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Le omelie del S. Curato d’Ars: la collera

rabbia 2

«Afferratolo alla gola gli diceva: Rendimi ciò che mi devi»
(Matteo 18,28)

Quanto i sentimenti dell’uomo sono diversi da quelli di Dio!
Questo miserabile che aveva poco prima ricevuto la remissione di tutto quello che doveva al suo padrone, ben lungi dall’essere toccato dalla riconoscenza, e dall’essere pronto a usare la stessa indulgenza nei confronti del suo fratello, non appena lo scorge monta in collera, non si contiene più, gli salta alla gola e sembra volerlo strangolare.
L’altro ha un bel da fare a gettarsi ai suoi piedi, per chiedergli grazia: niente lo tocca e niente lo ferma.
Deve sfogare il suo furore contro quel povero disgraziato, e lo fa condurre in prigione, fino a che abbia pagato il suo debito.

Tale è, fratelli miei, la condotta della gente del mondo.
Dio ci viene rappresentato dal padrone.
Se Egli ci rimette tutto ciò che noi dobbiamo alla sua giustizia, se ci tratta con tanta bontà e dolcezza, è perchè, sul suo esempio, ci comportiamo anche noi allo stesso modo verso i nostri fratelli.

Ma un uomo ingrato e focoso, ha subito dimenticato tutto ciò che il suo Dio ha fatto per lui.
Per un nulla, lo si vedrà abbandonarsi a tutto il furore di una passione così indegna di un cristiano, e così oltraggiosa verso un Dio di dolcezza e di bontà.

Temiamo, fratelli miei, una passione così malvagia, così capace di allontanarci da Dio, e di far passare a noi stessi, e a coloro che ci circondano, una vita infelice.

Io, dunque, vi mostrerò:
1°- quanto la collera oltraggi Dio;
2°- come sia indegna di un cristiano.

Non voglio parlarvi di quelle piccole impazienze, di quei mormorii che sono così fraquenti. Lo sapete che tutte le volte che non li respingete, offendete il buon Dio.
Sebbene questi non siano, in genere, dei peccati mortali, non dovete mancare di accusarvene.

Se mi domandate che cosa sia la collera, vi risponderò che è un movimento violento, impetuoso, dell’anima, che respinge con forza ciò che le dispiace.
Se apriamo i Libri santi, dove sono contenute le azioni degli uomini che hanno meritato l’ammirazione del cielo e della terra, dappertutto vediamo che essi hanno sempre in orrore questo maledetto peccato, e che lo considerano come un marchio di riprovazione
(ossia, il distintivo di chi si dannerà l’anima; n.d.a.).

Tuttavia vi dirò, con san Tommaso, che vi è una collera santa, che deriva dallo zelo che nutriamo, nel sostenere gli interessi di Dio.
«Possiamo qualche volta, ci dice, arrabbiarci senza offendere Dio, secondo quelle parole del Re profeta: “Adiratevi, ma non peccate”» (Salmo 4,5: ma il v. può essere anche tradotto, come fa la Bibbia CEI “Tremate e non peccate”, anche se sia il testo greco dei LXX, che la Volgata latina, preferiscono la traduzione proposta dal curato; n.d.a.).

Vi è dunque una collera giusta e ragionevole, che si può piuttosto chiamare “zelo” e non “collera” (basti pensare alle sfuriate di padre Pio, e dello stesso nostro curato, sull’esempio di Gesù stesso; n.d.a.).

La Sacra Scrittura ce ne mostra un gran numero di esempi.
Leggiamo che Finees, che era un uomo timorato del Signore, e che difendeva i suoi interessi, montò in grande collera alla vista del peccato scandaloso di un giudeo con una madianita, e li trafisse entrambi con un colpo di spada.
Non soltanto egli non offese il Signore, con la morte di quei due esseri abominevoli, ma, al contrario, fu lodato per il suo zelo, nel vendicare gli oltraggi che gli venivano rivolti.

Tale fu anche la condotta di Mosè.
Indignato perchè gli Israeliti avevano adorato un vitello d’oro, disprezzando il vero Dio, ne fece uccidere ventitremila, per vendicare il Signore, e questo, per ordine di Dio stesso (Esodo 32,28; il testo biblico non dice “ventitremila”, ma “tremila”; n.d.a.).

Tale fu anche la condotta di Davide il quale, fin dal mattino, dichiarò guerra a tutti quei grandi peccatori che trascorrevano la vita oltraggiando il suo Dio (?).

Tale fu, infine, la condotta di Gesù Cristo stesso, quando si recò nel tempio per scacciare quelli che vi vendevano e vi compravano, dicendo loro: «La mia casa è una casa di preghiera, ma voi ne fate una caverna di ladri» (Matteo 21,13).

Tale deve essere anche la condotta di un pastore che abbia a cuore la salvezza dei suoi parrocchiani e la gloria del suo Dio.
Se un pastore resta muto, vedendo Dio oltraggiato e le anime sviate, disgraziato lui!
Se non vuole dannarsi, bisogna che se vi sono dei disordini morali nella sua parrochia, egli calpesti sotto i piedi il rispetto umano e il timore di essere disprezzato o odiato dai suoi parrocchiani; e quand’anche fosse sicuro di essere messo a morte, non appena sia sceso dalla sua cattedra, ciò non deve affatto fermarlo (si ricordi che chi sta parlando è il “celeste patrono e modello di tutti i sacerdoti del mondo” secondo tre papi; d’altronde lo stesso principio era stato sostenuto da grandi papi come Gregorio Magno, il quale aveva stigmatizzato quei pastori che chiama “cani muti”, e da molti altri padri della chiesa; n.d.a.).

