mortali di comprendere la grandezza della malizia del peccato mortale.
Se avessi il potere di aprire le porte dell’inferno, e farvi circondare da tutte quelle vittime disgraziate della giusta collera di Dio, ciascuna di esse vi farebbe il dipinto straziante delle lacrime che esse hanno sparso, dei sospiri e delle grida che hanno lanciato, dei dolori che hanno sperimentato e che sopporteranno sino alla fine dell’eternità, se mai fosse possibile che questa abbia fine.
Ma tutto questo non sarebbe ancora nulla.
E se me ne chiedete la ragione, eccola: è perchè bisognerebbe farvi compredere da un lato, fino a quale grado il peccato oltraggi il buon Dio, e dall’altro lato fino a quale grado la potenza infinita di Dio punisca il peccato; cosa che mai sarà dato neppure agli angeli di conoscere
Tutto ciò che ve ne dirò, non sarà dunque niente in confronto a ciò che è in realtà.

Se mi chiedete, fratelli miei, che cosa sia il peccato mortale, eccovi quello che ci dice sant’Agostino: «è un distacco da Dio e un attaccamento sregolato e criminale alle creature».
Ecco dunque, fratelli miei, la materia del peccato: non soltanto allontanarsi da Dio, ma anche odiarlo.
O mio Dio! quale disgrazia è paragonabile a questa: attaccarsi a una vile creatura, darle tutti gli affetti del proprio cuore, in disprezzo del proprio Creatore, del proprio Dio!
Possiamo mai, fratelli miei, raffigurarci una malizia più nera e una più orribile enormità!
Ma ancora, fratelli miei, chi ci dirà che cosa sia questo male dell’avversione verso Dio?
Eccolo: è una opposizione universale alla volontà di Dio.
Ecco il discorso che facciamo a Dio, quando pecchiamo: «Allontanati da me, io non voglio più che Tu sia il mio Dio, nè io voglio essere più il tuo servitore: io ti disprezzo, insieme a tutti i tuoi beni.
Tu vorresti che io facessi ciò? ebbene! io non lo voglio.Tu non vorresti ciò? ebbene! io lo voglio.
Tu mi comandi di fare questa cosa?, ma io non voglio farla!».

Volete comprenderlo ancora meglio?
Ascoltatemi in istante: «Tu mi ordini, diciamo a Dio, di pregarti la mattina e la sera? Ebbene! io non voglio pregarti. Tu vuoi che io santifichi il santo giorno di domenica? ebbene! io non lo voglio, ma voglio profanarlo con dei lavori che Tu mi hai proibito, e, ancora di più, dedicandomi ai piaceri e al debosciamento.
Tu mi comandi di conservare il mio corpo e la mia anima puri e casti?; ebbene! io non lo voglio; io li profanerò con pensieri, desideri sporchi e vergognosi, e con le azioni più infami.
Tu vorresti che io perdoni al mio nemico? ebbene! io voglio vendicarmi.
Tu vorresti che io ti ami? ebbene! io ti disprezzo e mi dono alle creature.
Tu vorresti che io tragga profitto dalla tua santa Parola, che i tuoi ministri mi annunciano per farmi conoscere i mezzi per comportarmi bene? Tu vuoi che io approfitti delle grazie che la religione ci offre, per aiutarci a vincere le nostre inclinazioni cattive? ebbene! io invece voglio disprezzare la tua Parola e colui che l’annuncia, e mettermi sotto i piedi tutte le tue grazie».

Ecco, fratelli miei, il discorso che noi facciamo al buon Dio, tutte le volte che pecchiamo; è per questo che il profeta Isaia chiama i peccatori, ribelli che fanno sempre il contrario della Volontà del Signore (Isaia 41,11).

In secondo luogo, dico che la parola “avversione” vuol dire un disgusto, una ribellione del cuore contro tutto ciò che abbia rapporto con la religione: la penitenza, le mortificazioni, il perdono dei nemici, le violenze che bisogna farsi per vincere le inclinazioni corrotte del proprio cuore, la privazione di certi piaceri, come pure tutto il resto; ciò ci fa paura, ci rende malati, solo a pensarci; si pensa che il buon Dio esigga troppo, che sia troppo difficile servire il buon Dio; noi preferiamo piuttosto esporci ad andare a soffrire per tutta l’eternità, che farci qualche violenza per piacere a Dio, evitando il peccato.

O mio Dio! com’è cieco l’uomo!
E’ mai possibile che una vile creatura osi rivoltarsi contro il suo Creatore, che con un solo sguardo potrebbe annientarla all’istante stesso?

