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L’origine della solennità di Cristo Re

Stendardo Cristero

La Solennità di Cristo Re dell’Universo, che sottolinea la signoria di Cristo sulla storia e sul tempo, chiude l’Anno Liturgico, da dove trae origine questa solennità?

La storia della festa può essere fatta risalire al 1899, quando papa Leone XIII stabilì l’11 maggio la consacrazione universale degli uomini al Sacro Cuore di Gesù. Nello stesso anno il gesuita italiano Sanna Solaro scrisse a tutti i vescovi italiani perché sottoscrivessero una petizione per chiedere l’istituzione di una festa liturgica. Quarantanove vescovi aderirono alla petizione.

Sotto il pontificato di S. Pio X l’Episcopato Messicano richiese il permesso di adornare l’immagine del Sacro Cuore di Gesù con i simboli della regalità: corona e scettro. Il 6 gennaio 1914, Epifania del Signore, in tutta la Repubblica messicana venivano aggiunti questi simboli alle immagini e alle statue del Sacro Cuore. Alle ore 11 undici dello stesso giorno, nel santuario di Nostra Signora di Guadalupe si cantarono a voce unanime il Credo e la Salve Regina e poi fu letta la dedica della nazione Sacro Cuore di Gesù. Un coro di 200.000 persone rispose:”Viva Cristo Re” e scoppiarono applausi e grida di giubilo.

Una nuova supplica fu presentata a papa Pio XI dopo il Congresso eucaristico internazionale di Roma, nei primi mesi del suo pontificato, sottoscritta da 69 prelati. Nel 1923 fu presentata una terza supplica, con la firma di 340 fra cardinali, arcivescovi, vescovi e superiori generali. Nella supplica si chiedeva: «Per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale, la Santa Chiesa si degni stabilire una festa liturgica che, sotto un titolo da essa definito, proclami solennemente i sovrani diritti della persona regale di Gesù Cristo, che vive nell’Eucaristia e regna, col Suo Sacro Cuore, nella società». La domanda fu sostenuta da duecento ordini e congregazioni religiose, dodici università cattoliche e da petizioni firmate da centinaia di migliaia di fedeli in tutto il mondo.

Finalmente papa Pio XI stabilì la festa con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925.

Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso.

I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina.

Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità.

Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.” (Pio XI, Quas primas)

Madonna_di_Guadalupe__Citta_del_Messico_large_(c)_copyright_Laura_Stagno

Tra il 9 e il 12 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac a nord di Città del Messico, la Madonna apparse più volte a Juan Diego Cuauhtlatoatzin, un azteco convertito al cristianesimo. Il nome Guadalupe fu dettato dalla Vergine stessa a Juan Diego: alcuni hanno ipotizzato che sia la trascrizione in spagnolo dell’espressione azteca Coatlaxopeuh, “colei che schiaccia il serpente” (cfr. Genesi 3,14-15), oltre che il riferimento al Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe fondato da re Alfonso XI di Castiglia nel comune spagnolo di Guadalupe nel 1340.

Secondo il racconto delle apparizioni, espresso in náhuatl nel testo conosciuto come Nican Mopohua, Juan Diego vide per la prima volta la Madonna la mattina del 9 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac vicino a Città del Messico. Ella gli chiese di far erigere un tempio in suo onore ai piedi del colle: Juan Diego corse a riferire il fatto al vescovo Juan de Zumarrága, ma questi non gli credette. La sera, ripassando sul colle, Juan Diego vide per la seconda volta Maria, che gli ordinò di tornare dal vescovo l’indomani. Il vescovo lo ascoltò di nuovo e gli chiese un segno che provasse la veridicità del suo racconto.