Un pastore che voglia adempiere questo suo dovere, deve tenere sempre la spada in mano, per difendere gli innocenti, e perseguire i peccatori, fino a che non siano ritornati a Dio. E questo perseguimento non dovrà cessare che alla sua morte.

Se non si comporterà così, vuol dire che è un cattivo prete, che perde le anime, invece di condurle a Dio.
Se vedete accadere qualche scandalo nella vostra parrocchia, e i vostri pastori non dicono nulla, disgraziati voi, perchè Dio vi ha puniti mandandovi tali pastori! (al giorno d’oggi, si direbbe che il buon Dio abbia punito in questo modo gran parte delle parrocchie del mondo…n.d.a.).

Io dico dunque che tutte queste collere non sono che sante collere, lodate e approvate da Dio stesso.
Se tutte le vostre collere fossero di questa natura, non si potrebbe che lodarvi.
Ma quando riflettiamo un po’ su tutto ciò che succede nel mondo, quando sentiamo tutto questo chiasso, vediamo tutti questi dissensi che regnano tra i vicini e le vicine, tra i fratelli e le sorelle, non vi riconosciamo che una passione focosa, ingiusta, viziosa e irrazionale, di cui è necessario che vi mostri gli effetti perniciosi, per farvene concepire tutto l’orrore che merita.
Ascoltate ciò che ci dice lo Spirito Santo: «L’uomo che monta in collera, non solo perde la sua anima e il suo Dio, ma accorcia anche i suoi giorni» (Siracide 30,24).

Ve lo proverò con un esempiosorprendente.
Leggiamo nella storia della Chiesa, che l’imperatore Valentiniano, ricevendo i legati di Cades, montò in una collera così spaventosa, che perdette il respiro e morì all’istante.
O mio Dio! quale orrore! quale passione detestabile e mostruosa! essa dà la morte a colui che la partorisce!

Lo so bene che che non ci si abbandona tanto spesso a questi eccessi, ma, quante donne incinte, a causa della collera alla quale si sono abbandonate, fanno morire i loro figli, prima di averli dati alla luce e senza averli battezzati!
Questi infelici non avranno quindi la fortuna di vedere il buon Dio!
Nel giorno del Giudizio li vedremo andare alla perdizione: essi non andranno mai in cielo! E unicamente la collera di una madre ne sarà stata la causa!
Ahimè! questi poveri bambini, spesso grideranno nell’inferno: «Ah! maledetto peccato della collera, di quanti beni ci hai privati!… sei tu che ci hai rapito il Cielo; sei tu, che ci hai condannati a essere divorati dalle fiamme! O mio Dio! quali grandi beni ci ha rapito questo peccato! Addio bel Cielo, noi non ti vedremo mai! Ah! quale disgrazia!…».
O mio Dio! una donna che si sarà resa colpevole di un tale crimine, potrebbe mai vivere in pace, senza versare, giorno e notte, torrenti di lacrime, e non dire a se stessa, ad ogni istante: «Disgraziata, che cosa hai fatto? dov’è il tuo povero bambino? Tu lo hai gettato all’inferno!».

Ahimè! quali rimproveri nel giorno del Giudizio, quando lo vedrai venire a chiederti il Cielo!
Questo povero bambino si getterà su sua madre con un furore spaventoso.
«Ah! madre! le dirà. Madre maledetta! rendimi il Cielo! sei tu che me lo hai rapito!
Questo bel Cielo che non vedrò mai, te lo richiederò per tutta l’eternità; questo bel Cielo che la collera di una madre mi ha fatto perdere!…».

O mio Dio! quale disgrazia! E tuttavia, com’è grande il numero di questi poveri bambini!
Una madre incinta, quando si confessa del peccato di collera, non deve mai mancare, se si vuole salvare, di dichiarare il suo stato, poichè, al posto di un solo peccato mortale, ce ne possono essere due (cioè la collera e il rischio di danneggiare il bambino; n.d.a.).
Se non fate così, cioè se non specificate questa circostanza, dovete a ragione dubitare della validità della vostra confessione.

Allo stesso modo, un marito, che abbia fatto montare in collera sua moglie, deve accusarsi di questa circostanza; e così pure tutti coloro che si sono resi colpevoli dello stesso errore.
Ahimè! quanto sono pochi quelli che si accusano di ciò!
Mio Dio! quante confessioni cattive!
(Di fronte a certi brani, passa davvero la voglia di continuare a tradurre; ma la tentazione, finora la si è vinta col ricordo di tantissimi altri brani sublimi e arricchenti, che poi sono la stragrande maggioranza. La stessa considerazione mi auguro che invogli anche i lettori a continuare a leggere queste omelie.
In verità, il povero curato non ha nessuna colpa: egli non faceva altro che seguire fedelmente, da quel santo che era, le indicazioni della Chiesa e dei teologi del tempo.
Ciò non toglie che ci si possa chiedere: ma quale immagine mostruosa di Dio, si era ricavata, e da dove? Potrebbe mai il Dio di Gesù far piombare all’inferno, o al limbo, tanti bambini, solo perchè non erano stati bagnati con l’acqua del fonte battesimale? Forse che il Dio cristiano è così ottuso, impotente, e impacciato, da “legarsi le mani”, per così dire, e come diceva il grande Magrassi, con quegli stessi sacramenti che Lui stesso ha istituito? Le vie del Signore, non sono infinite?; n.d.a.).

