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Le radici spirituali delle malattie psichiche: diciassettesima parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 5 marzo 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Diciassettesima Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a venerdì 5 marzo 2021, abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal cap. XXXVII del Libro della Genesi. Quella di Giuseppe, almeno per buona parte nella storia, è una vicenda veramente drammatica. Immaginiamoci questo ragazzo, un ragazzo giovane, semplice, ingenuo, che si fidava dei suoi fratelli — ma del resto chi può non fidarsi di un fratello — e il padre, ancora più ingenuo di lui, lo manda proprio in bocca al leone. I fratelli, mossi dalla gelosia e dall’invidia tentano di ucciderlo, poi decidono di buttarlo in una cisterna e venderlo. Questo ragazzo si trova dentro a tutta questa premeditazione e complotto al male, chissà quanto avrà anche urlato, supplicato, chiesto aiuto, chissà che senso di amarezza, di morte avrà provato nel suo cuore, in questa situazione incredibile, buttato nella cisterna dai suoi fratelli e poi venduto come schiavo.

Per quale colpa? Per quale male? Per il fatto di essere un sognatore.

E i fratelli, nel mezzo di questa congiura, di questa associazione a delinquere, si mettono a mangiare. È veramente un mistero, come sia possibile mangiare mentre qualcuno per causa tua sta soffrendo.

“Poi sedettero per prendere cibo.”

E alla fine lo vendono.

“La nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne”

Incredibile la mancanza di consapevolezza di coscienza, e fino a dove può arrivare la follia, l’accecamento, la lucidità nel male. Sono coscienti che è loro fratello, carne della loro carne, ciònonostante lo vendono dopo aver pensato di ucciderlo.

Andiamo avanti con la lettura del nostro libro, che oggi più che mai, in questo primo venerdì del mese tutto dedicato al Sacro Cuore di Gesù, alla riparazione del Sacro Cuore di Gesù, ci aiuta a fare luce dentro di noi. Stiamo appunto vedendo l’orgoglio.

“Anche il ricordo dei suoi peccati contribuirà a togliergli il sentimento della propria superiorità, rivelandogli tutta la sua miseria spirituale. E tanto più il suo orgoglio diminuirà, quanto più incentiverà un sentimento di contrizione.”

Dipende se è cosciente di aver fatto dei peccati e li ricorda, dipende il livello di contrizione.

“Anche accettare delle umiliazioni, in forme diverse, aiuterà a guarire da questa passione.”

Noi quando mai accettiamo delle umiliazioni? Quando stiamo zitti di fronte alle umiliazioni?

“Nella misura in cui l’orgoglio consiste nell’immaginarsi una propria superiorità per le qualità naturali che uno possiede (di qualunque genere esse siano), il rimedio sta nel riconoscere che ogni bene viene da Dio. Verrà opportuno, sotto quest’aspetto, meditare questa parola dell’Apostolo: «Cosa ti distingue? Cos’hai che non abbia tu ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne glorifichi, come se non l’avessi ricevuto?» (Prima lettera ai Corinzi 4,7). La preghiera, soprattutto poi se è permanente, costituisce un rimedio fondamentale contro l’orgoglio, in quanto l’uomo, quando prega, chiede l’aiuto, il soccorso e la protezione di Dio e, di conseguenza, non può non avere coscienza che quel che ottiene in risposta alla sua preghiera viene da Dio come un dono e non può perciò attribuirlo alle proprie forze né ai propri meriti. Anche la preghiera di ringraziamento aiuta a vincere la passione, in quanto, attraverso essa, se la pratica con cuore ferito e contrito e non alla maniera del fariseo, l’uomo riconosce immediatamente Dio e non sé stesso come principio e fine dei beni che possiede, e allora non se ne riterrà che l’indegno depositario. Ma beninteso, il ruolo della preghiera è anche di chiedere l’aiuto di Dio per la guarigione proprio dalla passione dell’orgoglio, la quale, assai più delle altre passioni, può sfuggire totalmente all’attività terapeutica degli uomini. La maggior parte dei mezzi per guarire la vanagloria e l’orgoglio che abbiamo qui presentato sono anche dei mezzi per giungere all’umiltà, che poi veramente costituisce il principale rimedio per la vanagloria e l’orgoglio, in quanto è la virtù che è loro opposta e destinata a sostituirli. Questa virtù e i mezzi per averla è già stata descritta in un altro libro. Rimando perciò a quella esposizione, qui solamente ribadendo che l’umiltà svolge un ruolo essenziale nella guarigione delle malattie spirituali dell’uomo e, di conseguenza, anche delle malattie psichiche che vi sono collegate.