Juan Diego tornò quindi sul Tepeyac dove vide per la terza volta Maria, la quale gli promise un segno per l’indomani. Il giorno dopo, però, Juan Diego non poté recarsi sul luogo delle apparizioni in quanto dovette assistere un suo zio, gravemente malato. La mattina dopo, 12 dicembre, lo zio appariva moribondo e Juan Diego uscì in cerca di un sacerdote che lo confessasse. Ma Maria gli apparse ugualmente, per la quarta e ultima volta, lungo la strada: gli disse che suo zio era già guarito e lo invitò a salire di nuovo sul colle a cogliere dei fiori. Qui Juan Diego trovò il segno promesso: dei bellissimi fiori di Castiglia, sbocciati fuori stagione in una desolata pietraia. Egli ne raccolse un mazzo nel proprio mantello e andò a portarli al vescovo.

Di fronte al vescovo e ad altre sette persone presenti, Juan Diego aprì il mantello per mostrare i fiori: ed ecco, all’istante sulla tilma si impresse e si rese manifesta alla vista di tutti l’immagine della S. Vergine Maria. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cadde in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo Juan Diego accompagnò il presule al Tepeyac, per indicargli il luogo in cui la Madonna aveva chiesto Le fosse innalzato un tempio e l’immagine venne subito collocata nella cattedrale.

A causa della sua origine miracolosa, l’immagine della Madonna di Guadalupe è oggetto di devozione paragonabile a quella rivolta alla Sindone. La sua fama si sparse rapidamente anche al di fuori del Messico: nel 1571 l’ammiraglio Gianandrea Doria ne possedeva una copia, dono del re Filippo II di Spagna, che portò con sé sulla propria nave nella battaglia di Lepanto. Negli anni venti del XX secolo i Cristeros, cattolici messicani che si erano ribellati al governo anticlericale, portavano in battaglia l’immagine della Virgen morenita sulle proprie bandiere.

Il mantello è del tipo chiamato tilma: si tratta di due teli di ayate (fibra d’agave) cuciti insieme. L’immagine di Maria è di grandezza lievemente inferiore al naturale, alta 143 cm. Le sue fattezze sono quelle di una giovane meticcia: la carnagione è scura. Maria è circondata dai raggi del sole e ha la luna sotto i piedi; indossa una cintura di colore viola che, tra gli aztechi, indicava lo stato di gravidanza; sotto la luna vi è un angelo dalle ali colorate di bianco, rosso e verde (i colori dell’attuale bandiera messicana), che sorregge la Vergine.

La disposizione delle stelle sul manto non sembra casuale ma rispecchierebbe quelle che in cielo, da Città del Messico, era possibile vedere nel dicembre 1531.

Alcuni autori, che hanno eseguito degli studi scientifici sul mantello, sostengono che effettivamente l’immagine non sarebbe dipinta, ma acheropita (non realizzata da mano umana); essa presenterebbe inoltre caratteristiche particolari difficili da spiegare naturalmente.

A memoria dell’apparizione, sul luogo fu subito eretta una cappella, sostituita dapprima nel 1557 da un’altra cappella più grande, e poi da un vero e proprio santuario consacrato nel 1622. Infine nel 1976 è stata inaugurata l’attuale Basilica di Nostra Signora di Guadalupe.

Nel santuario è conservato il mantello (tilmàtli) di Juan Diego, sul quale è raffigurata l’immagine di Maria, ritratta come una giovane indiana: per la sua pelle scura ella è chiamata dai fedeli Virgen morenita (“Vergine meticcia”). Nel 1921 Luciano Pèrez, un attentatore inviato dal governo, nascose una bomba in un mazzo di fiori posti ai piedi dell’altare; l’esplosione danneggiò la basilica, ma il mantello e il vetro che lo proteggeva rimasero intatti.

L’apparizione di Guadalupe è stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica e Juan Diego è stato proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002.