Il profeta Isaia ci dice che l’uomo adirato è simile a un’acqua agitata dalla tempesta
Bel paragone, fratelli miei.
Infatti, niente rispecchia meglio il cielo, del mare quando è calmo; è un grande specchio, nel quale gli astri sembrano riprodurre se stessi; ma poi, se la tempesta ne ha turbato le acque, tutte queste immagini celesti scompaiono.
Così l’uomo che ha la fortuna di conservare la pazienza e la dolcezza è, nella sua calma, una immagine sensibile di Dio.
Ma la collera, le impazienze, non appena hanno distrutto questa calma, l’immagine della divinità scompare.
Quest’uomo cessa, da quel momento, di essere l’immagine di Dio, per diventare l’immagine del demonio: ne riproduce le bestemmie, e ne rappresenta il furore.

Quali sono le espressioni del demonio? Non sono altro che maledizioni e giuramenti.
Se ascolto un uomo in collera, non sento altro dalla sua bocca che giuramenti e maledizioni.
O mio Dio! quale triste compagnia quella di una persona che sia soggetta alla collera!
Guardate una povera donna che abbia un marito del genere: se ella ha timore di Dio, e voglia evitare a Lui delle offese, e a se stessa maltrattamenti, non deve dire una sola parola, quand’anche ne avesse il più grande desiderio del mondo.
Bisogna che si accontenti di gemere e piangere in segreto, per non far fallire il matrimonio e per non dare scandalo.

«Ma, mi dirà un uomo adirato, perchè lei mi tiene testa? lo sa che sono un tipo focoso».
Tu sei focoso, amico mio?
Ma pensi forse che anche gli altri non lo siano, tanto quanto te?
Dì piuttosto che non hai nessuna religione, e allora dirai la cosa giusta.
Forse che una persona che abbia il timor di Dio, non deve saper dominare le sue passioni, invece di lasciarsi dominare da esse?

Ahimè! se ho detto che ci sono delle mogli disgraziate, perchè hanno dei mariti soggetti all’ira, ci sono anche dei mariti che non sono meno disgraziati, con delle mogli che non sanno mai rivolgere loro una parola gentile, e che per un nonnulla si adirano, uscendo fuori di sè.

Ma quale disgrazia, in una famiglia, quando nè l’uno nè l’altra vogliano piegarsi: ci saranno solo litigi, collera e maledizioni.
O grande Dio! non è forse questo un inferno anticipato?
Ahimè! a quale scuola si trovano quei poveri figli! Quali lezioni di saggezza e di dolcezza riceveranno?

San Basilio ci dice che la collera rende l’uomo simile al demonio, perchè non c’è che il demonio che sappia abbandonarsi a simili eccessi.

Una persona in questo stato è simile a un leone infuriato, il cui ruggito fa morire di paura gli altri animali.
Guardate Erode: poichè i re magi lo avevano ingannato, montò in una tale collerra, o piuttosto in un tale furore, che fece sgozzare tutti i piccoli bambini di Betlemme e dei dintorni.
Ma non si accontentò di questi orrori: fece anche pugnalare sua moglie e i suoi figli.
Ahimè! quanti poveri bambini rimangono storpi per tutta la loro vita, per le dure percosse che hanno ricevuto dai loro genitori, nel loro trasporto d’ira!

Ma aggiungo che la collera non va mai da sola, ma è sempre accompagnata da molti altri peccati, come vedremo subito.

La collera trascina con sè i giuramenti, le bestemmie, il rinnegamento di Dio, le maledizioni e le imprecazioni.
San Tommaso ci dice che giurare è un peccato così grande, così orribile agli occhi di Dio, che non potremo mai comprendere l’oltraggio che gli arreca.
Questo peccato non è come gli altri, per i quali la parvità di materia ne fa spesso un peccato veniale.
Nel giuramento, più la materia è leggera, più il peccato è grande, perchè denota un disprezzo più grande, e una più grande profanazione del santo Nome di Dio (corisponde a quella che, nel linguaggio giuridico si definisce: “aggravante per futili motivi”; n.d.a.).

Lo Spirito Santo ci assicura che la casa dell’uomo che sia abituato a giurare, sarà piena d’iniquità, e i castighi di Dio non ne usciranno, fino a che non venga distrutta.
Possiamo mai ascoltare, senza fremere, quei disgraziati che osano spingere il loro furore, fino a bestemmiare il santo Nome di Dio, quel Nome adorabile, che gli angeli provano tanta gioia a ripetere senza sosta: «Santo, santo, santo, il grande Dio degli eserciti! che sia benedetto nei secoli dei secoli!».
Se si riflettesse bene, prima di usare la lingua, che è uno strumento donatogli da Dio per pregarlo, e per cantare le sue lodi, se si riflettesse che questa lingua è stata bagnata dal Sangue prezioso di Gesù Cristo, e che tante volte è servita da sepolcro al Salvatore stesso (avendo ospitato per qualche istante il Corpo di Cristo, nello stato di vittima sacrificale; n.d.a.), si potrebbe mai servirsene per oltraggiare un Dio così buono, e per profanare un Nome così santo e rispettabile?…

Guardate quale orrore avevano i santi per i giuramenti.
San Luigi, re di Francia, aveva fatto una legge che prevedeva che colui che avesse giurato, avrebbe avuto perforata la lingua da un ferro rovente.
Un borghese della città, durante una disputa, giurò per il santo Nome di Dio. Fu condotto davanti al re, che lo condannò, all’istante, affinchè gli si perforasse la lingua.
Essendo venuti tutti i potenti della città, per chiedergli la grazia, il re rispose che, se avesse avuto lui stesso la disgrazia di commettere quel peccato, si sarebbe perforata perfino la propria lingua.
Poi ordinò che la sentenza fosse eseguita.

