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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, VIII parte

B. Conchita Cabrera De Armida

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 28 luglio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Scarica il testo della meditazione

Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, VIII parte

Eccoci giunti a mercoledì 28 luglio 2021. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo XIII di San Matteo, versetti 44-46.

Stiamo imparando anche noi che questo regno dei cieli è veramente nascosto. Abbiamo bisogno di occhi illuminati dallo Spirito Santo per vederlo, per apprezzarlo e per decidere poi di comprarlo. 

Oppure questa perla preziosa… Quando ero piccolo — si sa da bambini si fanno cose strane — ero incantato e innamorato di un anello della mia mamma che aveva l’”occhio della tigre”, una pietra scura. Questo anello mi piaceva tantissimo e lo cercavo, lo guardavo, lo studiavo. Da bambino avrei dato tutto per quell’anello. Ecco, il regno dei cieli è molto di più dell’occhio della tigre.

 

Siccome stiamo diventando esperti di pietre preziose, continuiamo la lettura del testo “Sacerdoti di Cristo” della Beata Conchita Cabrera de Armida.

Molti sacerdoti, non amando Me, non amano neanche la mia Chiesa

Vediamo cosa dice Gesù:

“Anche se i comportamenti esteriori e indegni mi fanno male, ciò che più ferisce il mio Cuore è la mancanza di fede viva nei miei sacerdoti, il modo in cui sono soliti trattare le cose sacre e il Santo dei santi.”

Ciò che di più ferisce il cuore di Gesù è la mancanza di fede, il che vuol dire di fiducia e se non ho fiducia significa che non amo, vuol dire che non conosco nè il modo di trattare le cose sacre, nè il Santo dei Santi 

“Questo è dovuto alla mancanza d’amore, che fa sentire i doveri sacerdotali e sacri come un impegno pesante, che gli impedisce di cogliere la sublimità della loro missione e dei doveri verso Dio e le anime, che li induce a una errata familiarità con l’altare, per cui non lo rispettano né lo fanno rispettare come dovrebbero.

Molti sacerdoti, non amando Me, non amano neanche la Chiesa, e questo per Me è orribile, perché si tratta dei ministri sui quali essa riposa.”

Bene, andiamo con ordine. 

La mancanza di amore, avevamo già visto, fa sentire i doveri sacerdotali e sacri come gravosi, come un impegno pesante, come un impegno noioso, come una cosa inutile, della quale si potrebbe fare anche a meno.

Questa mancanza di amore, questa mancanza nei confronti dei nostri doveri sacerdotali e sacri ci inducono ad una errata familiarità con l’altare per cui non lo rispettiamo né lo facciamo rispettare come dovremmo. Cioè, si tratta l’altare come il tavolo della cucina sul quale preparo gli gnocchi, sul quale faccio le tagliatelle, la pizza. Sì, insomma, l’altare trattato come una scrivania. 

Ma vedete, uno si comporta sull’altare come si comporta nell’intimo della sua stanza. O siamo dissociati, e allora è un problema, ma non è così frequente, oppure siamo individui, che significa indivisi, cioè siamo “uno” e quell’uno è sempre quello quando mangia, quando predica, quando studia, quando scrive, quando celebra la Messa. 

Voi direte che possiamo mettere delle maschere, ma a lungo andare non dura, poi si vede quello che sei. E allora tratto il presbiterio come casa mia, ma la Chiesa non è la casa di nessuno, è la casa di Dio, cioè nessuno di noi è padrone della Chiesa, perché il padrone è Dio e siamo tutti invitati, siamo tutti ospiti con funzioni diverse, ma nessuno è padrone. Quindi non si sale e si scende dal presbiterio come se stessi attraversando una strada, o un campo. Il presbiterio è il luogo in cui si celebra la Messa, non è un luogo di passaggio, è il luogo supremo del culto a Dio. Non lo si attraversa per fare le foto perché ci sono i quadri. 

“Non lo rispettano, non lo fanno rispettare come dovrebbero” 

Per cui vediamo per esempio sull’altare il pallone da calcio.

Ricordo ancora quando mi avevano messo sull’altare, poco prima di celebrare, tre bottiglie di spumante e due panettoni. Appena arrivato ho chiesto a chi di dovere cosa rappresentassero quelle cose poste lì e mi dissero che erano i doni da offrire a Dio per il Natale. Ma ci sta questa cosa? Un conto è la festa e un conto è il culto a Dio. Poi abbiamo deciso insieme di mettere due candele, che sull’altare era meglio. 