In terzo luogo, dico che non soltanto il peccatore, peccando, preferisce la creatura alla Maestà di Dio: quale vergogna! quale orrore per un cristiano, se conoscesse quello che fa, peccando! Ma sant’Agostino aggiunge anche:«Quante sono le passioni che accontentiamo, altrettanti dei stranieri noi adoriamo».
Oh! quale ingiustizia il peccatore fa a Dio, mettendolo al di sotto della sua passione!
«Sì, ci dice questo santo, questo sciagurato impudico mette il suo Dio al capezzale di una donna infame…sì, egli mette il suo Dio dentro gli sguardi di un impudico, nei piaceri brutali e infami di un uomo lascivo» (pensiero un po’ contorto, ma sostanzialmente chiaro:ogni uomo peccatore trascina Dio stesso, che è in lui, nel suo peccato; n.d.a.).

«Che cos’è un impudico? ci dice sant’Agostino: è un uomo povero e disgraziato che non respira altro che carne e lordura.
Che cos’è un iracondo? E’ un uomo che getta fuoco dagli occhi e dalle narici.
Che cos’è un invidioso? E’ un uomo che crepa di dispetto e che si rode dalla rabbia.
Che cos’è un ambizioso? E’ ci dice, un uomo che non è pieno di altro che di fumo.
Ebbene! dove pensate voi che il peccatore metta il suo Dio? pensate che sia negli occhi? No, ancora più giù.
E’ forse nel suo cuore? No, ci dice, ancora più in basso.
E’ forse nel profondo degli abissi? No, ci dice, ancora più in basso…
Dove dunque? Ah! disgraziato, ecco: se potrai ascoltarlo, senza morire di orrore, guai a te!
Ah! disgraziato peccatore, tu poni il tuo Dio sotto la schiuma delle tue collere, sotto la sordida passione della tua avarizia; disgraziato! è sotto la bile del tuo furore, sotto la rabbia della tua invidia, sotto il fumo della tua ambizione.
Ah! ma che dico? Tu lo piazzi, e vorresti sporcarlo, nei “succhi” delle tue turpitudini impure e infami!».
O mio Dio, chi comprenderà che cosa sia il peccato e continuerà ancora a commetterlo?

Ho imparato dalla Sacra Scrittura, fratelli miei, che il cielo e la terra non possono contenere la grandezza della Maestà di Dio.
Ho appreso che Egli ha il suo trono nel sole, e che è circondato di luci.
Ma non avevo mai visto che la divinità di un Dio tre volte santo potesse essere insudiciata, macchiata di lordure, annerita dal fumo delle passioni di uomini infami.
O peccato! o maledetto peccato! come fai vedere bene ciò che noi non capiremo mai!
O quale orrore, fratelli miei, che la divinità sia strappata dal suo trono da un infame peccatore, per essere messa sotto i piedi delle sue passioni!
O eternità! sarai abbastanza lunga, per punire questi disgraziati?
San Paolo, volendo descriverci l’enormità del peccato della carne, ci dice delle parole così sorprendenti, che se poteste comprenderle bene, vi sarebbe impossibile cadere mai in questo peccato: «Non sapete voi che il vostro corpo è un membro di Gesù cristo?».
Di modo che un impudico, che si abbandoni a un’infame creatura, del suo corpo, che è un membro di Gesù Cristo, ne fa un membro di un’infame prostituta.
O orrore! o abominazione, che dovrebbe far fremere di orrore perfino l’inferno!
Ditemi, fratelli miei, che pensereste di un uomo che sia così arrabbiato, da prendere il sangue più impuro di sporchi animali, e metterlo nel calice, insieme al Sangue prezioso di Gesù Cristo, dopo la consacrazione?
Questo vi farebbe solo orrore! E tuttavia il peccatore si spinge ancora oltre, preferendo il demonio al Figlio di Dio, e i movimenti di satana ai movimenti della grazia di Gesù Cristo.