Quando andò a combattere in Terra santa, fu fatto prigioniero. Gli fu chiesto di fare un giuramento, che, di per sè, non sembrava ferire la sua coscienza; ma egli preferì, tuttavia, esporsi al pericolo di morire, piuttosto che farlo, tanto temeva giurare.
Così, noi vediamo che una persona che giura, è ordinariamente, una persona abbandonata da Dio, sommersa da ogni sorta di disgrazie, e che spesso fa una fine miserabile.

Leggiamo nella storia un esempio capace di infonderci il più grande orrore per il giuramento.

Al tempo in cui san Narciso governava la chiesa di Gerusalemme, tre libertini calunniarono orribilmente il santo, supportando la loro affermazione con tre giuramenti esecrabili.
Il primo disse che, se ciò che affermava non era vero, voleva essere bruciato vivo; l’altro, che voleva morire del “mal caduco” (l’epilessia); il terzo, voleva che gli venissero strappati gli occhi.
A causa di queste calunnie, san Narciso fu scacciato dalla città come un infame, e cioè, come un vescovo che si abbandonava a ogni sorta d’impurità.
Ma la vendetta di Dio non tardò a punire questi sciaguarati.
Il primo, a causa di un fuoco appiccato alla sua casa, durante la notte, fu bruciato vivo.
Il secondo, morì del male caduco; il terzo, spaventatosi per quegli orribili castighi, perdette la vista, per aver pianto troppo i suoi peccati (gli occhi furono corrosi dalle troppe lacrime; n.d.a.).

Lo so che ben pochi si permettono tali giuramenti; quelli più comuni sono: «In fede! In coscienza! Mio Dio! sì; Mio Dio! no; Perbacco! Perdinci! Mattino!» (il senso dell’ultima imprecazione ci sfugge; n.d.a.).

Allorchè vi confessate, dovete accusare la ragione per la quale avete giurato; se lo avete fatto per sostenere delle cose vere oppure delle falsità; se avete fatto giurare altre persone, non volendo credere loro.
Poi dovete dire se ne avete l’abitudine, e da quanto tempo l’avete contratta.

Ai giuramenti, bisogna stare molto attenti a non aggiungere un’imprecazione.
Ci sono alcuni che dicono: «Se ciò non è vero, che io non possa più muovermi da qui; oppure vedere il cielo, oppure “che Dio mi danni; che la peste mi soffochi; che il demonio mi rapisca!…».
Ahimè! amico mio, può darsi che il demonio non aspetti altro che la tua morte per rapirti!…

Nelle vostre confessioni, dovete specificare se ciò che avevate detto fosse o no contro la verità.
Alcuni credono che non ci sia nulla di male a sostenere con giuramento una cosa vera.
Il male, è vero, non è così grande come quando si sostiene una cosa falsa, ma è pur sempre un peccato, e anche grave.
Perciò siete obbligati ad accusarvene sempre, altrimenti sarete dannati (a volte viene da pensare che il curato avrebbe messo l’infero intero in “sold out”; ma c’è da dire anche che gli odierni predicatori lo vorrebbero lasciare vuoto, o, al massimo, abitato solo dai poveri diavoli; ma sappiamo che non è così, come afferma più volte lo stesso Vangelo; n.d.a.).

Eccovi un esempio che fa tremare.
Si racconta, nella vita di sant’Edoardo, re d’Inghilterra, che il conte Gondovino, suocero del re, era così orgoglioso, che non poteva soffrire nessuno accanto a lui.
Il re lo accusò, un giorno, di aver cooperato alla morte di suo fratello.
Il conte gli rispose che, se fosse vero, un boccone di pane gli andasse di traverso.
Il re fece il segno della croce sul pezzo di pane; il suocero lo prese e, appena lo stava inghiottendo, il pane gli restò in gola, lo strangolò e ne morì.
Punizione terribile, fratelli miei!
Ahimè! dove andò a finire la sua povera anima, dal momento che morì commettendo questo peccato?

Non soltanto non dobbiamo giurare, senza nessun pretesto, fosse pure perdere i nostri beni, la nostra reputazione e la nostra stessa vita, poichè, giurando, perdiamo il Cielo, il nostro Dio e la nostra anima; ma non dobbiamo neppure far giurare gli altri.

Sant’Agostino ci dice che, se prevediamo che coloro che facciamo comparire in tribunale giureranno il falso, non dobbiamo farlo: saremmo colpevoli allo stesso modo, e perfino più colpevoli, che se togliessimo loro la vita.
Infatti, se li sgozzassimo, non faremmo altro che dare la morte al loro corpo, se avessero la fortuna di essere in grazia di Dio; se invece li induciamo a giurare il falso, perderemo la loro povera anima, e li danneremo per l’eternità.

Si racconta che un borghese della città di Ippona, un nuomo dabbene, ma troppo attaccato alla terra, costrinse un uomo al quale aveva prestato del denaro, a giurare in tribunale; costui giurò falsamente.
La notte stessa, in sogno, dovette presentarsi al Tribunale di Dio.
«Perchè hai fatto giurare quell’uomo?… Non dovevi forse perdere meglio ciò che ti doveva, che far perdere la sua anima?».
Gesù Cristo gli disse che lo perdonava, per questa volta, ma che lo condannava a essere frustato; cosa che fu subito eseguita dagli angeli; infatti, l’indomani, si ritrovò tutto coperto di piaghe.

Voi mi direte: «Dovrei perdere ciò che mi è dovuto?».
Dovreste perdere ciò che vi è dovuto! o forse stimate di meno l’anima del vostro fratello, del denaro?
D’altronde, siate ben sicuri che, se farete questo per il buon Dio, Egli non mancherà di ricompensarvi.

I padri e le madri, i padroni e le padrone, devono esaminare se per caso non siano stati, per i loro figli o per i loro domestici, la causa di qualche giuramento, per il timore che qualche volta essi hanno avuto, di essere maltrattati o rimproverati.

Si giura sia per la menzogna che per la verità.
State molto attenti, allorchè sarete chiamati in tribunale, di non giurare mai il falso.
Anche se non avete mai giurato, bisogna anche esaminare se non ne avete avuto il pensiero in voi stessi, e quante volte ne avete avuto il pensiero; e inoltre, se avete consigliato ad altri di giurare il falso, col pretesto che, se avessero detto la verità, sarebbero stati condannati dal giudice.
Voi siete obbligati a dire tutto questo.
(i penitenti di oggi, alquanto renitenti verso la confessione, facciano una novena a qualche santo, per non essere stati parrocchiani del curato…; e pensare che, all’epoca, i penitenti, provenienti da tutte le regioni della Francia, facevano le code chilometriche, dall’una di notte a mezzogiorno, per riuscire a confessarsi da lui! come si spiega che oggi non si confessa quasi più nessuno, pur essendo gli attuali confessori, anni luce, meno intransigenti? ; mistero della fede!…; n.d.a.).

Dovete accusarvi anche se avete fatto qualche giro di parole, per parlare diversamente da quello che pensavate, poichè siete obbligati a dire esattamente ciò che pensate, o come avete visto e ascoltato, altrimenti commettereste un grosso peccato (si riferisce alla precisione e alla sincerità totali, durante la deposizione in tribunale; n.d.a.).

Dovete anche precisare se avete donato qualcosa per indurre gli altri a mentire; come sarebbe se un padrone minacciasse il suo domestico di maltrattarlo, o di fargli perdere il suo ingaggio; in confessione, deve spiegarsi bene su tutto ciò, altrimenti la sua confessione sarebbe solo un sacrilegio.
Lo Spirito Santo ci dice che il falso testimone sarà punito rigorosamente.

Abbiamo appena detto che cosa sia il giuramento e l’imprecazione; vediamo ora che cos’è la bestemmia.
Molti non sanno distinguere la bestemmia dal giuramento.
Se non sapete distinguere l’uno dall’altra, non potete sperare che le vostre confessioni siano valide, perchè non fareste conoscere i vostri peccati, così come li avete commessi.
Perciò, ascoltate bene.
La bestemmia è una parola greca che vuol dire “detestare”, “maledire” una Bontà infinita.
Sant’Agostino ci dice che si bestemmia, quando si attribuisce a Dio qualcosa che non ha, o che non gli si addice; oppure quando gli si toglie ciò che gli si addice, o, infine, quando qualcuno si attribuisce qualcosa che sia dovuta solo a Dio.

Spieghiamo meglio ciò.
Anzitutto, noi bestemmiamo se diciamo che Dio non è giusto, per il fatto che qualcosa che abbiamo fatto o intrapreso, non sia riuscita bene.
Oppure, se diciamo che Dio non è buono, come fanno alcuni disgraziati, nell’eccesso delle loro miserie, questa è una bestemmia.
In terzo luogo, bestemmiamo, quando diciamo che Dio non conosce ogni cosa; che Egli non fa attenzione a ciò che succede sulla terra; che non sa nemmeno che siamo al mondo; che tutte le cose vanno come devono andare; che Dio non si abbassa a certe piccole cose; che, quando veniamo al mondo, portiamo con noi il nostro destino, di essere infelici o felici, e che Dio non può cambiare nulla.
Oppure, quando diciamo: «Se Dio usasse Misericordia a quello lì, non sarebbe davvero giusto, perchè ne ha combinate troppe, e non merita altro che l’inferno».
O anche allorchè ci arrabbiamo con Dio, in occasione di qualche perdita, e diciamo: «No, Dio non potrebbe trattarmi peggio di come mi ha trattato».
E’ anche una bestemmia prendersi gioco e insultare la santa Vergine, o i santi, dicendo: «E’ un santo che non ha grandi poteri, vedi da quanti giorni lo sto pregando… e non ho ottenuto nulla; non voglio più rivolgermi a lui».
E’ una bestemmia dire che Dio non è Onnipotente, e trattarlo indegnamente, dicendo: «Ma che Dio! S…D…! S…N…!» (i parrocchiani erano capaci di decodificare, ma noi non ci riusciamo; n.d.a.).

I Giudei avevano un tale orrore di questo peccato, che quando sentivano bestemmiare, si strappavano le vesti, in segno di dolore.
Il sant’uomo Giobbe, temeva a tal punto questo peccato che, nel timore che i suoi figli l’avessero commesso, offriva a Dio dei sacrifici per espiarlo.

Il ptofeta Natan disse a Davide: «Poichè tu sei stato la causa per cui Dio è stato bestemmiato, tuo figlio morirà, e i castighi non si allontaneranno dalla tua casa, durante la tua vita».