Quello è l’altare sul quale si celebra il sacrificio del Figlio di Dio, nella modalità incruenta del Sacramento (pur sempre Sacrificio è), quindi le cose della festa si fanno altrove, non sull’altare dove Qualcuno è morto, sull’alltare del Corpo dato e del Sangue sparso del Figlio di Dio per noi. Ci sono già abbastanza “Cose”, non c’è bisogno di mettere altre cose.

Tutto gira attorno alla mancanza di amore.

“E la Chiesa, in realtà, sono Io stesso; e l’anima della Chiesa è lo Spirito Santo. Ma non fanno caso né a Me, né allo Spirito Santo, né al corpo della Chiesa che sono i fedeli.”

Noi dobbiamo stare sul presbiterio, celebrare all’altare, pensando che i fedeli che abbiamo davanti sono il corpo della Chiesa, non sono spettatori di uno show. Quindi ci vuole rispetto anche per loro. Una celebrazione fatta bene, dove si respira tutta la sacralità dovuta al caso, dove uno esce e gli pare di aver avuto 30 minuti di Paradiso. C’è bisogno di avere 30 minuti al giorno in cui mi inabisso completamente in Dio. 

“Non riflettono non si preoccupano di comprendere la sublime dignità e grandezza della Chiesa, Sposa immacolata dell’Agnello, e anche loro Sposa spirituale. Tutto ciò perché non c’è solidità, profondità, serietà in quei cuori superficiali che non si curano mai di valutare e apprezzare la grazia insigne che con la vocazione sacerdotale hanno ricevuto dal cielo.”

Certo che se l’ultima lettura che ho fatto risale ai tempi del seminario, dello studentato teologico… 

Qual’è il tuo libro di meditazione? «Io leggo gli articoli». No, non funziona così. Quale è il libro di meditazione sul quale tu ogni giorno fai la tua lettura spirituale e la tua meditazione?

Ricordate che Padre Pio sospese dalla Comunione per sei mesi una sua figlia spirituale, laica, perché non faceva ogni giorno la meditazione che lui esigeva. Sei mesi, non sei giorni.

Facendo la meditazione posso venire a coscienza della mia vocazione sacerdotale. 

Per esempio, penso che il testo di Bruno Cornacchiola sulla Madonna delle Tre Fontane, sulla sua esperienza, fornisca tantissimo materiale di meditazione, di conversione. Oppure Filotea di San Francesco di Sales, l’Imitazione di Cristo, la pratica di amar Gesù Cristo di Sant’Alfonso Maria de Liguori. Di testi ce ne sono tantissimi, come vi farò vedere per la prossima Quaresima, se Dio me ne darà la Grazia. Testi antichi che ti fanno respirare il Cielo che ti fanno dire: “ma io cosa faccio ancora qua?”. Altro che aver paura della morte. Sì, dobbiamo aver paura della morte dell’anima, del peccato mortale. Dobbiamo aver paura che sparisca la grazia santificante. 

Prosegue Gesù:

“Nel ricevere lo Spirito Santo, ricevono i suoi doni e la loro anima è consacrata a Me. Certamente come uomini devono lottare, perché la natura umana farà sempre avvertire il suo limite.

Ma, per questa ragione, non devono mai vivere seguendo supinamente la propria umanità, bensì tendere al soprannaturale e al divino. Anche se sono sulla terra, devono essere in costante tensione verso il cielo; toccano, è vero, la polvere, ma devono anche avere ali e forze sufficienti per spiccare il volo verso l’alto al di là delle proprie miserie.”

Gesù ci dice che non dobbiamo seguire supinamente la nostra umanità, ma dobbiamo tendere al Divino, al Cielo, non seguire le voglie e dobiamo essere in constante tensione verso il Cielo.

“Nel dare loro la vocazione, nel concedere loro l’ordinazione sacerdotale ammettendoli agli altari, Io abbondo e sovrabbondo in grazie speciali, in grazie proprie del loro stato. Per questo posso esigere il servizio che mi è dovuto, lo zelo, la fedeltà che mi hanno giurato, e l’amore, l’amore divino dal quale dovrebbero essere posseduti i loro cuori. “

 “Lo zelo e la fedeltà che mi hanno giurato”, altro che cappuccio e brioche!

