I sacramenti celebrati «in unione con Papa Francesco» sono validi
Chiarimenti terminologici
Distinzione tra validità e liceità:
Validità:
Riguarda l’aspetto sostanziale del SS. Sacramento, cioè il fatto che avvenga o meno la Transustanziazione.
Liceità:
La liceità riguarda il suo valore morale (se fa del bene a chi lo celebra o ne prende parte, oppure no). Una celebrazione illecita avviene quando, pur rispettando i requisiti per la validità, si contravviene alle norme canoniche, come ad esempio quando la celebrazione avviene in comunione con un’autorità non legittima.
Chi è un antipapa?
Un antipapa è una persona che si è autoproclamata Papa o che è stata eletta illegittimamente Papa. Questa situazione si è spesso verificata durante periodi di crisi o di divisione all’interno della Chiesa, come durante lo scisma d’Occidente (1378-1418), quando c’erano più pretendenti al Papato.
Il termine non ha alcun legame con il valore morale della persona. Infatti, c’è stato almeno un caso in cui un antipapa è stato riconosciuto come santo, Sant’Ippolito, che fu antipapa nel III secolo prima di riconciliarsi con la Chiesa.
È importante non confondere l’antipapa con l’anticristo, che nella teologia cristiana è una figura associata al male e alla fine dei tempi. L’antipapa è semplicemente un rivale, non necessariamente una figura malvagia o legata a profezie apocalittiche.
Chi stabilisce se qualcuno è eretico?
La decisione su chi possa essere considerato eretico nella Chiesa cattolica è presa dalle autorità ecclesiastiche competenti, seguendo un processo formale. In particolare, le figure chiave e i meccanismi coinvolti sono:
- Il Papa e i Vescovi: L’autorità suprema nella Chiesa cattolica risiede nel Papa unito al collegio dei Vescovi. Il Papa ha il potere di definire questioni di fede e dottrina e, in ultima istanza, di dichiarare che una persona o un gruppo sostiene posizioni contrarie alla dottrina cattolica, cioè eretiche.
- Concili ecumenici: Storicamente, i concili ecumenici (come il Concilio di Nicea o il Concilio di Trento) hanno svolto un ruolo cruciale nel definire l’ortodossia e nel dichiarare eretiche alcune posizioni. Questi concili riuniscono i vescovi di tutto il mondo sotto la presidenza del Papa o di un suo delegato.
- Tribunali ecclesiastici: Il Dicastero per la Dottrina della Fede (già Congregazione e, un tempo, Sant’Uffizio o Santa Inquisizione) si occupa di esaminare casi di presunta eresia. È incaricata di vigilare sull’insegnamento dottrinale e può intervenire per correggere o censurare teologi o altri fedeli che deviano dall’insegnamento cattolico.
- Processo formale: Per dichiarare qualcuno eretico, di solito si procede con un’indagine formale, nella quale vengono esaminate le idee o gli scritti della persona in questione. Se dopo il processo si stabilisce che le opinioni sostenute sono in grave contrasto con la dottrina ufficiale e la persona rifiuta di correggersi, può essere dichiarata eretica.
La dichiarazione di eresia, quindi, non è una decisione individuale o arbitraria, ma segue procedure stabilite dalla Chiesa. Inoltre, non riguarda solo il disaccordo teologico, ma un rifiuto persistente e consapevole delle verità di fede definite dalla Chiesa cattolica.
I criteri di validità della S. Messa secondo la Dottrina della Chiesa
Per conoscere i requisiti di validità del sacramento dell’Eucaristia, secondo la Chiesa Cattolica, dobbiamo consultare il Codice di Diritto Canonico e il Magistero. Sono 3 le condizioni di validità (non di liceità) del sacramento per i cattolici. Alcuni teologi o testi ne indicano 4 perché separano l’intenzione dalla formula consacratoria.
- Ministro (sacramento dell’Ordine almeno nel grado del presbiterato, CDC can. 900)
- Materia (pane di frumento e vino d’uva, CDC can. 924) – Un inciso: le ostie per celiaci sono materia valida? Sì, lo sono, perché non sono completamente prive di glutine ma ne contengono una piccolissima quantità sufficiente alla panificazione. Le ostie che fossero completamente prive di glutine non sarebbero materia valida. (Cfr. Comunicato dell’Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, 18-10-2001)
- Formula (le parole della Consacrazione contenute nel Messale)
- Intenzione (l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa) – Sgomberiamo il campo da dubbi. “Avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa” vuol dire avere l’intenzione di compiere l’atto sacro secondo il significato e lo scopo attribuiti dalla Chiesa stessa nella sua dottrina, che nel caso dell’Eucarestia vuol dire voler FARE AVVENIRE LA TRANSUSTANZIAZIONE. Questa condizione non ha attinenza con la fede del ministro o la sua effettiva “unione” con la Chiesa. Non è neppure necessario che il ministro conosca tutta o comprenda tutta la dottrina della Chiesa circa il Sacramento dell’Eucarestia. Come vedremo S. Tommaso dice che anche gli eretici, gli scismatici e gli apostati consacrano validamente.
