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Le omelie del S. Curato d’Ars: la carità

William Adolphe Bouguereau - La Carita

«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore»
(Matteo 22,37)

Per servire il buon Dio perfettamente, ah! non è affatto sufficiente credere in Lui.
E’ vero che la fede ci fa credere tutte le verità che la Chiesa ci insegna, e che, senza questa fede, tutte le nostre azioni sono senza merito agli occhi di Dio.
La fede ci è dunque assolutamente necessaria per salvarci.
Tuttavia questa fede preziosa, che ci rivela in anticipo le bellezze del Cielo, un giorno ci lascerà, perchè, nell’altra vita, non ci saranno più misteri.

La speranza, che è un dono del Cielo, ci è anch’essa necessaria per farci agire con delle intenzioni molto rette e molto pure, nell’unico intento di piacere a Dio, in tutto ciò che facciamo, sia per guadagnarci il Cielo, sia per evitare l’inferno.

Ma la carità ci porta ad amare Dio perchè è infinitamente buono, infinitamente amabile, e merita di essere amato.

«Ma, mi direte voi, come conoscere, dunque, se possediamo questa bella virtù che è tanto gradita a Dio, e che ci fa agire con tanta nobiltà, e cioè che ci porta ad amare il buon Dio, non per paura delle pene dell’inferno, nè per la speranza del Cielo, ma unicamente a causa delle sue perfezioni infinite?».

Ciò che deve indurci a desiderare tanto e a domandare tanto al buon Dio questa bella virtù, è il fatto che essa dovrà accompagnarci per tutta l’eternità.
E, ancor più, è la carità che dovrà costituire tutta la nostra felicità, poichè la felicità dei beati consiste nell’amare.

Questa virtù così bella, così capace di renderci felici, fin da questo mondo, vediamo, fratelli miei, se ce l’abbiamo, e cerchiamo i mezzi per ottenerla.

Se chiedessi a un bambino: «Che cos’è la carità?»; egli mi risponderebbe: «E’ una virtù che ci è donata dal Cielo, per mezzo della quale noi amiamo Dio con tutto il nostro cuore, e il prossimo come noi stessi, in relazione a Dio».

«Ma, mi domanderete voi ora, che significa amare il buon Dio al di sopra di tutte le cose, e più di se stessi?».

Significa preferirlo a tutto ciò che è creato; significa trovarsi nella disposizione di perdere i propri beni, la propria reputazione, i propri genitori, i propri amici, i propri figli, il proprio marito o la propria moglie, e perfino la propria vita, piuttosto che commettere il minimo peccato mortale (non c’è nulla di esagerato nelle parole esigenti del curato: è in perfetta linea col Vangelo: Luca 14,25-34!; n.d.a.).

Sant’Agostino ci dice che amare Dio perfettamente, significa amarlo senza misura, anche se non ci fosse nessun Cielo da sperare, e nessun inferno da temere; significa amarlo con tutta l’ampiezza del proprio cuore (perciò non resta spazio per niente e per nessuno, al di fuori di Lui, ma tutto deve essere amato “in” Lui; questa insistenza del curato sull’amore di Dio, supremo e totalmente disinteressato, è il vertice assoluto di ogni vera mistica cristiana; n.d.a.).

Se me ne chiedeste la ragione, vi risponderei che è perchè Dio è, in se stesso, infinitamente amabile e degno di essere amato.
Se lo amiamo veramente, nè le sofferenze, nè le persecuzioni, nè il disprezzo, nè la vita, nè la morte, potranno mai rapirci quest’amore che dobbiamo a Dio.

Noi stessi percepiamo, fratelli miei, che se non amiamo il buon Dio, non potremo essere che molto infelici.
Se l’uomo è creato per amare il buon Dio, egli non potrà trovare la sua felicità che in Dio solo.
Se anche fossimo padroni del mondo, se non amiamo il buon Dio, non potremo essere che infelici, per tutta la durata della nostra vita.

Se volete meglio convincervene, guardate, interrogate le persone che vivono senza amare il buon Dio.
Guardate queste persone che abbandonano la frequenza dei sacramenti o la preghiera, osservateli mentre si trovano in qualche dispiacere, in qualche perdita; ahimè! esse si maledicono, si uccidono, o muoiono di dispiacere.
Un avaro non è affatto più contento quando ha molto, di quando ha poco.
Un ubriaco, è forse più felice dopo aver bevuto la sua coppa di vino, in cui credeva di trovare tutto il suo piacere? E’ soltanto più infelice.
Un orgoglioso non ha mai riposo: teme sempre di essere disprezzato.
Un vendicativo, mentre cerca di vendicarsi, non riesce a dormire nè di giorno nè di notte.
Guardate ancora un infame impudico, che pensa di trovare la sua felicità nei piaceri della carne: egli arriva fino a perdere, non solo la sua reputazione, ma i suoi stessi beni, la sua salute e la sua anima, senza tuttavia poter trovare di che appagarsi.

E perchè, fratelli miei, non possiamo essere felici, in tutto ciò che sembrerebbe poterci appagare?
Ah! è perchè, non essendo creati che per Dio, non c’è che Lui solo che possa soddisfarci, e cioè renderci felici, per quanto sia possibile esserlo su questa povera terra.

