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La Pacifica Universalis Ecclesiae Adhaesio: Risposta alle Critiche di Luisella Scrosati

Mani e cielo
La Pacifica Universalis Ecclesiae Adhaesio:
Risposta alle Critiche di Luisella Scrosati

di P. Giorgio Maria Faré

Recentemente, Luisella Scrosati ha criticato il mio intervento sulla dottrina dell’adesione pacifica e universale della Chiesa (APU). Il mio trafiletto sull’APU, posto a conclusione di un più ampio discorso canonico riguardante la validità dell’elezione di Papa Francesco, aveva lo scopo di rispondere in modo preventivo a una possibile obiezione basata sull’APU, e non aveva alcuno scopo dimostrativo circa la legittimità o meno dell’elezione. Nonostante ciò, la Dott.ssa Scrosati ha contestato la mia posizione con argomenti che meritano una risposta articolata. In questo scritto chiarirò la mia visione e spiegherò perché considero l’APU inapplicabile al caso di Papa Francesco, basandomi su fonti autorevoli e argomentazioni teologiche consolidate.

Nei suoi tre articoli pubblicati dalla Nuova Bussola Quotidiana:

  • “Accettazione universale del Papa, la contraddizione che non c’è” – del 18 ottobre 2024
  • “Non bastano preti e laici a dichiarare il Papa illegittimo” – del 21 ottobre 2024
  • “Se la Chiesa aderisse a un antipapa sarebbe già finita” – del 24 ottobre 2024

la Dott.ssa Scrosati commette numerosi errori teologici-logici, interpreta male testi da lei riportati ed inventa dottrine teologiche che contraddicono quegli stessi testi da lei poco prima indicati. Vediamo quali sono questi suoi errori.

Per iniziare occorre dire che l’Accettazione Pacifica Universale (APU) è una opinione teologica che non ha una codificazione nel diritto canonico, né è definita nei documenti ufficiali del Magistero (checché ne dica la dott.ssa Scrosati, ma torneremo sul punto). Pertanto, non ne esiste una unica definizione.

In linea generale, il principio dell’ APU, fondandosi sul dogma della indefettibilità della Chiesa, sostiene che Dio non potrebbe permettere che la Chiesa tutta accettasse un Papa che non fosse tale. Una applicazione particolare di questo principio è la dottrina secondo cui l’accettazione pacifica e universale da parte di tutta la Chiesa di un Papa, anche se eletto in modo illegittimo, conferirebbe legittimità alla sua elezione attraverso una sanatio in radice, sanando così eventuali irregolarità originarie. Questa accettazione comune, ritenuta espressione dell’unità della Chiesa e della conferma divina, renderebbe l’elezione effettivamente valida.

Primo errore: secondo la Dott.ssa Scrosati l’adesione pacifica universale riguarderebbe solo i cardinali ed i vescovi.

La Scrosati dice:

“In realtà, l’APU richiede semplicemente che nessuno dei cardinali elettori o almeno del collegio episcopale, abbia sollevato, in tempi congrui, dubbi sulla legittimità dell’elezione del Pontefice e si sia dunque rifiutato di aderire a Tizio come Pontefice. Che ci siano laici o preti a contestare questo fatto, oltretutto anni dopo la chiusura del conclave, non inficia assolutamente il principio dell’adhæsio”.

Di questo la dott.ssa Scrosati non cita le fonti, quindi non è dato sapere da dove tragga questa visione. Al contrario, la maggior parte dei grandi teologi, alcuni da lei stessa citati, sostengono che l’adesione riguarda non solo i Cardinali o i Vescovi, ma la Chiesa Universale.

Dice infatti il Cardinal Journet:

“Fin tanto che persiste il dubbio sull’elezione e che il consenso tacito della Chiesa universale non ha rimediato ai possibili vizi dell’elezione, non c’è il Papa” (L’Église du Verbe Incarné, I, 1955, p. 624).

