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LifeSite News intervista p. Giorgio Maria Faré

JHWESTENSHOW

Il 22 novembre 2024, p. Giorgio Maria Faré è stato ospite del John-Henry Westen Show sul celebre canale cattolico LifeSiteNews.

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John-Henry Westen è un giornalista e scrittore canadese, co-fondatore e redattore capo di LifeSiteNews. Nato il 22 maggio 1969, è noto per il suo impegno nella difesa dei valori pro-vita, della famiglia e della fede cattolica. Conduce il John-Henry Westen Show, dove approfondisce temi bioetici, religiosi e culturali. È padre di otto figli e vive in Canada.

Scarica il testo dell’intervista

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Trascrizione dell’intervista in italiano

Sapendo che avresti potuto affrontare gravi sanzioni per averlo fatto, cosa ti ha motivato a rendere nota la tua posizione?

È una questione di coscienza. Non potevo più tacere. Quando si vede la verità rinnegata e milioni di fedeli cadere nell’errore, restare in silenzio diventa insopportabile. Chi dovrebbe essere la regola vivente della fede non può fare frequenti affermazioni ambigue o, peggio, contrarie alla dottrina.

Mi sono chiesto: se un fedele divorziato e risposato mi chiedesse come vivere, cosa dovrei fare? Dire ciò che Gesù insegna nel Vangelo, ciò per cui San Giovanni Battista ha sacrificato la sua vita, o ciò che dice Papa Francesco? E se una coppia omosessuale venisse a chiedermi una benedizione, cosa dovrei fare? Seguire l’insegnamento della Chiesa, ribadito nel 2021 nel Responsum firmato dal Card. Ladaria e approvato da Papa Francesco, che dice che la Chiesa non ha il potere di benedire unioni dello stesso sesso, o applicare Fiducia Supplicans, sempre approvato da Papa Francesco, che dice il contrario? Mi domando: quale Papa Francesco si deve seguire, quello del 2021 o del 2023? È possibile che il Magistero del Papa cambi così radicalmente in soli tre anni, su un tema così importante?

Non potevo più andare avanti in questa situazione. Non sapevo cosa mi sarebbe accaduto esattamente ma immaginavo che ci sarebbero state conseguenze. Però non potevo mettere a tacere la mia coscienza né ingannare le persone solo per paura delle ripercussioni.

Nella tua omelia hai menzionato un lungo processo di discernimento, ma perché hai deciso di rivelare ora la tua tesi ai fedeli?

Si tratta di un argomento molto delicato ed ero consapevole della sua portata dirompente, per questo ho atteso di essere certo in coscienza di quanto avevo maturato.

Avrei comunque atteso ancora, ma si sono verificate diverse occasioni, sempre più ravvicinate, nelle quali dovevo decidere se la mia predicazione doveva mantenersi aderente alla dottrina della Chiesa così come l’avevo sempre conosciuta, una dottrina aderente al Vangelo di Gesù Cristo o se andare contro la Verità e contro la mia coscienza. Se dovevo predicare e agire secondo le “novità” attuali, ben sapendo che ciò che viene detto oggigiorno non sono veri atti di Magistero.

Puoi spiegare perché è significativo che Papa Benedetto abbia detto “dichiaro di rinunciare” invece di “rinuncio”?

Perché, come hanno spiegato diversi avvocati — ad esempio gli avvocati Antonacci e Somma e anche Don Cornet — la scelta delle parole in un atto giuridico è fondamentale, e in questo caso specifico le parole di Papa Benedetto hanno un impatto preciso. Dire “dichiaro di rinunciare” non è lo stesso che dire “rinuncio”.

Pensiamo a un esempio: se dico “dichiaro di comprare un’automobile”, non significa che sto comprando un’auto in quel momento. Sto solo esprimendo un’intenzione, ma l’azione vera e propria potrebbe non avvenire mai. Allo stesso modo, dire “dichiaro di fare qualcosa” in un contesto legale non è un atto definitivo, ma solo una promessa o un’intenzione.

Per rinunciare efficacemente a un ufficio, bisognerebbe dire inequivocabilmente che l’azione accade al presente. Una formulazione corretta sarebbe: “Rinuncio al mio ufficio con effetto immediato” o “Dichiaro che sto rinunciando al mio ufficio ora”.

C’è un altro elemento che invalida alla radice la dichiarazione, ed è l’apposizione del termine temporale. La rinuncia al Papato ha le caratteristiche di quello che in gergo si chiama «atto giuridico puro». Gli atti giuridici puri sono atti che, per la loro importanza e per evitare possibili incertezze e ambiguità, non ammettono la presenza di elementi accidentali, che sono solitamente la condizione e il termine. E infatti il can. 189 §3 del Codice di Diritto Canonico prevede che la rinuncia ad un ufficio ecclesiastico che non sia soggetta ad accettazione (come è quella del Papa, secondo il canone 332 §2) abbia effetto immediato. L’apposizione di un termine temporale rende l’atto di rinuncia non solo nullo ma addirittura inesistente.

Un esempio di atto giuridico puro è il matrimonio: non possiamo dire “Io, John, prendo in moglie te Mary a partire dal prossimo 28 novembre” e aspettarci che il matrimonio sia valido. Deve avvenire subito, senza condizioni o termini. Allo stesso modo, la rinuncia al Papato non può essere soggetta a un termine.

Analogamente, perché è significativo rinunciare al ministerium invece che al munus? È davvero sufficiente usare termini o formule scorrette nella lettera di dimissioni per renderla invalida?

C’è stato molto dibattito circa questi termini “munus” e “ministerium”. Alcuni canonisti sostengono che siano sinonimi e che Benedetto XVI li poteva usare indifferentemente.

Questo non è vero, ci sono molte evidenze a supporto.

Innanzitutto, nel Codice di Diritto Canonico e nella Costituzione Apostolica Pastor Bonus, “munus” e “ministerium” vengono utilizzati in modo diverso. Un esperto di diritto canonico, il cardinale Péter Erdő, ha pubblicato uno studio nel 1989 dove ha dimostrato che questi termini non possono essere usati come sinonimi quando hanno un significato tecnico.

Il Codice di Diritto Canonico dedica un solo canone alla rinuncia del Papa, il 332 §2.

  • 2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.
  • 2. Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur.

L’espressione latina usata dal canone per riferirsi all’azione del Papa è: “muneri suo renuntiet”, cioè “rinunci al suo ufficio”.

Non ci si spiega perché Papa Benedetto XVI, nel compiere un gesto di tale rilevanza, non abbia usato il termine tecnico “munus”, previsto proprio per questo atto giuridico. Perché scegliere una parola diversa se intendeva davvero rinunciare al papato? Ripeto, quelle sono le uniche due righe del diritto che coprono il caso della rinuncia del Papa.

Lei mi chiede se l’uso di termini o formule scorrette possa davvero invalidare l’atto. La risposta è sì: in diritto, la precisione è cruciale, specialmente per atti giuridici di questa importanza. Termini imprecisi o ambigui possono compromettere la chiarezza e rendere l’atto invalido. In questi casi, deve essere chiara l’intenzione della persona e non ci può essere confusione su ciò a cui si rinuncia.

Un’ulteriore prova che i due termini non sono intercambiabili si trova nelle traduzioni ufficiali della Declaratio sul sito della Santa Sede. In lingue come l’inglese e l’italiano, “munus” e “ministerium” sono stati tradotti con lo stesso termine, così da impedire di comprendere la differenza. Ma la traduzione ufficiale in tedesco è particolarmente significativa: in tedesco, le parole (Amst e Dienst) che corrispondono a “munus” e “ministerium” sono differenti e non sono sinonimi. Tuttavia, nella traduzione tedesca, questi termini sono stati scambiati, facendo credere che Benedetto XVI abbia rinunciato al “munus”. Questo scambio è una manipolazione intenzionale, e ci si deve chiedere: perché farlo, se non fosse importante usare il termine giusto?

Non avrebbe avuto più senso se Benedetto avesse preso provvedimenti contro la mafia di San Gallo (la quale, tu sostieni e molti ipotizzano stesse complottando per eleggere un Papa liberale come suo successore) piuttosto che dimettersi in modo invalido e lasciare indizi sperando che i buoni cardinali potessero decifrare il suo codice segreto?

Capisco che questa sia una questione complessa, e non possiamo avere prove incontrovertibili per sostenere questa teoria, ma esistono molti indizi che vale la pena considerare. Ho affrontato questi temi nel mio testo, citando anche altri studiosi che ne hanno parlato.

Guardando a tutte le testimonianze disponibili, si giunge a comprendere che probabilmente fin dall’inizio del suo pontificato e sicuramente in maniera crescente negli anni, Benedetto XVI fu messo in condizione di non riuscire più a esercitare la propria autorità. La Curia romana era talmente infiltrata dalla frangia gnostica e dalla massoneria ecclesiastica, da non lasciargli più potere. Ricordiamo gli attacchi mediatici e gli scandali che hanno segnato gli ultimi tempi del suo pontificato.

Sicuramente Papa Benedetto non aveva un numero sufficiente di alleati per poter sferrare un attacco diretto contro i suoi nemici (e non parlo solo dei cardinali del Gruppo di San Gallo ma di tutta la frangia gnostica infiltrata nella Chiesa). Quindi, è plausibile che abbia scelto un’altra strada per combattere queste forze.

Nel mio testo avanzo un’ipotesi, che è l’unica compatibile con i fatti e gli indizi che abbiamo e che non presuppone un atto moralmente grave commesso da Benedetto XVI.

L’unica possibilità è che egli avesse la certezza morale che un futuro conclave sarebbe stato invalido e che abbia optato per un’azione che gli permettesse di lasciare indizi per far emergere la verità.

Il giornalista Andrea Cionci ha suggerito che Benedetto fosse persino in pericolo di vita, presentando prove che indicano possibili attentati contro di lui. Se Benedetto XVI fosse morto, il conclave sarebbe stato convocato regolarmente ma le macchinazioni del Gruppo di San Gallo avrebbero potuto comunque renderlo invalido, come previsto da Universi Dominici Gregis. Tuttavia, in quel caso sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, provare l’invalidità dell’elezione.

Anche il cardinale Burke ha detto, in un’intervista del 2019 con Patrick Coffin, che certi accordi segreti presi prima del conclave avrebbero potuto invalidare l’elezione. Ricordo che, secondo la mia ipotesi, il conclave del 2013 era invalido dall’inizio perché convocato mentre il Papa era ancora vivo e non aveva rinunciato al suo munus. Il Card. Burke parte dal presupposto che il conclave del 2013 fosse valido, ma le sue parole confermano che macchinazioni di questo tipo potrebbero compromettere la validità dell’elezione.

Come risponderesti ai prelati che criticano chi sostiene che Francesco non sia il papa, come il vescovo Athanasius Schneider, che ha fatto affermazioni forti come “nessuno ha il potere di giudicare lo status di papa di Francesco” e afferma che i fedeli dovrebbero rispondere agli errori di Francesco resistendogli, non speculando sul suo status come Romano Pontefice?

Conosco bene mons. Schneider, ci lega una amicizia di lunga data, più volte è stato ospite nel convento del quale ero priore circa 15 anni fa per celebrazioni e conferenze. Tuttavia, non concordo sulla posizione che ha assunto in questo caso.

Mons. Schneider parte dal presupposto che Papa Francesco sia davvero il Papa, e il suo discorso si concentra sul fatto che un Papa non possa essere giudicato, anche se compie errori gravi. È vero, di norma nessuno può giudicare la sede di Pietro. Ma qui la questione è diversa: non si tratta di deporre un Papa, perché io sostengo che Francesco non sia Papa.

Il Codice di Diritto Canonico non contempla la possibilità del Papa eretico e la letteratura canonistica la ipotizza come caso solamente teorico.

Mons. Schneider giustifica la sua posizione cercando di mostrare come siano esistiti Papi eretici, ma i pochi casi storici di papi eretici riguardano teorie che furono dichiarate eretiche solo in seguito, spesso su temi teologici molto complessi. Prendiamo per esempio Papa Onorio, fulcro dell’argomentazione di Mons. Schneider: aderì al monotelismo, un’eresia sulla volontà divina di Gesù.

Ma oggi non stiamo discutendo questioni teologiche nuove o sottili. Il caso che stiamo vivendo è molto diverso. Papa Francesco, a detta di molti, ha preso posizioni che contraddicono apertamente la dottrina della Chiesa, così come definita dal catechismo e dal Magistero precedente. Questo crea un problema: un Papa non può, per definizione, andare contro la dottrina che è chiamato a custodire. La regola prossima della fede non può contraddire la regola remota della fede.

Il Canone 752 del Codice di Diritto canonico stabilisce:

Can. 752 – Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.

Quindi i fedeli devono dare “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà” al Magistero autentico, anche se non è definitivo. Se Papa Francesco è il Papa, allora bisogna obbedirgli, non si può dire “Noi ci opponiamo, noi non applichiamo Amoris laetitia o Fiducia Supplicans” perché, se Papa Francesco è Papa, questi sono atti di Magistero autentico.

Ma questo crea un cortocircuito: obbedire al Papa non può significare andare contro la propria coscienza e la dottrina. È un’impasse senza precedenti.

Come ho detto nella mia omelia “Non consegnerò il leone”, gli errori dottrinali di Francesco sono la dimostrazione  che egli non è Papa. Per questo non si tratta di “deporre” un Papa eretico, ma di riconoscere che Francesco non è mai stato Papa. Quindi, la soluzione non è cercare compromessi, ma aprire gli occhi e lavorare per dimostrare che Francesco non è mai stato Papa.

La mia posizione è che alla base di tutto ci sia la rinuncia deliberatamente invalida di Benedetto XVI. A differenza del professor Ed Mazza, che parla di un errore sostanziale sul concetto di doppio papato, io credo che Benedetto abbia agito deliberatamente, con un piano preciso per salvare la Chiesa. Questa interpretazione è condivisa anche da Andrea Cionci e Patrick Coffin.

Se la tua tesi è corretta, come possiamo ottenere di nuovo un vero Papa?

L’unica soluzione è la soluzione canonica. Bisogna che veri cardinali di nomina pre 2013 dicano pubblicamente che Benedetto XVI è stato l’ultimo Papa, che egli è stato Papa fino alla sua morte perché non validamente abdicatario ed eleggano un nuovo Papa. Solo loro, non quelli di nomina antipapale, altrimenti verrebbe eletto un altro antipapa.

Non condivido affatto l’operato di chi si è separato dalla chiesa dicendo che la Chiesa è corrotta e bisogna rifondarne un’altra. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. La Chiesa non è corrotta integralmente e definitivamente (questo sarebbe contro la promessa di Cristo “non prevalaebunt”), è affetta da un cancro, da un’infiltrazione estesa. Bisogna asportare il cancro. Chi può e deve intervenire, secondo quanto stabilito dal Diritto canonico, sono i Cardinali.

Perché pensi che i tuoi superiori abbiano agito così rapidamente nel muoversi verso la tua scomunica? La lettera in cui ti avvertivano di ritrattare la tua affermazione è stata inviata solo quattro giorni dopo la tua omelia.

In realtà, l’ammonizione mi è stata consegnata il 15 ottobre 2024, quindi solo due giorni dopo la mia omelia, non quattro. Non posso dire con certezza perché abbiano agito con tanta rapidità; per conoscere le loro vere motivazioni, bisognerebbe chiederlo a loro.

Tuttavia, noto che sempre più voci stanno sollevando dubbi sulla validità di Papa Francesco, e queste non possono più essere liquidate come teorie fantasiose o frutto di menti squilibrate. Persino su questo canale, figure come Patrick Coffin e il professor Edmund Mazza hanno preso posizione recentemente. È possibile che in Vaticano stiano cominciando a considerare la questione come una minaccia crescente e vogliano usare il “pugno di ferro” per dare un segnale forte e scoraggiare altre critiche. Ma, ripeto, questa è solo una mia ipotesi.