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Le omelie del S. Curato d’Ars: il giudizio temerario

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«Ti ringrazio, mio Dio, perchè non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, e adulteri, nè come questo pubblicano»
(Luca 18,11)

Tale è, fratelli miei, il linguaggio dell’orgoglioso, il quale, essendo pieno della buona opinione di se stesso, disprezza, col pensiero, il prossimo, censura la sua condotta, e condanna le azioni che sono compiute con le intenzioni più pure e più innocenti.

Egli non trova nulla che sia ben fatto nè ben detto, se non ciò che fa e dice lui stesso.
Lo vedrete sempre attento alle parole e alle azioni del suo vicino e, alla minima apparenza di male, senza fermarsi a esaminare, lo biasima, lo giudica, lo condanna.

Ah! maledetto peccato, quante divisioni produci, quanto odio, quante discussioni, o, per meglio dire, quante anime trascini nell’inferno!

Sì, fratelli miei, noi vediamo che una persona che sia soggetta a questo peccato, si scandalizza e si sconvolge per qualunque cosa.

Bisognava proprio che Gesù Cristo giudicasse questo peccato alquanto cattivo, a causa della distruzione orribile che produce nel mondo, dal momento che, per incuterci il più grande orrore possibile, ce lo dipinge in una maniera così chiara e vivace, nella persona del fariseo.

Ah! fratelli miei, quanto grande e quanto orribile è il male che questo maledetto peccato trascina con sè!

Oh! com’è difficile correggersi, per colui che ne è contagiato!…

Per impegnarvi, fratelli miei, a non lasciarvi mai dominare da un difetto così malvagio, io vi mostrerò, meglio che posso:
1°- in cosa consista;
2°- quali mezzi dobbiamo impiegare per esserne esenti.

In primo luogo, affermo che il giudizio temerario è un pensiero o una parola di disapprezzamento, sul conto del prossimo, basandosi su apparenze superficiali.

Esso non può derivare da altro, se non da un cuore malvagio, pieno di orgoglio o di invidia, poichè un buon cristiano, che è profondamente convinto della sua miseria, non pensa e non giudica male nessuno; mai, almeno, senza avere una conoscenza certa, e solo se è obbligato dal dovere di vigilare su certe persone, altrimenti, mai (si riferisce a chi ha la responsabilità di una famiglia o di una comunità, o di qualche persona in particolare; n.d.a.).

Noi diciamo, fratelli miei, che i giudizi temerari, prendono origine da un cuore orgoglioso o invidioso, ciò che è molto facile da comprendere.

Un orgoglioso o invidioso, ha una buona opinione solo di se stesso, e pensa male di tutto quello che fa il suo prossimo: il bene che scorge nel suo prossimo, lo affligge e lo rode.

La Sacra Scrittura, ce ne offre un bell’esempio nella persona di Caino, il quale volgeva in male tutto ciò che il fratello faceva.
Vedendo che quello risultava gradito a Dio, concepì l’oscuro disegno di ucciderlo.

Fu il medesimo peccato che indusse Esaù a voler uccidere suo fratello Giacobbe: trascorreva il suo tempo a spiare ciò che faceva, pensando sempre male nel suo cuore, e in tutto ciò che faceva non scorgeva mai una buona azione.

Ma il suo buon fratello, Giacobbe, che aveva un cuore buono e uno spirito umile, non pensava affatto male del proprio fratello: lo amava con tutto il cuore, pensava sempre bene di lui, scusava ogni sua azione, sebbene malvagia, anche quando quello non cercava altro che di togliergli la vita.

Giacobbe faceva tutto quello che era in suo potere, per cambiare le disposizioni del cuore di suo fratello.

Pregava il buon Dio per lui, gli faceva perfino dei regali, per mostrargli che lo amava, e che non nutriva affatto i pensieri che Esaù sospettava.

Ahimè! fratelli miei, com’è malvagio, in un cristiano, questo peccato, che non può soffrire che ci sia del bene negli altri, e perciò volge in male tutto quello che gli altri fanno!

Sì, fratelli miei, questo peccato è come un vero roditore (nel senso di un topo o simile; n.d.a.), che divora notte e giorno queste povere persone: voi le potete vedere tutte tristi, dispiaciute, senza nemmeno voler dire che cosa le opprime, altrimenti il loro orgoglio ne rimarrebbe ferito.
Questo peccato le fa morire a poco a poco.

O Dio mio! che triste vita!
Ma quale vita è più felice, fratelli miei, di quella di colui che non è affatto soggetto al giudizio malevolo verso il prossimo, e che volge tutto in bene?
La sua anima è nella pace, egli non pensa male di nessuno, se non di se stesso, e perciò si umilia davanti a Dio e spera nella sua Misericordia.
Eccovene un bell’esempio.

Leggiamo nella storia dei Padri del deserto, che un religioso, che aveva condotto una vita tra le più pure e più caste, fu attaccato da una malattia, a causa della quale sarebbe morto.

Mentre era moribondo, e tutti i religiosi del monastero erano attorno a lui, il superiore lo pregò di dire loro in che cosa egli credesse di essersi reso più gradito a Dio.

«Padre mio, rispose quel santo religioso, ciò mi procura molta pena, ma, per obbedienza, ve lo dirò.

Fin dalla mia infanzia, ero stato incalzato dalle più scabrose tentazioni del demonio; ma, quanto più quello mi tormentava, tanto più il buon Dio mi consolava, al punto che la santa Vergine, la quale, un giorno che ero molto tormentato dal demonio, mi apparve tutta piena di gloria, cacciò il demonio e mi incoraggiò a perseverare nella virtù.

Al fine, Ella mi disse, di renderti più agevole la cosa, ti svelerò qualcosa dei tesori immensi del mio divin Figlio.
Voglio insegnarti tre cose che, se le metterai bene in pratica, ti renderanno molto gradito agli occhi di Dio, e ti faranno vincere facilmente il demonio tuo nemico, che non cerca altro che la tua perdizione eterna.

Si tratta del fatto che tu debba umilarti:
– nel mangiare, non ricercando mai ciò che ti piace di più;
– nel vestire, indossando sempre abiti semplici;
– nell’agire, non cercando mai ciò che potrebbe esaltarti agli occhi del mondo, ma piuttosto ciò che può abbassarti.

Riguardo poi ai rapporti col prossimo, non dovrai mai giudicarlo male, sia riguardo alle parole, sia riguardo alle azioni che gli vedrai compiere, poichè spesso i pensieri del cuore non sono conformi all’azione.

Giudica e pensa bene di tutti: questa è una cosa molto gradita a mio Figlio.
Detto questo, la santa Vergine disparve, ed io mi sono applicato, da allora, a mettere in pratica questi suoi consigli; e questo mi ha procurato molti meriti per il Cielo».

Da ciò fratelli miei, voi potete vedere che solo un cuore malvagio può giudicare male il suo prossimo.
D’altronde, non si deve mai giudicare il prossimo, senza avere riguardo per la sua debolezza, e per il pentimento che egli potrà nutrire per i suoi peccati.

Ordinariamente, e quasi sempre, ci si pente di aver pensato male o di aver parlato male degli altri, poichè, spesso, dopo aver esaminato meglio la situazione, ci si accorge che quello che è stato detto del prossimo è falso
(il santo curato parla per esperienza: egli, secondo i suoi biografi, in particolare l’abate A. Monnin, fu fatto oggetto delle più orribili e oscene calunnie; n.d.a.).

Potrebbe accadere a noi ciò che accadde alla casta Susanna, accusata da due falsi testimoni, senza avere nemmeno il tempo di giustificarsi (l’intero racconto in Daniele 13; n.d.a.); altri imitano la presunzione e la malizia dei Giude, i quali accusarono pubblicamente Gesù Cristo, di essere un bestemmiatore (Matteo 9,3), o di appartenere al demoniuo (Giovanni 7,20); altri, infine, si comportano come quel fariseo, il quale, senza esaminare se la Maddalena avesse rinunciato o meno ai suoi errori, la considerarono come un’infame peccatrice, sebbene l’avesse vista afflitta, mentre accusava i suoi peccati e li piangeva ai piedi di Gesù Cristo, suo Salvatore e Redentore (Luca 7,39; ma il testo non dice se si trattasse di Maria Maddalena; n.d.a).

Quel fariseo (ora il santo, con un volo pindarico, si sta riferendo al fariseo da cui ha preso le mosse l’omelia, quello contrapposto al pubblicano; n.d.a.), fratelli miei, che Gesù Cristo ci presenta come un modello infame di coloro che pensano e che giudicano male il prossimo, incorse, secondo ogni evidenza, in tre peccati: condannando quel povero pubblicano, egli ne pensa male, lo giudica male, e lo condanna, senza conoscere affatto le intime disposizioni del suo cuore.

Egli basava il suo giudizio su una semplice congettura: ecco, fratelli miei, la prima caratteristica del giudizio temerario.

Egli lo disprezza dentro di sè, solo per effetto del suo orgoglio e della sua malizia: ecco la seconda caratteristica di quel maledetto peccato (il giudizio temerario).

Infine, senza sapere se ciò di cui lo accusava era vero o falso, egli lo giudicò e lo condannò, mentre quel povero penitente, rifugiatosi in un cantuccio del tempio, si percuoteva il petto e bagnava il pavimento con le sue lacrime, implorando la Misericordia del buon Dio.

Io affermo, fratelli miei, che ciò che offre l’occasione a tanti giudizi temerari, è il fatto che noi li consideriamo una cosa di poco conto, mentre, spesso, vi può essere un peccato mortale, se la materia è di notevole importanza (si riferisce alla “materia” grave che, insieme alla piena avvertenza e al deliberato consenso, costituisce il peccato mortale; n.d.a.).

«Ma, mi direte voi, questo giudizio viene formulato solo nel cuore».

Ma è proprio questo ciò che rende tale peccato alquanto malvagio, poichè il nostro cuore è stato creato unicamente per amare il buon Dio e il prossimo, e sarebbe da traditori… (il santo sottintende: usare il cuore per formulare giudizi contro il prossimo; n.d.a.).

Spesso, poi, con le nostre parole, noi facciamo credere al nostro prossimo che lo amiamo, che abbiamo una buona opinione di lui, mentre, dentro di noi, lo odiamo.
Vi sono di quelli che pensano che, se non dicono ciò che realmente pensano, non fanno nulla di male.
Ed è vero che il peccato è meno grave, se non lo si manifesta all’esterno, perchè, in quest’ultimo caso, noi macchiniamo di trasfondere il nostro veleno nel cuore di un altro.

Se questo peccato (si parla sempre del giudizio temerario; n.d.a.)è già così grande, anche se lo commettiamo soltanto nel nostro cuore, allora vi lascio pensare cosa è mai agli occhi di Dio, allorchè abbiamo la disgrazia di manifestarlo al di fuori con le nostre parole.

Tutto ciò ci deve indurre a esaminare bene le cose, prima di portare il nostro giudizio sul conto del nostro prossimo, per evitare di ingannarci, cosa che accade spesso.