E poi ancora:

“l’elezione viene dapprima accettata da coloro che sono presenti e in seguito dagli altri”   (L’Église du Verbe Incarné, I, 1955, p. 624).

Quindi senza specificare che questi “altri” devono essere solo vescovi.

Il Cardinal Billot dice:

“L’adesione della Chiesa universale a tale Papa è sempre di per sé il segno infallibile della legittimità della persona del Pontefice”. E poi ancora: “Dio non può però permettere che tutta la Chiesa accetti come pontefice qualcuno che non lo è veramente e legittimamente” (De Ecclesia Christi, II, 1909, p. 620).

Infine, il Dottore della Chiesa Sant’Alfonso Maria de Liguori:

“Niente ancora importa che ne’ secoli passati alcun pontefice sia stato illegittimamente eletto, o fraudolentemente siasi intruso nel pontificato; basta che poi sia stato accettato da tutta la Chiesa come Papa, attesoché per tale accettazione già si è renduto legittimo e vero pontefice”. (Verità della fede, in Opere di S. Alfonso Maria de Liguori, VIII, Torino, 1880, p. 720).

Potremmo citare anche Van Noort (Tractatus de fontibus revelationis, 1911), Berry (The Church of Christ, 1927), Wilmers, (Handbuch der Religion, 1874), S. Roberto Bellarmino (De Romano Pontifice). Unica voce discordante è forse Hunter (Outlines of Dogmatic Theology, 1894). In conclusione, la grande maggioranza dei teologi che ne trattano, sostengono che l’adesione deve essere di TUTTA LA CHIESA e non solo dei Cardinali e Vescovi. A meno che la Dott.sa Scrosati non produca le citazioni di altri teologi importanti secondo le quali sono chiamati a questa adesione universale solo ed esclusivamente i cardinali ed i vescovi, possiamo accantonare questa affermazione.

Peraltro, la stessa Luisella Scrosati cade in contraddizione perché nel suo secondo articolo scrive e ribadisce più volte il concetto:

“Ora, il punto chiave dell’APU è il seguente: l’accettazione universale dei vescovi e dei fedeli di un Papa come legittimamente eletto, è la prova certa che egli sia Papa”.

Dunque: accettazione solo del collegio cardinalizio e dei vescovi, come nel suo primo articolo, oppure accettazione anche dei fedeli, come nel secondo?

Secondo errore: secondo la Dott.ssa Scrosati gli eventuali dissensi rispetto all’elezione di un Papa devono essere fatti in “Tempi Congrui”.

Luisella Scrosati dice:

“In realtà, l’APU richiede semplicemente che nessuno dei cardinali elettori o almeno del collegio episcopale, abbia sollevato, in tempi congrui, dubbi sulla legittimità dell’elezione del Pontefice”.

La verità è che nessun teologo ha mai fornito limiti di tempo riguardo a tale questione, e ciò per il semplice fatto che questo tempo dipende molto dalle circostanze della situazione che si sta vivendo. Non sembra esserci una base teologica o canonica chiara per una tempistica specifica in relazione all’APU. La Dott.ssa Scrosati introduce un concetto che non appare nei testi tradizionali. A meno che non ci fornisca le fonti della sua affermazione non si può accogliere tale argomento.

Terzo errore: la Dott.ssa Scrosati forza il significato della Nota Dottrinale della Professio Fidei del 1998

Qui siamo di fronte ad una errata interpretazione da parte della Scrosati di un documento ufficiale del Magistero della Chiesa. Il documento del magistero in questione è la “Nota Dottrinale illustrativa della Professio Fidei” del 1998, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Si tratta di un documento che tratta dell’assenso dovuto ai pronunciamenti del Magistero. Vi si specifica che alcuni pronunciamenti di natura dottrinale, sebbene non dichiarati infallibili, devono ricevere un assenso per il loro legame con la Rivelazione.

L’unico punto della Nota che menziona l’elezione del Papa è questo:

“Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi: la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.”

Nel documento non c’è alcun riferimento all’APU, la quale è un argomento di per sé totalmente diverso rispetto a quello indicato nella Nota Dottrinale.