Il Signore dice nella Sacra Scrittura: «Chiunque bestemmierà il mio santo Nome, voglio che sia messo a morte» (Levitico 24,16).
Mentre gli Ebrei erano nel deserto, un uomo fu sorpreso a bestemmiare; il Signore ordinò che fosse abbattuto a colpi di pietra.

Sennacherib, re degli Assiri, mentre assediava Gerusalemme, avendo bestemmiato il Nome di Dio, dicendo che, nonostante ci fosse Dio, egli avrebbe comunque conquistato quella città, e l’avrebbe messa tutta a fuoco e sangue, il Signore inviò un angelo che, in una sola notte, uccise centottantacinquemila uomini, e lui stesso fu sgozzato dai suoi figli.

Le bestemmie sono state sempre in orrore, dall’inizio del mondo; esse sono veramente il linguaggio dell’inferno, poichè il demonio e i dannati non cessano di proferirle.

Quando l’imperatore Giustino sentiva che qualcuno dei suoi sudditi aveva bestemmiato, faceva tagliare loro la lingua.

Durante il regno del re Roberto, la Francia fu afflitta da una grande guerra.
Il buon Dio rivelò a una santa anima che tutti quei mali sarebbero durati fino a che le bestemmie non fossero state bandite dal regno.

Non è forse un segno miracoloso che, spesso, una casa dove si trovi un bestemmiatore, venga colpita da un fulmine e sommersa da ogni genere di disgrazie?

Sant’Agostino dice anche che la bestemmia è un peccato più grande dello spergiuro, perchè in quest’ultimo, si prende Dio come testimone di una cosa falsa, in quella, invece, è una cosa falsa, che viene attribuita a Dio.

Converrete con me, fratelli miei, sulla gravità di questo peccato e sulla disgrazia che ne consegue, per l’uomo che vi si abbandoni.
Dopo essersi lasciato andare ad essa, non dovrà forse temere che la giustizia di Dio lo punisca all’istante, come è successo a tanti altri?

Vediamo ora quale differenza c’è tra la bestemmia e il rinnegamento di Dio.
Non voglio parlarvi di quelli che rinnegano Dio, abbandonando la religione cattolica, per abbracciarne una falsa: tali sono i protestanti, i giansenisti, e tanti altri.
Queste persone noi le definiamo dei rinnegati e degli apostati.
Parlo qui di coloro che, in seguito a qualche perdita o a qualche disgrazia, hanno la maledetta abitudine di arrabbiarsi con parole di collera contro Dio.
Questo peccato è orribile, perchè, alla minima cosa che ci succeda, ce la prendiamo con Dio stesso, e ci arrabbiamo con lui; è come se dicessimo a Dio: «Tu sei un….! un…! un disgraziato! un vendicativo! Mi punisci per quell’azione, sei ingiusto!».
Bisogna che Dio esaurisca la nostra collera, come se fosse Lui la causa della perdita che abbiamo subito, o dell’accidente che ci è successo.
Ma non è piuttosto Lui quel tenero Salvatore, che ci ha tratti dal nulla, che ci ha creati a sua immagine, che ci ha riscattati col suo Sangue prezioso, e che ci mantiene in vita da tanto tempo?…
Egli ci ama di un amore inconcepibile, mentre noi lo disprezziamo; profaniamo il suo santo Nome, noi, che siamo degli spergiuri, dei rinnegati!
Quale orrore! Vi è forse un crimine più mostruoso di questo?
Ciò non è forse imitare il linguaggio dei demoni? dei demoni che non fanno altro che questo, nell’inferno?
Ahimè! fratelli miei, se voi li imitate in questa vita, state ben certi che andrete a far loro compagnia nell’inferno!
O mio Dio! un cristiano, può mai abbandonarsi a simili orrori?

Una persona che si lasci andare a questo peccato, deve aspettarsi una vita disgraziata, e già da questo mondo.

Si racconta che un uomo, dopo essere stato per tutta la vita un bestemmiatore, disse al sacerdote che lo confessava: «Ahimè! padre mio, com’è stata disgraziata la mia vita! Avevo l’abitudine di giurare, di bestemmiare il Nome del buon Dio; ho perso tutti i miei beni, che erano considerevoli; i miei figli, sui quali ho attirato le maledizioni, sono dei buoni a nulla; la mia lingua, che ha giurato, che ha bestemmiato il buon Dio, è tutta ulcerata e va in putrefazione.
Ahimè! dopo essere stato così disgraziato in questo mondo, temo anche di dannarmi, a causa dei miei giuramenti».

Ricordatevi, fratelli miei, che la vostra lingua non vi è stata data per altro scopo, che non sia quello di benedire il buon Dio; essa gli è stata consacrata con il santo Battesimo e con la santa Comunione.
Se, per disgrazia, siete soggetti a questo peccato, dovete confessarvene con grande dolore e farne una dura penitenza; altrimenti andrete a subirne il castigo nell’inferno.
Purificate la vostra bocca, pronunciando con rispetto il Nome di Gesù. Chiedete spesso a Dio la grazia di morire, piuttosto che ricadere in questo peccato.
Avete mai pensato a quanto la bestemmia sia un peccato orribile,agli occhi di Dio e degli uomini?
Ditemi, vi siete mai confessati come si deve, oppure vi siete accontentati di dire che avete giurato, oppure che avete detto parole grossolane?
Sondate la vostra coscienza, e non dormite, perchè è molto probabile che le vostre confessioni non valgano nulla.

Vediamo ora che cosa s’intende per maledizione e imprecazione.
Ecco. La maledizione si verifica quando, trascinati dall’odio o dalla collera, vogliamo annientare o rendere infelice chiunque si opponga alla nostra volontà.
Queste maledizioni vengono lanciate contro noi stessi, sui nostri simili, sulle creature animate o inanimate.

Quando agiamo così, noi ci comportiamo non secondo lo Spirito di Dio, che è spirito di dolcezza, di bontà e di carità, ma secondo lo spirito del demonio, la cui unica occupazione è quella di maledire.

Le maledizioni più cattive, sono quelle che i padri e le madri invocano sui loro figli, a causa dei grandi mali che ne conseguono.
Un figlio maledetto dai suoi genitori è, ordinariamente, un figlio maledetto da Dio stesso, poichè il buon Dio ha detto che, se i genitori benedicono i loro figli, anch’Egli li benedirà; al contrario, se li maledicono, la loro maledizione rimarrà su di loro (Siracide 3,9).

Sant’Agostino cita un esempio degno di restare impresso per sempre nei cuori dei padri e delle madri.
Una madre, ci dice, maledisse, nella sua collera, i suoi tre figli; all’istante stesso, furono posseduti dal demonio.
Un’altra volta, un padre disse a uno dei suoi figli: perchè non crepi una buona volta?… Il figlio cadde morto ai suoi piedi.

Ciò che aggrava ancora di più questo peccato, è il fatto che, se un padre o una madre hanno l’abitudine di commetterlo, anche i loro figli contrarranno quest’abitudine, perchè questo vizio diventa ereditario nelle famiglie.

Se ci sono tante case disgraziate, e che sembrano veramente il covo dei demoni e l’immagine dell’inferno, ne troverete la spiegazione nelle bestemmie e nelle maledizioni dei loro antenati, che si sono trasmesse dai nonni ai padri, e dai padri passeranno ai figli, e via di seguito.

Avete forse sentito un padre in collera, pronunciare dei giuramenti, delle imprecazioni e delle maledizioni?
Ebbene! ascoltate i suoi figli, quando saranno adirati: stessi giuramenti, stesse imprecazioni, e tutto il resto.
E così i vizi dei genitori passano ai loro figli, come il resto dell’eredità, e ancora meglio.

Gli antropofagi uccidono solo gli stranieri, per mangiarli; ma, tra i cristiani, ci sono dei padri e delle madri, i quali, per calmare le loro passioni, augurano la morte di coloro ai quali hanno donato la vita, e abbandonano nelle mani del demonio coloro che Gesù Cristo ha riscattato col suo Sangue prezioso.
Quante volte si sente dire a questi padri e madri senza religione: «Ah! maledetto figlio, tu non …una volta! mi stai seccando! speriamo che il buon Dio ti punisca una volta per sempre! vorrei che tu fossi lontano da me, tanto quanto sei vicino! questo pazzo di figlio! questo diavolo di figlio! questo ch… di figlio! queste bestie di figli! e tutto il resto» (i puntini di sospensione sono presenti nell’originale e coprono parole che il curato non si sentiva di pronunciare; n.d.a.).

O mio Dio! tutte queste maledizioni possono mai uscire dalla bocca di un padre e di una madre, che non dovrebbe augurare e desiderare altro che le benedizioni del Cielo, per i loro poveri figli?
Se vediamo tanti figli insensati e scostanti, senza religione, storpiati, non cerchiamo altrove la causa, se non nelle maledizioni dei genitori; almeno, nella maggior parte dei casi.

Qual è dunque il peccato di coloro che maledicono se stessi, nei momenti di sconforto?
E’ un crimine spaventoso che contrasta con la natura e con la grazia: poichè la natura e la grazia, ci ispirano amore verso noi stessi.
Colui che si maledice assomiglia a un arrabbiato che si uccide con le proprie mani; anzi, è anche peggio.
Spesso se la prende con la sua anima, dicendo: «Che Dio mi danni! che il demonio mi prenda! preferirei trovarmi all’inferno, piuttosto che stare come sto!».

«Ah! disgraziato, ci dice sant’Agostino, spera che Dio non ti prenda alla lettera, perchè andresti a vomitare il veleno della tua rabbia, all’inferno».
O mio Dio! se un cristiano pensasse bene a ciò che dice, avrebbe mai la forza di pronunciare queste bestemmie, capaci, in qualche modo, di costringere Dio a maledire dall’alto del suo trono!
Oh! com’è, dunque, sciagurato, un uomo soggetto alla collera! Egli costringe quel Dio che non vorrebbe che il suo bene e la sua felicità! Si riuscirà mai a capirlo?

Qual è, ancora, il peccato di un marito e di una moglie, di un fratello e di una sorella, che vomitano l’uno contro l’altra ogni sorta di bestemmie?
E’ un peccato del quale nessun termine potrebbe mai esprimere la grandezza; è un peccato tanto più grande, quanto più essi sono obbligati ad amarsi e a sopportarsi gli uni gli altri.
Ahimè! quante persone maritate non cessano di vomitare ogni genere di maledizioni, gli uni verso gli altri!

Un marito e una moglie, che non dovrebbero scambiarsi altro che desideri di felicità, e sollecitare la Misericordia di Dio, al fine di ottenere, l’uno per l’altro, la felicità di andare a trascorrere l’eternità insieme, si scambiano invece delle maledizioni; essi si strapperebbero, se potessero, gli occhi e perfino la vita.
«Maledetta moglie! o maledetto marito!, si gridano l’un l’altro, se almeno non ti avessi mai visto e non ti avessi mai conosciuto!
Che sia maledetto mio padre, che mi consigliò di prenderti!…».

