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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, la Morte, V parte

Novissimi: la Morte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 15 novembre 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, la Morte, V parte

Eccoci giunti a lunedì 15 novembre 2021. Festeggiamo oggi Sant’Alberto Magno, Vescovo e Dottore della Chiesa.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo XVIII, versetti 35-43 di San Luca. 

«Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!»

Abbiamo già visto, un po’ di tempo fa, questa bellissima preghiera:

«Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!»

Abbiamo già commentato ampiamente questa preghiera, l’abbiamo spiegata molto bene e allora rifacciamola nostra ancora, proseguendo la nostra lettura dei libro dei: “I Novissimi” del Beato don Alberione, siamo arrivati al capitolo 3°, stiamo affrontando il tema della morte:

III. COME PREPARARSI ALLA MORTE 

“Quest’oggi chiediamo a Nostro Signor Gesù Cristo la grazia di poterci preparare convenientemente all’ultimo passo negli estremi momenti della vita; particolarmente chiediamo la grazia di fare santamente la confessione, come l’ultima confessione della vita; di ricevere santamente il Viatico; di ricevere santamente l’Estrema Unzione. Inoltre chiediamo a Gesù Cristo, qui presente a sentire le nostre orazioni, che, per sua misericordia, voglia concedere a tutti quanti i moribondi la grazia di ricevere i Sacramenti, o almeno di partire da questa terra perfettamente riconciliati con Dio: portando con sé soltanto i meriti, e nessun debito verso la Divina Giustizia. Faremo come conclusione il proposito di confessarci sempre bene, ogni volta come se fosse l’ultima; di ricevere la Santa Comunione ogni volta come se dopo dovessimo morire, e spirare nel perfetto amor di Dio; e di poter avere una grande divozione a San Giuseppe, protettore dei moribondi: «O S. Giuseppe, padre putativo di Gesù Cristo e vero sposo di Maria Vergine, pregate per noi e per gli agonizzanti di questo giorno».”

Prepararsi alla morte, ci dice il Beato don Alberione, vuol dire innanzitutto chiedere la grazia di fare una Santa Confessione. La grazia di fare una Santa Confessione si ottiene allenandoci, da adesso in poi, a fare sempre una Santa Confessione, come se fosse l’ultima della nostra vita, ogni giorno chiedendo la grazia. Quando ci andiamo a confessare frequentemente, confessarci come se fosse l’ultima della vita e così ricevere anche l’Eucarestia. Andare a Messa come se fosse l’ultima Messa della nostra vita, come se fosse l’ultima Comunione della nostra vita. 

Imparare a saperci riconciliare con Dio è importante, imparare a vivere nel perfetto amore di Dio, quindi non tenere mai sulla coscienza peccati gravi — ovviamente — ma anche i veniali;  cerchiamo il più possibile di non abituarci al peccato e poi di avere una grande devozione a San Giuseppe, cosa che, ad esempio Santa Teresa D’Avila consigliava vivamente, profondamente, a tutti.

Comincia il paragrafo 1:

  1. Chiedere la grazia di fare santamente la Confessione

“Ecco che Nostro Signor Gesù Cristo conferisce agli Apostoli, e in essi a tutti i loro successori e a tutti i Sacerdoti, il potere divino della remissione dei peccati. Allorché noi ci ridurremo stanchi, affranti, ammalati in un letto, il primo pensiero sarà di guardare indietro alla vita fatta; sarà il ricordo dei debiti contratti con la Divina Giustizia. Guarderemo con sbigottimento al giudizio vicino; ci immagineremo di comparire davanti a Gesù Giudice e che un demonio venga a recitare là, la storia triste di certi giorni. E davvero il nostro sbigottimento ci metterebbe in costernazione se non sapessimo voltarci alla parete di dove pende il Crocifisso, conforto di chi in Lui spera.”

Questo anche senza arrivare al giorno in cui entriamo in agonia, o in cui siamo moribondi, o nel quale capiamo che manca poco. Non c’è bisogno di arrivare fin lì. Già quando prendiamo un’influenza, o un’indisposizione di stomaco, quando non stiamo bene, già queste malattie — essendo che ci costringono a letto contro la nostra volontà, perché noi vorremo andare e fare — di fatto ci costringono a fare come dei piccoli bilanci, perché dobbiamo rinunciare ad andare a Messa, ad andare al lavoro, dobbiamo rinunciare a tante cose, e questo ci chiede, ci invita, ci domanda un bilancio. Essere lì nel letto ci fa pensare a quando non lo siamo, ai doni che abbiamo normalmente, alla grazia di potersi muovere liberamente, sono tutti doni che ci vengono dati e che quindi, quando non ne possiamo usufruire, ci fanno pensare.

“Che un demonio venga a recitare là, la storia triste di certi giorni.”

Uno dice: “Chissà come sarà. Chissà cosa vuol dire questa cosa”. Anche qui, non credo che bisogna aspettare il giorno del Giudizio — vedremo poi anche la riflessione sul Giudizio Particolare e Universale che farà don Alberione — ma senza arrivare fin lì, all’Accusatore, “quello che accusava i fratelli davanti al trono di Dio”. 

Vi sarà capitato, penso, di aver avuto a che fare con qualcuno, magari un nostro amico, una persona cara, oppure un conoscente abbastanza stretto e vedere che un giorno, per varie ragioni, magari perché gli dite qualcosa che gli dà fastidio, magari perché gli fate un rimprovero, o perché lo richiamate, per tante ragioni, cosa fa? Solitamente succede, quando uno viene messo un po’ all’angolo, oppure quando ne combina una e gli viene detto: “Guarda che…” che cosa fa? Tira fuori dal suo sacco nero tutto ciò che riguarda la vostra debolezza, tutto ciò che riguarda i vostri peccati che conosce, magari conosce qualcosa, tutto ciò che riguarda il vostro limite: “Sì però anche tu hai detto… però anche tu dieci mesi fa, otto anni fa, sette settimane fa, l’altro ieri hai fatto questo, questo e quest’altro…”

Voi magari non ve lo ricordate neanche più e vi dite: “Oh mamma! Come ha fatto lui a ricordarselo?” e soprattutto: “Perché me lo dice adesso e non me lo ha detto al momento opportuno? Perché ha messo questa cosa nel sacchetto come una munizione, come un asso nella manica e la tira fuori adesso? Perché non me l’ha detto subito, così da correggermi?”

Perché è un colpo basso, perché un colpo disonesto, perché è un colpo che nasce da un orgoglio ferito, dalla permalosità, dall’amor proprio, quindi fino a che tu stavi buono e tranquillo, anche lui faceva finta di niente, adesso invece tira fuori tutto ciò che di te è un limite o un peccato. Questa credo che sia un’esperienza di prefigurazione — abbiamo già usato questo termine qualche mese fa — di quanto succederà con la nostra morte:

“che un demonio venga a recitare là, la storia triste di certi giorni.”

In Genesi 3 Dio disse:

“Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?”

“Fino a qualche giorno fa non era un problema per te essere nudo. Il tuo essere creatura, il tuo essere limite, il tuo non essere Dio, non era un problema, quanto meno non per Me (Dio), visto che ti ho creato Io (Dio). Tu a Me andavi bene anche così, ma chi ti ha detto che sei nudo? Chi ti ha fatto sentire l’imbarazzo di essere creatura? Chi ti ha fatto sentire sbagliato, dove sbagliato non sei? Chi ti ha rinfacciato ciò che tu sei? Chi è stato?”

È stato il serpente, il falso amico dell’uomo, il falso promotore della libertà umana, il falso ermeneuta, il falso interprete della realtà.

“Dio sa che qualora ne mangiaste, voi diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male, e la distinzione tra il bene e il male” 

L’aver accolto questa idea, questa proposta, e l’aver messo da parte Colui che ti ha dato la vita, comporta lo scoprirti nudo, perché il demonio fa sempre pagare un prezzo. E da lì in avanti ci sarà sempre qualcuno che ci ricorderà, quando gli farà comodo a lui o a lei — perché questo non è amore — ci rinfaccerà il nostro essere creature, deboli, fragili, e peccatori. 

Forse, sapete, anche per questo c’è il sigillo della Confessione sui peccati che ascolta il Sacerdote, il sigillo del silenzio. Non possono essere detti perché i peccati dell’uomo, anche se non vieni assolto, non possono essere rinfacciati all’uomo stesso, è una cosa troppo delicata e Dio non rinfaccia niente a nessuno. Al massimo il Signore svela l’ipocrisia che sta nel cuore dell’uomo, aiuta l’uomo a vedere tutto ciò che non va, ma rinfacciare, accusare, questo lo fa il Demonio; lo dice anche la Scrittura: sarà lui che accuserà i figli di Dio, davanti al trono di Dio, sarà lui che ripresenterà la storia triste di certi giorni della nostra vita, ma non triste perché eravamo tristi, ma perché era stata la storia della lontananza da Dio. E così fanno alcune persone: si dilettano a svergognare, a loro piace parlare, umiliare, denigrare, mostrando la fragilità degli altri. Questa è una cosa tipicamente demoniaca, è il compito del demonio. Gesù, la Vergine Maria, gli Angeli, i Santi non farebbero mai una cosa del genere, perché non cresce nessuno a fare così, non è utile a nessuno ed è certamente una mancanza di carità grandissima e gravissima inchiodare l’uomo nel suo male, magari sentendosi anche superiori e migliori. 

Mi viene in mente “Il Mercante di Venezia” di Shakespeare, c’è anche il film, molto bello, che vi consiglio di vedere. 

Se non l’avete mai visto guardatelo questo film, guardatelo con i vostri ragazzi, guardatelo in famiglia, guardatelo a Natale. È un film bellissimo su diversi piani, adesso non vi sto a spiegare i vari piani, ma c’è anche il piano che vi sto dicendo adesso. Ci sono anche altri livelli di riflessione molto interessanti che l’opera di Shakespeare propone, molto interessanti, meno evidenti di questo livello di cui stiamo parlando adesso ma altrettanto interessanti, anche se solo accennati, sfumati, perché non poteva fare diversamente anche lui, alle volte bisogna avere l’intelligenza di accennare, semplicemente, fare una “toccata e fuga” e poi chi è intelligente capisce e gli altri, pazienza. 

Dicevo: nel Mercante di Venezia voi vedete molto bene questo concetto, è spiegato molto bene. Non c’è nessun guadagno ad accanirsi e a mancare di misericordia, la Misericordia quella vera, non quella del falso buonismo ma quella che sa andare oltre, che sa dare una speranza, una possibilità, che sa girare pagina, che sa dire: “Va bene, basta”, che va oltre. 

Già vi raccontai di quella volta in cui in carcere feci l’errore di non dare a tutti la fotografia dell’urna di Santa Teresina venuta in carcere. La diedi solo ad alcuni perché avevo solamente 5 foto, la diedi a 5 detenuti. Non sono stato lì a pensare che, avendone poche, non potendo darla a tutti non avrei dovuto darla a nessuno. “Sono persone adulte, la dò a questo, a quello e a quell’altro”, quelli che mi sembravano i più devoti. Ricordate il processo che venne fuori per questa cosa e la sentenza? Quando io dissi: “Ho sbagliato. È vero, avrei dovuto darla a tutti e ho sbagliato. Ho pensato che… ma adesso che me lo dite, capisco di aver sbagliato” ci fu chi tentò di continuare: “Eh, però, questa è la Chiesa… alla fine si salvano sempre…” ma subito intervennero gli altri e dissero: “Fermi tutti! Basta! Basta! Ha riconosciuto il suo errore? Sì, fine. Adesso facciamo la catechesi sul Vangelo di San Marco. Il capitolo si chiude qui. Noi gli abbiamo detto che ha sbagliato, lui ha detto che ha capito di aver sbagliato, ha chiesto scusa, adesso basta, fine.” Intervenne un detenuto abbastanza “famoso” in quel momento e immediatamente chiuse ogni diatriba successiva e iniziammo la catechesi. 

Io sono rimasto molto colpito da questo evento, ancora adesso lo ricordo e ve l’ho già ricordato altre volte. Io avevo circa 22-23 anni, ero giovanissimo, mi ero anche spaventato di questa cosa, perché non immaginavo una reazione così violenta, così forte, poi loro erano tutti fuori dalle loro celle, eravamo in Cappella, quindi ero proprio in mezzo a loro, mi ricordo che mi sono proprio spaventato nel vedere quanto erano rimasti male e quanto mi avevano fatto presente questa cosa e quindi sono rimasto colpito nel vedere come poi hanno preso le mie difese, dicendo: “Adesso fine”. 

Ma fuori dal carcere difficilmente ho trovato questo stesso comportamento, fuori dal carcere ho incontrato spesse volte — non solamente nei miei confronti, in generale — una sorta di sciacallaggio, cioè anche quando una persona riconosce il suo sbaglio si va avanti, dentro fino a morire, fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultimo pezzo di carne, è uno stillicidio! Questo è profondamente antievangelico e anticristico, è assolutamente ingiusto.

Se uno ti dice: “Ho sbagliato”. Cosa ti dice Gesù nel vangelo? 

“Se tuo fratello peccherà sette volte al giorno, o settanta volte sette, e ti chiederà scusa, tu gli devi perdonare”. 

Perdonare vuol dire fine, basta, si va avanti. E invece no, ci sono persone che tengono il rancore per anni e anni, anche di presunti torti che torti non ci sono, fa niente. Hanno un ego talmente smisurato che si sentono come se fossero l’altra faccia della luna, per cui tutto si riversa sul loro onore. Ma questo non è un atteggiamento da cristiani. Oppure ci sono quelli che insistono, come dice qui don Alberione, che richiamano: “Perché lo hai fatto? Non dovevi farlo…” Ma se quello lo ha fatto e ti dice che ha sbagliato e chiede scusa, non si può tornare indietro, ormai quel che è fatto è fatto, si può solo imparare da questo evento — e lo sta imparando perché ha capito di aver sbagliato e ti chiede scusa — e fare in modo che non capiti più. Va bene. 

Nel film, nel libro di Shakespeare si vede molto bene: uno dei personaggi, poi andrete a vedere chi è, si sente come il giustiziere della notte, quello che non ha sbagliato mai, ma alla fine perde tutto, perché solo Dio è giusto. La perfezione appartiene solo a Dio e non dobbiamo pretendere — lo dice anche Santa Teresa —negli altri ciò che noi neanche noi siamo, perché prima parliamo tanto di debolezza e fragilità, poi quando incontriamo qualcuno che è debole e fragile lo prendiamo e lo mettiamo in croce. Questo è esattamente quello che fa il demonio davanti al Tribunale di Dio, è lui l’Accusatore, ecco perché don Alberione dice: “Saremmo sbigottiti, saremmo atterriti, terrorizzati, distrutti se non potessimo girarci verso la parete:

“se non sapessimo voltarci alla parete di dove pende il Crocifisso”

A parte che adesso non ci sono più tante pareti dove pende un Crocifisso e quindi, nella camera dove uno sta agonizzando e morendo, ti mettono la televisione. Non ho capito bene cosa c’entra la televisione con uno che sta morendo. Evidentemente sono io che sono un po’ limitato e non riesco a capire queste cose.

“Conforto di chi in Lui spera.”

Certo, perché Gesù, a differenza di coloro che pensano di essere discepoli di Gesù e non lo sono, è sempre un conforto, Gesù veramente sa prendere la nostra anima piagata, sofferente, pasticciona, peccatrice, la sa prendere e la sa riportare alla bellezza di un bambino, come fece il Cardinal Federigo con l’Innominato. Che scena bellissima! Quest’uomo così integro, così santo, così bello andate a leggere questa scena — anche di questo c’è un film con un paio di attori famosi, non chiedetemi i nomi perché io sugli attori sono profondamente ignorante — il film è bello ma le pagine nel Manzoni sono stupende nel descrivere l’incontro tra l’Innominato e il Cardinale, andate a leggere, sono di un commovente incredibile. Se è così un uomo, immaginatevi Dio! Lui è sempre una speranza, Lui è sempre un conforto. Pensate al ladrone sulla croce, Gesù non gli ha detto: “Però tu hai fatto, tu hai detto, quella volta hai rubato…”. No! È bastata quella frase: “Ricordati di ne nel Tuo Regno”. C’è dentro tutto, è un’altra preghiera che potremmo recitare il giorno della morte: “Gesù, ricordati di me”.

Tutto questo si fonda sulle sue ferite.

“Ecco la nostra speranza unica: il sangue e la passione di Gesù…le Sue ferite (…). Il costato…aperto…(…) dove la misericordia di Dio ha tenuta la ferita aperta, affinché ivi potessimo rifugiarci… Ed ecco il nostro cuore sarà rallegrato da una speranza nuova, cioè da questo divin potere che Gesù Crocifisso e risorto conferì agli Apostoli: «A chiunque rimetterete i peccati, saranno rimessi» (Gv 20,23). Chiameremo un Sacerdote; ce lo conceda il Signore.”

Io consiglio sempre di tenere nel portafoglio, vicino alla vostra carte di identità, il nome, il telefono di un Sacerdote e di scrivere: “In caso di malore o di grave incidente, per favore, chiamate subito questo Sacerdote”.

Sentite adesso cosa dice don Alberione:

“Facciamo il patto, che in religione del resto è già implicito, il patto che venendo ammalati, qualche amico ci avverta subito se ci troviamo in istato grave e non permetta che inconsciamente ci accostiamo all’ultimo momento.”

Questo, devo dirvi, per me, quando l’ho letto è stata una sorpresa, perché non ci avevo mai pensato. Non ho mai pensato a questa cosa, infatti me la sono sottolineata molto bene sul mio testo. Adesso, vi dico la verità, sto proprio pensando, il giorno di Natale — se sarò ancora vivo — questo Natale voglio proprio fare questo patto con alcune persone, sto proprio pregando perché il Signore mi illumini e voglio proprio proporre di fare questo patto e lo voglio fare il giorno di Natale perché così rimane un giorno molto simbolico, molto forte, molto potente, che è difficile da dimenticare: nel Natale del 2021 faccio questo patto sacro.

Quando in carcere ricevevo i detenuti per preparare la Confessione — non ero ancora Sacerdote — c’erano dei momenti molto forti e molti di loro prima di arrivare alla Confessione quasi facevano una confessione previa, diciamo così, perché capite che quando si apre la diga, si apre, non puoi dire: “Aspettiamo 5 giorni, alle 15.00 del pomeriggio di sabato ti confesserai”. Quando una persona sente che è il momento di parlare, parla, poi, certo, ci sarà il momento istituzionale, quello formale della Confessione e dell’assoluzione, però ci sono delle prefigurazioni di quel momento solenne che sono dei momenti in cui uno tira fuori tutto, ha bisogno di confidarsi, ma non perché vuole il perdono di Dio in quel momento, ma perché ha bisogno di dire, di dare a qualcuno, ha bisogno che qualcuno riceva tutto questo bagaglio di dolore, di male, di sofferenza, di ingiustizia, di cattiverie fatte e subite… Allora mi ricordo che tiravo fuori il Crocifisso piccolino che porto sopra il cuore, sull’Abito — i Carmelitani portano sopra la Veste un Crocifisso che sta proprio sopra al cuore — e quando capivo che arrivava quel momento lì, siccome spesse volte loro mi prendevano le mani, perché fare certi passi è dura, fa girare la testa, un giorno ho detto: “Aspetta, va bene prendermi le mani, però io non sono in grado di portare tutto questo per tante ragioni, e soprattutto perché sono un essere umano”. Portare il male, il dolore, la sofferenza, le piaghe di un altro uomo, o hai il Sacramento dell’Ordine e quindi sei durante la Confessione che dà questo carisma, oppure altrimenti… questa è sempre stata un po’ la mia convinzione. Allora tiravo fuori il Crocifisso, lo mettevo sul palmo della mia mano e così quando loro mi prendevano le mani, prendevano la mia mano con il Crocifisso, il Crocifisso stava tra la mia mano e la loro mano, era tenuto da due mani diverse e poi con l’altra mano stringevamo l’altra mano, formavamo come una mano sola di preghiera, come se stessimo pregando, poi piangevano, erano momenti molto forti. Però a me dava tanta forza, tanta speranza, tanto conforto, il pensare che tra me e tutto il loro mondo di dolore, di male, c’era Gesù Crocifisso, che loro sentivano, perché lo stringevano e poi lo baciavano, e poi lo baciavamo insieme, perché tra l’uomo e il suo male ci deve sempre stare Dio, se no è finita, se no si fa la fine di Giuda. Tra l’uomo e il suo male c’è la Speranza con la “S” maiuscola. 