Invece cosa scrive Scrosati? Leggiamo insieme:

“Perché la Nota Dottrinale del 1998, a commento e chiarimento della Professio fidei del 1998, riguardo all’APU, così si esprime: «Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica … si possono indicare come esempi la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice». Il fedele è dunque tenuto ad assentire in modo pieno ed irrevocabile a quelle verità connesse alla Rivelazione, che la Chiesa propone come tali. E tra queste troviamo proprio la questione della legittimità del Papa riconosciuto universalmente e pacificamente dalla Chiesa. Ritenere dunque che l’APU sia in contrasto con il diritto canonico equivale ad affermare che un insegnamento che la Chiesa propone a credere in modo definitivo sarebbe in realtà lesivo del diritto”.

La Dott.ssa Scrosati forza il significato della Nota Dottrinale del 1998 e lascia intendere che il documento tratti direttamente dell’APU assurgendola a “fatto dogmatico”, il che le conferirebbe il carattere di verità necessaria e infallibile. Ma questo non si trova nel testo. Nel documento non vi è esplicito riferimento all’APU, né indicazioni che la Chiesa intenda includere automaticamente l’APU tra le verità di assenso infallibile. Il fatto dogmatico è la legittimità dell’elezione del Papa, non la APU. Mentre è indubbio che l’APU rappresenti un punto importante per la teologia cattolica, e che sia strettamente legata al tema della legittimità dell’elezione del Papa, non risulta dalle fonti che si tratti di un fatto dogmatico nel senso stretto come descritto dalla teologia, e né la Nota del 1998 né altri documenti magisteriali sostengono questa lettura. La Scrosati confonde la dottrina dell’infallibilità della Chiesa nel dichiarare un Papa legittimo con quella dell’eventuale sanazione prodotta dell’APU.

Perché mi riferisco solo al caso della sanazione?

L’affermazione: «la Chiesa non potrebbe sbagliare nel considerare Papa uno che Papa non è» significa anche che, se sul soglio di Pietro sedesse un non-Papa, non potrebbe ricevere la pacifica accettazione universale, e questo sarebbe la prova che la sua elezione è stata portatrice di vizi tali da non poter essere sanati dalla APU. Questa è l’unica applicazione pratica dell’APU coerente con la dottrina della Chiesa.

La APU non può mai essere considerata come “ratifica” di una valida elezione, né “requisito” ulteriore di validità in aggiunta al rispetto delle leggi che regolano lo svolgimento del Conclave.

La sottomissione (e quindi l’accettazione) al Sommo Pontefice validamente eletto è una necessità di fede, per un battezzato. L’accettazione universale, da parte di tutti i fedeli, del Papa è dunque la conseguenza necessaria di una valida elezione.

Lo si comprende se si risale al fatto storico al quale i teologi fanno riferimento per elaborare  questa teoria. Citiamo in proposito un articolo, publicato sulla Nuova Bussola Quotidiana il 3 marzo 2024, in cui la stessa dott.ssa Scrosati affronta il tema dell’elezione di Martino V.

Il contesto storico è quello del Grande Scisma d’Occidente, durante il quale tre papi rivendicavano simultaneamente il titolo. Il Concilio di Costanza depose due di loro, (mentre il terzo abdicò volontariamente), ed elesse Martino V, ristabilendo l’unità della Chiesa. In questo clima di confusione ecclesiale si diffusero le dottrine eretiche di John Wyclif e Jan Hus, che, tra le altre cose, criticarono l’autorità e la legittimità morale del papato.

Cito la Scrosati:

«Martino V decise allora di emanare una bolla, la Inter cunctas (22 febbraio 1418), indirizzata ai vescovi e agli inquisitori, con una lista di domande da porre ai sospetti seguaci dei due contestatori, per verificare se credessero rettamente, secondo la fede cattolica. Tra le quasi 40 domande, troviamo anche la seguente — la numero 24, aggiungo io — : «se crede che il papa canonicamente eletto, per tutto il tempo in cui è in carica, una volta scelto il proprio nome, è il successore del beato Pietro e possiede la suprema autorità nella chiesa di Dio» (Denz. 1264).

Quindi, in realtà, Martino V legiferò esattamente in direzione opposta all’interpretazione secondo la quale la APU sarebbe una sorta di “ratifica” della validità di un’elezione. Il fedele, per non essere considerato eretico, doveva riconoscere l’autorità del papa canonicamente eletto.

Quarto errore: la Dott.ssa Scrosati non ha capito il modo in cui la non accettazione di un Papa influisce sulla validità della sua elezione.

La Dott.ssa Scrosati dice:

“Supponiamo ora che, per mettere lecitamente in dubbio l’elezione di un Papa, sarebbero sufficienti le generiche voci discordanti, ipotizzate dall’autore. Ne dovremmo concludere che nessun Papa, da Roncalli in poi, sarebbe certamente tale, dal momento che le voci discordanti dei sedeprivazionisti e dei vari rami sedevacantisti persistono e crescono nel tempo”.

Questa affermazione è una pura fallacia argomentativa. È chiaro che non bastano generiche voci discordanti per rendere un Papa non realmente tale. Ma neanche le voci contrarie di mille cardinali o vescovi sarebbero sufficienti per fare perdere l’ufficio di Papa ad una persona validamente eletta. Non ho mai affermato qualcosa di simile.

La non accettazione di una elezione papale da parte di tanti o pochi fedeli (Vescovi o laici che siano) non causa l’invalidità della stessa, bensì semplicemente evita di sanare l’eventuale sua illegittimità.

In altre parole, se un Papa è stato eletto in modo illegittimo, questa sua elezione sarebbe appunto illegittima e, almeno potenzialmente, invalida. Ora, se è presente l’accettazione universale, allora la dottrina della APU afferma che la situazione viene sanata, con la conseguenza che quel Papa illegittimo diventa Papa legittimo.

Se invece non è presente questa accettazione, allora quella persona rimane non-Papa e quindi la sede rimane vacante. Lo afferma molto chiaramente S. Alfonso nel brano citato dalla stessa Scrosati:

«Niente ancora importa che ne’ secoli passati alcun pontefice sia stato illegittimamente eletto, o fraudolentemente siasi intruso nel pontificato; basta che poi sia stato accettato da tutta la Chiesa come Papa, attesoché per tale accettazione già si è renduto legittimo e vero pontefice. Ma se per qualche tempo non fosse stato veramente accettato universalmente dalla Chiesa, in tal caso per quel tempo sarebbe vacata la sede pontificia» (Verità della fede, in Opere di S. Alfonso Maria de Liguori, VIII, Torino, 1880, p. 720).

L’APU, infatti, entra in gioco solo in casi di dubbio o contestazione sull’elezione di un Papa specifico, e il suo valore è sanatorio: essa mira a sanare eventuali difetti di elezione attraverso l’adesione universale successiva, ma non rende automaticamente invalido il pontificato di un Papa in presenza di minoranze dissidenti. Il principio si applica solo quando la validità dell’elezione sia dubbia, e in questo caso, l’accettazione pacifica della Chiesa costituisce un segno infallibile della legittimità del Papa.

Avendo chiaro questo, l’esempio della Dott.sa Scrosati risulta malposto o capzioso. Giovanni XXIII, come pure Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati validamente e lecitamente eletti. Per cui, rispetto alla validità delle loro elezioni, importano e influiscono zero i dissensi di uno, dieci o mille vescovi o fedeli.

Quinti errore: secondo la Dott.ssa Scrosati l’APU sarebbe in grado di sanare tutte le elezioni illegittime, senza alcuna distinzione.

Nel mio testo, citando l’opinione dell’avv. Ferro Canale, scrivo che vi sono casi nei quali l’APU entra in conflitto con il diritto canonico. In effetti, almeno due leggi del passato, la “Cum tam divino” e la “Cum ex Apostolatus officio“, hanno affermato esplicitamente che la nullità dell’elezione papale ivi prevista (rispettivamente per simonia[1] o per eresia) restava ferma anche in caso di “universalis adhaesio“.

La dott.ssa Scrosati si scaglia contro questa mia affermazione dando, viceversa, all’APU un valore assoluto. Leggendo il suo contributo, sembra ammettere solo due possibili posizioni: (1) che l’APU sana sempre e comunque un’eventuale elezione illegittima; (2) che l’APU non la sana mai. Per la Dott.ssa Scrosati “Tertium non datur”. Invece vorrei darvi una terza idea a cui è possibile aderire, la quale è anche oggettivamente la più ragionevole.

Ci sono sicuramente dei casi e delle situazioni in cui l’APU può sanare un’elezione illegittima, tuttavia ci saranno sicuramente altri casi in cui l’elezione risulta così gravemente viziata, che l’APU non potrebbe in alcun modo sanarla.

Facciamo alcuni esempi.

Un primo caso si configura se la sede non è vacante. È il caso da me esaminato nella mia dimostrazione circa l’invalidità della rinuncia di Benedetto XVI. La dott.ssa Scrosati, da questo testo di circa 40 pagine, ha preso le venti righe che mi contesta. Se, come ho scritto, la sede papale non fosse stata realmente vacante al momento del conclave del 2013, l’APU non potrebbe sanare l’elezione di Papa Francesco. Senza una sede vacante, qualsiasi elezione papale è nulla ab origine e la Chiesa non riconosce alcuna possibilità di sanatoria a questa che non sarebbe un’irregolarità elettorale, bensì una vera e propria invalidità.

L’APU ha sempre operato nella storia della Chiesa come sanatoria per irregolarità procedurali minori, non per legittimare l’elezione di un nuovo Papa in presenza di un Papa regnante.

Un altro caso si pone quando per l’elezione vengono utilizzate procedure che, dai Papi precedenti, sono state dichiarate tali da invalidare l’elezione stessa e questa dichiarazione è stata fatta in modo chiaro, perentorio e assoluto. Anche in questo caso l’eventuale presenza dell’APU non potrebbe sanare l’elezione, in quando tale sanazione andrebbe contro il volere e le leggi del Papa, rendendo vano e nullo il suo potere divino di “legare in Terra ed in Cielo”. Sarebbe questo il caso di un’elezione in contrasto con le norme di Universi Dominici Gregis.

Un terzo esempio è quando i membri della Chiesa sono stati ingannati e male informati, e pertanto non hanno tutte le informazioni essenziali per fare la scelta dell’accettazione del Papa neoeletto in modo realmente consapevole. In questo caso l’APU implicherebbe un’accettazione falsa e completamente inefficace. Sarebbe contrario al buon senso e alla stessa giustizia divina considerare vera “l’accettazione pacifica” di una o più persone, nel caso in cui queste fossero state ingannate e private delle vere conoscenze. Se io mettessi del veleno in un bicchiere d’acqua e lo offrissi a qualcuno ignaro, non potrei certo difendermi dicendo “ma lui ha accettato di berlo!”. Bisogna notare poi che nella filosofia e teologia cattolica, la conoscenza è un elemento fondamentalissimo per determinare la responsabilità e l’efficacia di certe azioni[2].

C’è una vera adesione universale a Papa Francesco?

Usciamo ora dalla teoria e veniamo al caso pratico in esame.

Il problema è che la dott.ssa Scrosati — insieme a tutta la redazione della Nuova Bussola Quotidiana — fa parte di quella schiera di Cattolici che hanno una formazione sufficientemente solida per riconoscere gli errori dottrinali di “Papa Francesco” ma che, allo stesso tempo, vogliono a tutti i costi salvarne il papato. Il risultato è una posizione schizofrenica, assurda, incoerente con la dottrina dell’obbedienza alla Chiesa che loro stessi sembrerebbero voler difendere.