Ciechi che non siamo altro! ci attacchiamo alla vita, alla terra, e ai suoi beni! ahimè! ai piaceri; per meglio dire, ci attacchiamo a tutto ciò che è capace solo di renderci infelici!

Quanto più saggi di noi sono stati i santi, fratelli miei, per aver disprezzato tutto, per cercare Dio solo!
Quanto poco conto fa, di tutto ciò che esiste sulla terra, colui che ama sinceramente il buon Dio!
Quanti grandi del mondo, e perfino quanti principi, re e imperatori, vediamo che hanno lasciato tutto, per andare a servire il buon Dio più liberamente, nei deserti o nei monasteri!
Quanti altri, per mostrare al buon Dio il loro amore, sono saliti sui patiboli, come i vincitori sui loro troni!

Ah! fratelli miei, com’è felice colui che ha la fortuna di distaccarsi dalle cose del mondo, per non attaccarsi che a Dio solo!
Ahimè! quanti ce n’è tra voi che hanno venti o trent’anni, e non hanno mai domandato al buon Dio quest’amore che è un dono del Cielo, come dice il vostro catechismo.
Perciò non dobbiamo stupirci, fratelli miei, se siamo così terrestri e così poco spirituali!
Questa maniera di comportarci non può condurci che a una fine molto infelice: la separazione da Dio per tutta l’eternità.

Ah! fratelli miei, è mai possibile che non vogliamo passare dalla parte della nostra felicità, che è Dio solo?
Ma lasciamo quest’argomento, sebbene sia tanto interessante…

La carità costituisce tutta la gioia e la felicità dei santi nel Cielo. Ah! «Bellezza antica e sempre nuova» (Agostino), quando arriverà il momento che non ameremo che Te?

Se ora chiedessi a un bambino: «Che cos’è la carità verso il prossimo?»; egli mi risponderebbe: «La carità verso Dio, deve farcelo amare più dei nostri beni, della nostra salute, della nostra reputazione, e della nostra stessa vita; invece la carità che dobbiamo nutrire verso il nostro prossimo, ce lo deve fare amare come noi stessi, in modo tale che, tutto il bene che noi potremmo desiderare per noi, lo dobbiamo desiderare per il nostro prossimo, se vogliamo possedere quella carità, senza la quale non vi è nè Cielo, nè amicizia di Dio, da poter sperare».

Ahimè! quanti sacramenti ci fa profanare questo difetto di carità, e quante anime conduce all’inferno!
Ma, che cosa si deve intendere con questa parola “il nostro prossimo”?
Niente di più facile da comprendere.
Questa virtù si estende a tutti, compresi coloro che ci abbiano fatto del male, che abbiano nociuto alla nostra reputazione, che ci abbiano calunniati, e che ci abbiano fatto qualche torto, perfino nel caso che avessero attentato alla nostra vita.
Dobbiamo amarli come noi stessi, e augurare loro tutti quei beni che potremmo desiderare per noi.

Non soltanto ci è proibito di volere loro alcun male, ma dobbiamo rendere ad essi un servizio, tutte le volte che ne abbiano bisogno, e che noi lo possiamo.
Dobbiamo gioire quando riescono nei loro affari, rattristarci, quando sperimentano qualche dosgrazia, qualche perdita, schierarci dalla loro parte quando si parla male di loro, riferire il bene che conosciamo su di essi, non fuggire mai la loro compagnia, ma preferirli perfino a coloro che ci abbiano reso qualche servizio: ecco, fratelli miei, come il buon Dio vuole che amiamo il nostro prossimo.
Se non ci comportiamo in questo modo, possiamo concludere che non amiamo nè il nostro prossimo, nè il buon Dio: non siamo altro che dei cattivi cristiani, e saremo tutti dannati.

Vedete, fratelli miei, la condotta che tenne Giuseppe verso i suoi fratelli che lo avevano voluto far morire, che lo avevano gettato in una cisterna, e che, in seguito, lo avevano venduto ai mercanti stranieri.
Solo Dio gli rimase come consolatore.
Ma poichè il Signore non abbandona coloro che lo amano, quanto Giuseppe era stato umiliato, tanto fu esaltato.
Quando fu divenuto quasi padrone del regno del faraone, i suoi fratelli, ridotti nella più grande miseria, vennero a trovarlo, senza riconoscerlo.
Giuseppe vede venire da lui quelli che avevano voluto togliergli la vita, e che lo avrebbero fatto morire, se il primogenito non li avesse distolti.
Egli ha tutto il potere del faraone nelle sue mani, avrebbe potuto farli arrestare e farli morire. Nulla poteva impedirglielo; ma, al contrario, era ben giusto far morire i malvagi.
Ma che fa Giuseppe?… La carità che ha nel cuore gli ha fatto perdere il ricordo del cattivo trattamento che aveva subito.
Non pensa che a ricolmarli di beni, piange di gioia, chiede subito notizie di suo padre e degli altri suoi fratelli; egli, per far meglio sentire loro la grandezza della sua carità, vuole che vengano tutti presso di lui, per sempre (Genesi 42-47).

