Il comunicato pubblicato dall’ex Arcivescovo Mons Carlo Maria Viganò, tramite il suo sito Exsurge Domine, colpisce a primo impatto per la sua ambizione ermeneutica. Strutturato come una lezione di filosofia della storia, attraverso un metodo genealogico, cerca di rendere ragione dello stato attuale della Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II.
Sul Concilio Vaticano II
Come è noto, riguardo al Concilio e a molte altre questioni, la mia posizione è radicalmente diversa da quella di Mons. Viganò: in comune – ma per ragioni molto diverse – abbiamo solo la convinzione della invalidità della Declaratio per la mancata rinuncia al munus Petrino. Ma anche sulle motivazioni che avrebbero mosso Benedetto XVI vi è tra noi totale divergenza.
Tuttavia, Mons. Viganò, in modo inspiegabile, elude completamente il combinato disposto degli artt. 76 e 77 della Universi Dominici Gregis, per i quali se la rinuncia è invalida, automaticamente è invalida anche l’elezione successiva, senza che intervenga una dichiarazione in proposito. Al di là delle motivazioni del dichiarante, la rinuncia di Benedetto (che fosse un santo in sede impedita, o un eretico modernista, come sostiene Mons. Viganò) l’atto è invalido e quindi potrebbe essere facilmente impugnato per far constatare, a buona ragione, la nullità di Bergoglio come papa.
Viganò ritiene che Francesco non sia papa per eresia o semplice appartenenza a quella che lui definisce “setta conciliare”, della quale farebbero parte tutti i veri papi fino a Benedetto XVI.
Come è evidente, un vero abisso ci separa.
Già solo questo primo dato è interessante perché mostra che ormai il fronte illegittimista si è talmente allargato da ospitare posizioni tra loro molto diverse. Come poter riassumere il complesso pensiero del Vescovo Viganò, espresso in questi ultimi anni di algidi comunicati e totale latitanza? In cinque parole, in realtà: è tutta colpa del Concilio. È infatti questa, sorprendentemente sempre e solo questa, la tesi che ritorna nelle sue analisi, come se prima del 1960 la Chiesa fosse stata un consesso di Angeli, mentre dall’inizio del Concilio ad oggi un girone di diavoli.
Mons. Carlo Maria Viganò reputa che il CVII avrebbe segnato l’inizio del declino della Chiesa cattolica, avrebbe dato inizio ad una rivoluzione permanente che proseguirebbe ancora più feroce che mai. I papi conciliari e post–conciliari, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, sarebbero stati tutti complici del sovvertimento teologico–spirituale della Chiesa, che avrebbe avuto quale esito fisiologico il papato bergogliano. Al Santo Padre Benedetto XVI Mons. Viganò riserva accuse come quelle di essere hegeliano, di aver contribuito alla rovina del papato, di essere solo il “momento positivo” del processo rivoluzionario che ha sfigurato la Chiesa e dunque, sostanzialmente, di essere in armonia con le intenzioni demolitrici del Card. Bergoglio. Per Viganò esiste solo il Ratzinger amico di Rahner, il Ratzinger «progressista»… tutto ciò è semplicemente ingiusto e malizioso, perché lo stesso Card. Ratzinger, dopo il CVII, ha dichiarato più volte – oltreché dimostrato nei fatti – di essere assai critico verso una certa teologia postconciliare[1], che usava il Concilio come alibi per le proprie nefandezze[2].
Ho già spiegato che l’infiltrazione massonica nella Chiesa, iniziata sistematicamente all’inizio dell’800, si è sviluppata lentamente con l’intento di occupare le cariche di potere nella gerarchia ecclesiastica per pervertire la dottrina cattolica. Questo dimostra che nulla di nuovo è cominciato con il Concilio Vaticano II, ma si tratta di un processo già in atto da tempo. Tutto ciò è proseguito più o meno silentemente attraverso i decenni. Il Concilio Vaticano II non c’entra nulla.