O mio Dio! quale orrore per dei cristiani, che dovrebbero lavorare solo per divenire santi!
Invece fanno ciò che fanno i demoni e i riprovati!

Quanti ne vediamo, di fratelli e di sorelle, augurarsi reciprocamente la morte, e maledirsi, per diventare più ricchi, o per qualche ingiuria che abbiano ricevuta; e fanno fatica a perdonarsi, perfino prima di morire!

E’ anche un grande peccato maledire il tempo, le bestie, il proprio lavoro.
Quanta gente, quando il tempo non è secondo i loro gusti, lo maledicono dicendo: «Maledetto tempo! non cambi mai!».
Non sapete quello che dite, è come se diceste: «Ah! maledetto Dio! che non mi doni un tempo come piacerebbe a me».

Altri poi maledicono le loro bestie: «Ah! maledetta bestia! non riesco a farti fare ciò che voglio!… Che il diavolo ti porti! che un tuono ti sfracelli! che un fuoco dal cielo ti arrostisca!…».

Ah! disgraziati! le vostre maledizioni sortiscono spesso il loro effetto, come nemmeno vi aspettereste.
Spesso delle bestie periscono o si storpiano, e ciò in conseguenza di maledizioni che voi stessi avete lanciato contro di loro.
Quante volte le vostre maledizioni, le vostre arrabbiature, hanno attirato la grandine e il gelo sui vostri raccolti (non vi è nessuna credenza magica, sotto tutte queste affermazioni del curato sull’efficacia delle maledizioni; piuttosto c’è la credenza “biblica” che considera la benedizione o la maledizione come una “parola-evento”: “debàr”, nell’ebraico vuol dire sia parola che fatto; resta un mistero, la vera portata delle parole pronunciate; meglio mettersi al sicuro e non provarci; cfr.Isaia 55,11!; n.d.a.).

Ma qual è il peccato di coloro che augurano il male al loro prossimo?
Questo peccato è grave, in proporzione del male che voi augurate, e del danno che verrebbe causato, se quella cosa accadesse.
Dovete accusarvi ogni volta che vi succede di fare di questi auguri.
Quando vi confessate, dovete dire quale male avete augurato al vostro prossimo, quale perdita quello avrebbe subita, e se quel male gli è arrivato.
Dovete spiegare se si tratta dei vostri genitori, di fratelli o di sorelle, di cugini o di cugine, di vostri zii o zie.
Ahimè! quanto sono pochi quelli che fanno queste distinzioni, nelle loro confessioni!
Si saranno maledetti i propri fratelli, le proprie sorelle, i cugini o le cugine, e ci si accontenterà di dire che si è augurato il male al proprio prossimo, senza dire chi fosse, nè quali intenzioni si aveva, lanciando quelle maledizioni.

Tanti altri hanno fatto dei giuramenti orribili, delle bestemmie, delle imprecazioni, dei rinnegamenti di Dio, da far rizzare i capelli in testa, ma si accontentano di accusarsi di aver detto delle parole grossolane, e nulla più.
Una parola grossolana, lo sapete bene, è una specie di piccola ingiuria, come b… e f…, detti senza collera (?).

Ahimè! quante confessioni e comunioni sacrileghe!
«Ma, mi direte voi, che cosa bisogna fare per non commettere questi peccati, che sono orribili e capaci di attirarci ogni sorta di disgrazie?».
Bisogna che tutte le pene che ci capitano, ci facciano ricordare che, essendoci noi rivoltati contro Dio, è ben giusto che le creature si rivoltino contro di noi (ossia, accettare qualunque contrattempo e disappunto, come pena del peccato originale e dei nostri peccati personali, senza infierire sugli avvenimenti, sulle cose o sulle persone; n.d.a.).

Inoltre non dobbiamo mai dare agli altri l’occasione di maledirci.
I figli e i domestici, soprattutto, devono fare tutto ciò che possono, per non indurre i loro genitori o i loro padroni a maledirli, perchè è certo che prima o poi arriverà su di loro qualche castigo.
I padri e le madri devono considerare che non hanno niente di più caro al mondo, dei propri figli, e, ben lungi dal maledirli, non devono cessare di benedirli, affinchè Dio sparga su di essi il bene che desiderano per loro.

Se vi succede qualche cosa di fastidioso, invece di scaricare maledizioni su colui che non si comporta come vorreste, vi sarebbe più facile è più vantaggioso dire: «Che Dio ti benedica».
Imitate il sant’uomo Giobbe, il quale benediceva il Nome del Signote, in tutte le pene che gli arrivavano addosso, e così riceverete le stesse grazie che ricevette lui.
Vedendo la sua grande sottomissione, il demonio prende la fuga, le benedizioni si espandono con abbondanza sui suoi beni, tutto gli viene restituito al doppio.

Se per disgrazia vi succedesse di proferire qualcuna di quelle cattive parole, fate subito un atto di contrizione, per chiederne perdono, e promettete che non lo rifarete mai più.

Santa Teresa ci dice che, quando pronunciamo il Nome di Dio con rispetto, tutto il Cielo gioisce; mentre, quando pronunciamo quelle cattive parole, è l’inferno a gioire.

Un cristiano non deve mai perdere di vista, che la sua lingua non gli è stata data che per benedire Dio in questo mondo, e per ringraziarlo dei beni dei quali lo ha ricolmato, durante la vita, per poterlo poi benedire per tutta l’etenità, con gli angeli e con i santi: sarà questa la sorte di chi avrà imitato non il demonio, ma gli angeli.
Io ve lo auguro…

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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