In quarto luogo, io dico che il peccato mortale ci acceca in maniera tale che noi non conosciamo quasi più il male che facciamo; o almeno in una maniera così debole, che pecchiamo senza quasi accorgercene.
Il peccato si presenta, e noi subito lo riceviamo; la grazia viene, ma noi la disprezziamo; in modo che, una volta accecati e induriti, facciamo altrettante cadute, quanti passi.
Il buon Dio, in punizione dei nostri peccati, ci rigetta dalla sua Presenza e ci consegna nelle mani delle nostre passioni.
Da tutto ciò consegue che la nostra vita non è altro che un tessuto di crimini e una sequenza e un concatenamento di peccati.
Il cuore dell’uomo è simile a un mare agitato da una terribile tempesta, dove un’onda ne produce un’altra: la stessa cosa accade a un peccatore.
Il primo peccato ne produce un altro, e così essi si spingono gli uni gli altri, e l’ultimo porta all’impenitenza finale, e l’impenitenza finale alla morte, e la morte all’eternità infelice.
«In tal modo, ci dice Tertulliano, un peccato diviene la materia di un altro».
Da ciò deduco, fratelli miei, che il peccatore non cessa di peccare se non nel momento in cui cessa di vivere; tutta la sua vita non è altro che un concatenamento di crimini, fino a che non giunga all’ultimo.

La Sacra Scrittura ci fornisce un famoso esempio nella persona dello sfortunato Amasia, re di Giuda.
Questo principe aveva tutte le qualità naturali che si potrebbero augurare a un buon re, e, secondo ogni apparenza, aveva le migliori disposizioni.
Salì sul trono all’età di venticinque anni. Fino ad allora era vissuto molto bene; ma, ahimè! appena fu elevato al trono, l’orgoglio e l’ambizione si impadronirono di lui.
Egli volle sapere a quante persone avrebbe avuto diritto di comandare; ce ne furono trecentomila capaci di portare le armi:
«Ecco tanta gente, si disse fra sè, ma dove andrò a trovare il denaro per pagarli?».
Allora fece istituire un’imposta con la quale schiacciò il suo popolo, e la fece eseguire fino all’estrema crudeltà.
Il Signore gli inviò un profeta per riprenderlo; ma no, se uno è cieco, niente può scuoterlo; egli disprezza i rimproveri del profeta; li minaccia perfino di morte, immergendosi, per così dire, nel vizio dell’orgoglio.
Vedendo che il profeta lo riprendeva, gli disse: «Tu non smetti di importunarmi; ebbene! io abbandonerò il vero Dio, e adorerò gli idoli».
E infatti fece così.
Vedendosi in testa a una superba armata, ben equipaggiata, credette che nulla fosse capace di resistergli.
Va ad attaccare il re d’Israele: vuole impadronirsi del suo stato e far morire il re, ma, ahimè! la sua armata fu fatta a pezzi ed egli stesso fu preso e condotto in una cattività, che durò quindici anni; infine, i suoi stessi domestici lo sgozzarono (2 Cronache 25; ma il racconto che ne fa il curato contiene diverse inesattezze; n.d.a.).

Ecco, fratelli miei, precisamente, l’immagine di un peccatore indurito, il cui indurimento consiste in un certo concatenamento di crimini e in una sequenza continua di cattive azioni, e in un certo flusso e riflusso di empietà; egli non cessa di peccare se non quando smette di vivere; non c’è che la morte che gli faccia aprire gli occhi sul suo stato.