(Per la formula e l’intenzione il rif. è CDC can 846 cioè la prescrizione di osservare in modo esatto le norme liturgiche durante la celebrazione dei sacramenti)
Queste verità sono definite nel Codice di Diritto Canonico, nel Catechismo della Chiesa cattolica (cfr. nn 1353, 1373-1378, 1411, 1412) e hanno le loro fonti nella Bolla Inter Cunctas di Papa Martino V (n. 22), nel Concilio di Trento (Sessione VII (3 marzo 1547): Dottrina e canoni sui sacramenti in generale, Sessione XIII (11 ottobre 1551): Dottrina sull’Eucaristia) e in San Tommaso (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82).
Questa, sottolineiamo, è la dottrina della Chiesa e a questa i cattolici sono obbligati a credere. Qui non c’è spazio per dubbi, interpretazioni o opinioni personali.
La Chiesa afferma che la consacrazione avviene “ex opere operato”. Questo dice la Chiesa, e questo va creduto, anche se può sembrare strano.
Su questa base la Chiesa cattolica riconosce valido il Sacramento Eucaristico delle chiese ortodosse (che sono scismatiche) perché hanno ministri ordinati, materia valida e forma pronunciata secondo l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
Confutazione delle argomentazioni contrarie
Alcuni sostengono che una S. Messa celebrata in comunione con un antipapa sarebbe invalida.
Primo falso argomento: «Lo Spirito Santo non può agire in una S. Messa celebrata in unione con un usurpatore del trono petrino, scismatico, eretico e apostata»
Si trovano su internet frasi “ad effetto” che a prima vista suscitano consenso, ad esempio: «Lo Spirito Santo non può agire in una S. Messa celebrata in unione con un usurpatore del trono petrino, scismatico, eretico e apostata». Questo argomento però è errato dal punto di vista dottrinale e lo andremo a dimostrare.
Innanzi tutto, come abbiamo detto sopra, solo la Chiesa può decretare chi sia eretico, scismatico e apostata. Non sta a noi, sacerdoti o laici, sentenziare su chicchessia. Questa frase, quindi, si basa su una falsa premessa.
Tuttavia, se anche ci trovassimo in presenza di un usurpatore, scismatico, eretico e addirittura apostata, questo non inficerebbe in alcun modo la validità della S. Messa. Andiamo a vedere perché.
San Tommaso d’Aquino, Papa Martino V e il Concilio di Trento affermano che la validità della S. Messa dipende dall’osservanza della materia, della forma e dall’intenzione del ministro, non dalla sua comunione con il Papa o dalla sua santità personale.
In dettaglio:
Papa Martino V, nella bolla Inter Cunctas scritta a condanna delle eresie di Jan Hus e John Wycliffe, afferma, circa ciò che deve essere creduto:
«Ugualmente, se crede che un sacerdote indegno, con la materia e forma dovute e con l’intenzione di fare quello che fa la chiesa, realmente consacra, realmente assolve, realmente battezza, realmente conferisce gli altri sacramenti» (Martino V, Bolla Inter Cunctas, n. 22)
Il Concilio di Trento ha stabilito che lo Spirito Santo agisce ex opera operato, cioè indipendentemente dalla condizione morale in cui si trova il ministro:
«Se qualcuno afferma che il ministro, quando si trova in peccato mortale – ancorché compia tutto ciò che è essenziale a celebrare e a conferire il Sacramento – non celebra e non conferisce il Sacramento: sia anatema» (Concilio di Trento, sessione VII, Canone 12 sui Sacramenti in genere).
San Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica, afferma che l’Eucaristia celebrata dagli eretici è sì illecita, ma valida:
«Nelle preghiere della messa il sacerdote parla in nome della Chiesa a cui è unito, ma nel consacrare l‘Eucaristia parla in nome di Cristo, di cui fa allora le veci per il potere d‘ordine. Quindi il sacerdote separato dall‘unità della Chiesa, non avendo perduto il potere d‘ordine, consacra validamente il corpo e il sangue di Cristo; essendo però separato dall‘unità della Chiesa, le sue preghiere non hanno efficacia» (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 7, ad 3).
E ancora:
«Alcuni hanno asserito che gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati, essendo fuori della Chiesa, non sono in grado di consacrare il sacramento eucaristico. Ma in ciò s’ingannano. Perché, come osserva S. Agostino, “altro è non avere una cosa, altro è averla abusivamente”, così pure “altro è non dare e altro è dare malamente”. Coloro dunque che facendo parte della Chiesa ricevettero il potere di consacrare l’Eucarestia con l’ordinazione sacerdotale, ne hanno validamente la facoltà, ma non la esercitano lecitamente, se in seguito si sono separati dalla Chiesa con l’eresia, lo scisma, o la scomunica. […] E poiché la consacrazione dell’Eucarestia è un atto connesso col potere di ordine, coloro che sono separati dalla Chiesa per eresia, scisma, o scomunica, possono validamente consacrare l’Eucarestia, la quale, sebbene da essi consacrata, contiene il vero corpo e sangue di Cristo…» (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 7, co).
E qui ci interrompiamo, vedremo dopo la parte finale di questa citazione di S. Tommaso.
Questa concezione estesa della potestà dell’Ordine, circa l’amministrazione dei sacramenti in generale, è stata ripresa dal Concilio di Trento (Concilio di Trento, sessione VII, can 11), il quale indica come condizione minima generale del sacerdote che amministra quella di avere la stessa intenzione che ha la Chiesa. È singolare che non si richieda esplicitamente la fede della Chiesa. Lo ripeto, non è necessaria l’esplicita professione di fede personale del sacerdote, ma è sufficiente che egli abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Questo significa che, anche se un sacerdote dovesse dubitare o aver perso la fede, i sacramenti da lui celebrati rimangono validi se intende agire secondo l’intenzione della Chiesa. La Chiesa supplisce alle eventuali carenze individuali del ministro, poiché è Cristo il vero ministro dei sacramenti. Un esempio di questo principio sono i miracoli eucaristici di Lanciano e Bolsena, dove sacerdoti dubbiosi sulla transustanziazione hanno comunque voluto fare ciò che fa la Chiesa e Gesù ha manifestato miracoli visibili per confermare la Sua presenza reale. Questi eventi dimostrano che la validità dei sacramenti si basa sull’intenzione di agire in nome della Chiesa e che la fede della comunità sostiene l’efficacia sacramentale anche quando il ministro ha dubbi personali.
Secondo falso argomento: «L’enciclica Ecclesia de Eucharistia al paragrafo 39 dice che la comunione col Papa è necessaria per la validità»
Un altro motivo che viene addotto per sostenere la tesi dell’invalidità della S. Messa in unione con un antipapa è il contenuto espresso da Giovanni Paolo II al n° 39 dell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, in particolare la frase:
«…la comunione con lui [Pietro] è un’esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico. […] Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma».
Secondo questa tesi, il paragrafo introdurrebbe nel magistero cattolico, in modo assolutamente innovativo, un ulteriore elemento, una quinta condizione determinante per la valida celebrazione dell’Eucarestia. Non basterebbero più, quindi, quelle quattro caratteristiche arcinote presenti nel magistero cattolico da secoli, formalizzate dal concilio di Trento ma già dottrina ufficiale e depositata nella Chiesa almeno dal tempo di Papa Martino V (cfr. Bolla Inter Cunctas, n 12).
Rileviamo subito che è già di per sé inaccettabile il fatto di sostenere che in questo documento sarebbe espressa un’innovazione magisteriale tanto importante, senza che né gli estensori del documento lo abbiamo esplicitato, né alcun altro lo abbia notato in tutti gli anni trascorsi dalla pubblicazione. Se si considerano le numerose modifiche al Codice che sono state effettuate sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, se questi Papi avessero voluto aggiungere un’ulteriore condizione di validità al sacramento dell’Eucaristia, l’avrebbero fatto. Un contenuto così importante andrebbe espresso in modo esplicito, non lasciato all’interpretazione.
Procediamo comunque nella spiegazione.
Questa tesi si fonda su alcune espressioni del paragrafo 39, ma queste espressioni vengono decontestualizzate e così si genera l’interpretazione errata. Leggiamo tutto il numero 39 e poi vediamo le espressioni una per una.
- Inoltre, per il carattere stesso della comunione ecclesiale e del rapporto che con essa ha il sacramento dell’Eucaristia, va ricordato che « il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa, infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l’intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica». Deriva da ciò che una comunità veramente eucaristica non può ripiegarsi su se stessa, quasi fosse autosufficiente, ma deve mantenersi in sintonia con ogni altra comunità cattolica.
La comunione ecclesiale dell’assemblea eucaristica è comunione col proprio Vescovo e col Romano Pontefice. Il Vescovo, in effetti, è il principio visibile e il fondamento dell’unità nella sua Chiesa particolare. Sarebbe pertanto una grande incongruenza se il Sacramento per eccellenza dell’unità della Chiesa fosse celebrato senza una vera comunione col Vescovo. Scriveva sant’Ignazio di Antiochia: «Si ritenga sicura quell’Eucaristia che si realizza sotto il Vescovo o colui a cui egli ne ha dato incarico». Parimenti, poiché «il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli», la comunione con lui è un’esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico. Di qui la grande verità espressa in vari modi dalla Liturgia: «Ogni celebrazione dell’Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l’Ordine episcopale, con tutto il clero e con l’intero popolo. Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma».
L’Eucarestia, espressione dell’unità della Chiesa
«… sarebbe pertanto una grande incongruenza se il sacramento per eccellenza dell’unità della Chiesa fosse celebrato senza una vera comunione con il Vescovo».
Questa frase dice che celebrare la S. Messa senza essere in comunione col proprio Vescovo è una grande incongruenza, cioè una cosa che non sta nel contesto. (Se io andassi da una persona e le dessi una carezza dicendole “non ti sopporto”, sarebbe una grande incongruenza). Tuttavia qui non si afferma affatto che tale celebrazione sarebbe invalida.
«Parimenti, poiché “il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli”, la comunione con lui è un’esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico».
Il documento qui passa a parlare della celebrazione in comunione col Romano Pontefice e introduce la questione con la parola “Parimenti”, che significa “allo stesso modo, ugualmente”. Quindi ci dice che, per coerenza, la S. Messa deve essere in comunione col Papa, se non lo fosse sarebbe “parimenti” una grande incongruenza, ma non dice che sarebbe invalida.
A conferma che sia questa la giusta interpretazione, il documento continua facendo la distinzione tra ciò che avviene nella Chiesa Cattolica rispetto a quanto accade nelle Chiese cristiane separate da Roma: «Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese separate da Roma».
Vediamo la prima parte: «Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa».
La frase che stiamo esaminando va interpretata all’interno del contesto in cui è collocata. Si tratta di una citazione a sua volta presa da Communionis notio (1992), una Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa Cattolica incentrata sull’unità della Chiesa e sulla comunione ecclesiale. Non si tratta di un passaggio dottrinale che sancisce le condizioni per la validità del sacramento.
L’obiettivo della trattazione è porre in evidenza che la S. Messa non è solo un momento di culto individuale, ma un atto che esprime e realizza l’unità della Chiesa nel Corpo di Cristo, che è unico e indiviso. L’accento qui si pone non sulla validità della celebrazione, ma sul significato che tale celebrazione esprime. Dal punto di vista cattolico, l’Eucaristia è per sua natura un sacramento di unità, essa esprime la realtà dell’unica Chiesa di Cristo, anche se vi sono divisioni visibili.
Nella Chiesa Cattolica, questa unità normalmente si manifesta visibilmente nel successore di Pietro (e a seguire nel Vescovo) e pertanto è espressa facendo menzione del nome del Papa e del Vescovo nella preghiera eucaristica.
La formula completa del Canone Romano è «una cum fámulo tuo Papa nostro N., et Antístite nostro N., et ómnibus orthodóxis, atque cathólicæ et apostólicæ fidei cultóribus». Cioè: «in unione con il tuo servo il nostro papa N., il nostro vescovo N. e con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica, trasmessa dagli apostoli».
È evidente che questo vuol dire ribadire la fede nella Chiesa una santa cattolica e apostolica.
Non avrebbe senso celebrare una S. Messa non in unione col Papa perché vorrebbe dire non voler essere in comunione con la Chiesa e questo contraddirebbe la fede nella Chiesa e il significato dell’Eucarestia.
La seconda parte della frase è: «… oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese separate da Roma».
La menzione delle Chiese separate da Roma (cioè gli Ortodossi) dirime definitivamente la questione, dato che gli Ortodossi non riconoscono l’autorità del Papa, ma hanno conservato la successione apostolica e pertanto consacrano validamente.
Ricordiamo in proposito il Catechismo al n. 1399:
«Le Chiese orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica celebrano l’Eucaristia con grande amore. Queste Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti, soprattutto in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali sono ancora unite a noi da strettissimi vincoli. Quindi una certa comunicazione nelle cose sacre, presentandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile»
Anche se queste Chiese non riconoscono il Papa come capo visibile, la Chiesa cattolica vede nelle loro celebrazioni eucaristiche una forma di partecipazione alla Chiesa universale. Questo legame oggettivo si basa sulla dottrina che, nonostante la separazione, lo Spirito Santo è all’opera nelle loro celebrazioni e nei loro sacramenti, mantenendo una connessione spirituale con la Chiesa universale.
“Oggettivo” indica qui qualcosa che è vero in sé, indipendentemente dal riconoscimento formale o dal sentimento soggettivo delle Chiese separate. Tale comunione è “oggettiva” poiché riflette una realtà teologica e sacramentale che trascende le divisioni storiche e istituzionali. In sintesi, la frase intende comunicare che ogni celebrazione eucaristica valida “richiama” la comunione con l’unica Chiesa di Cristo e quindi con il Papa, anche quando ciò non è esplicitamente riconosciuto dalle Chiese separate o — aggiungiamo noi — anche quando esso non è presente come in situazione di sede vacante.
Se volessimo far dire a questo paragrafo di Ecclesia de Eucharistia che la comunione col Papa è condizione per la validità, ci sarebbe una contraddizione interna nella stessa frase, perché gli Ortodossi, che non sono espressamente in comunione col Romano Pontefice, non potrebbero consacrare validamente, come invece fanno.
Sarebbe, tra le altre cose, un’affermazione profondamente anti ecumenica nei confronti degli Ortodossi, perché negherebbe la communicatio in sacris con loro, almeno per il sacramento dell’Eucaristia e quindi per la S. Messa.
Non tutte le Preghiere Eucaristiche prevedono l’espressione “una cum”
A margine, faccio notare che solo le preghiere eucaristiche I e II del Messale Romano contengono l’espressione “in unione con”. Le preghiere III e IV usano formule diverse, rispettivamente:
Ti preghiamo, o Padre:
questo sacrificio della nostra riconciliazione doni pace e salvezza al mondo intero.
Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro papa N.,
il nostro vescovo N.*, l’ordine episcopale, i presbiteri, i diaconi e il popolo che tu hai redento.
(Messale Romano, terza edizione italiana, Preghiera Eucaristica III)
Ora, Padre, ricordati di tutti quelli per i quali noi ti offriamo questo sacrificio:
del tuo servo e nostro papa N.,
del nostro vescovo N.*, dell’ordine episcopale, dei presbiteri, dei diaconi, di coloro che si uniscono alla nostra offerta, di quanti sono qui riuniti, +
(Messale Romano, terza edizione italiana, Preghiera Eucaristica IV).
Se la celebrazione “in unione con” fosse un requisito di validità, vorrebbe dire che ci sarebbero due Preghiere Eucaristiche che rendono la S. Messa invalida? Questo è chiaramente assurdo.
Inoltre, nella Preghiera Eucaristica I l’espressione compare prima della formula di consacrazione, mentre nella Preghiera Eucaristica II l’espressione compare dopo la formula di consacrazione, cioè quando la transustanziazione è già avvenuta. Pertanto, se tale espressione fosse vincolante circa la validità, ci si troverebbe in una situazione assurda: potrebbero forse le Sacre Specie “ritornare” ad essere pane e vino se il Sacerdote dicesse di celebrare in comunione con un papa illegittimo?
Conclusione
Sebbene in Ecclesia de Eucharistia n. 39 siano accostati temi delicati come la comunione con il Pontefice e la valida celebrazione della S. Messa, non si afferma assolutamente che la prima sia conditio sine qua non perché avvenga la seconda.
Lo scopo del documento non è definire dogmaticamente delle nuove condizioni di validità ma sottolineare l’intimo legame tra il santo Sacrificio istituito da Gesù Cristo e l’unità della Chiesa.
Le preghiere eucaristiche menzionano il Papa in qualità di segno visibile dell’unità della Chiesa. In tempi nei quali il Papa non è presente (ad esempio quanto la sede è vacante), il nome del Papa si omette, ma l’unione con la Chiesa resta espressa dalla menzione del Vescovo e di «tutti quelli che custodiscono la fede cattolica, trasmessa dagli apostoli».
Pur essendo così importante, la Comunione col Papa non rende valida l’Eucaristia, né la sua assenza la rende invalida. Essere valida o invalida non è legato, nel Sacramento Eucaristico,
alla comunione col Papa, ma alle condizioni di validità stabilite dalla dottrina.
S. Messa valida ma illecita, il tema della fruttuosità
Il concetto di liceità di una S. Messa si riferisce alla sua conformità con le leggi della Chiesa. Una S. Messa illecita è una celebrazione che, pur essendo valida (ovvero che rispetta i requisiti di materia, ministro, forma e intenzione), viene celebrata in violazione di norme canoniche o liturgiche, rendendo l’azione disobbediente, ma senza compromettere la sua validità sacramentale.
Significato di “S. Messa illecita”
Una S. Messa è illecita quando il sacerdote, pur rispettando i requisiti di validità, viola alcune norme della Chiesa, come ad esempio:
- Non avere le facoltà ministeriali o la giurisdizione per celebrare (ad esempio, un sacerdote sospeso a divinis).
- Celebrare la S. Messa in un luogo non consacrato senza il permesso dell’Ordinario.
- Celebrare la S. Messa in un rito non approvato o con formule liturgiche non riconosciute dalla Chiesa.
Correlazione tra liceità e frutti spirituali
La liceità influisce sulla fruttuosità della celebrazione. Una S. Messa lecita porta con sé tutti i frutti spirituali ordinari derivanti dal Sacramento, mentre una S. Messa illecita può limitare tali frutti. Tuttavia, la mancanza di liceità non annulla la validità della S. Messa, né rende inefficaci i sacramenti per i partecipanti.
- Frutti spirituali ordinari: la S. Messa valida conferisce la grazia sacramentale, che opera indipendentemente dalla santità personale del celebrante. Quindi, anche se il sacerdote è in uno stato di disobbedienza, la transustanziazione avviene e i fedeli che partecipano con le giuste disposizioni possono ricevere la grazia.
- Frutti spirituali limitati: la partecipazione a una S. Messa illecita potrebbe avere effetti spirituali ridotti per via della mancanza di conformità con la disciplina della Chiesa. Ad esempio, la disobbedienza del sacerdote alle leggi canoniche riduce l’efficacia della celebrazione in termini di crescita nella comunione ecclesiale e nella santità.
Conseguenze per un fedele che partecipa a una S. Messa illecita
- Partecipazione non peccaminosa: se un fedele partecipa a una S. Messa illecita senza esserne consapevole o in buona fede, non commette peccato. La Chiesa, infatti, riconosce che il fedele potrebbe non essere a conoscenza della condizione del sacerdote o delle circostanze illecite.
- Partecipazione con consapevolezza: se un fedele partecipa consapevolmente a una S. Messa illecita (ad esempio, una S. Messa celebrata da un sacerdote sospeso o scomunicato), può essere considerato complice nella disobbedienza al diritto canonico e, secondo San Tommaso d’Aquino, partecipare alla colpa del sacerdote.
San Tommaso d’Aquino afferma infatti: «Chiunque comunica con un altro nel peccato, ne viene a condividere la colpa» (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 9). Questo principio implica che il fedele, conoscendo l’illiceità, potrebbe trovarsi a commettere un atto di disobbedienza alla Chiesa e quindi peccare, a seconda della gravità della situazione.
In conclusione, partecipare a una S. Messa illecita ha conseguenze principalmente per la fruttuosità spirituale della celebrazione, riducendo i benefici che il fedele potrebbe ottenere e, in casi di consapevole disobbedienza, potrebbe portare il fedele stesso a partecipare alla colpa del celebrante.
Confutazione dell’obiezione: «S. Tommaso dice che chi va a Messa con gli eretici commette peccato»
Riprendiamo cosa dice S. Tommaso parlando degli eretici (riprendiamo la citazione interrotta sopra):
«E poiché la consacrazione dell’Eucarestia è un atto connesso col potere di ordine, coloro che sono separati dalla Chiesa per eresia, scisma, o scomunica, possono validamente consacrare l’Eucarestia, la quale, sebbene da essi consacrata, contiene il vero corpo e sangue di Cristo; però non consacrano lecitamente, ma commettono peccato. Quindi non ricevono il frutto del sacrificio, che è il sacrificio spirituale»
- Tommaso, è vero, afferma che è peccato partecipare alle Messe celebrate da eretici; tuttavia, egli precisa che l’eresia deve essere riconosciuta da una sentenza ecclesiastica:
«Ora, chiunque comunica con un altro nel peccato, ne viene a condividere la colpa, cosicché S. Giovanni parlando dell’eretico afferma: «Chi lo saluta partecipa alle sue opere malvagie». Quindi non è lecito ricevere la Comunione dai suddetti Sacerdoti né ascoltare la loro Messa. Tra codeste categorie però c’è qualche differenza. Infatti gli eretici, gli scismatici e gli scomunicati vengono privati dell’esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. E quindi pecca chiunque ascolti la loro S. Messa o riceva da essi i Sacramenti» (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 9, co.)
Ma questa sentenza su Papa Francesco, a tutt’oggi, manca e nessuno può “decidere” che egli sia eretico, se non una «sentenza della Chiesa».
Prosegue S. Tommaso:
«Invece non tutti i peccatori vengono privati dell’esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. Sebbene dunque siano sospesi per sentenza divina di fronte alla propria coscienza, tuttavia non lo sono per sentenza ecclesiastica di fronte agli altri. Perciò fino alla sentenza della Chiesa è lecito ricevere la Comunione da essi e ascoltare la loro Messa ». (Summa Theologiae, Tertia Pars, Quaestio 82, Articulus 9, co.)
Qui S. Tommaso sta parlando di sacerdoti che, come singoli, sono accusati di eresia o scisma o altro peccato che comporterebbe la scomunica ma che ancora non sono stati condannati[1]. Chiaramente, fino alla sentenza della Chiesa, nessuno può avere la certezza che quel sacerdote sia effettivamente eretico, scomunicato, ecc. e nel frattempo è lecito «ricevere la Comunione da essi e ascoltare la loro Messa».
Questo caso trattato da San Tommaso non è uguale alla nostra situazione. Noi oggi ci troviamo in un caso particolarissimo in cui esiste il fondato dubbio di avere un antipapa, però la Chiesa ufficialmente non si è ancora espressa in merito; quindi, manca una sentenza su questa realtà.
Per comprendere come comportarsi, occorre articolare la questione.
C’è un primo fattore che riguarda la coscienza del sacerdote che celebra.
Il sacerdote che celebra “in comunione con Papa Francesco” con la consapevolezza che egli non sia Papa celebra una S. Messa illecita; se invece il sacerdote è in buona fede, celebra lecitamente.