Guardate un giudice, quando condanna a morte qualche persona: fa venire i testimoni, gli uni dopo gli altri; li interroga; è estrememente attento ad esaminare se si contraddicono; li minaccia, li guarda con un’aria severa: ciò che getta timore e terrore nei loro cuori; fa ogni sforzo per tirare fuori, se possibile, la verità dalla bocca del colpevole.

Voi vedete che, al minimo dubbio, sospende il suo giudizio, e, se si trova costretto a pronunciare la sentenza di morte, lo fa tremando, perchè ha sempre paura di condannare una persona innocente.

Ah! fratelli miei, quanti giudizi temerari in meno vi sarebbero, se anche noi prendessimo tutte queste precauzioni, allorchè vogliamo giudicare la condotta e le azioni del nostro prossimo.
Ah! fratelli miei, quante meno anime nell’inferno!

Il buon Dio ci da un bell’esempio della maniera in cui dobbiamo giudicare il nostro prossimo, proprio nel caso del nostro primo padre: Adamo.

Il Signore aveva certamente visto e sentito tutto ciò che quello aveva detto e fatto; avrebbe ben potuto condannare i nostri progenitori senza alcun altro esame.
Ma no, per insegnarci a non volere essere precipitosi nel giudizio che vogliamo fare sulle azioni del prossimo, li interrogò, l’uno dopo l’altro, affinchè confessassero il male che avevano compiuto.

Da dove, dunque, può provenire questa folla di giudizi così precipitosi, sul conto dei nostri fratelli?

Ahimè! da un grande orgoglio che ci acceca, nascondendoci i nostri difetti, che sono innumerevoli, e, spesso, molto più orribili di quelli delle persone delle quali pensiamo o parliamo male; e dobbiamo ammettere che, quasi sempre, noi ci sbagliamo nel giudicare male le azioni di coloro che ci sono vicini.

Io ne ho visti, certissimamente, di quelli che emettevano falsi giudizi, e sebbene gli si facesse notare che si sbagliavano, essi non per questo volevano demordere.

Andate, andate, poveri orgogliosi, il buon Dio vi attende, e quando sarete davanti a Lui, sarete costretti a riconoscere che non era nient’altro che il vostro orgoglio, quello che vi portava a pensare male del vostro prossimo.

D’altronde, fratelli miei, per giudicare una persona per quello che fa o per quello che dice, senza rischiare di sbagliarsi, bisognerebbe conoscere le disposizioni del suo cuore, e l’intenzione che aveva facendo o dicendo quella tale cosa.

Ahimè! fratelli miei, noi non prendiamo affatto tutte queste precauzioni, e questo ci porta a fare tanto male, esaminando la condotta di coloro che ci sono vicini.
Noi ci comportiamo come se condannassimo a morte una persona basandoci sulla semplice relazione di qualche sbandato, senza voler concedere all’altro il tempo di giustificarsi.

Ma, mi direte voi, forse: «Noi giudichiamo solo ciò che vediamo o ciò che abbiamo sentito con le nostre orecchie, ciò di cui siamo testimoni: “l’ho visto compiere quell’azione, perciò ne sono certo”; “ho sentito con le mie orecchie ciò che ha detto, perciò non posso sbagliarmi”».

Ebbene! io vi invito a cominciare a rientrare nel vostro cuore, che non è altro che una caterva di orgoglio, da cui è completamente arrostito: allora vi riconoscerete infinitamente più colpevoli di colui che state giudicando tanto temerariamente, e avrete grandemente da temere che un giorno non lo vediate entrare nel Cielo, mentre voi, sì proprio voi, siate trascinati dai demoni nell’inferno!

«Ah! disgraziati orgogliosi, ci dice sant’Agostino, come osate giudicare il vostro fratello per una minima apparenza di male, senza sapere se quello si sia già pentito del suo errore, e sia già nel numero degli amici di Dio?
State attenti, piuttosto, che egli non prenda quel posto che il vostro orgoglio vi mette in forte pericolo di perdere».

Sì, fratelli miei, tutti questi giudizi temerari, e tutte queste congetture, non vengono da altro che da una persona che nutre un segreto orgoglio, che non conosce se stessa, e che osa voler conoscere l’intimo del proprio prossimo, che non è conosciuto se non da Dio solo.

Ahimè! fratelli miei, se noi potessimo venire a capo e sradicare questo che è il primo peccato capitale, dal nostro cuore, allora, a nostro giudizio, il nostro prossimo non agirebbe mai male; non ci divertiremmo mai ad esaminare la sua condotta, ma ci accontenteremmo di piangere i nostri peccati e di faticare, meglio che possiamo, a correggere noi stessi; e nient’altro.

No, fratelli miei, io non credo che ci sia un peccato più temibile e più difficile da correggere, e ciò, proprio tra quelle persone che sembrano adempiere alla perfezione i loro doveri religiosi (e magari sono sensibilissimi a un minimo peccato, che sembra più vergognoso, ma che è molto meno grave, contro qualche altra virtù…; n.d.a.).

Sì, fratelli miei, una persona che si guardi bene da questo maledetto peccato può raggiungere la salvezza, anche senza fare grosse penitenze.
Eccovene un bell’esempio.

Si racconta nella storia dei Padri del deserto, che un religioso aveva condotto una vita molto ordinaria, che, agli occhi degli altri religiosi era alquanto imperfetta.

Essendo giunto in punto di morte, il superiore lo vedeva così tranquillo e così contento, che sembrava che il Cielo gli fosse assicurato.

Meravigliato per quella sua serenità, temendo che si trattasse di quell’accecamento con cui il demonio ha ingannato molti, gli dice:
«Fratello mio, mi sembri molto tranquillo e come una persona che non ha paura di niente; tuttavia, la tua vita non ha nulla che possa renderti tanto sicuro, ma, al contrario, l’esiguità del bene che hai fatto dovrebbe atterrirti, in un momento nel quale i più grandi santi hanno tremato».