In quinto luogo, ciò che rende quest’indurimento così terribile, è l’abbandono di Dio, che si ritira dal peccatore, e che finisce per consegnarlo nelle mani delle sue passioni.
Una volta arrivato a questo stadio di accecamento, ahimè! niente più lo tocca e niente è capace di fargli conoscere lo stato disgraziato in cui il peccato lo conduce; egli disprezza tutto ciò che è capace di richiamarlo a Dio; egli rigetta la grazia ogni volta che essa arriva.
Tuttavia egli sa di essere nel peccato, sa che non ha fatto il precetto pasquale, sa che ha nascosto i suoi peccati in confessione, sa che possiede i beni sottratti al suo prossimo, sa che se muore in questo stato sarà perduto.
Egli ascolta il ministro del Signore che gli mostra con evidenza lo stato spaventoso della sua anima, e non cessa di rappresentarglielo.
Sì, egli conosce tutto ciò, ma lo ascolta solo per deriderlo e perfino per disprezzare chi gli vorrebbe tendere una mano; egli riceverà le grazie della salvezza solo per mettersele sotto i piedi.
Sentite come parla questo cieco, quest’indurito: «Tutto quello che dicono i preti sono solo menzogne; è il loro mestiere».
Se in una istruzione c’è qualcosa che li riguarda o che li tocca un po’ più da vicino, non vi è nessuna sorta di abominazioni che essi non vomitino contro il prete.
Li vedrete uscire e fare tutto ciò che possono per trascinare altri nella loro riprovazione.
Essi nutrono un tale furore contro Dio e la sua religione, che si esibiranno nel fare il male davanti alla gente per bene, e cioè nell’esporre le loro empietà contro la religione, contro i suoi ministri, nel lavorare il santo giorno di domenica e nel mangiare di grasso nei giorni proibiti.
Ditemi, fratelli miei, vi sareste mai potuto immaginare che una persona fosse capace di arrivare a un tale stato di accecamento e di indurimento?
Ciò che mette il colmo alla loro disgrazia, è il fatto che essi sono forse tranquilli, e forse lo saranno fino al momento in cui cadranno nelle mani del loro nemico eterno.
Ne abbiamo un bell’esempio nella Sacra Scritura, dove leggiamo che il re di Siria, avendo concepito il progetto di assediare una città della Giudea, fece fare un’imboscata ai suoi soldati.
Il profeta Eliseo, al quale il Signore lo fece sapere, si mise in preghiera, domandando al buon Dio di accecare tutti quelli che venivano a cercarlo.
Dopo aver fatto la sua preghiera, va a trovare quella gente e dice loro: «Voi vi sbagliate, seguitemi, voi non avete preso la strada che dovevate prendere, non è questa la città che avevate intenzione di assediare.
Venite e seguitemi, e io vi condurrò dove dovete andare».
Il profeta si mise alla loro testa e li condusse dritto a Samaria, e dopo averli messi nelle mani dei loro nemici, che avevano cercato di farli perire, se ne andò (2 Re 6).
Immagine terribile di quello che succede di solito alla morte di questo peccatore indurito: se è assistito da un sacerdote, spesso è solo per sua disgrazia. Il prete lo consola, facendogli presagire la grandezza della misericordia di Dio, i presenti si consolano, vedendo i favori che gli sono prodigati in quel terribile momento, ma il prete non fa che sedarlo in una falsa pace, e i sacramenti non fanno altro che accecarlo di più.
Quello riceve il sacerdote con una ospitalità straordinaria, e i demoni non aspettano altro che il momento giusto per trascinarlo all’inferno: egli ha disprezzato tutto, si è preso gioco di tutto, ed eccolo ridotto sotto i rigori della giustizia di Colui contro il quale ha vomitato tante empietà.
Mio Dio, com’è degno delle nostre preghiere e delle nostre lacrime lo stato di questo povero disgraziato (anche se tutto il ragionamento è un po’ contorto, sostanzialmente vuol dirci che arriva il momento in cui è troppo tardi per guarire dall’accecamento volontario coltivato per troppo tempo, e ogni rimedio risulta inutile, se non peggiore dello stesso male, per mancanza delle minime disposizioni necessarie; n.d.a.).

Ma può darsi che questo vi abbia poco coinvolti, fratelli miei; vediamo, allora, e consideriamo il peccato sotto un altro punto di vista.
Voglio dire, per i mali che trascina con sè.

Affermo dunque che il peccato è la sorgente di tutte le miserie temporali che noi sperimentiamo durante la vita.
Lo Spirito Santo ci assicura che il peccato ci rende infelici, già da questo mondo; la povertà, le malattie, le afflizioni, e tutti gli altri mali, soprattutto la morte, hanno come unica causa il peccato.
Lo Spirito Santo ci dice in diversi punti della Scrittura Santa, che «se voi osservate i miei comandamenti, io farò in modo che tutto vi riesca bene: le vostre terre produrranno grano in abbondanza, e i vostri alberi saranno carichi di frutti; ma se voi mi offendete, Io vi coprirò di ogni sorta di mali; tutto vi andrà male (cfr.Deuteronomio 7; e passim nell’A.T.; n.d.a.).
Ciò è facile da comprendere, e cioè il fatto che tutti i mali, spirituali e temporali, ci siano dati in punizione dei nostri peccati (è vero che era un “dogma” della mentalità vetero testamentaria, ma anche nel Nuovo Testamento, contrariamente al luogo comune che ciò sia stato abolito, abbiamo molti esempi della connessione esistente, come dice il curato, tra peccato e punizioni fisiche e materiali; si confronti, per esempio ciò che afferma san Paolo in 1Corinzi 11,30!; e lo stesso Gesù in Giovanni 5,14!; n.d.a.).

