NUOVI ARGOMENTI IN FAVORE DELLA PARTECIPAZIONE ALLA S. MESSA
di P. Giorgio Maria Faré, 23 aprile 2025
Messe illecite e precetto festivo
Il dott. Andrea Cionci ha da tempo sostenuto la posizione secondo la quale non si sarebbe dovuto partecipare alle messe celebrate “una cum Papa Francesco”. In un video pubblicato nella tarda serata del 21 aprile 2025 sul suo canale YouTube, il dott. Cionci ha ribadito tale posizione, invitando sostanzialmente i fedeli a “sfogarsi” nel partecipare alla Messa durante la sede vacante, ora pubblicamente dichiarata, poiché non si sa cosa accadrà dopo.
Con questo intervento desidero, nuovamente, ribadire quanto ho già detto e scritto circa l’importanza e la necessità di rispettare il Terzo Comandamento andando quindi a Messa alla Domenica, sempre.
In un mio primo intervento, a dicembre 2024, ero inizialmente intervenuto mostrando la validità delle celebrazioni.
(qui il link: https://www.veritatemincaritate.com/wp/2024/12/p-giorgio-maria-fare-i-sacramenti-sono-validi/).
Verso la fine di marzo, quando il dott. Cionci aveva iniziato a fare leva sull’illiceità, avevo chiarito che, in assenza di una dichiarazione ufficiale della Chiesa, non è corretto invitare i fedeli a non partecipare alla Santa Messa domenicale e nei giorni di precetto, appellandosi a un primato della coscienza. Questo principio, ribadito dal dott. Cionci nel suo video del 21 aprile 2025 in modo chiaro e deciso, se separato dall’obbedienza ai Comandamenti di Dio e della Chiesa, può sembrare un relativismo assunto come principio assoluto. Pertanto, ho invitato i fedeli a frequentare i sacramenti, soprattutto nei giorni di precetto.
(video youtube qui: https://www.youtube.com/live/6iNvxlJRDZM?si=Xy3WT-WZ8JvR8URG)
Ora fornisco ulteriori fonti autorevoli per mostrare come la Chiesa, che pone sopra a ogni cosa la salute delle anime, ha autorizzato anche alla partecipazione a S. Messe illecite, pur di non mancare al precetto.
Il paradosso FSSPX: un confronto illuminante
Un confronto utile per comprendere la fallacia della posizione del dott. Cionci è offerto dalla vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX).
La Fraternità Sacerdotale San Pio X fu fondata da Mons. Marcel Lefebvre nel 1970 per preservare la formazione sacerdotale tradizionale. Al momento della fondazione Mons. Lefebvre era arcivescovo-vescovo emerito di Tulle, ex missionario e già superiore della congregazione degli Spiritani. Aveva preso parte ai lavori del Concilio Vaticano II, ma ne criticò fortemente gli sviluppi, in particolare su libertà religiosa, ecumenismo e riforma liturgica[1].
La rottura definitiva con la Chiesa Cattolica avvenne nel 1988, quando Lefebvre consacrò quattro vescovi senza mandato papale, incorrendo nella scomunica[2]. La consacrazione episcopale senza mandato è un delitto già di per sé, ma in quelle circostanze la S. Sede ritenne che fosse anche un atto scismatico, dichiarando quindi l’esistenza di uno “scisma lefebvriano”.
Nello stesso tempo, e ciò appare decisivo rispetto alla posizione assunta dal dott. Cionci, si è avuto cura di precisare che, «Finché non vi siano cambiamenti che conducano al ristabilimento di questa necessaria communio, tutto il movimento lefebvriano è da ritenersi scismatico, esistendo al riguardo una formale dichiarazione della Suprema Autorità»[3] ma anche che, nel caso dei semplici fedeli, «è ovvio che non è sufficiente, perché si possa parlare di adesione formale al movimento, una partecipazione occasionale ad atti liturgici od attività del movimento lefebvriano, fatta senza far proprio l’atteggiamento di disunione dottrinale e disciplinare di tale movimento. Nella pratica pastorale può risultare più difficile giudicare la loro situazione. Occorre tener conto soprattutto dell’intenzione della persona, e della traduzione in atti di tale disposizione interiore. Le varie situazioni vanno perciò giudicate caso per caso, nelle sedi competenti di foro esterno e foro interno»[4].
Perfino nel caso di una partecipazione esclusiva ai loro riti, «c’è la possibilità che qualche fedele prenda parte alle funzioni liturgiche dei seguaci di Lefebvre senza condividere però il loro spirito scismatico», in altre parole senza «optare in tal modo per i seguaci di Lefebvre che si metta tale opzione al di sopra dell’obbedienza al Papa», nel che consiste «la sostanza dello scisma»[5].
Abbiamo quindi una presa di posizione ufficiale secondo cui, pur a fronte di un’espressa dichiarazione circa la natura scismatica di un movimento, la frequentazione dei suoi riti liturgici, perfino esclusiva, non comporta di per sé adesione allo scisma.
Nel gennaio 2009 Benedetto XVI tolse la scomunica ai quattro vescovi della FSSPX ancora viventi (i presuli consacrati da Lefebvre nel 1988). Tuttavia, la remissione della scomunica non significò una sanatoria automatica della posizione canonica della Fraternità. Infatti Benedetto XVI precisò che “finché non saranno chiarite le questioni dottrinali, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero” (Ecclesiae Unitatem, 4). Questa frase costituisce tuttora la sintesi della situazione giuridica: la FSSPX rimane in una condizione di irregolarità canonica fino alla soluzione dei nodi dottrinali. I membri della Fraternità non sono più colpiti da censure di scomunica, tuttavia restano in posizione canonicamente irregolare.
Ciononostante, la Santa Sede ha sempre ritenuto valida la Messa celebrata da sacerdoti della FSSPX e, quando ancora non era stata rimessa la scomunica, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei aveva dichiarato che partecipare alla loro Messa poteva soddisfare il precetto domenicale, purché il fedele non lo facesse in spirito di scisma:
«In senso stretto si può adempiere il precetto domenicale partecipando a una Messa celebrata da un sacerdote della Fraternità San Pio X […]. Se la sua intenzione è semplicemente quella di partecipare alla Messa secondo il Messale del 1962 per devozione, ciò non costituirebbe peccato»[6].
In una successiva occasione — ma sempre prima della remissione della scomunica — la stessa Commissione Ecclesia Dei ha precisato che il semplice atto di assistere alla Messa presso una cappella della FSSPX non equivale di per sé ad «adesione formale allo scisma» lefebvriano[7].
Ma se sul conto dei semplici fedeli il dubbio è possibile, «Nel caso dei diaconi e dei sacerdoti lefebvriani sembra indubbio che la loro attività ministeriale nell’ambito del movimento scismatico è un segno più che evidente» della loro «adesione formale» allo scisma[8].
Ora, siccome il can. 1248 §1 afferma che «Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito cattolico», evidentemente anche la Messa celebrata da scismatici è stata considerata rito cattolico. La cattolicità del rito, in altre parole, non dipende dalla persona del celebrante, purché si usi un messale approvato.
Ora, si consideri il paradosso: il dott. Cionci proponeva di non partecipare a Messe celebrate da sacerdoti che molto spesso, in perfetta buona fede, celebravano in comunione con colui che ritenevano essere il Papa[9], mentre la Chiesa stessa ha dichiarato che è possibile partecipare a Messe celebrate da sacerdoti oggettivamente scismatici (come quelli della FSSPX), a patto che nel fedele non vi sia una formale adesione scismatica, e che tali Messe assolvono al precetto festivo. Si tenga conto inoltre che, comunemente, è difficile che una S. Messa FSSPX sia l’unica disponibile per assolvere il precetto; pertanto, il fedele che sceglie di parteciparvi lo fa pur potendo andare a una S. Messa di un sacerdote in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Viceversa, per la maggior parte dei fedeli, una S. Messa «una cum» è stata l’unica disponibile per oltre un decennio.
A supporto, ricordo anche il Can. 844 §2: «Ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo, è lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti».
Ognuno vede bene che, con queste premesse, anche a voler concedere che esista uno «scisma bergogliano» vero e proprio e che sia irrilevante la mancata dichiarazione di esso da parte dell’autorità competente, partecipare alla Messa una cum Francisco o di un qualsiasi altro Papa non validamente eletto, sarebbe comunque permesso e assolverebbe perfino il precetto.
La questione del «rito cattolico»
Ma non solo: il dott. Cionci avanzava l’ipotesi che le Messe una cum Papa Francesco non assolvessero al precetto perché non erano più celebrate secondo un «rito cattolico» dato che Papa Francesco era un antipapa.
Tuttavia, dimentica che nei casi storici di antipapato c’erano almeno due Papi visibili e contrapposti e quando esistevano dubbi legittimi (come nel Grande Scisma d’Occidente), la Messa continuava a essere ritenuta valida e lecitaanche presso l’obbedienza erronea, fintanto che non vi fosse una chiara definizione. La Chiesa ha sempre evitato condanne “retroattive” sui sacramenti celebrati da sacerdoti legati a obbedienze rivali e mai nella storia la Chiesa ha insegnato che un fedele debba sospendere da sé il giudizio sulla validità della Messa in base a dubbi sulla persona del Papa.
Inoltre, quando mette in discussione l’intenzione di consacrare dei «sacerdoti bergogliani» il dott. Cionci sembra riproporre gli (errati) argomenti del tradizionalismo contro la validità del Novus Ordo. Con l’aggravante che quei dubbi traevano origine da reali cambiamenti nel rito e addirittura nella formula consacratoria, in questo caso si tratta dello stesso messale[10].
Ha anche insistito sulla molto probabile mancanza di fede nella Transustanziazione dei «sacerdoti della Chiesa bergogliana» (in particolare rimando al suo video sul “presunto miracolo eucaristico di Ravenna https://youtu.be/j-j4QF0_dUM?si=U9o3BW6SlBOlY7pK). Ricordo, però, che l’intenzione «di fare ciò che fa la Chiesa» non richiede la fede del ministro. «Voler fare ciò che fa la Chiesa» non implica condividere tutte le sue idee, la volontà richiesta è quella di celebrare validamente l’Eucaristia come fa la Chiesa. Anche se il sacerdote, per assurdo, volesse fare «quello che fa la chiesa di Bergoglio», ciò non costituisce una forma nuova o diversa di rito, perché il rito è oggettivamente quello della Chiesa cattolica, cioè quello contenuto nel Messale romano, se eseguito con materia e forma valide, è efficace ex opere operato. L’errore sull’identità del Papa o sulle dottrine non si traduce automaticamente in un’intenzione sacramentale deviata.
Lo dimostra la validità del Battesimo conferito da confessioni cristiane diverse da quella cattolica. Perfino un pagano battezzerebbe validamente se usasse la formula giusta e volesse fare ciò che fanno coloro che battezzano.
A questo proposito è illuminante il parere del Sant’Uffizio dato nel 1872 a due quesiti posti dal Vicario apostolico dell’Oceania Centrale circa la validità del battesimo amministrato da ministri metodisti, i quali negavano che esso producesse effetti spirituali. La questione verteva sull’intenzione del ministro: se costui, negando l’efficacia sacramentale del battesimo, potesse comunque conferirlo validamente. Il Sant’Uffizio, confermando precedenti autorevoli, affermò che l’errore sul fine del sacramento non invalida il rito, purché il ministro intenda compiere l’azione sacramentale come fa la Chiesa. Benedetto XIV raccomandava di non giudicare invalido un battesimo solo perché il ministro eretico non crede nella remissione dei peccati. S. Roberto Bellarmino — cardinale gesuita, teologo e difensore della Chiesa cattolica durante la Controriforma, autore di opere contro le eresie e proclamato dottore della Chiesa — chiariva che il Concilio di Trento richiede l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non di volere ciò che essa vuole. Lo stesso principio si applica, secondo Innocenzo IV, anche se il ministro è un non cristiano: è sufficiente che intenda compiere l’atto come lo compiono i cristiani[11]. L’intenzione richiesta per la validità del sacramento è l’intenzione rituale (riprodurre il gesto cristiano), non l’intenzione teologica (credere nei suoi effetti spirituali). Nel caso dell’Eucarestia, diversamente dal battesimo, è ovviamente necessario che il ministro sia validamente ordinato.
Dopo la morte di Francesco, il dott. Cionci dice che le messe sono lecite, ma cosa sarebbe cambiato nella fede dei «sacerdoti della Chiesa bergogliana» circa la Transustanziazione? Se è vero che si sarebbe concluso l’antipapato e che sarebbe venuto meno il problema della formula «una cum», non si può pensare che alla morte di Bergoglio sia corrisposta una fulminea conversione dei cuori alla retta dottrina. Questo mette in luce l’incoerenza di questa posizione.
Se tutto questo non bastasse, ricordo che anche le sciagurate consacrazioni a scopo sacrilego sono valide. Se un Sacerdote pronuncia la formula di consacrazione su materia valida, anche su una specie sola, anche al di fuori della S. Messa e allo scopo di esporre le Sacre Specie alla profanazione, consacra validamente.
Papa Giovanni Paolo II introdusse il reato di consacrazione a fine sacrilego nelle norme del motu proprio Sacramenturum Sanctitatis Tutela del 30 aprile 2001. Il testo prevede sanzioni per il sacerdote che «mosso da uno scopo malvagio, consacra una materia senza l’altra o entrambe sia durante la celebrazione eucaristica che al di fuori della Messa. Il fine perverso del sacerdote non annulla, tuttavia, l’intenzione di compiere ciò che fa la Chiesa con quel gesto, per cui si attua una valida transustanziazione delle specie. Il crimine si realizza, infatti, in presenza di una vera consacrazione»[12].
Le ordinazioni anglicane e il caso don Minutella: che cosa dice davvero Apostolicae Curae
Dopo aver affrontato ciò che dice il dott. Andrea Cionci, vorrei proporre un approfondimento su Apostolicae Curae, la Lettera Apostolica di Papa Leone XIII, promulgata il 13 settembre 1896, che dichiarò nulle e invalide le ordinazioni sacerdotali anglicane.
Questo documento confuta le affermazioni di don Alessandro Minutella riguardo all’invalidità delle ordinazioni sacerdotali conferite attualmente dai vescovi della Chiesa cattolica. In un video del 10 aprile 2025, egli ha sostenuto che tali ordinazioni sarebbero invalide poiché avverrebbero, a suo dire, nella “chiesa dell’apostasia”, paragonandole a quelle della Chiesa anglicana.
(https://www.youtube.com/live/gy4MECvnqbg?si=05uP1pryCJInPfJZ , minuto 44 e seguenti).
Don Minutella afferma che, così come le ordinazioni anglicane furono considerate nulle perché i loro promotori si erano separati dalla Chiesa, anche le ordinazioni avvenute sotto il pontificato di Bergoglio sarebbero da considerarsi invalide.
Ma questa interpretazione è storicamente e teologicamente scorretta.
Separazione dalla Chiesa non significa Invalidità del sacramento
Non è vero che sia stata la separazione dalla comunione con la Chiesa a rendere invalide le ordinazioni anglicane. Se così fosse, la stessa sorte sarebbe toccata anche alle Chiese ortodosse al tempo del Grande Scisma e alle comunità lefevriane dopo il Concilio Vaticano II. Ma non è stato così. La Chiesa non ha mai dichiarato invalide le ordinazioni ortodosse, né quelle conferite dai vescovi della Fraternità San Pio X.
Dunque, l’argomento di don Minutella non regge.
Cosa ha reso invalide le ordinazioni anglicane secondo Apostolicae Curae
Il motivo per cui Papa Leone XIII ha dichiarato nulle le ordinazioni anglicane è un altro, e riguarda due elementi fondamentali del sacramento:
- La forma: cioè le parole del rito;
- L’intenzione: cioè la volontà di fare ciò che fa la Chiesa.
Nella Chiesa cattolica, se mancano forma e intenzione, il sacramento non è valido. E questo è ciò che è successo nel caso del rito anglicano, come vedremo nei testi originali di Apostolicae Curae.
Cosa dice il documento: estratti commentati
Primo passaggio: la forma del rito
“Quamobrem toto Ordinali non modo nulla est aperta mentio sacrificii, consecrationis, sacerdotii, potestatisque consecrandi et sacrificii offerendi; sed immo omnia huiusmodi rerum vestigia, quae superessent in precationibus ritus catholici non plane reiectis, sublata et deleta sunt de industria, quod supra attigimus.”
Traduzione:
“Perciò, in tutto l’Ordinale non solo non vi è alcuna menzione esplicita del sacrificio, della consacrazione, del sacerdozio e del potere di consacrare e di offrire il sacrificio; ma anzi, tutte le tracce di tali cose, che fossero rimaste nelle preghiere del rito cattolico non completamente rigettate, sono state rimosse e cancellate deliberatamente, come abbiamo accennato sopra.”
Papa Leone XIII spiega che nelle ordinazioni anglicane secondo i due riti redatti da Cranmer nel 1549 e 1552 e promulgati da Edoardo VI, non vi è alcun riferimento esplicito al sacerdozio nel senso cattolico del termine. La formula infatti recita: «Ricevi lo Spirito Santo. I peccati che rimetterai saranno rimessi, quelli che riterrai saranno ritenuti. Sii fedele dispensatore della parola di Dio e dei suoi santi Sacramenti»[13].
La formula fu arricchita nel 1662 ed è tuttora in vigore in questa forma: «Ricevi lo Spirito Santo per l’ufficio e il ministero di sacerdote nella Chiesa di Dio, ora a te affidati mediante l’imposizione delle nostre mani. I peccati che tu rimetterai saranno rimessi; e quelli che tu riterrai saranno ritenuti. E sii fedele dispensatore della parola di Dio e dei suoi santi Sacramenti. Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen»[14].
In entrambe viene omessa ogni menzione del potere di consacrare l’Eucaristia o di offrire il Sacrificio. Il termine «Sacerdote» introdotto nel 1662 non muta l’efficacia della formula perché, spiega Leone XIII, resta un nome «senza la realtà che Cristo ha istituito».
Secondo passaggio: l’intenzione
“Cum hoc igitur intimo formae defectu coniunctus est defectus intentionis, quam aeque necessario postulat, ut sit sacramentum. De mente vel intentione, utpote quae per se quiddam est interius, Ecclesia non iudicat: at quatenus extra proditur, iudicare de ea debet.”
Traduzione:
“Con questo intimo difetto della forma è congiunto il difetto dell’intenzione, che è ugualmente necessaria perché vi sia il sacramento. Circa la mente o l’intenzione, in quanto cosa interiore, la Chiesa non giudica; ma per quanto si manifesta esteriormente, deve giudicarne.”
Anche se il celebrante volesse “fare bene”, questo non basterebbe. