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Novena di Natale di don Dolindo Ruotolo

Adorazione dei pastori - Lorenzo Lotto

Dal 16 al 24 dicembre 1914, esattamente cento anni fa, don Dolindo Ruotolo predicò la novena per il Santo Natale nella chiesa della Maddalena ai Cristallini, a Napoli, nel quartiere San Carlo all’Arena. Il libretto che presentiamo contiene gli appunti per la predicazione redatti da don Dolindo in questa circostanza. Le parti incomplete sono state integrate con testi adattati dalle Conferenze tenute da don Dolindo nel 1906 nel seminario di Taranto, dalle Parabole e riflessioni degli anni 1925-1926 e dal Diario della Messa, opere ancora inedite. Al termine della novena si trova una meditazione sul presepe costruito in chiesa, che don Dolindo tenne il 27 dicembre 1914 nella chiesa di san Gennaro a MaterDei, a Napoli.
Nel preparare questo libretto per la pubblicazione, abbiamo voluto intenzionalmente conservare lo stile semplice e diretto utilizzato da don Dolindo nella sua predicazione, uno stile che riusciva così bene a toccare il cuore dei presenti da far quasi loro vedere e toccare, per così dire, il mistero di cui don Dolindo trattava. Proprio la semplicità del linguaggio e la ricchezza d’immagini, come pure quel suo frequente interpellare l’attenzione e la coscienza degli uditori, erano i mezzi efficaci con cui don Dolindo riusciva a instaurare un dialogo fruttuoso con chi lo ascoltava e a suscitare fermi propositi di una vita cristiana più fedele.
Uniti alla sua personale santità di vita, all’orazione incessante e alla dedizione totale al suo ministero sacerdotale, questi mezzi ottenevano abbondanti frutti di conversioni e suscitavano tra i suoi figli spirituali anime cristiane capaci anche di veri e propri eroismi.
Ci auguriamo che, tramite questo scritto, la voce paterna di don Dolindo possa raggiungere anche oggi molte anime e raccoglierle attorno al Bambino di Betlemme, aiutandole a comprendere e vivere il mistero dell’Amore eterno fattosi Uomo per noi.

Gesù, nascendo, ha avuto per fine il cerare noi, poveri peccatori:
noi dobbiamo cercare Lui e salvarci

In questo santo giorno noi ci raccogliamo per me­ditare i grandi misteri dell’amore di Gesù Cristo e per onorare il Santo Bambino. Tutto concorre a intenerirci, intorno a Gesù: Egli si è fatto piccolo piccolo per noi, è nato nel gelo, nella povertà, nella privazione, e ci chiama, o cari fedeli.
Che cosa sei venuto a fare sulla terra, o Gesù, così povero e umiliato? Noi nasciamo tutti quanti con uno scopo e cresciamo per ottenere qualche cosa in questa vita, e Tu perché sei nato, perché hai preso la nostra misera carne?
Gesù è venuto a cercarci, cari fedeli. Eravamo lontani da Lui, nell’impossibilità di ascoltare la sua voce, di partecipare alla sua vita divina, e Gesù è venuto Egli stesso sulla terra, in un eccesso di amore, per cercarci. Ebbene, meditiamo devotamente sul fine che ha avuto Gesù nel nascere: Egli è venuto a cercarci per darci la vita, per redimerci dal peccato. Meditiamo, di conseguenza, sul dovere che abbiamo noi di cercare Gesù Cristo e di essergli fedeli.
Dio benedetto, creando il primo uomo innocente e santo, lo aveva creato traendolo dal nulla e lo aveva arricchito di una grazia soprannaturale che lo rendeva capace di possederlo per tutta l’eternità. Dio aveva dato all’uomo un precetto, mettendolo nel Paradiso terrestre: gli aveva dato ogni libertà, ma gli aveva
vietato di scegliere indifferentemente il bene e il male e, per facilitargli il compito e renderlo capace di merito, aveva sintetizzato questo suo supremo dovere in un atto di obbedienza esteriore, proibendogli di mangiare il frutto di un albero. Quale mirabile armonia regnava in quest’uomo! I sensi erano sottoposti alla ragione e il suo cuore era mirabilmente armonizzato dalla grazia di Dio.
Intanto, la donna si fece miseramente sedurre: credendo di raggiungere più presto l’alto ideale cui era chiamata da Dio, mangiò del frutto proibito e ne offrì al suo uomo. Così ella cadde miseramente e l’uomo si allontanò da Dio, piombando nella sua povertà e nudità naturale. Si era accecato, aveva perduto i lumi della celeste sapienza che lo rendevano sublime, aveva perduto quella vita che lo sollevava fino all’eternità. Come un povero viandante caduto in un burrone, rimasto privo di forze a causa di questa caduta, non può risollevarsi da sé, così l’uomo non aveva più la fòrza di salvarsi e aveva bisogno di qualcuno che lo salvasse. I suoi figli, peccatori come lui, non potevano salvarlo, e allora è venuto dal Cielo il medesimo Figlio di Dio e si è fatto piccolo, ha preso la sua carne e la sua miseria proprio per cercarlo nell’abisso in cui era caduto.
Gesù buono si è rivestito della nostra carne, è apparso come uno di noi, non si è fatto riconoscere, ha attirato sopra di sé l’ira dei peccatori, ha sofferto, ha pianto per noi, e piangendo ci ha ritrovati e ci ha abbracciati nuovamente nel suo amore e nella sua misericordia. Solo Lui poteva salvarci, perché solo Lui poteva prendere le nostre miserie senza macchiarsene, essendo la sua Persona la Persona stessa di Dio, e non ha esitato a farlo pur di ritrovarci. Ce lo disse Lui stesso in quella commovente parabola della pecorella smarrita: Egli lasciò al sicuro le novantanove pecorelle e andò per vie aspre e dolorose a cercare quella che si era smarrita e, trovatala, se la pose sulle spalle e la ricondusse all’ovile senza rimproverarla.
Se Gesù è venuto con tanto amore a cercarci,
saremo noi così ingrati da fuggire dalla sua presenza e dal rifiutare l’invito della sua carità? Oggi, specialmente, la maggior parte delle creature redente da Lui lo abbandonano e lo lasciano solo solo: avremo noi il coraggio di seguire ingratamente chi tanto lo offende?
Seguiamo Gesù con la gratitudine e corrispondiamo alle sue grazie e alle sue chiamate di amore. Seguiamo Gesù e cerchiamolo in tutta la nostra vita. Se il mondo o i nemici di Gesù ci offrissero montagne d’oro, ossia il
famoso “pane a quattro soldi”, non siamo così ingrati da seguirli e da abbandonare solo solo il caro Redentore che è venuto a salvarci!