Questa cosa di don Alberione è bellissima, quando l’ho letta mi si è subito infuocata la mente e il cuore, dobbiamo veramente chiedere al Signore la grazia di chiedere a qualcuno, anche a più di una persona, di fare questo patto sacro, sarebbe bello con il Crocifisso stringere questo patto. 

Mi è venuto in mente adesso un flash, che non ricordavo da non so quanti decenni, pensate. Siete liberi di crederci o di non crederci, io so che è vero e ve lo dico così com’è, chi non ci crede non mi interessa perché ciò che conta è quello che sa Dio, quello che è vero davanti a Dio. Mi ricordo che c’era in carcere un detenuto che era molto violento, quest’uomo mi aveva preso tanto a cuore, mi voleva un bene dell’anima, forse perché ero tanto giovane e gli ricordavo suo figlio, chi lo sa, era di un violento incredibile, violentissimo, aveva fatto molto male nella sua vita e quando prendevo le sue mani, durante la preghiera, pensavo tanto a questa cosa: “Queste mani chissà cos’hanno fatto nella vita, quanto male hanno versato, quanto sangue hanno versato”. Dopo uno di questi momenti di preghiera che facevamo, un giorno, siccome lui stava per uscire dal carcere, gli dissi: “Guarda, voglio chiederti se posso farti un segno della Croce sui palmi delle mani. Non è una benedizione perché io non posso benedire (non ero Sacerdote) è un’invocazione (e questo lo possono fare tutti) voglio invocare Gesù Crocifisso sulle tue mani, perché tu non abbia mai più a macchiarle”.  Lui acconsentì, e uscì dal carcere. Per diverso tempo non ebbi più modo di vederlo. Un giorno lo rividi e mi disse: “Giorgio, devo raccontarti una cosa che mi è successa, non posso morire senza avertela raccontata”. Un pomeriggio di una domenica era andato da lui un gruppo di persone che minacciò lui e i suoi amici e in lui si risvegliò l’uomo vecchio. Siccome lui era all’interno di una comunità e lavorava in macelleria — purtroppo lo avevano messo a lavorare in macelleria, che era proprio l’ultimo posto dove metter un uomo così — lui perse il bene dell’intelletto e disse: “Vieni fuori con me”. E portò questo tizio all’interno del luogo della macelleria, della comunità. Lì, questi continuò ad inveire e a minacciarlo e quant’altro. Lui mi disse: “Io non capì più niente, allungai una mano e presi uno scannatoio”, che è un coltellaccio enorme, gigante, affilatissimo che usavano per scannare le bestie “ed ero deciso interiormente a farla finita, non mi interessava né carcere, né niente, non lo sopportavo più e lo volevo uccidere. Presi in mano questo scannatoio ma, nel momento in cui l’ho preso in mano e stavo per colpire, appena ho afferrato lo scannatoio ho sentito un fuoco, un bruciore terrificante alla mano, tanto che l’ho dovuta aprire e il coltello è caduto per terra. E lì mi sono ricordato di quella cosa che tu mi avevi fatto, quella della Croce sulle mani, e la cosa è morta lì. Abbiamo un po’ litigato…”

Lui si è spaventato per questo bruciore enorme che aveva avvertito alla mano, quell’altro che aveva visto la scena rimase anche lui un po’ sconvolto e quindi la cosa si concluse così. 

Dio le usa tutte. Quando lo chiamiamo in causa e quando chiediamo al Signore di aiutarci Dio veramente risponde alle nostre preghiere.