La Madonna di Guadalupe è venerata dai cattolici come patrona e regina di tutti i popoli di lingua spagnola e del continente americano in particolare, ridando vigore al culto di Nostra Signora del comune spagnolo di Guadalupe del XIV secolo. La sua festa si celebra il 12 dicembre, giorno dell’ultima apparizione.

di Mario Iannaccone

Nel silenzio internazionale, tra il 1925 e il 1929, il Messico visse una tragedia senza precedenti. Il governo della Repubblica, retto da un piccolo gruppo di potere chiamato gli uomini di Sonora provenienti dal nord massonico e protestante, decideva di inasprire le leggi antireligiose, che già colpivano i cattolici, con provvedimenti che resero impossibile ogni manifestazione religiosa. Era già accaduto nel 1874 e in altri momenti della storia messicana, poi il trentennale dominio di Porfirio Díaz, convertitosi dopo la morte della moglie, aveva calmato gli animi.

Caduto Díaz era scoppiata la Rivoluzione, dominata da elementi giacobini e radicali, durante la quale, nel 1917, fu approvata una costituzione ferocemente antireligiosa. L’occasione di applicarla in tutta la sua radicalità arrivò con Plutarco Elia Calles che, con la Ley Calles del 1925, ne impose l’applicazione rigorosa in tutta la Federazione. La Chiesa perse ogni autonomia giuridica, fu accusata d’essere retrograda e responsabile di tenere il popolo nell’ignoranza dei propri diritti. Mai menzogna fu più palese giacché i sindacati cattolici erano i più attivi del Paese; il vivace laicato cattolico messicano aveva elaborato ambiziosi programmi di sviluppo delle classi meno abbienti, ispirandosi a un modello economico e associativo che proveniva dal cristianesimo sociale tedesco e dalla Rerum Novarum. Associazioni di mutuo soccorso, leghe, patronati, associazioni giovanili come l’Acjm, l’Up, con milioni di aderenti, aiutati da un’attiva Conferenza episcopale, organizzavano cooperative per aiutare i più bisognosi, istituivano scuole, centri di apprendistato. I sindacati cattolici miglioravano la condizione dei lavoratori distribuendo terre e istituendo banchi di mutuo soccorso. Tutto ciò infastidiva il terribile Crom, il sindacato di estrema sinistra retto da Luis Morones. Costui fu tra i più accesi sostenitori di quella Ley Calles che impedì la vita religiosa e comportò l’espulsione del clero, la cancellazione d’ogni cerimonia o rito, la confisca di tutte le istituzioni cattoliche (chiese, conventi, seminari, scuole, istituti di carità).

Dal 1° agosto 1925 la Chiesa sparì dalla vita del religiosissimo popolo messicano. A quel punto si verificò ciò che nessuno aveva previsto: centinaia di migliaia di persone, appartenenti a tutti gli strati popolari, male armati, si diedero alla macchia in un’insurrezione spontanea. La gran parte dei vescovi, temendo un bagno di sangue, gridò alla moderazione. Ma cinque fra loro, provenienti dalle zone più colpite dai provvedimenti di Calles, non s’opposero: se Cesare diventa un tiranno, il popolo ha diritto di difendere la propria libertà, la propria anima. I generali dell’Esercito Federale pensavano di sconfiggere in breve tempo quegli insorti inesperti e male organizzati. Tuttavia, l’organizzazione si consolidò in pochi mesi, anche perché sostenuta da gran parte della società civile. Così nacque la «Cristiada», l’insurrezione di Cristo Re che coinvolse milioni di persone, costrinse i papi ad intervenire con tre encicliche, preoccupò le cancellerie di mezzo mondo. Interi Stati della zona centrale della Federazione caddero sotto il controllo di un esercito Cristero sempre più potente, organizzato e favorito dalla popolazione. La reazione dello Stato fu rabbiosa: massacri indiscriminati, campi di concentramento, impiccagioni di massa. I Cristeros erano in gran parte contadini ma vi erano anche cittadini: impiegati, funzionari, avvocati, studenti. La loro rete era sostenuta, talvolta affiancata, anche da una resistenza pacifica cittadina (il cui martire fu san Miguel Pro) che ricorreva ai boicottaggi, all’informazione, e cercava di far continuare la vita sacramentale nel nascondimento, come nell’Inghilterra anglicana o nella Russia sovietica. Migliaia di donne inquadrate nelle Brigate di Santa Giovanna d’Arco, sfidando ogni pericolo, procuravano le munizioni ai Cristeros, i quali arrivarono ad essere, agli inizi del 1929, quasi 50.000, in gran parte sottoposti alla disciplina di un esercito regolare. Pregavano, organizzavano messe da campo, non trascuravano il lavoro della terra o l’educazione dei figli. Intere comunità vissero per tre anni sulle falde dei vulcani di Colima, a Jalisco e Michoacán, dove si creò un contro-Stato perfettamente organizzato, grazie a personalità come il beato Miguel Gomez Loza.

Due generali spiccarono fra tutti: Gorostieta e Degollado. I soldati erano eroici, pronti al martirio per «conquistarsi il Paradiso» – come dicevano – se il prezzo della sconfitta era l’estirpazione del cristianesimo dal Messico. Nonostante l’appoggio logistico degli Usa che consentiva ai federali di non cedere, i Cristeros restarono saldi, e ad ogni sconfitta si moltiplicavano tenendo in scacco il nemico. Per anni il Messico restò diviso fra zone Cristero e zone controllate dai Federali; l’economia collassò, i morti furono decine di migliaia: 300.000 contando le vittime di malattie, fame, campi di concentramento. Non furono le armi a sconfiggere i Cristeros ma la diplomazia internazionale con gli Arreglos del 1929. La «Cristiada» stava procurando troppi lutti, la guerra rischiava di durare, occorreva un cessate il fuoco. Il vescovo Pascual Díaz, che avrebbe pagato con l’incomprensione la sua posizione moderata, riuscì a far firmare gli accordi senza immaginare che per 10 anni il governo li avrebbe traditi. Quando deposero le armi, i Cristeros furono uccisi a migliaia dai nemici, per vendetta. Il primo a raccontare con equilibrio questa storia dopo decenni d’oblio è stato lo storico francese Jean Meyer. Partito da posizioni ostili, egli ha cambiato il suo giudizio sui Cristeros sino ad arrivare, addirittura, alla conversione. L’epopea della «Cristiada», così poco conosciuta, con le sue decine di martiri canonizzati, innumerevoli eroi sconosciuti, e un esercito vincente che depose le armi su richiesta dei propri vescovi, è rubricata nei libri, incredibilmente, come un “episodio minore” della storia.

(Fonte: Avvenire, 25 giugno 2013)

Bibliografia essenziale sulla vicenda dei “Cristeros”

Autore: Luigi Ziliani

Titolo: CRISTIADA – MESSICO MARTIRE

Editore: Amicizia Cristiana

ISBN-978-88-89757-45-1

Pagg. 216 – € 15,00

“La storia della Chiesa in Messico rappresenta un esempio di coraggio e resistenza, sottomessa a una violenta ostilità dal 1911 al 1940. Fu così aspra che Pio XI la paragonò a quella dei primi secoli cristiani.
Le forze liberali e massoniche trionfatrici nel 1917, erano nelle mani di uomini visceralmente nemici della Chiesa, che operarono nel tentativo di cancellare per sempre l’uomo cattolico messicano. Una così forte intolleranza era dovuta al carattere popolare del Cattolicesimo messicano, la cui diffusione fra la gente era così incomoda da dover essere soppressa con la forza. All’inizio, poiché era impossibile realizzarlo con le armi, si cercò di farlo con le leggi. Ma quando si dimostrarono inefficaci, si tornò ai plotoni di esecuzione.
Nessuno dei Martiri fu sottomesso a un processo legale; nessuno fu condannato per crimini accertati dalla legge. Come in ogni persecuzione, il motivo della condanna fu la semplice appartenenza esplicitamente professata a Gesù Cristo, confessato senza ambiguità con quel grido ripetuto mille volte da quei martiri prima di morire: Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!
Il “basso popolo cristiano”, secondo l’espressione usata dai massoni e dai liberali riformisti di allora, rimase fedele alla sua fede nonostante le ostilità della massoneria infiltrata nella borghesia economica e intellettuale.
Molti sacerdoti morirono mentre si recavano a celebrare la messa (nonostante la proibizione di farlo), alcuni con le specie consacrate in bocca, per difenderle dalla profanazione.”

