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Martedì della Settimana Santa: Ven. Mons. Fulton J. Sheen e la Settima Trafittura

Mater Dolorosa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 30 marzo 2021 – Martedì della Settimana Santa

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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MARTEDÌ DELLA SETTIMANA SANTA:

il VEN. MONS. FULTON J. SHEEN E LA SETTIMA TRAFITTURA

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a martedì 30 marzo 2021, abbiamo ascoltato il Vangelo di oggi tratto dal cap. XIII di San Giovanni. È un testo classico, siamo ormai santamente abituati a sentire questi testi che trattano il tema e la vicenda dolorosissima di Gesù soprattutto in questa Settimana Santa, nei giorni che precedono il Triduo della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. È un testo che ci dice tutto il dramma di Gesù che viene tradito da uno dei suoi Discepoli, e anche ci dice il facile entusiasmo di Simon Pietro che vorrebbe ma poi non sarà capace.

Vorrei in questi giorni leggere delle piccole parti del testo Venerabile Fulton Sheen, “Il Primo Amore del mondo”. In questo passo mons. Sheen sta analizzando le trafitture che la Vergine Maria riceve nel suo cuore. Vorrei concentrarmi sulla sesta trafittura. Scrive:

“Nostro Signore rovesciò il capo e morì. Certi pianeti completano la loro orbita solo dopo molto tempo e ritornano al punto di partenza come per salutare Lui, che ha indicato loro la strada. Lui, che è venuto dal Padre, ritorna al Padre con le ultime parole: “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito”. Viene ordinato un duplice esame per constatare la sua morte. Un centurione dell’esercito romano prende allora una lancia e la configge nel costato di nostro Signore. Lui, che aveva accumulato poche testimonianze del suo amore, le riversa ora dal suo costato sotto forma di sangue e di acqua: sangue, prezzo della nostra redenzione; acqua, simbolo della nostra rigenerazione.

Cristo, che è la spada della sua stessa morte, continua a colpire fin dopo la sua morte, servendosi di Longino per aprire i tesori del suo sacro cuore, che diventa la nuova arca nella quale possono entrare le anime per salvarsi dall’inondazione e dal diluvio del peccato. Ma, come un taglio della spada ha aperto i tesori del suo cuore, l’altro taglio ha trafitto l’anima di Maria. Simeone aveva predetto che una spada le avrebbe trafitto l’anima; questa volta essa proviene dal costato aperto del figlio suo. Alla lettera nel caso di Lui, metaforicamente nel caso di lei, fu una sola spada a trafiggere due cuori. È questa simultaneità di trafitture, è questa trafittura del cuore di Lui e dell’anima di lei, che ci unisce nell’adorazione del Sacro Cuore di Gesù e nella venerazione dell’Immacolato Cuore di Maria.”

Vanno insieme, soprattutto in questi giorni.

“La gente non è mai tanto unita nella gioia quanto nel dolore.”

Vero.

“I piaceri della carne uniscono, ma sempre con una tinta di egotismo, perché l’ego si inserisce nel “tu” dell’altra persona per trovare in lei diletto nei suoi rapimenti. Ma nelle lacrime e nel dolore l’ego viene ucciso prima che si trasferisca nel “tu” e si desidera solamente il bene dell’altro.”

Questo è importante. Quando noi mediteremo — e in questi giorni stiamo meditando Gesù che muore in croce — chiediamoci se noi ci inseriamo nell’altra persona per trovare il nostro piacere. Noi usiamo espressioni come: “Ti amo. Tu sei la mia vita. Tu sei il mio tutto.” Parole che sono anche vere, per quello di cui sono capace e sono cosciente, sto dicendo la verità, ma questo non è amore. Forse non dovremmo usare queste espressioni se non sappiamo cos’è l’amore, perché l’amore non è trovare piacere, trovare diletto, in tutto ciò che posso fare attraverso l’altra persona, e con l’altra persona. Purtroppo, noi pensiamo che due egoismi facciano un atto di amore, ma non funziona così, due egoismi fanno due egoismi. È vero che i piaceri della carne uniscono, ma sempre con due “io” al centro, ognuno per conto suo, ognuno che cerca di ricavare ciò che più gli interessa, gli preme e gli sta a cuore.

“Ma nelle lacrime e nel dolore l’ego viene ucciso prima che si trasferisca nel “tu” e si desidera solamente il bene dell’altro.”