«Questo è vero, padre mio, gli rispose quel religioso: il bene che ho potuto fare, è ben poca cosa, anzi, quasi niente; ma ciò che mi consola in questo momento è il fatto che, per tutta la vita, mi sono occupato a mettere in pratica il grande precetto del Signore, che è stato dato a tutti, e cioè di non pensare, di non parlare, di non giudicare male di nessuno.

Ho sempre ritenuto che tutti i miei fratelli si comportassero meglio di me, ho sempre creduto di essere il più criminale del mondo, ho sempre nascosto e scusato i loro difetti, come Dio ha comandato e, poichè Gesù Cristo ha detto: “Non giudicate, e non sarete giudicati”, mi aspetto di essere giudicato favorevolmente.
Ecco, padre mio, su cosa è fondata la mia speranza».

A questo punto il superiore, tutto stupito, gridò: «Ah! bella virtù! come sei preziosa agli occhi di Dio! Va’ in pace, fratello mio, hai fatto tutto quello che dovevi fare, il Cielo ti è assicurato!».

O bella virtù, quanto sei rara! Ahimè! tu sei così rara come sono rari coloro che sono destinati al Cielo!

Infatti, fratelli miei,che cos’è mai un cristiano che abbia tutte le altre virtù, se poi non possiede questa? (il santo sottintende sempre quella virtù, innominata, che è l’esatto contrario del giudizio temerario, ossia l’astensione da ogni giudizio; n.d.a.).

Ahimè! senza questa virtù non è altro che un ipocrita, un falso, un malvagio che, proprio per il fatto che esteriormente sembra virtuoso, risulta ancora più cattivo e più malvagio (come dire: meglio un vero cattivo che un falso buono; n.d.a.).

Volete conoscere, fratelli miei, se voi appartenete al buon Dio?
Considerate la maniera in cui vi comportate col vostro prossimo, guardate come esaminate e giudicate le sue azioni.

Andate via, poveri orgogliosi, poveri invidiosi e poveri gelosi, l’inferno vi aspetta, e nient’altro!
Ma consideriamo più da vicino questo argomento.
(Può sorprendere l’estrema intransigenza del santo curato, verso il giudizio temerario: a parte la gravità oggettiva di questo peccato, occorre tenere presente, anche, che egli, in più occasioni, sperimentò sulla sua pelle calunnie di ogni genere, tra le più infamanti. Si pensi, come parallelo, a padre Pio; n.d.a.).

(Il brano seguente dell’omelia, è una sorta di sceneggiatura improvvisata, molto ironica e un po’ sarcastica, che il nostro curato imbastisce, con dialoghi presi dai quotidiani giudizi temerari di Ars, ma, come si dice: «Tutto il mondo è paese…»).

Se si parlerà bene di una giovane, narrando le sue buone qualità, vi sarà subito un altro che dirà:
«Ah! se è vero che ha delle buone qualità, ella ne ha anche di cattive: frequenta la compagnia di un tale che non gode di buona reputazione, e sono certo che non si incontrano certo per fare del bene…».

Ecco un’altra ben vestita, e che veste bene i suoi figli: «Ma farebbe meglio a pagare ciò che deve…».

«Quell’altra, a vederla, sembra buona e affabile con tutti: ma, se voi la conosceste bene come me, la giudichereste molto diversamente; ella fa tutte quelle smorfie, solo per nascondere meglio le sue malefatte.
Quel tale è andato a chiederla in moglie, ma se mi avesse chiesto consiglio, gli avrei detto quello che non sa, o, per meglio dire, che è un pessimo partito».

«Chi è questa persona che sta passando?» dirà un altro.
«Ahimè! amico mio, se non lo conosci, non ci perdi proprio niente; e non ti aggiungo altro; solamente, fuggi la sua compagnia, perchè è uno che dà scandalo, e tutti lo considerano scandaloso».

«Vedi quella donna che fa finta di essere saggia e devota? non vi è persona più malvagia, che si trovi sulla faccia della terra: d’altronde è risaputo che proprio quelle persone che vogliono farsi passare per virtuose o, se volete, per essere sagge, sono le più malvagie e piene di rancore»
«Ma perchè? forse quella persona – dirà l’altro – ti ha mai recato oltraggio?»
«Oh! no; ma tu sai bene che sono tutte così».

«Mi sono trovato, un giorno, con una delle mie vecchie conoscenze, è un buon ubriacone e un famoso insolente»
«Ma, forse – gli dirà l’altro – qualche volta, ti ha fatto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare?»
«Ah! no, non mi ha mai detto nulla di sconveniente, ma tutti lo considerano così»
«Se non fossi tu a dirmelo, non lo avrei mai creduto»:
«Sì, perchè, quando sta con quelli che non lo conoscono, sa fare bene l’ipocrita, per far credere che sia un uomo onesto».

«E’ come quell’altro giorno: mi sono trovato con un tale, che tu conosci bene; sembra anche lui un uomo virtuoso: però, se sembra non far torto a nessuno, non bisogna essergliene riconoscenti, perchè si comporta così solo quando non può fare diversamente; ma ti assicuro, che non vorrei mai trovarmi solo con lui»
«Ma perchè – dirà l’altro – forse ti ha fatto del torto in qualche occasione?»
«Mo, mai, perchè non ho mai avuto a che fare con lui»
«Ma allora come sai che si tratta di un cattivo soggetto?»
«Oh! non è poi difficile saperlo: lo dicono tutti».