Per i fedeli, che si pongono il problema se andare o meno alla S. Messa, la sintesi è che, ove vi sia la possibilità di una messa celebrata non “in comunione con Papa Francesco”, è opportuno andare a quella. Se invece non ci sono alternative, soprattutto nei giorni di precetto, non bisogna assolutamente saltare la S. Messa ma bisogna andare a quelle celebrate “in comunione con Papa Francesco”, perché sono valide. In assenza di un pronunciamento ufficiale della Chiesa commetterebbe peccato contro il Terzo Comandamento chi si astenesse dall’andare a S. Messa nei giorni di precetto, per la sola ragione che la S. Messa è celebrata “in comunione con Papa Francesco”.
Confutazione dell’obiezione: «L’attuale gerarchia ecclesiastica non condannerà mai Papa Francesco come eretico»
Questa obiezione parte dal presupposto che, se anche Papa Francesco fosse eretico, l’attuale gerarchia ecclesiastica sarebbe talmente allineata con lui da non emettere mai una condanna in questo senso. Razionalmente, questa affermazione può sembrare ragionevole. Tuttavia, un simile atteggiamento rivela una mancanza di fede nella Divina Provvidenza e nel piano di Dio per la sua Chiesa. La storia della Chiesa ci insegna che, anche nei momenti di crisi, come durante il Grande Scisma d’Occidente, Dio ha sempre guidato la Chiesa verso una risoluzione per vie canoniche, attraverso gli strumenti che Egli stesso ha stabilito.
Quando un’impresa sembra impossibile, non è lecito al cristiano agire in autonomia, arrivando a contraddire le leggi e l’autorità della Chiesa, che è istituita da Cristo stesso. La Chiesa non è solo una realtà visibile e umana, ma è anche il Corpo Mistico di Cristo, guidato dallo Spirito Santo. Andare oltre la Chiesa o, peggio, staccarsene pensandosi “vera Chiesa” è un atto di scisma, un grave peccato che separa dal Corpo di Cristo e rompe la comunione ecclesiale.
Come dice il Codice di Diritto Canonico, il delitto di scisma consiste nel «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (can. 751). Separarsi dalla Chiesa visibile, in nome di una presunta purezza dottrinale o spirituale, è un errore grave che porta alla divisione, non all’unità voluta da Cristo.
Occorre, invece, rimanere fedeli alla Chiesa, anche nelle difficoltà e pregare incessantemente affinché Dio intervenga con la sua grazia e la sua Provvidenza.
Le soluzioni alternative che non passano per i canali canonici non sono percorribili, non portano alla pace né alla vera unità della Chiesa, anzi sono scismatiche. È necessario fare tutto il possibile affinché i Cardinali agiscano secondo giustizia e proclamino la sede vacante. Ma questo deve avvenire dall’interno della Chiesa e non attraverso azioni scismatiche.
Cristo stesso ha promesso: «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). La soluzione, per quanto possa sembrare improbabile o futuribile, si troverà per via canonica – perché così hanno deciso i Papi – e noi dobbiamo fidarci di questa promessa. Non spetta a noi inventare soluzioni alternative o agire fuori dal corpo della Chiesa, ma piuttosto affidarci a Dio e lavorare per la risoluzione della situazione nella comunione e nella fedeltà alla Chiesa visibile.
La validità delle ordinazioni sacerdotali ed episcopali
Differenza tra Cardinali e Vescovi
- Vescovo: È un sacerdote che, oltre all’ordinazione sacerdotale ha ricevuto anche l’ordinazione episcopale. Generalmente un vescovo è responsabile della guida di una diocesi ma esistono anche Vescovi ausiliari, che assistono il vescovo diocesano in una grande diocesi o arcidiocesi, e i Vescovi titolari che hanno il titolo di una diocesi storica, ormai non più attiva. Sono generalmente vescovi che lavorano nella Curia Romana o in ruoli diplomatici.
- Cardinale: Il cardinalato è un titolo onorifico conferito dal Papa a un ecclesiastico. Non si tratta di un ulteriore grado dell’ordine e la creazione di un cardinale non è un sacramento. La dignità cardinalizia non rientra nella struttura gerarchica “di diritto divino” (istituita direttamente da Gesù Cristo).I cardinali fanno parte del Collegio Cardinalizio, che ha il compito di consigliare il Papa e, fino all’età di 80 anni, hanno diritto di partecipare al conclave.
Le ordinazioni sacerdotali ed episcopali
Abbiamo già visto che la validità dei sacramenti non dipende dalla legittimità o meno di chi occupa il soglio di Pietro. Questo significa che le ordinazioni di vescovi e sacerdoti, se effettuate da vescovi validamente ordinati, sono considerate valide, indipendentemente dalla situazione del papato.
Questo principio garantisce la continuità del sacerdozio e della successione apostolica, anche in situazioni di incertezza o confusione all’interno della Chiesa. I fedeli possono quindi essere certi che i sacramenti amministrati dai sacerdoti e dai vescovi ordinati durante questo periodo sono validi.