Ho infatti già spiegato che i Documenti prodotti dal Concilio Vaticano II non insegnano alcunché di errato contro la dottrina cattolica, sono bensì le applicazioni del Concilio, operate dal post-concilio, che hanno diffuso lo spirito rivoluzionario neo-modernista nel clero e nei fedeli. La massoneria dentro e fuori la Chiesa ha controllato la comunicazione ecclesiale e mediatica del Concilio e dei suoi documenti, fomentando la manipolazione dei suoi insegnamenti e favorendo una serie di cambiamenti che hanno causato gravissimi problemi che oggi vediamo culminare nella situazione che tutti conosciamo.
Già solo la seguente espressione di Mons. Viganò basterebbe per chiudere qui ogni dialogo: nuova ecclesiologia ereticale del Vaticano II.
Come potrebbe un Concilio, quindi il Papa in comunione con tutti i Vescovi, produrre dottrine eretiche sarebbe tutto da scoprire… La posizione di Mons. Viganò, questa sì, è chiaramente scismatica, perché mette radicalmente in dubbio la santità del Concilio e quindi della Chiesa stessa, dato che non c’è istituzione più sacra e solenne di un Concilio ecumenico. È molto probabile che Mons. Viganò sia realmente incorso nella scomunica per il reato di scisma a causa di questa grave posizione ecclesiologica, che egli ribadisce frequentemente.
Tratterò ora la struttura argomentativa del testo di Mons. Viganò:
Come ho anticipato, sembra più una lezione di filosofia della storia. È evidentissimo il contributo di un filosofo ed è altrettanto evidente la forzatura di ricondurre tutto alla dialettica hegeliana. Si contano infatti almeno cinque menzioni del processo dialettico di tesi– antitesi– sintesi. Questi stadi sono riempiti con i più vari elementi, i quali, una volta approdati alla fase di sintesi, darebbero luogo ad un particolare aspetto della crisi attuale. Tutta questa insistenza su Hegel è dovuta al fatto che Benedetto XVI sarebbe stato fino all’ultimo giorno della sua vita un hegeliano impenitente, plasmato dall’idealismo tedesco, che sarebbe stato in grado di conciliare gli opposti e riuscire a far convivere bene e male, santità ed empietà. Non entro nel merito della questione filosofica per non rendere troppo complessa questa mia risposta, che nasce con un intento divulgativo.
Contesto però il metodo che ha seguito il Monsignore: è un uso improprio della filosofia, applicato a questioni che non possono essere liquidate in termini di idee. Sembra che basti rintracciare nel Magistero recente della Chiesa (prima di Bergoglio) un pensiero che si discosta dalla tradizione preconciliare, per condannare tutto in blocco. Il CVII, il Diritto canonico e il Magistero dei papi sono tutti giudicati al tribunale cripto-sedevacantista di Viganò. Istanze democratiche, sinodali, progressiste, idee insomma estranee alla tradizione preconciliare avrebbero sfigurato la Chiesa cattolica. Alla fine in Viganò si nota un netto immobilismo ecclesiale, per cui la Chiesa sarebbe dovuta rimanere ferma al 1961. Ma la Chiesa, come ha detto Ratzinger, è una compagnia sempre riformanda[3]. Ora – mi permetto di richiamare la vostra attenzione – sottolineo una cosa importante: è vero che alcuni elementi teologici promossi dal Vaticano II – pensiamo alla dimensione storica della rivelazione, alla decentralizzazione gerarchica operata della Lumen Gentium, al ripensamento della dignità della persona o al valore della libertà religiosa – sono comuni anche a dottrine eterodosse o addirittura eretiche come il modernismo; così come la valorizzazione della Parola è comune anche alla riforma luterana… ma questo non ha valore probante. La Chiesa ha l’intelligenza e la santità per vagliare tutto e trattenere solo ciò che è buono, come dice S. Paolo (1Ts 5,21). San Tommaso deve molto del suo pensiero ad Aristotele (pagano) o ad Avicenna (musulmano); molte idee del nostro santo dottore erano comuni a pagani e musulmani, eppure nessun tradizionalista si sogna di dargli dell’eretico. E allora com’è possibile che un Concilio ecumenico, molto più autorevole e normativo di S. Tommaso, sia così veementemente accusato di eresia solo perché ha vagliato e accolto alcune istanze comuni ad “altri” movimenti? Ricordiamo sempre la frase di Tommaso: Omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est, Ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo (Summa Theologiae, I-II, q. 109, a. 1, ad 1).