“Lei, Padre, è contro la fraternità e la comunione perché lei stigmatizza, ammonisce il comportamento mio e di altri che dopo la Messa andiamo al bar fuori dalla Chiesa, di domenica, a fare colazione.” Quando mi dicono così, io rispondo di sì ma la verità è che io non sono contro la fraternità e la comunione, sono contro i peccati, è diverso. 

È la stessa logica della “salamella”. Io non è che faccio comunità e comunione attorno alla brace ardente colante grasso, ma io la comunione e la fraternità la faccio innanzitutto attorno a Gesù Cristo, attorno all’altare sul quale si celebra il Sacrificio, sul quale facciamo Memoria, sul quale si realizza la Presenza vera reale sostanziale di Gesù, Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Lì facciamo la comunione, non attorno al cornetto caldo. Facciamo comunione facendo insieme il ringraziamento, preparandoci tutti insieme un’ora prima alla Messa con la preghiera, con l’ufficio, le lodi, la meditazione. Lì facciamo comunione. Non è la salamella che mi fa fare comunione. Quante stupidaggini si dicono. Noi dobbiamo essere liberi. “Non ti curar di loro, ma guarda e passa” disse qualcuno. 

“Inoltre, è per loro una grazia che Io reclami i miei diritti, che faccia arrivare i mi e i lamenti alle loro orecchie, che la mia parola addolorata giunga ai loro cuori. Perché se chiedo di riparare affinché sia rispettata la dignità della Trinità e della Chiesa, do anche una grande ricompensa, rimettendo loro, se mi ascoltano, peccati, mancanze, purgatorio, e persino l’inferno.”

O mamma, Gesù oggi ha parlato dell’inferno!

“Tutti i sacerdoti debbono scuotersi: i buoni impegnandosi con più fervore; i tiepidi ascoltando le stesse parole che dissi al paralitico del Vangelo: «Alzati e cammina», per ravvivare in sé l’amore e il sacrificio; e i cattivi piangendo i loro peccati e convertendosi a Me.

Io sono solo carità e non posso far altro che diffonderla; sono amore e non posso dare altro che amore. Anche i miei avvertimenti, i miei lamenti e persino i miei castighi, sono amore, solo amore.”

Capito? “I miei castighi sono amore”

Ve l’ho sempre detto. Come si fa ad avere paura dei castighi di Dio? Ma che cosa vuol dire? Io ho paura di chi mi vuole male, della cattiveria del diavolo. Dio mi castiga? Va bene, vuol dire che ne ho bisogno. Come faccio ad aver paura di mio Padre che mi ama? È qualcosa di patologico, di psichiatrico. Uno che ha paura del castigo di suo padre, vuol dire che ha dei problemi seri con la figura paterna. Perché non si può aver paura del castigo del proprio papà perché tu sai che comunque è il tuo papà e per quanto duro sarà il castigo meritato, è pur sempre del tuo papà e il cuore del tuo papà prima ti da la penitenza di un mese e poi dopo sette giorni tu lo guardi e lui ti abbuona la penitenza, ma ti dice di non farlo più. Se fa così il nostro papà umano, ma cosa sarà mai Dio Padre che è Amore puro? Ma ci rendiamo conto?

Adesso attenti a queste ultime righe:

“Se nell’altra vita devo usare la giustizia, anche allora la mia giustizia è amore. Ma come? Perché è vero che l’amore perdona tutto, dimentica tutto, ma non può perdonare la mancanza d’amore: questa è l’unica cosa che l’amore non perdona”  

L’amore perdona tutto, ma non può perdonare la mancanza di amore. Noi amiamo Gesù? 

Ma io come faccio a sapere se amo Gesù?

Facciamo un esempio pratico. 

Quando ti capita qualcosa di bello, qualunque cosa, quando ricevi ciò che stai aspettando da tempo, … ad esempio arriva un bimbo, ti scopri in dolce attesa, qual è la cosa che hai fatto o che farai? 

Zitta, esco e vado da Gesù e Lo ringrazio, poi vado dalla Vergine Maria e consacro il mio bambino o bambina o i miei bambini se sono gemelli al Suo Cuore Immacolato, poi recito il Santo Rosario, passo quella giornata in silenzio, un silenzio di riconoscenza, di meditazione, di preghiera, di invocazione e alla sera, o al giorno dopo, annuncio a tutti che…, ma intanto la priorità l’ho data a Dio. Allora questo è il segno che amo Dio. 

Se invece lo annuncio prima ad altri, allora significa che Dio non è il primo dei miei pensieri e non è il mio migliore Amico. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

VANGELO (Mt 13, 44-46)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

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