«Come quell’altro che un giorno stava con noi: a sentirlo parlare, si direbbe che sia l’uomo più caritatevole del mondo, e che non rifiuterebbe mai nulla a chi gli chiedesse qualcosa.
Invece, è un avaro integrale, che farebbe molti chilometri per guadagnare due soldi. Ormai, ti assicuro che il mondo non si riconosce più, non ci si può più fidare di nessuno.

Quell’altro, poi, che ti parlava poco fa: è un grande affarista, si tratta bene, lui, tutti quelli di casa sua sono ben sistemati; ma non è difficile, la notte non dorme»
«Forse tu lo hai visto prendere qualcosa?»
«Oh! no, io non gli ho mai visto prendere nulla (nel senso di rubare; n.d.a.), ma si dice che una bella notte egli sia rientrato a casa sua ben carico di roba; d’altronde, non gode di buona reputazione».
Poi conclude dicendo:
«Ti assicuro che io non sono senza difetti, ma mi sentirei umiliato se valessi così poco, come questa gente!».

Eccolo, lo vedete (negli esempi mostrati sopra; n.d.a.), quel famoso fariseo, che digiuna due volte la settimana, che paga la decima di tutto ciò che possiede, e che ringrazia il buon Dio di non essere come il resto degli uomini, che sono ingiusti, ladri e adulteri?
Lo vedete quest’orgoglio, quest’odio e questa gelosia?

Ma ditemi, fratelli miei, su che cosa si fondano tutti questi giudizi e queste sentenze?
Ahimè! solo su delle flebili apparenze, e, molto più spesso, su un “si dice”.

Ma, forse voi mi direte che avete visto con i vostri occhi e sentito con le vostre orecchie.
Ahimè! potete sbagliarvi ugualmente, sia vedendo sia sentendo, e vi mostrerò il perchè.

Per non sbagliarsi, bisogna conoscere le disposizioni del cuore della persona, e le sue intenzioni nel compiere una certa azione.

Eccovi un esempio che vi mostrerà, come meglio non si potrebbe, che possiamo facilmente sbagliarci, e che ci sbagliamo quasi sempre.

Ditemi, fratelli miei, cosa avreste detto, se foste vissuti al tempo di san Nicola, e lo aveste visto, nel bel mezzo della notte, girare intorno alla casa di tre giovani fanciulle, stando bene attento a non essere visto da nessuno?

Ecco un vescovo, avreste pensato subito, che disonora il suo ruolo e si dimostra un grande ipocrita: in chiesa, sembra essere un santo, ed eccolo, nel cuore della notte, alla porta di tre fanciulle, che non godono di ottima reputazione.

Tuttavia, fratelli miei, questo vescovo, che certamente sarebbe stato condannato, era un gran santo e molto caro a Dio, perchè, ciò che stava facendo, era la migliore opera del mondo: al fine di evitare a queste giovani donne la vergogna di chiedere l’elemosina, egli veniva di notte, e gettava loro del denaro dalla finestra, temendo che la povertà le facesse incorrere nel peccato.

Se voi aveste visto la bella Giuditta togliersi l’abito del dolore, e indossare tutto ciò che la natura e l’arte poteveno fornirle, per mettere in risalto la sua bellezza, che era così straordinaria, cosa avreste detto, vedendola entrare nella camera del generale d’armata, che non era altro che un vecchio impudico?

Cosa avreste detto, vedendo che sembrava fare tutto ciò che poteva, per piacergli?
Certamente avreste pensato: «Ecco una donna di mala vita» (Giuditta 10, 3-17).
Invece era una pia vedova, molto casta e molto gradita a Dio, che metteva a rischio la sua vita, per salvare quella del suo popolo.

Ditemi, fratelli miei, che vi precipitate a giudicare male il vostro prossimo, che cosa avreste detto, se aveste visto il casto Giuseppe, uscire dalla camera della moglie di Putifar, sentendo gridare quella donna, mentre teneva tra le mani un brandello del mantello di Giuseppe, e mentre lo inseguiva come un infame che aveva tentato di rapirle l’onore? (Genesi 39).

Subito, senza esaminare, voi avreste pensato e detto che quel giovane era un cattivo soggetto e un libertino, poichè aveva cercato di indurre al male la moglie del suo stesso padrone, dal quale aveva ricevuto tanti benefici.
Infatti, Putifar, il suo padrone, lo condanna, e tutti lo credono colpevole, lo biasimano e lo disprezzano; ma il buon Dio, che conosce il fondo del cuore e l’innocenza di Giuseppe, si congratula per la sua vittoria, per il fatto che egli aveva preferito perdere la propria reputazione e la sua stessa vita, piuttosto che perdere la sua innocenza commettendo il pur minimo peccato.

Converrete ora con me, fratelli miei, che corriamo il pericolo di giudicare male le azioni del nostro prossimo, nonostante tutte le informazioni e gli indizi certi che crediamo di possedere?

Questo deve indurci a non giudicare mai le azioni del nostro prossimo, senza avere ben riflettuto prima, e ancora, solo nel caso che siamo incaricati di vegliare sulla condotta di quelle persone, come lo sono un padre o una madre, i padroni e le padrone; ma, in qualunque altro caso, facciamo sicuramente male a giudicare, quasi sempre.

Sì, fratelli miei, ho visto delle persone che giudicavano male le intenzioni del loro prossimo, mentre io sapevo per certo che le loro intenzioni erano buone.
E avevo un bel da fare per cercare di convincerle, ma non serviva a nulla.

Ah! maledetto orgoglio, quanto male fai, e quante anime conduci all’inferno!

Ditemi, fratelli miei, sono fondati meglio i giudizi che portiamo sulle azioni del nostro prossimo, di quelli di coloro che avessero visto san Nicola, girare intorno a quella casa, mentre cercava di trovare la porta della camera di quelle tre fanciulle?

Siamo noi più certi dei nostri giudizi, di coloro che avessero visto la bella Giuditta prepararsi così accuratamente e presentarsi con tanta libertà ad Oloferne?

No, fratelli miei, noi non siamo affatto più sicuri dei giudizi che portiamo sul nostro prossimo, di quanto non lo fossero coloro che videro la moglie di Putifar con un pezzo del mantello di Giuseppe nelle mani, mentre gridava a tutti quelli che ascoltavano, che quello aveva voluto rapirle l’onore.

Ecco, fratelli miei, tre esempi che lo Spirito Santo ci ha voluto lasciare, per insegnarci quanto le apparenze siano ingannevoli, e come ci si esponga a peccare, giudicando male le azioni del prossimo, soprattutto nel caso in cui non abbiamo l’obbligo di rendere conto della loro condotta davanti al tribunale di Dio.

Noi vediamo che quel fariseo accusava molto temerariamente il pubblicano di essere un ladro, poichè riceveva le imposte; pensando, senza esserne certo, che quello chiedesse di più di ciò che bisognava, e che si servisse della sua autorità solo per commettere delle ingiustizie.

Tuttavia, questo preteso ladro, si ritira dai piedi di Dio giustificato, mentre quel fariseo, che si credeva perfetto, se ne ritorna a casa sua più colpevole di prima.
Questo ci dimostra che, molto spesso, colui che giudica è più colpevole di colui che viene giudicato.

Ah! questi cuori malvagi, questi cuori orgogliosi, gelosi e invidiosi, perchè sono proprio questi tre vizi che generano tutti quei giudizi che si fanno sui propri vicini!

Qualcuno è stato derubato? Si è perso qualche cosa?
Subito, pensiamo che è stato senz’altro quel tale che ha fatto ciò, e lo pensiamo senza averne la minima conoscenza.

Ah! fratelli miei, se voi conosceste bene questo peccato, vi accorgereste che è uno di quei peccati che bisognerebbe temere di più, un peccato che è il meno conosciuto e il più difficile da correggere.

Ascoltateli, questi cuori che sono imbevuti di questo vizio.
Se qualcuno esercita qualche impiego, qualche carica nella quale qualcuno ha compiuto qualche ingiustizia, subito si conclude che tutti quelli che occupano quel posto fanno le stesse cose, che non valgono più di quegli altri, che sono tutti ladri e furbastri (allude allle generalizzazioni gratuite, al “fare di ogni erba un fascio”; n.d.a.).

Se in una famiglia, un figlio va per vie traverse, tutti gli altri membri non valgono nulla.

Se in una parrocchia qualche persona ha commesso qualche bassezza, tutta la parrocchia è composta di cattivi soggetti.

Se tra i preti, ve ne sono di quelli che, forse, non sono così santi come dovrebbero essere, tutti gli altri preti sono uguali, nessuno di loro vale nulla: questo, di solito, non è altro che un falso pretesto per giustificare la propria indifferenza per la propria salvezza

Per il fatto che Giuda non valeva nulla, vorreste voi far credere che tutti gli altri apostoli non valevano niente?

Dal momento che Caino era un cattivo soggetto, pensate forse che anche Abele, suo fratello, era come lui? No, senza dubbio.

Visto che i fratelli di Giuseppe furono così miserabili e così cattivi, credete forse che anche Giuseppe fosse come loro? No, certamente, poichè egli è un santo.

Se vediamo una persona che rifiuta l’elemosina a qualcuno, subito concludiamo che è un avaro, che ha il cuore più duro di una roccia, che, d’altronde, si sapeva già che non vale nulla, mentre quello può aver fatto, in segreto, delle grandi elemosine, che noi vedremo solo nel giorno del Giudizio.

Ahimè! fratelli miei, «ognuno parla dall’abbondanza del cuore», come ci dice molto bene lo stesso Gesù Cristo; «conosciamo l’albero dai suoi frutti» (Matteo 12,33-34).

Volete conoscere il cuore di una persona? ascoltatela parlare: un avaro non sa parlare d’altro che degli avari, di quelli che imbrogliano, degli ingiusti; un orgoglioso non smette di rompervi la testa intorno a coloro che vogliono farsi valere, che credono di avere molto spirito, che si lodano per quello che fanno o per quello che dicono; un impudico non ha altro sulla bocca, che: «quel tale conduce una vita cattiva, se la fa con una tale, sta perdendo la sua reputazione», e tutto il resto, ma sarebbe troppo lungo entrare in certi dettagli.

Ah! fratelli miei, se avessimo la fortuna di essere esenti dall’orgoglio e dall’invidia, non giudicheremmo mai nessuno, ci accontenteremmo di piangere sulle nostre miserie spirituali, e di pregare per i poveri peccatori, e niente più, essendo ben convinti che il buon Dio ci chiederà conto soltanto delle nostre azioni, non di quelle degli altri.

D’altra parte, fratelli miei, come osare giudicare e condannare qualcuno, anche se gli avessimo visto con i nostri occhi, commettere un peccato?
Non dice sant’Agostino, che colui che ieri era un peccatore, oggi può essere un santo penitente?

Quando scorgiamo qualcosa di male nel nostro prossimo, diciamo almeno: «Ahimè! se il buon Dio non mi avesse accordato più grazia che a lui, io avrei forse potuto trovarmi peggio di lui».

Sì, fratelli miei, il giudizio temerario, trascina con sè, necessariamente, la rovina e la perdita della carità cristiana.

Infatti, fratelli miei, nel momento in cui sospettiamo che una persona si comporti male, non avremo più di lei quella buona opinione che dovremmo avere.