«Ma, mi direte voi, come possiamo conoscere se abbiamo questa bella e preziosa virtù, senza la quale tutta la nostra religiosità non è altro che un fantasma?».
Anzitutto, fratelli miei, una persona che ha la carità, non è affatto orgogliosa, non ama dominare sugli altri; non la sentirete mai biasimare la loro condotta, ella non ama parlare di ciò che gli altri fanno.

Una persona che ha la carità, non esamina affatto qual è l’intenzione degli altri nelle loro azioni, e non ritiene mai di agire meglio di loro; ella non si mette mai al di sopra del suo vicino, ma al contrario, ella ritiene che gli altri facciano sempre meglio di lei.
Ella non si infastidisce affatto se si preferisce il prossimo a lei; se la si disprezza, ella non è meno contenta, poichè pensa di meritare ancora maggior disprezzo.

Una persona che ha la carità evita più che può di far penare gli altri, perchè la carità è un mantello regale che sa ben nascondere le colpe dei suoi fratelli, e non lascia mai che si pensi che lei sia migliore di loro.

Coloro che hanno la carità ricevono con pazienza e con rassegnazione alla Volontà di Dio, tutti gli accidenti che possano accadere: le malattie, le calamità, pensando che tutto questo ci ricorda che siamo peccatori, e che la nostra vita quaggiù non è eterna.

Nei loro dispiaceri, nelle loro pene, nelle loro malattie, o nella perdita dei beni, li vedrete sempre sottomessi alla Volontà di Dio, e mai essi si disperano, nella certezza che stanno facendo questa divina Volontà.

Guardate quel sant’uomo di Giobbe, coricato sul suo letamaio: forse che non è contento?
Se mi chiedete perchè egli non di abbandoni alla disperazione, vi risponderò che è perchè egli ha nell’anima la carità, e che, sottomettendosi alla Volontà di Dio, acquista dei meriti per il Cielo.

Guardate anche il sant’uomo Tobia, che divenne cieco dopo aver seppellito i morti: egli non si dispera, e resta tranquillo.
Da dove deriva questa tranquillità? Egli sa che sta facendo la Volontà di Dio, e che in quello stato lo sta glorificando…

In terzo luogo, affermo che possiede la carità colui che non è avaro, e che non cerca di ammassare i beni di questo mondo.
Lavora, perchè il buon Dio lo vuole, ma senza attaccarsi al suo lavoro, nè al desiderio di tesorizzare per l’avvenire; egli riposa con fiducia nella Provvidenza, che non abbandona mai colui che lo ama.

Poichè la carità regna nel suo cuore, tutte le cose della terra non contano più niente per lui; egli vede che tutti coloro che corrono dietro ai beni di questo mondo, sono i più infelici.
Per quanto dipende da lui, egli impiega più che possa, i suoi beni nelle buone opere, per riscattare i suoi peccati e per meritare il Cielo.
E’ caritatevole verso tutti, e non fa preferenze per nessuno; tutto il bene che fa, lo fa nel Nome di Dio. Assiste il povero che è nel bisogno, sia che si tratti di un suo amico, sia di un suo nemico.
Egli imita san Francesco di Sales il quale, dovendo fare un’elemosina, la faceva di preferenza a colui dal quale aveva subito qualche pena, piuttosto che a colui verso cui fosse obbligato.
La ragione di questa condotta è che tale azione è molto più gradita a Dio.
Se avete la carità, non esaminerete mai se coloro ai quali state dando, vi abbiano fatto qualche torto, o vi abbiano rivolto qualche ingiuria; oppure se siano saggi o meno.
Essi ve lo chiedono nel Nome di Dio, e voi date loro allo stesso modo.
Ecco tutto ciò che bisogna fare perchè le nostre elemosine siano rese degne di essere ricompensate.

Leggiamo nella vita di sant’Ignazio che un giorno, essendo incalzato da un certo affare, rifiutò l’elemosina a un povero.
Ma, poco dopo, si mise a correre dietro a quel disgraziato per dargli qualcosa, e da allora promise al buon Dio di non rifiutare mai più l’elemosina, quando gliela domandassero nel suo Nome.

«Ma, pensate voi, se si dona a tutti i poveri, ben presto diventeremo poveri noi stessi».
Ascoltate ciò che il sant’uomo Tobia dice a suo figlio: «Non trattenere mai il salario degli operai, ma pagali ogni sera, dopo che avranno lavorato; e, quanto ai poveri, dona a tutti, se puoi.
Se possiedi molto, dai molto, se possiedi poco, dai poco, ma dona sempre di buon animo, perchè l’elemosina riscatta i peccati e spegne le fiamme del Purgatorio».

D’altronde possiamo dire che una casa che dona ai poveri, non cadrà mai in rovina, perchè il buon Dio farà un miracolo, piuttosto che permettere ciò.

Guardate sant’Antonio che vende tutti i suoi beni per darli ai poveri, e che si rifugia nel deserto, dove si abbandona totalmente nelle mani della Provvidenza.
Guardate san Paolo eremita, sant’Alessio, che si spogliano completamente dei loro beni, per condurre una vita povera e disprezzata.
Guardate san Serapione, il quale, non soltanto vende tutti i suoi beni e i suoi vestiti, ma che vende addirittura se stesso, per riscattare un prigioniero.

Quanto siamo colpevoli allorchè non facciamo l’elemosina e disprezziamo i poveri, rifiutandoli, dicendo loro che sono dei fannulloni, e che farebbero meglio a trovarsi un lavoro!…

Fratelli miei, facciamo l’elemosina finchè lo possiamo, perchè è la cosa che deve rassicurarci nell’ora della morte, e se ne dubitate, leggete il Vangelo, dove Gesù Cristo ci parla del giudizio: «Ho avuto fame, ecc.».

Volete lasciare dopo di voi dei figli felici e saggi? Date loro l’esempio di essere generosi e caritatevoli verso i poveri, e vedrete che un giorno il buon Dio li benedirà.
E’ quello che aveva compreso santa Bianca, dicendo: «Figlio mio, noi saremo sempre abbastanza ricchi, se amiamo il buon Dio, e se amiamo fare del bene ai nostri fratelli».

Se veramente possediamo la carità, questa virtù così gradita a Dio, non ci comporteremo come i pagani, che fanno del bene a coloro che gliene fanno, o dai quali si aspettano il contraccambio; ma noi faremo del bene al prossimo, con l’intenzione esclusiva di piacere a Dio, e di riscattare i nostri peccati.

Che ci siano riconoscenti o meno, che ci facciano del bene o del male, che ci disprezzino o che ci lodino: tutto ciò non deve importarci per nulla.
Infatti, ci sono alcuni che agiscono solo da un punto di vista umano.
Hanno fatto un’elemosina, hanno reso un servizio a qualcuno? Se costoro non ricambiano, questo li indispone, e rimproverano a se stessi di essere stati troppo semplicioni.
Ma che dite?
O avete fatto le vostre buone opere per il buon Dio, oppure le avete fatte per il mondo.
Se le avete fatte per essere stimati e lodati dagli uomini, avete ben ragione di voler essere ripagati con la riconoscenza; ma se le avete fatte con la sola intenzione di piacere a Dio, perchè lamentarvi?
E’ solo da Dio che dovete aspettarvi la ricompensa.
Dovete piuttosto ringraziare il buon Dio che vi ripaghino con l’ingratitudine, perchè così la vostra ricompensa sarà molto più grande.
Ah! come dovremmo essere felici! Per aver dato qualche piccola cosa, il buon Dio ci regala in cambio il Cielo!
Le nostre piccole elemosine e i nostri piccoli servizi saranno stati ben ricompensati!
Sì, fratelli miei, preferiamo sempre fare del bene a coloro che non potranno mai restituircelo, perchè, se ce lo restituiscono, noi rischiamo di perderne tutto il merito.

Volete conoscere se avete la vera carità? Eccovene il segno: considerate a chi preferite fare l’elemosina o rendere quache servizio.
E’ a coloro che vi hanno arrecato qualche fastidio,… oppure a coloro che sono in comunione con voi, e che vi ringraziano?
Se è a questi ultimi, voi non possedete la virtù della carità, e non avete da sperare nulla nell’altra vita; tutto il merito delle vostre azioni è andato perso (nessuna esagerazione, da parte del curato, il quale, come sempre, è in perfetta linea con la Parola di Dio: 1 Corinzi 13,3!; se ci sembra esagerato o strano, è perchè abbiamo tanti altri punti di riferimento, eccetto la Bibbia; n.d.a.).

Sono convinto che se volessi entrare nei dettagli di tutti i difetti nei quali si cade, su questo punto, non troverei quasi nessuno che possieda nella sua anima questa virtù così pura e vera, come Dio la vuole.
Per essere ricompensati in tutto quello che facciamo per il prossimo, non dobbiamo cercare nient’altro, al di fuori di Dio solo, e non dobbiamo agire per nessun altro scopo che non sia Lui.
Com’è rara questa virtù tra i cristiani!
Per meglio dire, è così raro trovarla, proprio come è raro trovare dei santi.
Ma perchè stupirsene? Dove sono quelli che la chiedono a Dio, che fanno qualche preghiera o qualche buona opera, per ottenerla?
Quanti di voi hanno compiuto vent’anni, o forse anche trenta, e non l’hanno mai domandata?
La prova è molto convincente (pensiero non chiaro; n.d.a.).
L’hanno mai domandata, coloro che agiscono solo per uno scopo umano?
Guardate voi stessi: quale ripugnanza provate nel fare, subito, del bene, a colui che vi ha fatto qualche torto o qualche ingiustizia.
Non conservate forse un certo odio o, almeno, una certa freddezza nei suoi confronti?
Lo salutate appena, e acconsentite a parlargli, come se parlaste con un altro (senza guardarlo negli occhi; n.d.a.).

Ahimè! mio Dio! quanti cristiani conducono una vita completamente pagana, e osano ritenersi ancora dei buoni cristiani!
Ahimè! quanti verranno disingannati, quando il buon Dio farà vedere loro che cosa sia la vera carità, le qualità che essa deve avere, per rendere meritorie tutte le loro azioni.

Non è necessario dimostrarvi che una persona che ha la carità, è esente dal vizio infame dell’impurità, perchè una persona che abbia la fortuna di possedere questa preziosa virtù nella sua anima, è talmente unita al buon Dio, e agisce così bene secondo la sua santa Volontà, che il demonio dell’impurità non può affatto penetrare nel suo cuore.
Il fuoco dell’amore divino infiamma talmente il suo cuore, la sua anima, e tutti i suoi sensi, che li pone al di fuori degli attacchi del demonio dell’impurità.
Sì, fratelli miei, possiamo dire che la carità rende una persona pura in tutti i suoi sensi.
O felicità infinita, chi ti potrà mai comprendere?…

La carità non è invidiosa: essa non prova affatto tristezza per il bene che accade al prossimo, sia il bene spirituale che temporale.
Voi non vedrete mai una persona che abbia la carità, essere infastidita dal fatto che un’altro riesca meglio di lei, o dal fatto che l’altro sia più amato o più stimato.
Ben lungi dall’affliggersi per la felicità del suo prossimo, ella bendice il buon Dio.

«Ma, mi direte voi, io non sono afflitto perchè il mio prossimo svolge bene i suoi affari, perchè è molto ricco, o molto felice».
Tuttavia converrete con me che sareste più contenti che questo succedesse a voi, piuttosto che a lui.
«Questo è vero, rispondete».
Ebbene! se questo è vero, voi non possedete la carità così come il buon Dio vorrebbe che l’aveste, come Egli vi comanda, per fargli piacere… (manca un brano; n.d.a).

Colui che ha la carità non è soggetto alla collera, poichè san Paolo ci dice che la carità è paziente, buona, dolce verso tutti.

Guardate come siamo lontani dal possedere questa carità.
Quante volte, per un nonnulla, ci affliggiamo, mormoriamo, ci arrabbiamo, parliamo con alterigia, e restiamo nella collera per molti giorni!…
«Ma, mi direte voi, è il mio modo di parlare; ma dopo non resto infastidito».
Dì piuttosto che non hai la carità, la quale è paziente, dolce, e che non ti comporti come un buon cristiano.
Dimmi (il passaggio brusco dal plurale al singolare è usuale nelle omelie, e fa parte dello stile spontaneo e “illetterato” del curato; n.d.a.), se tu avessi nell’anima la carità, non sopporteresti con pazienza, e perfino con piacere, una parola detta contro di te, un’ingiuria, o, se vuoi, un piccolo torto che ti abbiano fatto?
«Ma attaccano la mia reputazione, rispondi».
Ahimè! amico mio, quale buona opinione vorresti che gli altri abbiano di te, dopo che tu, per tante volte hai meritato…?
Non dovremmo considerarci fin troppo felici, per il fatto che siamo ancora tollerati fra le creature di Dio, dopo che noi abbiamo trattato così indegnamente il Creatore?…
Ah! fratelli miei, se possedessimo questa carità, vivremmo su questa terra, quasi come i santi vivono in Cielo!
Chi sa, dunque, da dove provengono tutti questi dispiaceri che proviamo, un po’ tutti noi, e perchè ci sono nel mondo persone che soffrono ogni genere di miseria?
Tutto proviene dal fatto che non possediamo la carità.

Sì, fratelli miei, la carità è una virtù così bella, essa rende tutto ciò che facciamo così gradito al buon Dio, che i santi Padri non sanno di quali termini servirsi, per farcene conoscere tutta la bellezza e tutto il valore.

Essi la paragonano al sole, che è l’astro più bello del firmamento, e che dona agli altri tutta la loro luminositò e la loro bellezza.
Come il sole, la virtù della carità comunica a tutte le altre virtù la loro bellezza e la loro purezza, e le rende meritorie e infinitamente più gradite a Dio.

Essi la paragonano al fuoco, che è il più nobile e il più attivo fra tutti gli elementi.
La carità è la virtù più nobile e la più attiva fra tutte: essa induce l’uomo a disprezzare tutto ciò che è vile, disprezzabile e di breve durata, per attaccarsi esclusivamente a Dio solo, e a quei beni che non dovranno mai perire.

Essi la paragonano ancora all’oro, che è il più prezioso di tutti i metalli, e costituisce l’ornamento e la bellezza di tutto ciò che di ricco abbiamo sulla terra.
La carità costituisce la bellezza e l’ornamento di tutte le altre virtù; la minima azione di dolcezza o di umiltà, compiuta avendo la carità nel cuore, è di un prezzo tale, che sorpassa tutto quello che possiamo immaginare.

Il buon Dio ci dice nella Sacra Scrittura che la sua sposa gli aveva ferito il cuore con un capello del suo collo, per farci comprendere che la minima opera buona compiuta con amore, avendo nell’anima la carità, gli è così gradita, che gli trafigge il cuore (è l’immagine classica dell’amore che trafigge il cuore dell’amato; n.d.a.).
O bella virtù! come sono felici coloro che ti possiedono; ma, ahimè! quanto sono rari!…
I santi paragonano la carità anche a una rosa, che è il più bello fra tutti i fiori, e molto profumata.
Allo stesso modo, ci dicono, la carità è la più bella fra tutte le virtù: il suo profumo sale fino al trono di Dio.
Per meglio dire, la carità ci è così necessaria per piacere a Dio e per rendere tutte le nostre azioni meritorie, come la nostra anima è necessaria al nostro corpo.
Una persona che non abbia nel cuore la carità, è come un corpo senz’anima.
Sì, fratelli miei, è la carità che sostiene la fede e che la rianima; senza la carità, essa è morta (Giacomo 2,17).
Anche la speranza, come la fede, è solo una virtù languida che, senza la carità, non durerà molto a lungo.

Abbiamo capito adesso, fratelli miei, il valore di questa virtù, e la necessità di possederla, per salvarci?
Dovremmo avere almeno la preoccupazione di domandarla ogni giorno a Dio, poichè, senza di essa, non faremo mai nulla di valido per la nostra salvezza.
Possiamo dire che quando la carità entra in un cuore, essa vi porta con sè tutte le altre virtù: è lei che purifica e santifica tutte le nostre azioni; è lei che perfeziona l’anima; è lei che rende tutte le nostre azioni degne del Cielo.

Sant’Agostino ci dice che tutte le virtù sono comprese nella carità, e che la carità è presente in tutte le virtù.
E’ la carità, ci dice, che conduce tutte le nostre azioni al loro fine, e che dona loro l’accesso presso Dio.

San Paolo, che è stato, e che è ancora la luce del mondo, la prende in tale considerazione, e ne nutre tanta stima, che ci dice che essa sorpassa tutti i doni del Cielo.
Scrivendo ai Corinzi, si esprime così: «Anche se parlassi la lingua degli angeli, ma non ho la carità, sono simile a un cembalo che tintinna, e che non produce alcun suono.
Anche se avessi il dono della profezia, e tanta fede da poter trasportare le montagne da un luogo a un altro, se non ho la carità non sono nulla.
Anche se dessi tutti i miei beni ai poveri, e abbandonassi il mio corpo alle sofferenze, tutto ciò non servirebbe a nulla, se non avessi la carità nel mio cuore, e se non amassi il mio prossimo come me stesso» (1Corinzi 13,1-3).

Vedete, fratelli miei, la necessità che abbiamo di domandare al buon Dio, con tutto il nostro cuore, questa incomparabile virtù, dal momento che tutte le altre virtù, senza di essa, non sono niente?

Ne volete un bel modello? Guardate Mosè: allorchè suo fratello Aronne e sua sorella Maria, mormorarono contro di lui, il Signore li punì; ma Mosè, vedendo sua sorella coperta di lebbra, che era la punizione per la sua rivolta: «O Signore! gli dice, perchè hai punito mia sorella? Tu sai bene che non ti ho chiesto vendetta; perdonale, per favore».
Perciò lo Spirito Santo ci dice che egli era il più dolce tra gli uomini che erano sulla terra.

Ecco, fratelli miei, un fratello che ha veramente la carità nel suo cuore, poichè si affligge per aver visto punire la sorella.
Ditemi, se noi vedessimo punire qualcuno che ci abbia fatto qualche oltraggio, faremmo anche noi come Mosè?
Ci affliggeremmo e chiederemmo al buon Dio di non punirlo?…
Ahimè! come sono rari coloro che hanno nell’anima questa carità di Mosè!

«Ma, mi direte voi, quando ci fanno delle cose che non meritiamo, è molto difficile amare gli artefici di ciò».
Difficile, fratelli miei?…
Guardate santo Stefano. Mentre lo abbattono a colpi di pietra, egli alza le mani e prega Dio di perdonare a quei carnefici che gli tolgono la vita, il peccato che stanno commettendo.

«Ma, pensate voi, santo Stefano era un santo».
Era un santo, fratelli miei? ma se non diventiamo santi anche noi, è una grande disgrazia per noi stessi!
Bisogna che lo diventiamo; ma finchè non avremo la carità nel nostro cuore, santi, non lo saremo mai!

Quanti peccati, fratelli miei, si commettono contro l’amore di Dio e del prossimo!
Desiderate conoscere quanto spesso pecchiamo contro l’amore che dobbiamo a Dio?

Lo amiamo con tutto il nostro cuore?
Non gli abbiamo spesso preferito i nostri genitori o i nostri amici?
Per andarli a trovare, senza che ce ne fosse vera necessità, non abbiamo forse, spesse volte, mancato agli uffici divini, ai vespri, al catechismo, o alla preghiera della sera?
Quante volte avete fatto trascurare la preghiera ai vostri figli, nel timore di fargli perdere qualche minuto, ahimè! per andare a pascolare le vostre mandrie nei campi!…
Mio Dio! quale indegna preferenza!…
Quante volte abbiamo trascurato noi stessi le nostre preghiere, o le abbiamo dette nel nostro letto, o vestendoci, o camminando?

Abbiamo avuto la preoccupazione di relazionare tutte le nostre azioni al buon Dio, come pure ogni nostro pensiero e ogni nostro desiderio?
Ci siamo consacrati a Lui fin dall’età della ragione, e abbiamo offerto a Lui tutto ciò che possediamo?

San Tommaso ci dice che i padri e le madri devono avere grande cura di consacrare al buon Dio i loro figli, fin dalla più tenera età, e che, ordinariamente, i figli che sono consacrati al buon Dio dai loro genitori, ricevono una grazia e una benedizione tutte particolari, che non riceverebbero altrimenti.
Egli ci dice che, se le madri avessero molto a cuore la salute dei loro figli, esse li offrirebbero a Dio prima ancora che vengano al mondo.

Noi diciamo che coloro che hanno la carità, ricevono con pazienza e con rassegnazione alla Volontà di Dio, tutti gli accidenti che possono accadere loro: le malattie, le calamità; pensando che tutte queste cose ci ricordano che siamo peccatori, e che la nostra vita quaggiù non è eterna (come siamo lontani dalla moderna concezione degli impostori, a qualunque livello, che escludono categoricamente la mano di Dio dalle calamità naturali; nd.a.).

Noi pecchiamo ancora contro l’amore di Dio, quando restiamo troppo tempo senza pensare a Lui.
Quanti, ahimè! trascorrono un quarto, o perfino la metà della giornata, senza fare una elevazione del loro cuore verso Dio, per ringraziarlo di tutti i benefici, soprattutto per averli fatti cristiani, per averli fatti nascere nel seno della sua Chiesa, per averli preservati dal morire nel peccato.

Lo abbiamo mai ringraziato di tutti i sacramenti che ha istituito per la nostra santificazione, e per averci chiamati alla fede?
Lo abbiamo mai ringraziato di tutto ciò che ha operato per la nostra salvezza, per la sua Incarnazione, per la sua morte e per la sua passione?
Non abbiamo forse nutrito indifferenza per il servizio di Dio, trascurando, sia di frequentare i sacramenti, sia di correggerci, sia di fare spesso ricorso alla preghiera?
Non abbiamo forse trascurato di istruirci sulla maniera migliore di comportarci, per piacere a Dio?
Quando abbiamo sentito qualcuno bestemmiare il santo Nome di Dio, o commettere altri peccati, non siamo forse rimasti indifferenti, come se ciò non ci riguardasse affatto?
Non abbiamo forse pregato senza gusto, senza cercare di piacere a Dio, ma solo per toglierci l’impiccio, piuttosto che per attirare le sue misericordie sopra di noi, e per nutrire la nostra anima?
Non abbiamo forse trascorso il santo giorno di domenica, accontentandoci della Messa, dei vespri, ma senza fare nessun’altra preghiera, nè una visita al Santissimo Sacramento, nè una lettura spirituale?
Siamo rimasti afflitti, se ci è capitato di essere obbligati ad assentarci dagli uffici sacri?
Ci siamo premurati di supplirvi, con tutte le altre preghiere che potevamo fare?…
Avete fatto mancare agli uffici i vostri figli, i vostri domestici, senza gravi ragioni?
Abbiamo combattuto tutti quei pensieri di odio, di vendetta e di impurità?…
(il curato ci fa toccare con mano come l’amore di Dio e del prossimo, per essere autentici, debbano diventare estremamente concreti, e fatti di tante piccole o grandi cose, e non ridursi a un vuoto sentimentalismo; n.d.a.).

Per amare il buon Dio, fratelli miei, non basta dire che lo si ama, ma occorre, per accertarsi che ciò sia vero, vedere se osserviamo per bene i suoi comandamenti, e se li facciamo osservare a coloro di cui abbiamo la responsabilità davanti al buon Dio.

Ascoltate nostro Signore: «In verità vi dico, che non è colui che dirà “Signore, Signore”, che entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che farà la Volontà del Padre mio» (Matteo 7,21).

Noi amiamo il buon Dio, quando non cerchiamo altro che di piacere a Lui, in tutto quello che facciamo.
Non dobbiamo desiderare nè la vita nè la morte; tuttavia, possiamo desiderare la morte, solo per avere la felicità di andare presso il buon Dio (Filippesi 1,23).

Sant’Ignazio aveva un così grande desiderio di vedere Dio, che, quando pensava alla morte, piangeva di gioia.
Tuttavia, nell’attesa di una così grande felicità, diceva a Dio che sarebbe rimasto sulla terra quanto Egli avesse voluto.
Aveva così a cuore la salvezza delle anime, che un giorno, non avendo potuto convertire un peccatore indurito, andò a immergersi fino al collo, in uno stagno gelato, per poter ottenere da Dio la conversione di quel disgraziato.
Mentre stava andando a Parigi, uno dei suoi scolari gli prese, durante il viaggio, tutto il denaro che possedeva.
Poichè questo scolaro era caduto malato, mentre si trovava a Rouen, questo buon santo fece il viaggio da Parigi a quella città, a piedi e senza scarpe, per chiedere la guarigione di colui che gli aveva rubato tutto il suo denaro.
Ditemi, fratelli miei, non è questa la perfetta carità?

Ma forse voi pensate, in voi stessi, che sarebbe già troppo perdonare. Ma vi assicuro che fareste anche voi la stessa cosa, se aveste la stessa carità di questo buon santo.
Se troviamo così poche persone che farebbero ciò, fratelli miei, è perchè ce n’è molto poche che hanno la carità nell’anima.
Com’è consolante che noi possiamo amare sia Dio che il prossimo, senza essere necessariamente nè colti, nè ricchi!
Abbiamo un cuore, e questo basta per poter amare così.

Leggiamo nella storia che due solitari chiesero a Dio, dopo lungo tempo, che volesse insegnare loro la maniera di amarlo e di servirlo come si deve, poichè essi avevano lasciato il mondo proprio per questo.
Essi udirono una voce che disse loro di andare nella città di Alessandria, dove abitava un uomo, chiamato Eucaristo, con sua moglie che si chiamava Maria.
Questi due servivano il buon Dio più perfettamente dei solitari, e avrebbero insegnato loro come lo si dovesse amare.
Molto felici per questa risposta, i due solitari si recano nella città di Alessandria.
Essendo arrivati, si informano, per diversi giorni, senza riuscire a trovare questi due santi personaggi.
Temendo che quella voce li avesse ingannati, presero la decisione di ritornarsene nel loro deserto, quando si accorsero di una donna, ferma sulla porta di casa.
Essi le chiesero se per caso conoscesse un uomo chiamato Eucaristo.
«E’ mio marito, rispose loro».
«Tu dunque ti chiami Maria? le chiesero i solitari».
«Chi vi ha detto il mio nome?».
«Lo abbiamo appreso, insieme a quello di tuo marito, da una voce soprannaturale, e siamo venuti qui per parlarvi».
Il marito arrivò verso sera, conducendo un piccolo gregge di pecore.
I solitari corsero subito ad abbracciarlo, e lo pregarono di rivelare loro quale fosse il suo genere di vita.
«Ahimè! padri miei, non sono altro che un povero pastore».
«Ma non è questo che ti domandiamo, gli dissero i solitari; ma dicci, piuttosto, come vivi, in quale maniera tu e tua moglie servite il buon Dio».
«Padri miei, siete voi che dovete insegnarmi ciò che bisogna fare per servire il buon Dio; io non sono altro che un povero ignorante».
«Non importa! noi siamo venuti da parte di Dio, per chiederti come tu lo servi».
«Poichè me lo comandate, ve lo dirò.
Io ho avuto la fortuna di avere una madre che temeva il buon Dio, la quale, fin dall’infanzia, mi ha raccomandato di fare tutto e di soffrire tutto per amore di Dio.
Io accettavo le piccole correzioni che mi venivano fatte, per amore di Dio; mettevo ogni cosa in relazione a Dio: al mattino, mi alzavo, facevo le mie preghiere, e tutto il mio lavoro, per amor suo.
Per amor suo mi concedo il mio riposo e i miei pasti; soffro la fame, la sete, il freddo e il caldo, le malattie e tutte le altre miserie, sempre per amor suo.
Non ho figli; sono vissuto con mia moglie come con una sorella, e sempre in grande pace.
Ecco tutta la mia vita, che è anche quella di mia moglie».
I solitari, rapiti nel vedere delle anime così gradite a Dio, gli chiesero se avesse dei beni.
«Possiedo pochi beni, ma questo piccolo gregge di pecore, che mio padre mi ha lasciato, mi basta e mi avanza.
Divido in tre parti il mio guadagno: ne dono una parte alla chiesa, un’altra ai poveri, e il resto ci serve per vivere, a me e a mia moglie.
Mi nutro poveramente, ma non mi lamento mai: soffro tutto questo per amore di Dio».
«Hai forse dei nemici? gli chiesero i solitari».
«Ahimè! padri miei, chi è che non ne ha? Mi sforzo di fare loro tutto il bene che posso, cerco di far loro piacere in ogni circostanza, e mi impegno a non fare del male a nessuno».
A queste parole, i due solitari furono ricolmi di gioia per aver trovato un mezzo così facile per piacere a Dio, e arrivare così alla più alta perfezione (questo racconto, presente nella raccolta dei detti dei padri del deserto, è stata però, in maniera magistrale, rielaborato e ampliato dalla penna esperta de curato, rendendolo un piccolo e prezioso capolavoro, e un paradigma chiaro, semplice e solido, di altissima santità cristiana, alla portata di tutti; n.d.a.).

Vedete, fratelli miei, che per amare il buon Dio e il prossimo, non è necessario essere colti, nè ricchi; è sufficiente non cercare nient’altro che di piacere a Lui, in tutto ciò che facciamo; di fare del bene a tutti, ai cattivi come ai buoni, a coloro che ci amano e a quelli che ci odiano.

Prendiamo Gesù Cristo come nostro modello, e vedremo tutto quello che ha fatto per tutti gli uomini, e, particolarmente, per i suoi carnefici.
Guardate come Egli domandi perdono e misericordia per loro; li ama, e offre per essi i meriti della sua morte e della sua passione; Egli promette loro il suo perdono.

Se non possediamo questa virtù della carità, noi non abbiamo nulla: non siamo altro che dei fantasmi di cristiani.
O amiamo tutti, anche i nostri più grandi nemici, oppure saremo dannati.
Ah! fratelli miei, poichè questa bella virtù proviene dal Cielo, rivolgiamoci dunque al Cielo per domandarla, e saremo certi di ottenerla (insistere, come ha fatto decine di volte, nel corso dell’omelia, sulla necessità assoluta, ma anche sulla totale gratuità del dono della carità, virtù teologale che ci viene da Dio, equivale, per il curato, ad affermare categoricamente, e senza ombra di dubbio, un’altra grande verità, a lui cara fra tutte: il primato assoluto della preghiera; n.d.a.).

Se possediamo la carità, tutto quello che è in noi sarà gradito al buon Dio, e in tal modo ci assicureremo il Paradiso.
E’ questa la felicità che vi auguro.

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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