Attuare una genealogia delle idee, puramente filosofica, senza una visione di fede, alla fine non lascia in piedi nulla della Chiesa, se non le dottrine o le idee che più rappresentano la nostra visione soggettiva e limitata della fede e della Chiesa. Questo di Viganò è un esempio plastico di come NON si dovrebbe utilizzare la filosofia e per questo lo ringrazio, perché, anche se per contrappasso, rimane sempre e comunque uno spunto per imparare il metodo corretto per fare filosofia. Il Monsignore senza rendersene conto è caduto nello stesso errore dei modernisti della prima ora, quelli per cui si straccerebbe le vesti, perché ha utilizzato strumenti filosofici nel modo scorretto, per interpretare in modo onnicomprensivo e indebito tutta la storia della Chiesa recente.
Ma venendo più a noi, cosa vuole dire Mons Viganò sulla vicenda della Declaratio di Papa Benedetto e delle sue conseguenze?
In merito a questo, si delinea sempre più irrazionale la posizione e la “proposta” del Vescovo, anche se purtroppo per moltissime persone risulterà coraggiosa e seducente. La parola “proposta” sono costretto a porla fra virgolette perché, come vedremo, in realtà nel comunicato pubblicato il 30 novembre da Mons. Viganò non si trova nulla che si possa definire “proposta”, o soluzione, o almeno nulla che sia degno di questi nomi. Infatti, il Monsignore si fa portatore radicale del disfattismo della più bassa lega, criticando tutto e tutti, senza portare uno straccio di prove a sostegno delle proprie accuse, e senza, appunto, proporre una soluzione ai problemi delineati.
Infatti, è arcinoto che ormai in tutto il mondo ci siano voci molto autorevoli che sostengono, prove alla mano, che la Declaratio di Papa Benedetto XVI e la successiva elezione del Card. Bergoglio siano invalide a norma delle leggi della Chiesa. Nel testo pubblicato dal Vescovo Viganò non troviamo nulla di tutto ciò! Anzi, Mons. Viganò le definisce: “teorie inconsistenti e non suffragate da alcuna prova (che) hanno fatto presa su tantissimi fedeli e anche su sacerdoti, aumentando la confusione e il disorientamento”. Cita l’invalidità della Declaratio solo per denigrare le motivazioni che hanno mosso Papa Benedetto a compiere un tale atto, senza sottolineare i motivi canonici di tale invalidità. Pertanto, mette in discussione il papato di Bergoglio ma per motivazioni diverse dall’invalidità canonica di un’elezione avvenuta a Papa vivente e non abdicatario. Questo, sebbene il suo mentore filosofo, il prof. Radaelli, abbia più volte definito Bergoglio “antipapa” nel suo libro dal titolo “Al cuore di Ratzinger”. Tuttavia, ricordiamo bene quando circa un anno fa mons. Viganò raccomandava di astenersi da astratte speculazioni canoniche sull’invalidità dell’elezione di Bergoglio affermando categoricamente: “Quello che non possiamo fare, perché non ne abbiamo l’autorità, è di dichiarare che Bergoglio non è papa. La terribile impasse nella quale ci troviamo rende impossibile qualsiasi umana soluzione”.
Nel testo che l’ex Arcivescovo ha appena pubblicato in quattro lingue, non si cita mai il Diritto Canonico né il Magistero in quei canoni e in quei documenti che comprovano la situazione canonica in cui versa la Chiesa dal 2013. Come ha scritto più volte il dott. Cionci, “Viganò evita completamente e apposta (dato che è stato abbondantemente informato) di citare il combinato disposto fra gli artt. 76 e 77 della Universi Dominici Gregis dove si afferma in modo esplicito che se la rinuncia del papa non è a norma del can. 332.2, in cui si richiede la rinuncia al munus (mai avvenuta) l’elezione è nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito”.
Il Monsignore non nomina mai la Sede impedita in cui Papa Benedetto è stato relegato con la convocazione del Conclave del 2013, non nomina assolutamente le manipolazioni che ha subito il testo della Declaratio né parla delle traduzioni falsificate e pubblicate dalla Santa Sede, non fa alcun cenno alla mai avvenuta conferma e ratifica, da parte di Papa Benedetto, della sua presunta rinuncia, che, come sappiamo bene nel testo della Declaratio, era presentata con un differimento temporale; mons. Viganò non parla nemmeno una volta dei moltissimi messaggi in restrizione mentale larga che Papa Benedetto ci ha dato per farci comprendere il problema della rinuncia invalida e della soluzione canonica.
Trattando il tema della presunta rinuncia di Papa Benedetto, sarebbero moltissime le questioni, comprovate da prove plurime e alla portata di tutti, che mons. Viganò potrebbe sollevare, ma decide di censurarle; notiamo però che non si pone remore a dare ampio spazio a tesi teologiche e illazioni senza alcuna prova o dimostrazione a sostegno. Sono infatti almeno quattro gli snodi argomentativi fondamentali del discorso di Viganò fondati su «voci» o «confidenze» per i quali non fornisce alcuna fonte:
- Una confidenza fatta a Viganò dal card. Brandmuller per avvalorare la tesi di un Ratzinger che pensava già negli anni ‘70 (insieme a Rahner) al “papato emerito”.
- Un’altra fattagli da una «fidatissima assistente» di Benedetto XVI che, nel 2020, avrebbe confidato a Viganò che Ratzinger mentre era ancora papa voleva ritirarsi a vita privata.
- La confidenza «di un eminente Prelato» che confermerebbe l’invalidità del conclave che ha eletto Bergoglio.
- Viganò, infine, dà ad intendere di sapere certamente che Mons. Ganswein e il segretario di Stato Tarcisio Bertone si siano adoperati per l’opera di demolizione del Papato. Ma anche in questo caso, dobbiamo fidarci, perché non ci è data alcuna prova. Leggiamo: “tanto il Segretario personale quanto il Segretario di Stato fecero forti pressioni perché Ratzinger rimanesse “a mezzo servizio”, per così dire, giocando sulla fittizia separazione tra munus e ministerium”.
Ci aspetteremmo che il Vescovo, per sostenere una accusa tanto grave come quella formulata contro Papa Benedetto, portasse delle vere prove: le rivelazioni segrete non dimostrabili non andrebbero nemmeno citate come prove di supposta eresia contro un Sommo Pontefice. In sostanza mons. Viganò ci sta dicendo che Papa Benedetto era eretico… perché gli è stato riferito da fonti anonime. Tutto questo è inaccettabile!
Tra le fonti citate da Mons. Viganò spiccano delle presunte lettere, oggetto di uno scambio epistolare avvenuto nel 2014 tra il sacerdote Don Nicola Bux e Papa Benedetto XVI. Questi documenti, a suo dire, confuterebbero l’invalidità della rinuncia. Tuttavia, risulta contraddittorio che Viganò sostenga l’invalidità della rinuncia pur conoscendo l’esistenza di questa fonte che sembrerebbe smentire la sua posizione. Va inoltre sottolineato che Viganò critica apertamente il fatto che queste lettere siano state rivelate solo di recente e in modo parziale, sollevando dubbi sulle ragioni di tale ritardo e sulla mancata trasparenza nella divulgazione del loro contenuto. Su questo punto, trovo particolarmente incisivo quanto scritto dalla stimata e sempre pungente dott.ssa Barbara Tampieri in un suo recentissimo articolo:
“In un turbinio di certezze non dimostrate né probabilmente dimostrabili, Viganò tira in ballo la famosa lettera, anzi, lo scambio di missive che sarebbe intercorso tra il luglio e l’agosto del 2014 tra Benedetto XVI e il monsignore barese, a dire di quest’ultimo contenenti la conferma di pugno di Benedetto XVI della validità della sua rinuncia, tale da tacitare ogni dubbio a riguardo. Viganò si chiede come mai mons. Bux non abbia ancora divulgato questo carteggio. O forse sta chiedendo a Bux il permesso di divulgarlo visto che ammette di conoscerne egli stesso sia l’esistenza che il contenuto.
Qui però si rileva un primo paradosso temporale nell’ipercubo viganiano.
Nel 2014 solo Antonio Socci aveva pubblicato un libro sull’argomento dei due papi e non esisteva ancora l’inchiesta Codice Ratzinger di Andrea Cionci, partita nel 2020, e nemmeno si era ancora pronunciato don Minutella sulla questione dell’antipapato di Bergoglio.
Ora, se mons. Bux era a conoscenza fin dal 2014 della verità sulle modalità della rinuncia di Benedetto XVI, perché nel 2018 in un’intervista ad Aldo Maria Valli , proponeva di:“…esaminare e studiare più accuratamente la questione relativa alla validità giuridica della rinuncia di papa Benedetto XVI?”
Perché non rivelare egli stesso la verità?”
Quale è il vero significato del titolo di “Papa emerito”, frainteso da Mons. Viganò?
Scrive Viganò: “Benedetto ricorse quindi all’invenzione del «Papato emerito», cercando, in violazione della prassi canonica, di tenere in vita l’immagine del «fine teologo» e del defensor Traditionis che il suo entourage aveva costruito”.
Come ha spiegato bene il dott. Cionci, fondando la propria dimostrazione sul Diritto Canonico e non sulle rivelazioni segrete di chicchessia, il significato del Papato emerito è molto differente dalla condizione del Vescovo Emerito e riconduce direttamente alla Sede impedita in cui Papa Benedetto è stato costretto dalla convocazione del Conclave “a Papa non morto e non abdicatario” in quanto la sua rinuncia non era a norma del Can 332.2.
Spieghiamo sinteticamente questo passaggio: tutti i Vescovi, dal giorno della consacrazione episcopale ricevono sia il munus — che corrisponde all’“essere Vescovo”, ovvero il titolo, l’investitura — sia il ministerium — ovvero il potere pratico di “fare il Vescovo”. Il munus del Vescovo ha natura sacramentale e come tale è indelebile. Il can. 402 regolamenta l’emeritato che il Vescovo raggiunge con i 75 anni di età, con il quale perde il ministerium, ovvero il potere pratico di compiere gli uffici propri del Vescovo, ma mantiene il munus, appunto perché è un carattere indelebile.
Nel caso del Vescovo di Roma, il Sommo Pontefice, la questione è differente: la sua elezione papale non è di natura sacramentale, ma è un ufficio, un primato di giurisdizione che è concesso al solo Vescovo di Roma. Quindi, per esempio in caso di valida rinuncia, il Sommo pontefice rinuncerebbe validamente sia al munus che al ministerium ricevuti. C’è un solo caso in cui il Papa mantiene il munus perdendo il solo ministerium: è il caso della Sede impedita (cfr. Cann. 335 e 412), per la quale egli è “confinato, esiliato, imprigionato e non libero di esprimersi”. In questa condizione il Papa rimane Papa, ma non può esercitare il suo ufficio, il suo ministerium, appunto perché impedito, ed è ciò che è avvenuto con la convocazione del Conclave il 1° marzo 2013. Infatti, Benedetto XVI ha vissuto esattamente come un Papa in sede totalmente impedita, con nome pontificale, veste bianca, relegato nella città del Vaticano. Quindi Benedetto può definirsi “emerito”, similmente al Vescovo emerito, solo in questo senso: ha, sì, mantenuto il munus e perso il ministerium come avviene per il Vescovo Emerito, ma a causa dell’abuso subito! Non certo per volontà propria o per una disposizione a norma del Diritto!
Ed ecco spiegato il tanto scandaloso “ministero allargato”, che Viganò travisa e spiega in modo errato. Abbiamo avuto, fino al 31 dicembre 2022, due papi vestiti di bianco: uno era il Papa emerito, ovvero quello impedito, che deteneva il munus ed era relegato ad un ruolo contemplativo, (“soffrendo e pregando” come scrisse lui stesso nella Declaratio) e l’altro esercitava, ed esercita, abusivamente il ministerium senza possedere il munus petrino.
Mons. Viganò arriva perfino a dimostrare la sua non conoscenza della più gloriosa storia recente del Papato: Pio VII, un esempio mirabile su tutti, lo ricordiamo prigioniero dell’esercito napoleonico fra il 1809 e il 1814, condotto lontano da Roma prima a Savona e poi in Francia. Nonostante fosse Pio VII fosse impedito nel suo ufficio, possiamo dire che egli non conservò il munus, ovvero il suo essere unico e legittimo Pontefice?
Come conclude il suo comunicato mons. Viganò?