Ottavo paragrafo:

“Svalutazione patologica dell’io”

La svalutazione patologica di sé s’incontra in molte malattie psichiche. Ha un ruolo primario nella depressione e nella malinconia. Né va trascurato che anche molti problemi di relazione presenti nella maggior parte delle nevrosi vi hanno dei legami. Molti Padri spiegano che la svalutazione patologica di sé ha la sua fonte, in modo ben paradossale, nell’amore egoistico di sé (o philautia). Siccome l’uomo non ha una vera realtà se non in Dio (in quanto è a immagine di Dio e destinato in forza della sua natura alla somiglianza di Lui), amandosi, nell’amore egoistico di sé, indipendentemente da Dio, non può amarsi in modo autentico, perché in tal caso ama in sé uno che non è lui, un io che non è il suo io, e così, in certo qual modo, indirettamente odia ciò ch’è in realtà. Come san Massimo il Confessore ha sottolineato, l’amore egoistico di sé deriva dall’ignoranza di Dio e dall’ignoranza di sé. Come dire che l’amore egoistico di sé è legato a una rappresentazione falsata, fantastica, illusoria e ingannevole che l’uomo ha di sé. E molto spesso è proprio dinanzi a questa falsa rappresentazione del suo io che l’uomo si sente svalutato. Sarà dunque recuperando la conoscenza di ciò che egli è veramente, prendendo coscienza della relazione profonda e intima del suo essere con Dio; sua origine e suo fine – relazione che, l’abbiamo visto, è già presente nella sua natura stessa, ma di primo acchito è per lui inconscia -, che l’uomo può recuperare una giusta valutazione di sé.”

Io prendo coscienza di quello che sono in relazione a Dio.

“E tuttavia, da sola questa presa di coscienza non è sufficiente. È nella conversione dell’amore di sé-passione in amore di sé-virtù che l’uomo può recuperare l’amore autentico del suo io vero, la cui deficienza o mancanza costituisce appunto quella che chiamiamo la svalutazione di sé. L’amore di sé-virtù, che san Massimo il Confessore chiama «il bell’amore di sé», è una forma della carità. In effetti, se primariamente la carità è amore di Dio e in secondo luogo amore del prossimo, è amore del prossimo «come sé stesso», come insegna il Cristo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Matteo 22,39; Marco 12,31; Luca 10,27). Dunque, la carità include l’amore di sé. Anche in seno al cristianesimo, troppo spesso lo si dimentica, o non si vuol vederlo, per timore di confondere questo amore spirituale con l’amore egoistico di sé. Dobbiamo perciò ricordare che quest’amore di sé-virtù non ha niente da vedere con quell’amore egoistico di sé che è la madre di tutte le passioni. Ne è anzi l’antitesi. Perché, se l’amore di sé-passione consiste nell’ amarsi secondo la carne e per sé stessi, narcisisticamente, fuori di Dio, al contrario l’«amore spirituale di sé» consiste nell’amarsi spiritualmente, in Dio e in vista di Dio, nell’amarsi per quello che uno è in questo momento nel suo profondo, cioè una persona creata a immagine di Dio, e per quello che si è chiamati a diventare, cioè una persona a somiglianza di Lui, figlio di Dio per adozione e, Dio per grazia. Consiste dunque nell’amarsi a causa dell’amore totale e indefettibile che Dio ha per la persona che uno è, unica e insostituibile, d’un valore ai Suoi occhi assoluto, inalienabile ed eterno. Ed è così che I’ amore spirituale di sé, o amore di sé virtuoso, si rivela una conseguenza del primo comandamento, che è amare Dio, dato che amarsi spiritualmente è amarsi in Dio e in vista di Lui.”

Chiediamo al Signore questa grazia, in questo primo venerdì di marzo, di saperci amare veramente proprio partendo dal Primo Comandamento.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Venerdì della II settimana di Quaresima

PRIMA LETTURA (Gen 37,3-4.12-13.17-28)
Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo!

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente.
I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan.
Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!».
Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre.
Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua.
Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di rèsina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto.
Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto.

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