Questo è l’amore. Io desidero solo il tuo bene e non desidero il tuo bene in funzione di quanto ne traggo per me. Desidero il tuo bene per te, non per quanto io ne porto a casa, ne ricavo. L’amore non ha niente a che vedere con lo spulciamento delle scimmie: prima ti spulcio io e poi mi spulci tu, e così ci siamo spulciati insieme, ma questo non è amore.vNon possiamo usare la parola amore per lo “spulciamento”, l’amore è molto di più del togliersi le pulci a vicenda. Se sono io al centro e ti uso per trovare sollievo, per essere liberato dalle pulci, questo non è l’amore. Ognuno ha le sue pulci, ci sono tanti tipi di pulci, ci sono anche le pulci spirituali. I nostri pruriti interiori sono queste cose.

“In questa successione di trafitture, Gesù si affligge per sua madre, la quale deve tanto soffrire per Lui; e Maria si affligge per suo figlio, incurante di ciò che accade a lei. Più consolazione si ha dalle creature, meno se ne ha da Dio. Sono pochi quelli che possono consolarci. In realtà, nessuno può consolarci all’infuori di colui che non c’è più. Nessun essere umano può alleviare la solitudine di Maria. Soltanto suo Figlio può farlo. Affinché quelle madri che hanno perduto i figli sui campi di battaglia e quelle spose che hanno perduto gli sposi nel pieno delle gioie dell’amore pos­sano non esser prive di consolazione, nostro Signore a questo punto diventa orfano, in quanto fa di Maria la loro consolazione e il loro modello. Nessuno potrà mai più dire: “Dio non conosce la sofferenza di un letto di morte; Dio non conosce l’amarezza delle mie lacrime”. Questo sesto dolore c’insegna che, in tanta afflizione, soltanto Dio può consolarci.”

Sono parole verissime e lo sappiamo tutti. Più consolazione — e io aggiungo “effimera”, perché dura il tempo che dura e poi va via — più consolazione si ha dalle creature e meno se ne ha da Dio, e noi siamo avidi di consolazioni umane, noi costantemente cerchiamo consolazione, conforto dalle creature. Ma così, non si ha quella di Dio, è una legge. Ed è vero che sono pochi quelli che ci possono consolare. Ma anche quella dura quel che dura. Solo Dio può consolarci. Nessun essere umano può consolare la solitudine di Maria.

“Dopo essersi ribellato contro Dio nel paradiso, mediante l’abuso dell’umana libertà, un giorno Adamo inciampò nel corpo del figlio Abele. Lo riportò a Eva, e glielo adagiò in grembo. Lei gli parlò, ma Abele non rispose. Non era mai successa una cosa simile. Alzarono le braccia del figlio, ma queste ricaddero pesantemente. Allora si ricordarono: “Il giorno che mangerai del frutto di quell’albero, quel giorno stesso morrai”. Era la prima morte che si verificava nel mondo.”

Abele il primo morto. Adamo ed Eva assistono e devono vedere il frutto del loro peccato: la morte e, nella fattispecie, la morte del loro figlio Abele, per la prima volta, perché loro non avevano mai visto la morte.

“Il ciclo del tempo si svolge, e il nuovo Abele, assassinato dalla gelosa stirpe di Caino, viene deposto dalla croce e adagiato sul grembo della nuova Eva, Maria. Per una madre, un figlio non diventa mai adulto. In quel momento Maria deve aver pensato a un ritorno di Betlemme, perché il suo bambino riposava di nuovo sul suo grembo. Era presente anche un altro Giuseppe, ma questa volta si trattava di Giuseppe di Arimatea e c’erano pure gli aromi e la mirra per la sepoltura che avevano il profumo del dono portato dai Magi alla nascita del figlio suo. Che presagio di morte era stato quel terzo dono dei Magi! Un bimbo non è neppure nato che il mondo già parla della sua morte, e a ragione, perché Lui è l’unico che sia venuto al mondo per morire. Tutti gli altri ci sono venuti per vivere. La morte fu la méta della sua vita, la méta da Lui sempre agognata.

Ma, Maria, questa non è Betlemme: questo è il Calvario. Lui non è bianco come quando il padre lo ha mandato a noi, ma rosso perché ha dimorato tra noi. Nella mangiatoia Lui era come un calice dell’offertorio, pieno del vino rosso della vita. Ora, ai piedi della croce, il suo corpo è come un calice svuotato dalle gocce di sangue per la redenzione del genere umano. Alla sua nascita, non c’era posto nella locanda; non c’è posto nella locanda per la sua morte. “Il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo”, se non tra le braccia di sua madre.