(dalla quarta di copertina del libro)

Autore: Pio XI

Titolo: ENCICLICHE SULLE PERSECUZIONI IN MESSICO 1926-1937

Editore: Amicizia Cristiana

ISBN-978-88-89757-46-8
Pag. 80 – € 7,00

“Dopo la promulgazione della Costituzione di Querétaro del 6 gennaio 1926 — che conteneva disposizioni miranti al totale annullamento della presenza della Chiesa nella società messicana — Pio XI intervenne ufficialmente con l’epistola apostolica Paterna sane (2 febbraio 1926) rivolta all’episcopato messicano. Esprimendo una crescente preoccupazione, cercava di indicare alla Chiesa locale direttive concrete di resistenza.
Ma una nuova legge del 14 giugno dello stesso anno (legge Calles), veniva proibita ogni manifestazione religiosa e ogni abito ecclesiastico fuori dalle chiese, si concedeva il permesso di svolgere funzioni di culto solo a un ristretto numero di sacerdoti indicati dallo Stato. A questa ennesima provocazione la Chiesa rispose sfidando apertamente il governo con lo sciopero del culto pubblico. Il Papa approvò la decisione dei vescovi, confermando l’appoggio alla Chiesa messicana con un solenne atto ufficiale: l’enciclica del 18 novembre, Iniquis afflictisque, ora rivolta a tutta la Chiesa. Il documento ripercorre la storia della persecuzione e addita al mondo l’esempio di fedeltà del popolo messicano, in modo particolare dei sacerdoti e dei laici.
Nel settembre del 1932 Pio XI intervenne nuovamente sulla questione messicana con l’enciclica Acerba animi magnitudo, con la quale ripercorre le tappe della storia di quegli anni, invitando i cattolici a una nuova resistenza.
Nel 1937, con l’ultima enciclica dedicata al Messico, Firmissimam constantiam, Pio XI riconosceva addirittura, in particolari circostanze, la legittimità di una resistenza armata contro un potere dispotico e oppressivo.”

(dalla quarta di copertina del libro)

Film: CRISTIADA

Titolo originale: For Greater Glory – The true story of Cristiada
Paese di produzione: Messico
Anno: 2012
Durata: 143 min
Regia: Dean Wright
Distribuzione (Italia) Dominus Production s.r.l.

Trama

Il film è aperto dai titoli che descrivono gli articoli anticlericali presenti nella Costituzione del Messico del 1917. Quando il neoeletto presidente messicano, Plutarco Elías Calles (Rubén Blades), avvia una violenta e implacabile repressione contro la fede cattolica, nel paese scoppia una guerra civile (indicata successivamente come guerra Cristera). Le chiese sono date alle fiamme, si verificano omicidi di preti e contadini, i cui corpi vengono poi appesi ai pali del telegrafo quale monito.

La storia si sposta allora su Padre Christopher (Peter O’Toole), prete cattolico spietatamente ucciso dai Federales. Il tredicenne José Luis Sanchez (Mauricio Kuri), testimone del delitto, si unisce ai ribelli, i Cristeros, guidati dal generale in pensione Enrique Gorostieta Velarde (Andy Garcia), ateo, che prende il ragazzo come suo protetto. Catturato durante uno scontro con i Federales, José è sottoposto a tortura. Il ragazzo, però, non rinuncia alla sua fede e per questo è messo a morte. L’anno seguente anche il generale Gorostieta muore in battaglia, nello stato di Jalisco.

Nel 1929, accordi tra le due fazioni pongono fine ai combattimenti e viene ristabilita la libertà religiosa. Papa Benedetto XVI ha beatificato José nel 2005, con altri dodici martiri tra i Cristeros.

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