Facciamo questo patto, come dice don Alberione, con qualcuno, e il patto deve essere questo: chiamiamo in causa Dio (non serve giurare, è un patto sacro, basta questo, è un’alleanza sacra) e diciamo: 

“Al cospetto di Dio facciamo questo patto, che tu mi avvertirai (e, se anche l’altro accetta) facciamo il patto di avvertirci reciprocamente, nel caso in futuro ci dovessimo trovare in uno stato di malattia grave: io avverto te e tu avverti me. Non ci possiamo permettere l’uno all’altro di accostarci in modo incosciente alla morte, quindi se tu saprai che io sto per morire, che io ho un male brutto, che ho fatto un incidente e mi rimane poco tempo, che sono stato ferito in guerra, qualunque cosa, non dirmi che andrà tutto bene se tu vedi che sto morendo, questo patto sacro, ci impone in quel momento di dire: «Stai per morire. Devo onorare il patto e quindi ti avviso che, non so dirti quando, ma a breve morirai. Ti avviso che il tumore che hai è un tumore maligno e ho sentito dire, a te non lo dicono, che ti rimangono due mesi, un mese, quindici giorni. Hai un tumore al cervello e ho sentito dire che tra massimo un mese perderai coscienza e poi da lì a breve morirai»” e via di seguito.

Questo è il patto sacro che suggerisce don Alberione. Io ve lo consiglio, non c’è atto di amore, di amicizia più grande di questo, secondo me, perché è il modo migliore con il quale possiamo usare gli ultimi giorni o minuti o ore, per prepararci all’Incontro.

 Il nostro amico o la nostra amica che sarà lì presente ci aiuterà a non spaventarci troppo, una volta detto, ci darà il conforto necessario. Vedremo domani cosa dovrà fare circa il fatto di chiamare il Sacerdote, vedremo cosa dicevano Sant’Alfonso e Santa Teresa, domani ne parleremo. Ma se il nostro amico onora il patto sappiamo che il Sacerdote sarà lì, non saremo soli davanti a questo momento importante, importantissimo della nostra vita, perché è il momento di passaggio, e il nostro amico o amica sarà anche lui allenato o allenata ad aiutarci a fare questo passaggio nel migliore dei modi. Lei o lui che sarà in salute, sarà colei, colui che andrà a chiamare il Sacerdote, ci darà il Crocifisso, ci procurerà l’acqua santa, farà in modo di farci avere il viatico, l’estrema unzione, l’Eucarestia, la Confessione, lo Scapolare, il Santo Rosario, tutto il necessario finché avvenga bene questo passaggio. 

Questo patto sacro va assolutamente fatto, io ve lo consiglio. E quello che dice il Beato Alberione è di fondamentale importanza. Sceglietevi una data, io sceglierò credo proprio la data del 25 dicembre di quest’anno, userò questi giorni che mi separano per prepararmi a fare bene questo patto, chiederò il Signore di illuminarmi a scegliere le persone giuste per fare questo patto e poi segnatevelo, non dobbiamo dimenticarcelo, lo dobbiamo segnare nelle nostre date importanti, sul nostro calendario, io consiglio di segnarlo per ogni mese, ad esempio se lo faccio il 25 dicembre poi il 25 di ogni mese mi metto un promemoria che mi scatta che mi dice: “Ricordati che tu hai fatto questo patto, te l’hanno promesso Tizio, Caio e Sempronio” e se io lo devo promettere a qualcuno, mi devo segnare la data in cui lo prometto, perché devo tenermelo a mente, non capitasse mai che arriva il momento e me lo dimentico perché non l’ho più ripreso. 

È un patto sacro, un patto importante, un patto fatto davanti a Dio, ci impegna gravemente e non accettiamo questo patto se non siamo in grado di sostenerlo, non accettiamo questa alleanza se non siamo in grado di portarla a termine, perché poi quel giorno dobbiamo mantenerla, perché se non lo facciamo e quella persona muore male, la responsabilità davanti a Dio è tutta nostra, quindi attenzione, meglio non farlo se non ci sentiamo in grado di portare a termine questo compito. È un compito veramente difficile, arduo, ma è un grande atto di carità che il Beato Alberione oggi ci consegna. 

Domani vedremo cosa dice di seguito sul Sacerdote.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Amen

 

 

VANGELO (Lc 18, 35-43)

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

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