Ricordo cosa prescrive il Codice di Diritto Canonico circa l’obbedienza al Papa:

Can. 752 – Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda[3].

La Nuova Bussola Quotidiana si è posta fin da subito in posizione critica verso Papa Francesco e non perde occasione per metterne in evidenza le divergenze dalla sana e retta dottrina, anche in materia di magistero autentico. Come si concilia questo comportamento con il fatto che al Magistero ordinario del Santo Padre si deve il “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà”?

Ritorniamo a ciò che scrive il Card. Billot in merito alle ragioni della dottrina dell’APU:

«[L]’adesione stessa della Chiesa universale sarà sempre di per sé un segno infallibile della legittimità della persona del Pontefice, e, inoltre, dell’esistenza di tutte le condizioni necessarie per la legittimità stessa. Non è necessario cercare lontano una prova di tale affermazione. La ragione è che essa proviene immediatamente dalla promessa infallibile di Cristo e dalla provvidenza. Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, e “Ecco, io sono con voi tutti i giorni”. È certo che, se la Chiesa aderisse a un falso pontefice, sarebbe come se aderisse a una falsa regola di fede, poiché il Papa è la regola vivente che la Chiesa deve seguire nella fede e che segue sempre di fatto, come sarà ancora più chiaro in ciò che verrà detto in seguito.»

La Chiesa non può aderire universalmente e pacificamente a un falso pontefice perché ciò equivarrebbe a una defezione della Chiesa dalla fede cattolica, vale a dire a un venir meno del dogma dell’indefettibilità della Chiesa. La Divina Provvidenza assicura che ciò non accada mai. Aderire a un uomo come Papa è inseparabile dall’aderire a lui come regola della fede. Pertanto, quando la Chiesa si sottomette a un uomo come “regola vivente della fede,” quell’uomo deve necessariamente essere il Papa.

Ma la Chiesa offre effettivamente a Papa Francesco una tale adesione universale e pacifica? La Chiesa Cattolica aderisce universalmente a Francesco come “regola vivente della fede”? I Cardinali, i Vescovi, la redazione della Nuova Bussola Quotidiana e la dott.ssa Scrosati aderiscono a Francesco come “regola vivente della fede”?

Per non essere accusato di plagio esplicito che ho attinto parte di quanto segue sul tema della regola della fede dall’ottima trattazione di Matthew McCusker su Lifesitenews. Non intendo con questo identificarmi nelle sue posizioni, né riguardo all’attuale situazione della Chiesa, né su altre questioni dottrinali o teologiche. Mi limito solo a utilizzare il suo contributo in merito alla regola della fede perché è un’esposizione chiara e ben fatta del concetto.

Introduco solo brevemente i concetti di “regola prossima della fede” e la “regola remota della fede.” La regola prossima della fede è rappresentata dal Magistero della Chiesa, ossia dall’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica, che si esprime attraverso il Papa e i vescovi uniti a lui. La regola remota è costituita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione Apostolica. La Chiesa cattolica, per la sua fede nelle promesse di Gesù Cristo, ritiene che il Magistero (regola prossima) non possa mai contraddire la Scrittura e la Tradizione (regola remota), poiché il suo compito è interpretarle fedelmente e preservarle da errori.

Quando parliamo di sottometterci al Papa come “regola vivente della fede,” intendiamo che consideriamo lui e i vescovi che insegnano in unione con lui, come la “regola prossima” di ciò che dobbiamo credere.

Cito e traduco liberamente dall’articolo di McCusker:

“Ma oggi molti cattolici non si rivolgono a Francesco in questo modo, al contrario, confrontano continuamente la sua dottrina con quella contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, la “regola remota di fede,” per giudicare autonomamente se essa sia ortodossa. Essi lo fanno perché hanno capito che Francesco non è un legittimo maestro della fede”.

“Questa è una chiara inversione del corretto rapporto tra il Papa e i fedeli, tra il maestro e i discepoli, e manifesta chiaramente che i cattolici non considerano Francesco come loro regola vivente della fede”.