Qual è stata la causa per cui gli angeli sono caduti dal cielo nell’inferno?
Che cos’è che ha cacciato Adamo dal Paradiso terrestre, e che gli ha attirato tante disgrazie a lui e ai suoi discendenti?
Nient’altro che il peccato.
Che cosa costrinse il Signore a far perire tutto l’universo col diluvio universale, se non i crimini degli uomini che erano sulla terra?
Qual è stata la causa della conflagrazione di Sodoma e Gomorra, e di tante altre città, se non il peccato?
Ah! maledetto peccato, chi potrebbe conoscerti e commetterti?
Il profeta Natan dice a Davide: «Poichè hai commesso un adulterio e hai fatto morire il marito di questa donna, i flagelli di Dio non usciranno dalla tua casa».
Lo Spirito Santo ci dice che la miseria e la povertà verranno da parte di Dio nella casa del peccatore, e che le case delle persone per bene saranno benedette.
Sì, fratelli miei, dovremmo evitare il peccato, anche se fosse unicamente per non essere infelici in questa vita.

In secondo luogo, dico che il peccato abbrevia anche, la vita di chi lo commette, poichè lo Spirito Santo ci assicura che gli anni del peccatore saranno abbreviati.
Il Signore ci dice per bocca del profeta Isaia, che la vita di un peccatore è tagliata come il filo del tessitore, il quale, non potendo sbrogliarlo, lo taglia.
Il buon Dio sopporta a lungo un peccatore; ma poi, vedendo che non vuole convertirsi, lo toglie da questo mondo.
Quando il re Ezechia, era malato, il profeta Isaia gli disse di mettere ordine nei suoi affari, perchè sarebbe morto poco tempo dopo.
Questo re si girò verso la parete, e si mise a piangere i suoi peccati: «Perchè, diceva, bisogna che i miei peccati siano la causa per cui io debba morire nel mezzo dei miei anni?».
Il Signore, toccato dalla sua penitenza, prolungò la sua vita per altri quindici anni.
Ma per il re Sedecia non accadde la stessa cosa; i suoi crimini furono la causa per cui fosse fatto prigioniero con tutti i suoi figli; gli scuoiarono i capelli e morì miseramente.
Il re Antioco riconobbe che i suoi peccati erano la causa per cui stava morendo prima del tempo.
Egli gridò: «Ah! mi ricordo bene che i mali che ho fatto a Gerusalemme, mi fanno morire!».
E la sua morte fu così crudele che i vermi lo divorarono vivo.
La storia ci insegna che l’imperatore Anastasio, essendo caduto malato, vide nella sua camera un uomo orribile, con in mano un libro in cui tutti i suoi peccati erano scritti, e quest’uomo gli disse: «La tua vita è abbreviata di quarant’anni, a causa dei tuoi peccati».
Ahimè! fratelli miei, tutto ciò, è vero, è molto spaventoso, soprattutto per una persona che ama la vita; ma, un po’ più presto o un po’ più tardi, bisognerà comunque morire; e desiderare di vivere più a lungo, è come desiderare di prolungare le proprie miserie e moltiplicare le proprie colpe.

Ma in terzo luogo io dico, che i mali che il peccato procura alla nostra povera anima sono molto più deplorevoli (seguono due righe dal senso indecifrabile che omettiamo; n.d.a.).
Come un corpo senza anima non è capace di gioire di nessun bene, nè di fare nulla, non resta che un cadavere puzzolente, così, fratelli miei, il peccato toglie la vita alla nostra anima, e la rende incapace di fare il minimo bene, degno di essere ricompensato per il cielo.
Ahimè! fratelli miei, un’anima privata della grazia di Dio, non è altro che un cadavere che fa orrore a Dio e agli stessi angeli.
No, fratelli miei, non c’è niente di più bello di un’anima in grazia di Dio; ma niente è così orribile di un’anima nel peccato.
Leggiamo nella vita di santa Caterina da Siena, che il buon Dio, avendole fatta vedere un’anima in grazia, ella ne fu talmente affascinata e così rapita, che gridò: «Ah! Signore, se la fede non mi insegnasse che non c’è che un solo Dio, crederei che ella sia un altro Dio.
Ah! no, mio Dio, non mi stupisco più per il fatto che Tu sia morto per un’anima così bella!».
Ma, ahimè! fratelli miei, dal momento che un’anima cade nel peccato, O Dio! questa bellezza, quest’anima più bianca della neve, che era simile agli angeli, diventa simile ai demoni!
La stessa Caterina ci dice che un’anima nel peccato è così orribile agli occhi di Dio, come una carogna trascinata per otto giorni sotto i rigori del sole, lo è agli ochi del mondo.
Ah! povera anima, che ne è stato di te?
Noi vediamo che la morte spoglia un uomo di tutti i suoi beni; allo stesso modo, quando un’anima ha la disgrazia di cadere nel peccato, ella perde i meriti di tutto il bene che abbia potuto fare in tutta al sua vita, quand’anche da sola fosse ricca quanto tutti gli angeli e i santi messi insieme (cioè anche se avesse acquistato in precedenza, tutti i meriti delle creature angeliche e terrestri; perde tutto in una volta n.d.a.); se ella cade in un peccato mortale, tutto è perduto per lei, non le resta altro che l’inferno!
Ah! maledetto peccato! come sono terribili le devastazioni che compi nell’anima!
Ahimè! fratelli miei,quanti cristiani che mi ascoltano sono già morti in questo senso, ma non lo pensano nemmeno!
Ah! piacesse a Dio che si avesse tanta paura della morte dell’anima, quanto di quella del corpo!

Ma mi spingo oltre, dicendo che il peccato mortale ci priva della pace dell’anima.
Lo Spirito Santo ci dice che colui che ha la sua anima in pace, è in una continua festa (Proverbi 15,15).
E san Paolo ci dice che la pace di un’anima che sta col buon Dio, sorpassa tutti i piaceri che si possano gustare con i sensi (cfr. Filippesi 4,7, sebbene il senso sia un po’ diverso; n.d.a.).
Ma, al contrario, il profeta Isaia ci dice che il cuore di un peccatore soffre dei dolori inconcepibili (Isaia 13,8).
San Paolo, scrivendo ai Romani, dice loro che le tribolazioni abbatteranno i peccatori tutti i giorni della loro vita (Romani 2,9).
Ah! amico mio, perchè restare nel peccato, dal momento che sei così infelice?

Ma mi spingo ancora oltre, dicendovi che il peccato mortale vende la vostra anima al demonio, e la rende sua schiava.
Sì, fratelli miei, una persona che sia nella grazia di Dio, è un figlio di Dio; ma dal momento che cade nel peccato, ella diviene una figlia del demonio e una schiava di satana
San Giovanni ci assicura che colui che commette il peccato è un demonio, poichè, ci dice, non c’è che il demonio che abbia peccato fin dall’inizio (cfr. 1 Giovanni 3,8-10).
Sant’Agostino ci dice che colui che commette un peccato mortale vende la sua anima al demonio.
Ciò è così vero che, se si muore in questo peccato, il demonio possederà la nostra anima per tutta l’eternità.
Ah! povera anima! come ti si vende per così poco!
Infatti un ubriaco ti vende per un bicchiere di vino, un avaro per un pugno di fieno, un goloso, per un buon pasto e un impudico, per un piacere infame!
Ah! povera anima, come ti si stima poca cosa!

Se andiamo oltre, vedremo che il peccato mortale ci rende nemici di Dio e ci chiude le porte del cielo.
Sì, fratelli miei, un’anima che abbia la felicità di essere nella grazia e nell’amicizia di Dio, porta in sè la caparra della felicità dei santi.
Ma, dal momento in cui commettiamo il peccato mortale, noi perdiamo la grazia e l’amicizia di Dio, e la caparra della vita eterna.
O mio Dio! quale disgrazia diventare tuo nemico, Tu che sei così buono, così amabile e il solo capace di fare la nostra felicità!
Ah! fratelli miei, se conoscessimo che cosa significhi perdere il buon Dio, preferiremmo meglio perdere tutto, piuttosto che cadere in questa disgrazia.
Guardate i tre fanciulli: preferirono essere gettati nella fornace ardente.
Sì, fratelli miei, tutti i martiri hanno preferito meglio soffrire ogni sorta di tormenti, che perdere l’amicizia del loro Dio.
Vedete, fratelli miei, ciò che hanno sofferto i martiri per non perdere l’amicizia del Salvatore.
Agli uni, si infilavano sulla testa dei cunei, che si erano fatti arroventare nel fuoco, come si fece a san Clemente, vescovo di Ancira, a san Sabiniano, e a san Cristoforo; agli altri, gli prendevano i denti, e li spezzavano a colpi di pietra, come fecero a santa Apollonia, a san Gennaro.
Che cosa dirvi ancora? li scorticavano vivi, come fecero a san Bartolomeo, o a una santa Regina; guardate un san Venanzio, che preferì lasciarsi strappare le interiora, e bruciare con delle torce ardenti, piuttosto che perdere la grazia del buon Dio, a causa del peccato.
Per meglio dire, fratelli miei, non vi è nessun genere di tormenti che non erano pronti a soffrire, pur di non peccare.
O mio Dio! come conoscevano molto meglio di noi la grandezza della disgrazia di perdere la grazia a causa del peccato.
Ahimè! fratelli miei, quale sciagura per noi, poichè peccando rinunciamo al nostro posto in cielo, e ne prenotiamo uno per l’inferno.
O bel cielo, non vederti più!
Esiste una disgrazia paragonabile a questa?