Quando nostro Signore narrò le sue parabole di misericordia, e in particolar modo quella del figliol prodigo, parlò soltanto della bontà del padre del figliol prodigo. Perché il Vangelo tace della madre del figliol prodigo? Credo che la risposta sia in questo dolore della madre nostra. Cristo è il vero figliol prodigo; Maria è la madre del figliol prodigo divino che lasciò la casa del Padre suo per andare in una terra straniera, questa nostra terra. “Dissipò la sua sostanza”, consumò il corpo e il sangue perché potessimo riacquistare la nostra condizione di eredi del cielo. E ora è caduto tra i cittadini di un paese straniero alla volontà del Padre suo e ha pascolato con i maiali dei peccatori. Si prepara a ritornare alla casa del Padre. Sulla via del Calvario, la madre del figliol prodigo lo incontra. In quell’ora Maria è diventata la madre di tutti i figlioli prodighi del mondo, colei che li unge con gli aromi dell’intercessione e li prepara per quel giorno, non troppo lontano, in cui la vita e la risurrezione scorreranno nelle loro vene mentre essi procederanno sulle ali del mattino.

Non potranno più esserci dolori dopo la Risurrezione quando la morte sarà inghiottita dalla vittoria. Ma fin quando non erano infranti i ceppi della polvere, c’era ancora un grande dolore che Gesù doveva volere e Maria accettare, affinché coloro che seppelliscono i loro cari non rimangano mai senza speranza e senza consolazione. Nostro Signore immerse la spada della sepoltura nel proprio cuore, in quanto volle che l’uomo non avesse mai a pagare per i suoi peccati una pena che Lui stesso non avesse subita. Come Giona rimase per tre giorni nel ventre della balena, così Lui sarebbe rimasto per tre giorni nel ventre della terra. Il Credo degli apostoli dà tanta importanza a questo sacrificio da menzionare esplicitamente il fatto che nostro Signore “fu sepolto”. Ma nostro Signore non trafisse la propria anima con la pena della sepoltura senza al tempo stesso trasmettere quel dolore all’anima di Maria. Quando ciò accadde, la terra si oscurò, perché il sole si vergognava di spandere la sua luce sul crimine del deicidio. La terra inoltre tremò e le tombe restituirono i loro morti. In questo cataclisma della natura Maria prepara il corpo di suo figlio per la sepoltura.  L’Eden è ritornato ora che Maria pianta nella terra l’albero della vita che germoglierà entro tre giorni.

Tutte le pene di chi ha perduto il padre, la madre, il figlio, il marito, la moglie, e che abbiano mai straziato i cuori degli umani, gravavano ora sull’anima di Maria. Il lutto più grave che abbia mai colpito un essere umano è stato la perdita di una creatura, ma Maria sta seppellendo il figlio di Dio. È terribile perdere un figlio o una figlia, ma è ancora più terribile seppellire Cristo. Essere senza madre è una tragedia, ma essere senza Cristo è un inferno. Nel vero amore, due cuori non si incontrano nella dolce schiavitù dell’amore, bensì si fondono in uno solo. Quando sopravviene la morte, non già due cuori si separano, bensì un cuore solo si squarcia. Il che fu specialmente vero nel caso di Gesù e di Maria. Come Adamo ed Eva caddero per il piacere di mangiare una mela, così Gesù e Maria furono uniti nella gioia di mangiare il frutto della volontà del Padre. In tali momenti non c’è solitudine, ma desolazione: non la desolazione esteriore come quella determinata in Maria dall’avere smarrito Gesù per tre giorni, ma una desolazione interiore che probabilmente è così profonda da non poter essere espressa con le lacrime. Ci sono gioie così intense da non provocare nemmeno un sorriso; ci sono dolori che non producono neppure una lacrima.

Fermiamoci qui, ne abbiamo da riflettere. Sempre più uniti, stretti, raccolti, ormai prossimi a questo momento solenne del Triduo. Abbiamo ancora domani che chiuderà il mese di marzo, e poi ci immergeremo solennemente nel Triduo Santo. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Martedì della Settimana Santa

VANGELO (Gv 13,21-33.36-38)
Uno di voi mi tradirà… Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.

In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà».
I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui.
Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.
Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire».
Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

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