Conclude richiamando alla fede e alla perseveranza, citando l’episodio della barca nel mare in tempesta e del sonno di Nostro Signore; richiamando i fedeli, i Sacerdoti e i religiosi scandalizzati, indignati e confusi; indicando la realtà della Passione della Chiesa e del Mistero di iniquità da accettare come verità che renderà liberi e invocando l’intervento del Signore.
Così conclude Mons. Viganò, come vi avevo anticipato all’inizio, ovvero senza proporre nessuna soluzione! “Ci penserà il Signore, attendiamo il suo ritorno”: esattamente la stessa conclusione che traggono tutti i sedevacantisti! Questo è letale disfattismo sradicato dalla realtà e dall’ora presente.
Come ci ha insegnato San Pio X “siamo nati per combattere”, e le nostre armi oggi sono quelle del Diritto che ci fornisce la Chiesa per ristabilire la legittimità del Soglio petrino.
Dobbiamo dichiarare l’estraneità di questa gerarchia illegittima rispetto alla Chiesa Cattolica e stringerci a quest’ultima, decisi a essere fedeli a Gesù Cristo, forti solo della fede nella sua promessa: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,18). Attenderemo che i Cardinali validamente creati prima del 13 marzo 2013 dichiarino la Sede vacante ed eleggano un nuovo Pontefice. Proprio perché crediamo la Chiesa e confidiamo nella sua indefettibilità, siamo certi che il Signore interverrà e, a tempo debito, farà sì che essa torni ad essere governata da un Papa legittimo.
Coloro che riconoscono la verità sono chiamati ad annunciarla con forza, cooperando per il bene della Chiesa, in ossequio a quanto stabilito dal canone 212 §2 e §3 del Codice di Diritto Canonico, a sua volta ispirato al n. 37 della Costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II, che conferisce a tutti i fedeli il diritto di manifestare le proprie necessità e addirittura il dovere di manifestare il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa[4].
[1] Riporto una parte dell’intervista al Prefetto Ratzinger pubblicata nel testo di Vittorio Messori, Rapporto sulla fede. Messori scrive, citando le parole del Card. Ratzinger; «[Il Card. Ratzinger] Dice: “Sono convinto che i guasti cui siamo andati incontro in questi venti anni non siano dovuti al Concilio “vero” ma allo scatenarsi, all’interno della Chiesa, di forze latenti aggressive, centrifughe, magari irresponsabili oppure semplicemente ingenue, di facile ottimismo, di un’enfasi sulla modernità che ha scambiato il progresso tecnico odierno con un progresso autentico, integrale. E, all’esterno, all’impatto con una rivoluzione culturale: l’affermazione in Occidente del ceto medio-superiore, della nuova ‘borghesia del terziario’ con la sua ideologia liberal-radicale di stampo individualistico, razionalistico, edonistico”. Dunque, la sua parola d’ordine, l’esortazione a tutti i cattolici che vogliano rimanere tali, non è certo un “tornare indietro”; bensì: “tornare ai testi autentici del Vaticano II autentico”. Per lui, mi ripete, “difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il Concilio. È anche colpa nostra se abbiamo dato talvolta il pretesto (sia alla ‘destra’ che alla ‘sinistra’) di pensare che il Vaticano II sia stato uno ‘strappo’, una frattura, un abbandono della Tradizione. C’è invece una continuità che non permette né ritorni all’indietro né fughe in avanti; né nostalgie anacronistiche né impazienze ingiustificate. È all’oggi della Chiesa che dobbiamo restare fedeli, non allo ieri o al domani: e questo oggi della Chiesa sono i documenti del Vaticano II nella loro autenticità. Senza riserve che li amputino. E senza arbitrii che li sfigurino”».
[2] In merito si può leggere il Discorso di Sua Santità Benedetto XVI alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi (22 dicembre 2005). In questo discorso Benedetto definisce come ermeneutica della discontinuità quell’interpretazione della teologia postconciliare che genera una rottura con la tradizione della Chiesa.
[3] Il cardinale Ratzinger nell’intervento al Meeting di Rimini nel 1990.
[4] «§ 2. I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri. § 3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona» (Codice di Diritto Canonico, can. 212 §2 e §3).