Cosa pensereste, fratelli miei, di una persona che dicesse al buon Dio: io non voglio il cielo, scelgo l’inferno come mia porzione, rinuncio alla compagnia degli angeli e dei santi; preferisco appagare la mia passione e andare all’inferno con i demoni, per bruciarvi per tutta l’eternità.
Preferisco andare in quei fuochi eterni, piuttosto che privarmi di questi piaceri, rinunciare alla mia volontà, perdonare al mio nemico, o restituire questo bene sottratto al prossimo.
«Ma, mi direte voi, io non dico così».
Amico mio, ti rispondo che è il tuo peccato a dirlo!
Sì, quest’impudico dice nel suo linguaggio: «preferisco meglio prendermi il mio piacere carnale e andare all’inferno, piuttosto che privarmene per andare in cielo».
Un avaro dice: «preferisco piuttosto godere dei beni di questo mondo, che andare in Paradiso».
Un ubriaco dice: «preferisco accontentare il mio ventre e andare all’inferno, piuttosto che soffrire una fame e una sete accanite, e andare in Paradiso».

Capite, fratelli miei, se potete, che è l’accecamento del peccatore, preferire il piacere di una bestia a delle gioie eterne; preferire qualche piccolo bene a un Regno eterno, un’ingordigia, alla sazietà che provano i beati in quella bella città.
O mio Dio! come siamo ciechi quando pecchiamo!

Se andiamo oltre, vediamo che il peccato è il male più grande che possa mai accaderci in questo mondo.
Santa Teresa ci dice che il buon Dio le aveva fatto vedere un’anima in stato di peccato mortale; ella ne rimase così terrorizzata, che avrebbe sofferto piuttosto tutti i tormenti che l’inferno potrebbe mai inventarsi, che commettere un solo peccato mortale.
San Tommaso si stupiva che una persona che avesse commesso un peccato mortale, potesse ridere una sola volta nella sua vita.
Santa Caterina da Siena, alla quale il buon Dio aveva fatto vedere una parte della malizia del peccato mortale, ci dice che Dio, sebbene sia Dio, non potrebbe mai fare a un’anima tanto male, quanto se ne fa lei stessa col peccato.
Santa Caterina da Genova, scriveva: «Ah! piacesse a Dio che io potessi far comprendere ciò che il buon Dio mi ha fatto conoscere sulla malizia del peccato!
No, no, gridava, non mi stupisco più delle pene dell’inferno, esse mi sembrano più dolci e più tollerabili del peccato.
O mio Dio, preferirei essere inabissata nell’inferno, piuttosto che offenderti!».
Sant’Anselmo ci dice che egli preferirebbe meglio passare tutta l’eternità nell’inferno, piuttosto che commettere un solo peccato mortale.
Santa Maddalena de’ Pazzi, ci dice che ella non ha potuto mai concepire come si possa offendere un Dio così facilmente, e come mai Gesù Cristo sia morto per riscattare delle creature così malvagie.

Leggiamo nella storia che a una religiosa carmelitana, di soli quattro anni (?), un’altra religiosa disse: «Ah! povera bambina, come saresti fortunata a morire subito, prima ancora di aver offeso il buon Dio!».
Queste parole la penetrarono così fortemente che ella alzò gli occhi al cielo, lo vide aprirsi, e Nostro Signore, in una grande Maestà, le fece conoscere che avrebbe avuto una grande ricompensa, se avesse avuto la fortuna di non offenderlo mai.
Questo le infuse un tale orrore verso il peccato, che ella pianse per tutta la vita.
Le chiesero un giorno perchè piangesse, ed ella rispose: «Ahimè! temo di stare imparando ad offendere il buon Dio!».