Gesù ci ha cercati perchè ci ha molto amati:
abbiamo dunque il dovere di amarlo

Perché Gesù è venuto a cercarci con tanta premura e si è fatto uomo per noi, cari fedeli? Aveva forse bisogno di noi, che siamo nullità e miseria e che non sappiamo dargli altro contraccambio che ingratitudine e miserie?
Gesù ci ha amati, ecco perché è venuto a cercarci con tanta premura, ecco perché si è adattato alle nostre miserie. Noi lo vediamo piccolo e povero e diciamo: “Dio è forse caduto dal suo trono di gloria?” O “Non poteva stare fra noi conservando la sua grandezza?”. Cari fedeli, se una madre va a cercare il suo bambino nella casa di una donna povera e vi dimora, non vive forse anche lei poveramente, pur essendo ricca, e non deve accontentarsi della misera tavola che quella donna le imbandisce? Se è abituata a mangiare bene, nella casetta povera di quella donna la madre mangia volentieri minestra o pane duro, perché è andata là a cercare suo figlio. Meditiamo ora come Gesù ci ha amato e a quali pene si è sottoposto amandoci.
Noi siamo creature di Dio, anzi, siamo il capolavoro delle sue creature, perché abbiamo la possibilità di possederlo e di partecipare eternamente alla sua vita beata. Ora, come creature sue, dirette a Lui, noi raccogliamo la forza creatrice di Dio e le sue premure; Egli, dunque, ci ama nel più stretto senso della parola. Quando noi amiamo, ci lasciamo attirare dal sentimento di simpatia oppure dalla ragione dell’utilità; invece Gesù, amandoci, non è attirato da un motivo che può essere fugace ed accidentale: è attirato da un motivo sostanziale. Il suo amore è dunque immutabile e persiste nonostante la nostra distanza da Lui e le nostre limitazioni. Gesù Cristo, come Dio, è la seconda Persona della SS. Trinità, è l’Infinita sapienza per cui tutto fu fatto; Egli, dunque, ci ama per ragione del Padre suo. Il suo amore è infinito. È venuto a cercarci amandoci, quindi si è sottoposto a tutte le nostre miserie: si è fatto uomo, è nato povero, è stato afflitto, si è fatto immolare per noi.
Chi non si sente commuovere dinanzi a questo spettacolo di amore? Noi vediamo ora, in questa Messa che si celebra mentre vi predico, tante anime che ricevono Gesù: esse lo possono ricevere perché Gesù le ha amate e perché il suo Cuore non ha avuto confini in quest’amore. Saremo ancora così freddi da dare a Gesù buono solo le nostre miserie, da non dargli almeno un sospiro di amore? Niente possiamo dargli, solo un po’ di amore è in nostro potere… Diamogli dunque amore. Sì, Gesù caro, ci hai amati tanto e siamo ancora così ingrati con te! Misericordia di noi, caro Gesù, bruciaci di amore!

Gesù si è incarnato per glorificare Dio e, come conseguenza diretta, per darci la pace

Giudicando dalla nostra miseria e nullità, noi crediamo che Gesù Cristo nel farsi uomo abbia avuto solo uno scopo limitato a noi e che abbia voluto solo liberarci dal peccato. Invece non è così, cari fedeli. Gesù è venuto per uno scopo più vasto e universale. Egli, che è Dio come il Padre e che è la Sapienza increata per cui tutto fu fatto, è venuto a restaurare tutto nel suo Sangue prezioso, per dare a tutto la vita di una carità infinita e per sollevare tutto l’universo al cielo in un inno di gloria a Dio. È venuto, per conseguenza, a dare pace agli uomini di buona volontà, cioè a quegli uomini che abbracciano volentieri le sue direttive di amore, che apprezzano la via da Lui tracciata e che sanno gustare quanto sia dolce darsi totalmente a Dio. Meditiamo pertanto su questo fine così sublime che ha avuto Gesù buono.
Nel creare l’universo, Dio diffuse fuori di sé la sua bontà. Questi piccoli atomi, che vennero fuori come scintille di quell’infinito incendio di vita, non potevano starsene soli o appartati; essi, come diffusione di bontà divina, dovevano
ritornare a Dio e cantargli amore. Ma come può una creatura effondersi in Dio senza essere degna di Lui? Ciò che è creato è fuori di Dio, ciò che è nel Cielo è come una nuova ricchezza di Dio, benché accidentale, perché è la sua gloria ad extra, nessuna creatura può dunque tornare a Dio senza la forza divina che la renda degna di Lui. Ecco il grande mistero dell’Incarnazione: Gesù viene, si umilia, si fa uomo, unisce l’umana natura con la sua Persona divina e per conseguenza rende divine le opere dell’umanità. Ecco la gloria di Dio.
Questo nostro cuore, quando si congiunge ai suoi fini, diventa equilibrato in Dio stesso, diventa sereno e calmo: ecco la pace. Noi siamo pieni di affanni perché non viviamo della divina Volontà. Se cercassimo sempre ciò che piace a Dio, saremmo in una pace arcana. Siamo pieni di timori perché non confidiamo in Dio e nella sua Volontà; siamo pieni di agitazione, perché non abbiamo fede nella Volontà di Dio che tutto regge e tutto dispone.
Non vi è una felicità superiore a quella dei Santi, anche sulla terra. Non vi è felicità più bella quanto quella di glorificare Dio. Dire sempre “Gloria a Dio”, “Dio sia lodato”, “Sia benedetto Dio” significa vivere in Lui e riposare in Lui. Significa assomigliare a Gesù che, come Verbo di Dio, è la glorificazione infinita di Lui. Cari fedeli, non è vero che sulla terra non ci possa essere pace e felicità; la felicità è come un campo fiorito, al quale si accede per un tunnel oscuro. Rinunciamo al mondo, al peccato, alle illusioni del male, camminiamo coraggiosamente su questa via stretta e ci troveremo nel campo della pace.

La santa semplicità. Perchè Gesù è nato povero

Lascio alla vostra pietà il meditare tutte le virtù di cui Gesù vi dà luminoso esempio nel santo presepe. Non posso però non suggerirvi due virtù che sono necessarissime, virtù che Gesù c’insegna con la sua medesima persona: la santa semplicità e la povertà.
Ci sono forse persone più semplici dei bambini? Chi non li ama proprio per quel loro candore che li fa parlare e agire come sentono? Ascoltate la parola di Gesù: Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3). Se tutti i fanciulli sono i nostri modelli, non deve essere il Bambino Gesù il nostro primo modello? Mettetevi dunque dinanzi agli occhi questo divino Bambinello e ricopiatelo in voi. Siate semplici nelle intenzioni, ossia nei motivi che vi spingono a operare; operate sempre per Dio, abbiate sempre Dio innanzi agli occhi, non profanate le azioni più sante con intenzioni indegne, come l’essere veduto, stimato, applaudito. Un’altra virtù che risplende nella Persona del divino Bambinello è la povertà. Quando noi meditiamo sulla nascita di Gesù e consideriamo la sua grande povertà, potremmo dire: “Come mai Dio si è ridotto così, avendo a sua disposizione il cielo e la terra?”.
È debolezza, la sua povertà, oppure è misteriosa grandezza? Cari fedeli, non immaginiamo che Dio abbia potuto essere sopraffatto dalla nostra miseria, e che la sua povertà sia stata prodotta dalla miseria dell’uomo che lo scaccia e gli nega un riparo. No; questa piccola creatura umana non avrebbe potuto minimamente sopraffare il suo Dio. La povertà del Verbo Incarnato ha un significato più alto ed è per noi la redenzione del più tenace e più basso dei nostri sentimenti: il sentimento dell’avarizia e della ricchezza.
Gesù Cristo ha preso la nostra carne per glorificare Dio e per salvarci. Egli, dunque, con la carne umana ha assunto le sue miserie e le sue sofferenze. La povertà che lo affligge non è quindi che l’effetto del suo amore e della sua Volontà. E poi, di quali ricchezze avrebbe potuto adornarsi Dio? Qualunque fasto lo avrebbe degradato, perché lo avrebbe ridotto al livello di un po’di oro o di un drappo prezioso. Gesù, dunque, non poteva mantenere la sua potestà e la sua grandezza senza circondarsi di povertà. Un drappo ci avrebbe impressionati, ma avrebbe ridotto Gesù come uno di noi.
O mistero di povertà! Gesù non si riduce come i poveri, ma si riduce peggio degli animali: Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo i loro , disse Egli stesso, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo (Lc 9,58).
Chi di voi mi darà dei pannicelli per avvolgere il mio caro Gesù che muore di freddo? Chi di voi mi darà legnetti, affinché io li bruci per riscaldare quella grotta gelata? Chi mi darà un nascondiglio nella sua casa, un luogo qualunque, perché io vi adagi il mio Dio e lo tolga dalla vista dell’asino e del bue?
Cari fedeli, Gesù è venuto a salvarci, e qual è il grande ostacolo alla nostra salvezza? È la cupidigia, il desiderio di possedere, che ci distoglie dai desideri del Cielo e ci rende in realtà più poveri di prima. Esaminate le condizioni dei ricchi: si riducono come insensati, desiderano maggiori ricchezze, non sono mai contenti di nulla.
Gesù si è fatto povero, e chi potrà ardire di aspirare alle ricchezze?

Gesù viene a darci la sua misericordia e la vera felicità. Confessiamoci bene

Il divin Redentore è venuto a portarci la vita, ma come possiamo noi accogliere questa vita divina, se siamo pieni di miserie e di peccati? La preparazione essenziale per il Santo Natale, dunque, è quella di togliere dal nostro cuore questa miseria con la misericordia che Gesù viene a portarci. Abbiamo il grande tesoro della Confessione e non possiamo far passare questa novena senza usufruirne e senza ritornare nelle braccia di Gesù, che misericordiosamente ci chiama e che viene fra di noi piccolo piccolo per renderci più facile il pentimento e per donarci il perdono. Meditiamo, dunque, sulla misericordia di Gesù Cristo e lasciamoci abbracciare da Lui.
Gesù Cristo ci disse chiaramente qual era lo scopo per il quale si era fatto uomo: Io sono venuto a cercare i peccatori, e voglio la misericordia e non il sacrificio (Mt 9,13). Ecco le caratteristiche della misericordia di Gesù: Egli si fa piccolo, tace ma parla nel profondo del cuore; ci attira con la compassione e geme, e gemendo fa cantare agli angeli del cielo gloria e pace per sollevarci. Gesù misericordioso non ha preferenze per nessuno, salvo che con i peccatori, ai quali dà il suo Cuore, il suo Sangue, i suoi sacrifici, tutto se stesso.
Saremo così stolti da resistere a queste voci di misericordia? Guardate Gesù vivente nell’Ostia Santa: Egli v’invita. Voi lo avete cantato poco fa: «Il mio cuore non tarda più, vieni a nascere, o mio Gesù!». Come può nascere, Gesù, se non purificate l’anima con una santa confessione?
Con una buona confessione, cari fedeli, nel cuore entra la grazia, e quindi Dio, che lo conduce sulle vie della giustizia e della santità. Voi dovete mettere ogni impegno, in questi giorni, nel fare una buona confessione. Quale bontà, infatti, non ci mostra Dio in questo Sacramento? E Cristo stesso che per noi si rende sapienza, giustizia, santificazione e redenzione. Si rende sapienza, perché ci fa comprendere il male operato; giustizia, perché ci dà la grazia del pentimento; santificazione, perché cancella da noi qualunque peccato; redenzione, perché ne paga il prezzo alla giustizia infinita di Dio col suo Sangue medesimo. Quale bontà!
L’assoluzione è anche una medicina per preservarci in avvenire da qualunque colpa. Molti si lamentano che non possono stare in grazia di Dio: “Padre, che volete? Io sto nel mondo, i pericoli sono pressanti, come non cadere in peccato? E poi la mia natura mi spinge al male in modo che io mi avvilisco e non posso resistere a tanti moti disordinati”.
Cari miei, non li sentivano pure i Santi, questi moti disordinati? Come si premunivano essi contro la debolezza della natura, se non armandosi con quest’arma di salute, se non confessandosi bene? Lo so che voi non potete resistere alle attrattive del mondo, agli stimoli della carne, alle tentazioni del demonio: quando nel cuore non c’è Dio, vi deve essere necessariamente il demonio!
Se si facesse buon uso di questo Sacramento, esso, anziché essere una semplice tavola nel naufragio, si trasformerebbe in una bellissima nave, su cui si potrebbe agevolmente navigare al beato porto dell’eternità. Sì, una nave bellissima, perché questo Sacramento è stato istituito anche per aprire e facilitare la via della perfezione, e la apre e la facilita di fatto a chi ne fa buon uso.
Amate voi la vostra felicità? Amate quella pace dolcissima che vi fa pregustare le gioie del cielo? Voi dovete confessarvi bene. Solo con una buona confessione si distrugge dal cuore il maledetto germe dell’infelicità: il peccato.

Nascendo e partecipando alla nostra vita, Gesù ci da le più efficaci lezioni sulla realtà della vita terrena

Disgraziatamente noi manchiamo di sapienza proprio in quello che più ci è necessario, ossia nel concetto della nostra vita presente. Infinito è il numero degli stolti (Ecclesiaste 1,15), ha detto lo Spirito Santo, e gli stolti sono quelli che si fanno illudere dai sogni di questo mondo, che è un ammasso di menzogne e di tradimenti. Ebbene, Gesù, Sapienza per essenza, nasce come uno di noi e ci disinganna eloquentemente, mostrandoci nelle vicende della sua nascita che cos’è questo mondo e questa vita. Meditiamo su questa grande lezione che ci dà Gesù, e approfittiamone.
Gesù nasce povero, e a Maria poverella nessuno dà ricovero. Il mondo dà ricovero e applaude solo quando può guadagnare su di noi e sfruttarci. Gesù viene a darci la vita, e nessuno lo riconosce: il mondo ama la stoltezza e l’inganno. Quando Gesù si manifesta veramente come Messia attraverso gli angeli, la stella e i Magi, tutta Gerusalemme si agita: il mondo fìnge di amare la verità, ma quando la trova la rigetta. Nessuno del mondo ha avuto contatto con Gesù Cristo: Egli è stato nascosto per trent’anni e nessuno si è curato di conoscerlo. Eppure si era parlato di Lui per tutta Gerusalemme, quando era nato. Il mondo scaccia Dio da sé perché vuole peccare senza rimorso e senza rimproveri.
Gesù nacque nel cuore della notte, nacque nel freddo più intenso; e quale notte buia di errori stravaganti non era nel mondo? L’uomo aveva smarrito quasi totalmente l’idea della sua nobiltà e si era ridotto come gli animali insipienti privi di intelletto. Ebbene, il Verbo di Dio si presenta al Padre suo celeste e si offre a venire sulla terra per ridargli quella gloria e quell’onore che gli era stato tolto dal maledetto peccato, per procurargli veri adoratori in spirito e verità: Eccomi, manda me! (.Is 6,8). Manda me: dove, Gesù mio caro? Forse tra lo splendore dei Santi, accompagnato da tutta la Corte celeste, per essere da tutti adorato e benedetto? No! Mandami sulla terra, mandami in una grotta esposta a tutte le intemperie, mandami dal soglio della gloria su
poca paglia, in una mangiatoia…
Vedetelo nella sua povera culla, contemplatelo nella grotta, il Bambinello Gesù… Come sei caro, Bambin divino! Dimmi, che cosa fai in un letto così duro? Lo so: Tu ti sacrifichi per l’onore del tuo Padre celeste. La mangiatoia è la prima Croce sulla quale ti adagi, la paglia che punge le tue tenerissime carni sono i primi flagelli, i primi chiodi che ti trafiggono!
Che confusione il vedere nel presepe di Gesù due animali che lo riscaldano, il bue e l’asinello! Ed io dove sono, o Gesù? L’orgoglio non riscalda ma agghiaccia, e l’irruenza non porta il calore ma l’incendio che distrugge. Voglio essere perciò umile e mansueto vicino alla tua culla e riscaldarti così con l’amor mio!
Cari fedeli, Gesù, Sapienza infinita, non ha preso nulla dal mondo: ha rifiutato i suoi beni e si è fatto povero, perché i beni del mondo sono ignominie; ha rifiutato i suoi onori e si è nascosto nell’umiliazione, perché gli onori del mondo sono spine e inganno; ha combattuto le sue massime, perché le massime del mondo sono stoltezza. Non ci facciamo illudere noi pure dal mondo; grazie a Gesù Cristo, guardiamo serenamente alla realtà della vita e seguiamo Lui, che è tutto!

Gesù è Principe di pace e viene a portare la pace nei cuori e fra gli uomini

I fini che ebbe il nostro amabilissimo Salvatore nell’incarnarsi e, quindi, nel nascere, non potevano essere meglio delineati da quella moltitudine della milizia celeste che fece echeggiare dei suoi canti la sacra notte del Natale: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Tali fini sono la glorificazione di Dio e la redenzione dell’uomo e, con la redenzione, la pace.
Dio diffonde sempre su di noi la sua bontà e la glorificazione di Dio porta con sé il bene del prossimo, il bene dell’uomo: pace in terra agli uomini di buona volontà. Guardate alla culla di Gesù, sentite il canto degli
Angeli. Che altro viene Egli a fare nel mondo, se non a donarci la pace?
Per dare agli uomini quella pace che il mondo non può dare, quella pace vera, sentita, che nessuno può togliere, Egli comincia col distruggere i nemici della pace, cioè il peccato e le contraddizioni esterne, ossia le lotte che si hanno con gli altri. Il peccato è il più gran nemico della vera pace, poiché disturba l’equilibrio delle creature con Dio. Quale pace potranno mai avere i peccatori? Essi si slanceranno nel mondo, essi vorranno bere sino alla feccia il calice dei piaceri mondani, ma non c’è pace per i malvagi (Is 48,22): essi non fanno che dar di leva al peso che li travolge nell’abisso.
Il peccato: ecco la tignola che rode nel nostro cuore
questo elemento che ne forma la vita, ecco il serpente schifoso che lo avvince.
Gesù: ecco il Bambino valoroso che lo strozza fin dalla sua culla, ecco l’Agnello che toglie i peccati dal mondo. Voi vi meraviglierete che io parli già di distruzione di peccato, perché sapete che Gesù lo distrusse sulla Croce; eppure riflettete che la Croce dipende dalla culla di Betlemme. Col solo offrirsi al Padre, col solo assumere l’umana carne Egli consumò quel sacrificio che durò, in conclusione, tutta la vita. Dio sentì il dolce profumo della giustizia e quindi della pace e, come aveva predetto, lo fece annunziare dagli angeli: Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace (Sai 72,7).
Non basta, però: un altro elemento della pace è l’unione con i propri fratelli, ossia la tranquillità esterna, l’esenzione dalle lotte. Come riesce a far questo, Gesù benedetto? Istillando nel cuore la carità fraterna.
È la prima parola che il Bambinello dice dalla sua culla: “Amatevi come Io vi ho amati (Gv 15, 17), fino a ridurmi in questo stato per voi”. E questo invito, eloquentissimo perché pratico, fu compreso, e fu compreso persino da un mondo egoista anziché caritatevole.
In questo mondo viene il Principe della pace e comincia a dare l’esempio dell’amore più disinteressato e più generoso: Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito [Gv 3,16). Egli è là nella culla, tutto tremante dal freddo, ma per chi trema? Trema per me, trema per il ricco, trema per il povero, trema per lo schiavo. Quale soffio potente di carità, quale calore capace di fondere insieme gli elementi più contrari! Sì, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (Rm 5,5), e con l’amore la pace. Nella persona più abietta della società, prima io non vedevo che una cosa quasi inanimata; ora che il Dio del Cielo e della terra si è reso come uno di loro, perché da ricco che era si è fatto povero per voi (2Cor 8,9), io in essa imparo a rispettare Lui stesso. Dal rispetto viene fuori la concordia, dalla concordia, naturalmente, la pace: pace in terra agli uomini di buona volontà.

Le virtù di Gesù Bambino: umiltà e obbedienza

Date un secondo sguardo a Gesù Bambino: da quella culla partono tanti raggi luminosi di elette virtù, proprio di quelle virtù che voi dovete coltivare. Cominciate a meditare su questo mistero di amore.
Che cosa vi colpisce anzitutto? E l’abbassamento, è l’umiliazione. Dio si riduce a tanto da assumere l’umana natura; l’Illimitato si chiude in confini; l’Eterno si rende temporale; l’Onnipotente si rende debole, e debole come un bambino; il supremo Signore di ogni cosa si sottopone alle sue creature: quanta umiltà, Gesù mio!
Dov’è dunque la corte che gli dovrebbe rendere gli onori dovuti? Io non vedo vicino a Lui che una pura Vergine, che lo guarda tacendo e contemplando: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore {Lc 2,19). Io non vedo che un povero artigiano, e poi… una compagnia tale da far paura a qualunque bambino: un bue e un asinello!
È la reggia di Salomone, quella in cui Egli nasce? O Gesù mio, mi volto intorno e vedo solo una grotta! Si pieghi la superbia umana dinanzi a Dio, annientatosi per distruggerla; essa, che si vuol far riconoscere dal fasto e dalla grandezza, venga ai piedi di questa grotta misteriosa e si annulli nella polvere, mentre Dio stesso, fattosi uomo, non si fa riconoscere che dall’umiliazione.
Voi, cari fedeli, vedendo un Dio tanto umiliato, non vi sentite spronati ad essere umili? Che cosa siamo mai, se non un pugno di vile polvere superba e nient’altro? Non riflettiamo che la maledetta superbia è la tignola dei beni dello spirito e tenta sempre di pervaderli con la sua corruzione?
Sì, solo l’umiltà ci condurrà nelle vere vie della virtù; solo l’umiltà ci darà quei due concetti essenziali per chi vuol vivere bene, cioè ci farà conoscere chi siamo noi e chi è Dio. Conosceremo noi stessi per metterci dove meritiamo, così da accettare quel che meritiamo; conosceremo Dio per amarlo e servirlo fedelmente.
Ma in qual modo si umiliò Gesù Cristo, quale fu l’atto più bello della sua umiltà? Sentiamolo dall’Apostolo san Paolo: umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil2,8). Ecco la virtù che sgorga naturalmente dall’umiltà, anzi, che sta in correlazione con essa: l’obbedienza.
Quanta obbedienza non dovete voi ammirare in quel caro Bambinello? Lo disse quando, già adulto, insegnava per le vie della Galilea: Io sono venuto non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38). Fu appunto questa virtù che lo fece esinanire, perché gli tolse la volontà propria e ciò che ne deriva, gli tolse tutto: svuotò se stesso (Fil 2,7). Fu questa virtù che lo muoveva in ogni atto: Faccio sempre le cose che gli sono gradite (Gv 8,29).
Cari fedeli, guardatelo nella mangiatoia il vostro Dio, umiliato per obbedienza! È un bambino, vedetelo, Egli è suddito, eppure è il Re dei cieli! Maria lo prende, lo avvolge in pochi pannicelli, lo mette in una vile mangiatoia, ed Egli vi sta e si rende come la lima nella mano del fabbro: stava loro sottomesso (Lc 2,51).
Gesù sapeva che quell’atto solenne con cui Egli si era messo nelle mani del Padre suo celeste, dicendo: Ecco, io vengo, lo avrebbe condotto ai dolori più acuti, ai flagelli, alle spine, all’ignominiosa morte della Croce. Ma il sacrificio non è forse la necessaria conseguenza dell’obbedienza? Obbedire vuol dire sottostare a quanto dispone chi ha il potere, ossia sacrificare tutto, assolutamente tutto.
Mettetevi con impegno a nutrire nel vostro cuore queste virtù delle quali Gesù Bambino vi dà un luminoso esempio. Con la santa purità scuoterete da voi la materia e vi renderete spirituali; con l’umiltà glorificherete Dio perché gli darete quella gloria che è solo sua e procurerete a voi e agli altri la pace, perché metterete tra voi e Dio l’ordine più perfetto; con l’obbedienza voi potrete combattere ordinatamente e seguire gli ordini di Dio; col sacrificio supererete tutti gli ostacoli; con la povertà vi staccherete dal mondo; con la semplicità converserete con Dio e così, glorificando Dio e dando pace alla povera umanità in terra, voi potrete sperare di cantare in Cielo l’inno eterno dell’amore e della pace. Così sia.

Vigilia del Natale. Nella solitudine di Maria.
Vieni, Gesù, nasci di nuovo in questa povera terra, o Principe della pace

Se pensiamo alla Mamma nostra dolcissima che sospira al Redentore ci sentiamo come avvolti da un’aura di silenzio e di solitudine. Ella guardava al mondo e rimaneva afflitta per lo stato nel quale esso si trovava; guardava al suo popolo e ne era desolata. Pregava, pregava sospirando al regno di Dio e si offriva tutta in olocausto di riparazione e di amore.
Non viviamo anche noi in un mondo paganeggiante e fra tante anime che non conoscono la loro meta eterna? Quanti orrori nella terra, quanti deliri contro la Chiesa, quanti impazzimenti da manicomio! Verrebbe lo scoraggiamento, se non ci fosse la grande speranza: Leva i tuoi occhi, o Gerusalemme, o santa Chiesa di Dio, e vedi la potenza del Re; ecco che viene il Salvatore a scioglierti dai vincoli coi quali t’hanno legata, ci fa cantare la Liturgia.
Sono in pena grande per lo stato del mondo e mi raccolgo tutto nella santa solitudine di Maria, pregando con Lei. Mi unisco al tuo Cuore, o Maria, o Colomba solitaria nella tua casetta.
L’Avvento è tutto illuminato e profumato da te, Regina del Cielo, è il tempo consacrato dai tuoi sospiri, è come la tua Quaresima, dominata dall’aspettazione: Veni Domine, e dall’esultanza: Alleluia. È il tempo consacrato alla tua Maternità divina, e noi ci uniamo al tuo amore e col tuo ardente desiderio chiamiamo Gesù sulla terra, perché venga il suo regno.
La vigilia del Natale è vigilia di amore nell’attesa del Re divino, sposato all’umanità. Egli viene in un mondo corrotto per salvarlo, viene alla sua Chiesa per sostenerla nelle lotte e consolarla, viene alle anime che lo invocano affinché le rinnovi.
Verbo divino, generato dal seno dell’eterno Padre, che nascesti per soccorrere il mondo nella pienezza dei tempi, illumina ora le nostre anime, infiammale del tuo amore, distaccale dalle cose caduche, riempile delle celesti delizie e salvale eternamente. Sospiriamo a Te che devi venire, ti adoriamo e ci uniamo ai sospiri e ai desideri di Maria Santissima quando, con il suo ardente Cuore Immacolato, ti chiamava dal Cielo.
Vieni, Gesù, disperdi i perversi e dà alla tua Chiesa la vittoria e la pace, affinché ti serviamo con perfetta libertà.
Vieni, Signore, riforma tu i nostri poveri pensieri.
Vieni, ammantaci di giustizia fra tanto dilagare di crudeltà.
Vieni, donaci la purezza.
Vieni, santifica i nostri dolori nella tua Volontà.
Vieni, donaci come stola di gloria un perfetto carattere cristiano.
Vieni, sottomettici alla tua Legge con amore di figli, affinché siamo degni di servirti, amandoti.
Vieni, Gesù dolcissimo, e come Tu ti sei rivestito di umana carne nel seno di Maria, così rivesti noi, poveri peccatori, di Te.
Vieni! Tu puoi trasformare questa povera vita in ricchezza divina. Non si cambiano persino le sostanze con l’aggiunta o la sottrazione di un solo elettrone? Il piombo può diventare così oro purissimo.
Vieni, aggiungiti a noi e saremo oro, sottraici dalla miseria che ci opprime e saremo brillanti, fulgenti nella tua luce. Tu hai il segreto di mutare la vita in un’altra, con la tua presenza.
Vieni, portaci con Te in alto nelle vie della fede. Vieni, perdonaci, parlaci, guidaci, donati a noi, riforma Tu questa povera terra oppressa dal frastuono di una vita che non conosce riposo ed è oziosa, che è rivolta tutta al benessere materiale ed è infelice, che tende le mani ai suoi idoli e ne è tiranneggiata, che spera la felicità dalle ribellioni ed erra nelle sue aspirazioni, cadendo nel vuoto!
Tu solo sei tutto per l’uomo, e noi ti chiamiamo, t’invochiamo, ti desideriamo in nome di tutta l’umanità: Vieni, Signore, non tardare, perdona le colpe del tuo popolo.
Amen.

Sul presepe costruito nella chiesa: riflessioni e lezioni

In questi santi giorni del Natale noi siamo presi da una grande tenerezza per Gesù. Il vederlo piccolo piccolo ci commuove tanto che noi non possiamo fare a meno di stargli vicino, di fargli tante premure e di dargli dimostrazioni pratiche di amore. Voi vedete qui questo piccolo presepe e vi soffermate ad ammirarne la costruzione, i pastori ecc.; ebbene, anche questo presepe, che potrebbe sembrare quasi uno scherzo, è un attestato di amore semplice per Gesù. Voi lo sapete che il primo presepe lo costruì san Francesco d’Assisi in un momento di tenero amore per di Gesù; esso, dunque, cominciò ad esistere per l’amore di un cuore tanto infiammato per Gesù Bambino.

Noi pure siamo raccolti intorno al presepe di Gesù e ammiriamo qui l’arte di chi lo ha costruito. Cerchiamo, o cari fedeli, di non considerarlo solo come un divertimento spirituale, perché allora la nostra devozione sarebbe sterile. Anche questo presepe può darci tante lezioni, ed io ve le farò meditare brevemente.

Il presepe ci si presenta come una piccola città, anzi, come un piccolo “mondo”. Voi vedete qui la rappresentanza di quanto vi è sulla terra: monti, valli, piccoli fiumicelli, case disperse sulle montagne e tanto altro. Eccovi in figura tutta la realtà di questo mondo, che ci sembra così grande e così importante da attirarci totalmente e da farci credere che è importante ciò che ad esso appartiene. Dinanzi all’ universo, in realtà, esso è appena un piccolo punto, e dinanzi alla mente sapiente di chi lo considera nella sua realtà è un piccolo “presepe”, dove niente ha importanza duratura ma tutto è di passaggio. Questi piccoli monti, sui quali l’artista ha con tanta cura elevato queste casette e formato questi piccoli “rioni”, si risolveranno fra pochi giorni nella loro realtà: sono un poco di carta dipinta e nulla più, e tali diventeranno. Eppure quale bambino, tra quelli che sono qui presenti, potrebbe supporre che quella montagna, sulla quale vede quel castello, è un ammasso di vecchi giornali?
Ecco l’immagine viva di questo mondo: noi ci viviamo dentro e lo consideriamo da bambini. Il suo movimento, la sua bellezza, la sua luce ci appaiono come l’unico fascino della nostra vita, e molte volte dimentichiamo che qui ci siamo di passaggio e che abbiamo tutti il dovere di perfezionarci, di migliorarci per il Cielo e passare oltre. Verrà anche per il mondo il gran giorno nel quale tutto si sfascerà, e tutto ciò che è stato nel nostro “presepe” apparirà nella sua realtà: un poco di polvere, d’illusione, di fantasmagoria e nulla più.

Che cosa diventano questi pastorelli, ora atteggiati in varie pose e che formano qui come la piccola vita del presepe? Uno ad uno sono tolti dal loro posto e rimessi, quasi sepolti, nelle casse, dove aspetteranno fino all’anno venturo. Voi li vedete qui radunati e ognuno sembra intento alle sue faccende: vi è il cuoco che cucina, la massaia che lava, il pastore che pascola. Eppure tutti hanno un solo scopo reale: adornare la culla di Gesù. Appena Gesù è tolto dal presepe, essi non hanno più nessuno scopo di essere e sono tolti via.
Guardiamo nel mondo come nel presepe. Tutti si muovono per la loro via, ognuno si forma, nel suo “presepe”, un ambiente isolato e sogna una vita di grandezze; eppure tutti ci siamo per un unico scopo: conoscere Dio, perfezionarci, raggiungere Lui. Se togliete dalla nostra vita questa grande realtà, questa realtà oggettiva che tutte le illusioni del mondo e le chiacchiere degli increduli non possono annullare, esso si risolve in nulla. Appena togliete Dio dal nostro “presepe”, i pastori non hanno più scopo, e quelli che non si sono situati qui sulla terra con questo ideale realissimo stanno da anni nelle “casse” della chiesa, hanno i loro atteggiamenti
particolari, compiono le azioni della loro vita, ma non significano niente e non hanno nessun ufficio.
Miei cari fedeli, se è vero, come lo è, che la nostra vita passa velocemente e che noi siamo destinati all’eternità, ogni più piccola azione della vita può diventare reale se è indirizzata a Dio, almeno remotamente nel sentimento del proprio dovere, e se non è indirizzata alla sua gloria e alla nostra vita futura rimane un gesto privo di senso, che può essere più o meno eloquente, ma che non dice mai niente.

Qui vedete i pastorelli in piedi, con le loro belle facce espressive, e dite: “Come mai si sostengono così bene?”. Ne prendete uno, lo sollevate e gli trovate un ferro confitto nel piede. Qualche fanciullo potrebbe dire: “Questo ferro guasta il piede del pastorello!”, e potrebbe strapparglielo. Eppure, appena glielo toglie, invece del ferro rimane il buco e il pupazzetto non si regge più, cade e ricade finché si rompe ed è posto per sempre tra le robe vecchie.Anche noi ci meravigliamo di trovare nella nostra vita qualche cosa che ci sembra un ingombro e un male. Le nostre tribolazioni, le nostre pene, le lotte che subiamo, le contraddizioni che incontriamo nella vita, i dolori ci sembrano tanti “ferri” confitti nel nostro cuore. Vorremmo liberarcene, ma non sappiamo che essi sono la conseguenza logica della nostra instabilità, della nostra miseria. Le prove della vita ci formano, ci mantengono desti, ci fanno stare in piedi e rendono reale la nostra posizione nel mondo, perché noi, in verità, non abbiamo altra realtà feconda di veri beni quanto i dolori.Noi vediamo questi pastorelli così graziosi, eppure se sapeste come l’artista ha “tormentato” il legno in cui li ha scolpiti, per farli così! Per fare quella botte fuori dall’osteria gli è bastato un giro di tornio, ma performare un pastorello ha dovuto lavorare assai. Quando noi ci vediamo tribolati, è segno che siamo “legno” un poco duro, che opponiamo alla misericordia di Dio la resistenza delle nostre grandi miserie, ed è segno cheDio vuol fare di noi qualche cosa di più bello e di più perfetto. E stato forse crudele l’artista che ha lavorato il pastorello? No, perché la resistenza che ha trovato è stata il frutto logico dello stato del povero legno.Ogni cosa buona costa lavoro, contraddizione e lotta, perché è perfezionamento. Come il fanciullo che è amato dal padre è tolto dal divertimento e messo a studiare, dove si trova fuori delle sue aspirazioni naturali e soffre; come il mercante che vuole arricchirsi in realtà deve farsi povero e stentare, così noi, quando ci vediamo a disagio nella vita, dobbiamo dire: “Dio mi ama di più e vuole formare di me una creatura più bella e più perfetta”. Noi siamo meschini e l’urto contro le nostre piccole idee ci fa soffrire, ma sarebbe stoltezza il preferire di restare come un legno grezzo sotto il bancone dell’artista e non rappresentare nulla nell’unica Vita che è realtà eterna!

Anche per noi viene la fine del nostro “presepe”: tutte le nostre pianure e le nostre valli, la piccola città, il piccolo mondo di aspirazioni, di persuasioni e di fantasie che ci siamo formati nella vita si troveranno dinnanzi alla grande realtà della morte: un pastore fatto bene ed artistico è riposto accuratamente, quando è tolto dal presepe; una tavola o una botte è gettata alla rinfusa nella cesta vecchia.

Cari fedeli, beato chi in punto di morte può trovarsi sereno nella coscienza e perfezionato nel cuore! Il mondo sparisce e solo l’eternità rimane per noi l’unico tutto. Se ci troveremo bene in quel punto e perfezionati dal compimento dei nostri doveri, noi ci vedremo accuratamente riposti nella gloria eterna dalla bontà di Dio. Così sia.

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