D’altronde, fratelli miei, non è a noi che gli altri devono rendere conto della loro vita, ma a Dio solo; altrimenti, è come se volessimo costituire noi stessi come giudici di ciò che non ci riguarda: i peccati degli altri saranno per gli altri, cioè per essi stessi, e i nostri per noi.
Il buon Dio non ci chiederà conto di quello che hanno fatto gli altri, ma solo di ciò che abbiamo fatto noi stessi; badiamo unicamente a noi, e non ci tormentiamo riguardo agli altri, pensando e raccontando ciò che essi hanno fatto o detto.

Tutto questo, fratelli miei, non è che un’inutile pena, che proviene solo da un fondo di orgoglio, simile a quello di quel fariseo, che non pensava ad altro che a giudicare male il suo prossimo, invece di occuparsi di se stesso, e di gemere sulla propria vita.

No, fratelli miei, lasciamo da parte la condotta del prossimo che ci vive accanto, ma accontentiamoci di dire, come il santo re Davide:
«Mio Dio, fammi la grazia di conoscere me stesso, così come realmente sono, affinchè io possa scorgere ciò che ti può dispiacere, perchè io possa correggeremi, pentirmi, e ottenere il perdono».

No, fratelli miei, fino a che una persona si divertirà a esaminare la condotta degli altri, allora, nè riuscirà a conoscere se stessa, nè apparterrà al buon Dio, ma resterà orgogliosa e testarda.

Nostro Signore ci dice:
«Non giudicate, e non sarete giudicati. Mio Padre, vi tratterà nella stessa maniera, nella quale voi avrete trattato gli altri; sarete misurati con la stessa misura della quale vi sarete serviti per misurare gli altri» (Matteo 7,1-2).

D’altronde, fratelli miei, chi tra di noi, sarebbe contento di essere giudicato male in ciò che fa o che dice? Nessuno.
Nostro Signore, non dice forse:
«Non fate agli altri, quello che non volete che gli altri facciano a voi?» (in realtà, Gesù esprime questo concetto in forma positiva: Matteo 7,12; invece la forma negativa si trova in Tobia 4,15; n.d.a.).

Ahimè! fratelli miei, quanti peccati commettiamo, in questo campo!
Ahimè! quanti ce ne sono che non lo sanno neppure riconoscere, e di conseguenza non se ne sono mai accusati!
Dio mio! quante persone si dannano, perchè hanno tralasciato di farsi istruire o di riflettere bene sul loro modo di vivere!

Abbiamo appena visto come questo peccato sia comune e orribile agli occhi di Dio, e, nello stesso tempo, come sia difficile correggersi.

Ma, per non lasciarvi senza avervi dato il mezzo per correggervi, vediamo quali siano i rimedi che dobbiamo impiegare per preservacene, se abbiamo avuto la disgrazia di renderci colpevoli.

San Bernardo, questo grande santo, ci dice che, se vogliamo non giudicare male il nostro prossimo, dobbiamo evitare quella curiosità, quel desiderio di sapere troppo, e non dobbiamo informarci di ciò che fa l’uno o dice l’altro, nè di quello che succede all’interno della sua casa.

Lasciamo andare il mondo, come Dio vuole che vada, non pensiamo e non giudichiamo male se non di noi stessi.

Un giorno dissero a san Tommaso, che aveva un’opinione troppo buona delle persone, e che molti approfittavano della sua bontà per ingannarlo.
Egli diede questa bella risposta, ben degna di essere incisa per sempre nel nostro cuore:
«Forse ciò che dite è vero; ma io penso che non ci sia altri se non io, capace di fare il male, poichè sono il più miserabile del mondo; io preferisco molto più che qualcuno mi inganni, piuttosto che io inganni me stesso, giudicando male il mio prossimo».

Ascoltate quello che Gesù Cristo stesso ci dice, per bocca di san Giovanni:
«Chi ama il suo prossimo ha adempiuto i comandamenti di Dio» (in realtà non è Giovanni ma san Paolo che lo dice, in Romani 13,8; n.d.a.).

Per non giudicare male una persona, fratelli miei, bisogna sempre separare ciò che fa, dall’intenzione che abbia potuto avere nel farlo.
Forse, dovreste pensare in voi stessi, non pensava di fare male, facendo ciò; forse si era proposto uno scopo buono, oppure si è ingannato da solo; chissà, forse è stato per leggerezza, e non per malizia; a volte si agisce senza riflettere: quando vedrà quello che ha fatto, se ne pentirà: il buon Dio perdona facilmente un atto di leggerezza; può darsi che un giorno, quel tale sarà un buon cristiano e un santo…

Sant’Ambrogio ci dà un bell’esempio, nell’elogio che fa dell’imperatore Valentiniano, raccontando che questo imperatore non giudicava male nessuno, e che puniva il più tardi possibile i crimini nei quali incorrevano i suoi sudditi (la verità storica di ciò che segue è controversa, ma ciò che conta è l’esemplarità a lui attribuita dal santo curato, seguendo l’elogio di sant’Ambrogio; n.d.a.).

Se erano giovani, attribuiva i loro errori alla leggerezza della loro età e alla loro poca esperienza.
Se erano anziani, egli diceva che la debolezza dell’età e la loro precarietà poteva ben servire a scusarli, perchè, forse, avevano a lungo resistito e combattuto, prima di fare il male, e che il pentimento era di certo seguito subito al peccato.