Differenza tra ordinazione episcopale e nomina a vescovo di una Diocesi
L’ordinazione episcopale conferisce il carattere sacramentale di vescovo, che è un sacramento indelebile e permanente. Una volta ordinato, un vescovo ha la pienezza del sacerdozio e può validamente amministrare tutti i sacramenti, incluso il conferimento dell’ordinazione ad altri vescovi e sacerdoti. Questo aspetto non è influenzato dalla legittimità del papa, poiché la validità del sacramento dipende dagli elementi sacramentali e non dalla nomina a una diocesi.
La nomina di un vescovo a una specifica diocesi, ovvero la sua giurisdizione su un territorio e la sua autorità pastorale, è un atto amministrativo della Chiesa. Se un vescovo già validamente ordinato viene messo a capo di una diocesi, la validità della sua giurisdizione su quella diocesi può essere messa in discussione qualora si consideri l’attuale papa illegittimo. Tuttavia, questa questione riguarda solo il diritto di governo e non influisce sulla sua capacità di amministrare validamente i sacramenti, inclusa l’ordinazione di nuovi vescovi e sacerdoti.
Conclusione: Un vescovo ordinato validamente mantiene piena capacità sacramentale, indipendentemente da chi lo ha nominato in una determinata diocesi. La questione della nomina territoriale potrà essere valutata in seguito da un papa legittimo, ma ciò non compromette la validità delle ordinazioni o degli altri sacramenti amministrati dal vescovo.
La Nomina dei Cardinali
La questione della validità delle nomine cardinalizie operate da un antipapa è diversa, poiché la creazione di cardinali è considerata una prerogativa specifica del pontefice legittimo. Questi cardinali potrebbero quindi essere soggetti a un esame o conferma da parte di un futuro papa legittimo, che avrebbe l’autorità per confermare o revocare tali nomine.
In sintesi: La questione della legittimità del papa influenza la struttura di governo della Chiesa, ma non intacca la validità dei sacramenti.
La validità della confessione
Il sacramento della confessione, o riconciliazione, richiede che il sacerdote abbia potere di giurisdizione per poter assolvere validamente i penitenti. Questo significa che, oltre all’ordinazione sacerdotale, il sacerdote necessita di un’autorizzazione formale dalla Chiesa per esercitare il ministero della confessione in un determinato contesto. Qualora si ritenesse che il papa attualmente in carica sia illegittimo, potrebbe sorgere il dubbio sulla validità delle autorizzazioni concesse. Tuttavia, la Chiesa, per garantire la salvezza delle anime, applica il principio della Ecclesia supplet, con cui si estende giurisdizione suppletiva per mantenere la validità delle confessioni. Questo principio è particolarmente rilevante in periodi di confusione o dubbio riguardo alla legittimità del papa, poiché assicura che i sacramenti siano comunque validi per il bene dei fedeli.
I fedeli possono dunque avere fiducia nella validità delle confessioni ricevute, poiché la Chiesa ha sempre tutelato il diritto di accesso alla riconciliazione. Anche se il papa fosse dichiarato illegittimo, la giurisdizione suppletiva si applicherebbe in modo da garantire la validità del sacramento della confessione, proteggendo così i fedeli dal rischio di confessioni invalide.
Conclusione
I sacramenti celebrati in comunione con un antipapa sono validi ma illeciti. La validità dipende dagli elementi sacramentali tradizionali, mentre la liceità dalla comunione con l’autorità legittima della Chiesa. La disobbedienza alle leggi canoniche rende moralmente illecita la celebrazione, ma non ne compromette la validità. Nell’attuale, eccezionale, situazione e in assenza di un pronunciamento ufficiale della Chiesa, occorre grande prudenza e non astenersi dal precetto domenicale se l’unica celebrazione disponibile è quella «in unione con Papa Francesco».
La legge suprema della Chiesa
Alcuni potrebbero pensare che io stia difendendo gli eretici, ma non è questo il punto. Molti davvero hanno completamente dimenticato il volto materno della Chiesa.
La Chiesa stabilisce le norme per la validità dei sacramenti, fondandosi sulla Rivelazione. Tuttavia, tali norme non sono eccessivamente restrittive, poiché l’obiettivo è il bene spirituale dei fedeli. La Chiesa «supplisce» perché è Madre per i suoi figli! Non è una setta irrigidita sulle rubriche rituali. Per questo motivo, le norme ad validitatem nel Diritto canonico sono davvero poche.
Rimanendo in campo canonico, vorrei chiudere questo discorso citando quello che considero il canone più bello di tutto il Codice, l’ultimo! È il 1752. Non è un caso che sia stato collocato alla fine, come per dare la chiave di lettura sintetica di tutto il Codice. Trattando del trasferimento dei parroci, il 1752 afferma inequivocabilmente la legge suprema della Chiesa:
«Nelle cause di trasferimento si applichino le disposizioni del can. 1747, attenendosi a princìpi di equità canonica e avendo presente la salvezza delle anime, che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema»
[1] «Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico» (Codice di Diritto Canonico, can. 205).