Questo non riguarda solo i semplici fedeli laici. Sono numerosi gli esempi di cardinali e vescovi che si sono pubblicamente posti in maniera critica rispetto all’insegnamento di Francesco. E credo di non sbagliare se dico che un fatto del genere non si era mai verificato con i pontefici precedenti che ho conosciuto.

  • Dalla pubblicazione di Amoris Laetitia, i vescovi sono stati divisi tra loro riguardo l’interpretazione del permesso di ricevere la Santa Comunione per i “divorziati risposati.” I vescovi polacchi hanno emesso una dichiarazione a sostegno della dottrina ortodossa. Il 19 settembre 2016 i Card. Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner hanno inviato al Papa dei dubia in merito all’interpretazione dell’enciclica.
  • Il 2 agosto 2018, Francesco ha formalmente emendato il “Catechismo della Chiesa Cattolica” per escludere interamente la legittimità della pena capitale. Ma la Chiesa Cattolica ha sempre insegnato che l’uso della pena capitale da parte dello stato è legittimo in determinate circostanze. Il 31 maggio 2019, una dichiarazione firmata dal Card. Burke, dal Card. Pujats, dall’Arcivescovo Peta, dall’Arcivescovo Lenga e da mons. Schneider ha pubblicamente respinto l’insegnamento di Francesco, facendo appello alla “regola remota” della fede.
  • Nel luglio 2023 i cardinali Brandmüller, Burke, Sandoval Íñiguez, Sarah e Zen Ze-kiun hanno presentato al Papa 5 domande con la richiesta di un chiarimento su alcune questioni relative alla interpretazione della Divina Rivelazione, sulla benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, sulla sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, sulla ordinazione sacerdotale delle donne e sul pentimento come condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale.
  • Dopo la pubblicazione di Fiducia Supplicans decine di Conferenze Episcopali hanno dichiarato che non applicheranno il documento nei loro territori.

Qui vediamo due punti con grande chiarezza:

  1. Francesco si discosta pubblicamente dalla regola di fede proposta dal Magistero della Chiesa Cattolica e
  2. una parte significativa dell’episcopato si rifiuta di seguirlo come “regola vivente della fede.”

Un tale stato di cose non può, con alcuna convinzione o credibilità, essere descritto come “adesione universale e pacifica” della Chiesa Cattolica a Francesco come “regola vivente della fede”. Di conseguenza, l’argomento dell’adesione universale e pacifica non può essere utilizzato per giungere alla conclusione che Francesco sia il Papa.

[1] A puro titolo di completezza preciso che le norme attualmente in vigore non prevedono che la simonia invalidi l’elezione (cfr. Universi Dominici Gregis, n.78).

[2] Alcuni esempi: 1) uno dei tre elementi necessari a commettere peccato mortale è la “piena consapevolezza”; 2) se un sacerdote dà un sacramento senza la consapevolezza di quello che sta facendo (intenzione), allora il sacramento è invalido; 3) se anche solo una di due persone che intendono sposarsi non avesse idea di cosa sia il matrimonio, esso sarebbe nullo.

[3] Per ulteriore approfondimento: «Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi. “Il magistero del Romano Pontefice e del Collegio dei Vescovi in materia di fede o di costumi o di verità intimamente connesse, anche se non intende enunziare una dottrina con atto definitivo, obbliga i fedeli a prestare a tale dottrina un religioso ossequio, evitando con cura quello che con essa non sia concorde. Non basta una semplice adesione esterna: è necessaria anche e soprattutto quella interna, dell’intelletto e della volontà. Questo non impedisce che la verità enunziata venga opportunamente approfondita, ai sensi dei cann. 218 e 386, § 2. L’approfondimento comprende anche lo “sviluppo”, ma eodem sensu eademque sententia» (Luigi Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico, Commento giuridico-pastorale II, Dehoniane, Roma 19962, 3117).

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