Sì, fratelli miei, tutti i santi non hanno temuto niente in questo mondo, se non il peccato.
Ah! se Dio, fratelli miei, ci facesse comprendere bene quanto il peccato gli dispiaccia, e i mali che ne conseguono, noi sceglieremmo mille volte la morte, piuttosto che commetterne uno solo.
Volete, fratelli miei, provocare in voi stessi un nuovo orrore del peccato?
Ricordatevi che è stato il peccato, la causa della morte di Gesù Cristo.
Consideriamo tutti insieme, fratelli miei, Gesù Cristo morente sulla croce, con il corpo tutto straziato dai colpi di frusta, col viso tutto ferito e coperto di sordidi sputi, con la testa tutta perforata e coronata di spine, questo povero corpo tutto in pezzi, che non somiglia più che ad un pezzo di carne tagliuzzata.
Ricordatevi, fratelli miei, che questa morte gettò la confusione e la costernazione in tutto il mondo: il sole si copre di tenebre, la terra trema e sembra fremere, le rocce si spaccano, le tombe si aprono e i morti passeggiano per le strade di Gerusalemme (Matteo 27,52-53).
Se questo vi stupisce, fratelli miei, domandate a Gesù Cristo stesso perchè Egli soffra una morte così ignominiosa e così crudele: «Ah! figlio mio, vi risponderà, il peccato ne è la causa, è per soddisfare a tutti i peccati degli uomini, è per distruggere il maledetto peccato…
No, no, figlio mio, ci dice questo tenero Salvatore, quand’anche tutte le creature del cielo e della terra si fossero riunite insieme, e avessero donato la loro vita, e avessero subito tutto ciò che nemmeno i carnefici guidati dall’inferno, avrebbero potuto inventarsi, tutti loro non sarebero stati capaci di soddisfare un solo peccato veniale.
Ecco, figlio mio, ci dice Gesù Cristo, perchè ho tanto sofferto.
Ah! se almeno si cessasse di farmi soffrire!».
O mio Dio! com’è ingrato l’uomo, per non essere ancora contento di tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per noi!
Ma, o eternità, come dovrai essere lunga per vendicare l’oltraggio che il peccato ha fatto a un Dio così buono, così paziente e così caritatevole!…

Finiamo qui, fratelli miei, perchè questo discorso fa tremare.
Fino a quando, fratelli miei, vivremo come dei ciechi?
Fino a quando terremo il nostro Dio sulla croce?
No. fratelli miei, non aspettiamo la morte quando tutti i nostri sforzi, le nostre lacrime, e il nosro pentimento non ci serviranno a nulla.
Apriamo gli occhi, fratelli miei, riconosciamo i nostri errori, piangiamo i nostri crimini che abbiamo commessi, dedichiamoci alla penitenza, approfittiamo di tutto ciò che il buon Dio ha messo a nostra disposizione; veniamo a piangere i nostri peccati, e cessiamo di peccare!
Siamo disposti a perdere tutto, piuttosto che ricommettere il minimo peccato, e non smettiamo di piangere, fino a che Dio non ci dirà che è abbastanza.
Andiamo, fratelli miei, ai piedi della croce, per mescolare, almeno, le nostre lacrime col Sangue adorabile di Gesù Cristo; ascoltiamo per un istante i riprovati che piangono, che gridano, che urlano, e che domandano misericordia, senza poterla ottenere.
Ma quanto a noi, noi lo possiamo ancora, Egli ci chiama, questo tenero Salvatore, Egli viene davanti a noi per dirci che ci ama.
Ah! fratelli miei, non perdiamo mai di vista che cosa sia il peccato, i mali che ci procura nell’altra vita, i beni che ci fa perdere per l’eternità.
Tutti noi vogliamo il cielo, ma giammai il peccato potrà entrare nel soggiorno delle delizie.
Sì, fratelli miei, tutto ci invita ad abbandonare il peccato: il Figlio di Dio, dall’alto della sua croce ci scongiura di non permettere che i meriti della sua morte siano perduti per noi; gli angeli e i santi ci gridano, dall’alto dei cieli, quanto sia grande la felicità che ci è preparata, se evitiamo il peccato.
I riprovati, essi, ci invitano a essere saggi a loro spese, a non imitarli, a non venire in quei luoghi in cui li ha rinchiusi tutta la potenza e la collera di un Dio.
Ah! fratelli miei, ancora un istante, e non saremo più in questo mondo; ancora qualche minuto e noi saremo del numero o dei santi o dei dannati.
Stiamo molto attenti, fratelli miei, poichè il momento della nostra dipartita ci è sconosciuto.
Felice, e mille volte felice chi terrà la sua anima sempre pronta ad apparire davanti al suo Dio.
E’ questa la felicità che vi auguro.

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

Post Correlati