Se si trattava di persone elevate a qualche dignità, egli diceva a se stesso: «Ahimè! nessuno dubita che gli onori e le dignità non siano un grande peso per trascinarci al male: ad ogni istante si incontra l’occasione per compierlo».
Se erano privati cittadini: «Dio mio – diceva fra sè – forse questa povera persona ha fatto il male solo per paura; è stato sicuramente per non dispiacere a qualcuno che gli aveva fatto del bene».
Se si trattava di persone povere del tutto: «Chi può dubitare – diceva – che la povertà sia una cosa molto dura? lo hanno fatto perchè ne avevano bisogno, per non morire di fame, sia loro stessi che i loro figli; forse lo hanno fatto con molta sofferenza, col proposito di riparare al torto che stavano facendo».

Quando poi la cosa era troppo evidente, da non poterla più scusare: «Mio Dio, gridava, com’è furbo il demonio! forse è da molto tempo che lo stava tentando; ha commesso una colpa, è vero, ma forse il suo pentimento gli è valso il perdono presso il buon Dio; che ne sappiamo? se il buon Dio mi avesse posto in una simile prova, non mi sarei comportato peggio?
Come avrò il coraggio di giudicarlo e di punirlo? Verrà il tempo del Giudizio e della punizione di Dio, che non può sbagliarsi nel suo giudizio, mentre, molto spesso, noi ci sbagliamo, per mancanza di luce; ma io penso che il buon Dio avrà pietà di lui, e che un giorno, egli pregherà per me, che posso cadere in ogni istante e perdermi».

Vedete, fratelli miei, il modo in cui si comportava questo imperatore; vedete come egli trovasse sempre il modo di scusare i difetti del suo prossimo, e rivolgeva tutto in bene e mai in male?

Ah! fratelli miei, è perchè il suo cuore era esente da questo detestabile orgoglio e da questa oscura gelosia o invidia, da cui noi abbiamo la disgrazia di essere ricoperti.

Vedete, fratelli miei, vedete la condotta della gente del mondo, vedete se possiedono questa carità cristiana che volge tutto in bene e mai in male.

Ahimè! fratelli miei, se avessimo la fortuna di poter gettare un colpo d’occhio sulla nostra vita passata, ci accontenteremmo di piangere la disgrazia di aver trascorso i nostri giorni a fare il male, e metteremmo da parte, senz’altro, quello che non ci riguarda.

Noi vediamo, fratelli miei, che ci sono pochi vizi che i santi abbiano avuto più in orrore, di quello della maldicenza.

Leggiamo nella vita di san Pacomio che, quando qualcuno parlava male del suo prossimo, egli dimostrava una avversione straordinaria, dicendo che, dalla bocca di un cristiano,non dovevano mai uscire parole di biasimo contro il prossimo.

Se, a volte, non poteva impedire che si parlasse male di qualcuno, egli fuggiva all’istante, per mostrare con questo atteggiamento, quanta pena gli procurasse la maldicenza.

San Giovanni Elemosiniere, allorchè sentiva qualcuno che sparlava in sua presenza, ordinava al portinaio di non fare più entrare in casa quella persona, perchè imparasse a correggersi.

Un santo solitario diceva un giorno a san Pacomio: «Padre mio, come si può impedire a se stessi, di parlare male del prossimo?»
San Pacomio gli rispose: «Bisogna avere sempre davanti agli occhi il ritratto del nostro prossimo e il nostro: se osserveremo con attenzione il nostro, con tutti i suoi difetti, allora saremo sicuri che valuteremo bene il ritratto del nostro prossimo, e non ne parleremo male mai più; lo ameremo, almeno quanto noi stessi, vedendolo molto più perfetto di noi».

Sant’Agostino, da vescovo, aveva un tale orrore della maldicenza e del maldicente che, per porre un freno a un’abitudine così malvagia e così indegna di un cristiano, aveva fatto scrivere, nell’appartamento in cui mangiava, queste parole:
«Chiunque ama distruggere la reputazione del suo prossimo, deve sapere che questa tavola gli è interdetta».

Se qualcuno, anche fra gli altri vescovi, si lasciava sfuggire parole di maldicenza, lo riprendeva severamente, dicendogli:
«O cancella le parole che sono scritte in questa sala, oppure alzati e vattene a casa tua, prima che il pranzo finisca; se poi non vuoi lasciar perdere questi discorsi, sarò io stesso ad alzarmi e a piantarvi qui».
Possidio, che è il suo biografo, ci assicura di essere stato testimone di questo fatto.

Si racconta nella vita di sant’Antonio (abate), che stava viaggiando con alcuni solitari i quali, per tutto il viaggio, chiacchieravano di diverse cose.
Ma, siccome è molto difficile, per non dire impossibile, che si parli a lungo, senza scivolare sulla condotta del prossimo, sant’Antonio, che all’inizio del viaggio,aveva detto a quei solitari:
«Siete stati molto buoni, per aver voluto come compagno di viaggio questo povero vecchio», si voltò verso un altro anziano che, per tutto il viaggio, non aveva detto una sola parola, chiedendogli:
«Ebbene! padre mio, non è vero che hai fatto un buon viaggio, in compagnia di questi solitari?»
«E’ vero che sono buoni, gli rispose l’anziano, ma la loro casa non ha nessuna porta», volendo dire che non sapevano trattenersi nel parlare e che, spesso, avevano ferito la reputazione del loro prossimo.

Ah! fratelli miei, dobbiamo concludere che sono molto pochi quelli che mettono le porte alla loro casa, cioè alla bocca, in modo da non aprirla per parlare male del prossimo.

Beato colui che lascerà in pace la condotta del prossimo, se non ne ha la responsabilità, per pensare solo alla sua, gemendo sui propri errori e facendo ogni sforzo per correggersene!

Beato colui che non occuperà il suo spirito e il suo cuore, se non per ciò che riguarda il buon Dio, e che impiegherà la sua lingua soltanto per chiedere perdono al buon Dio e che non avrà occhi che per piangere i propri peccati!…

 

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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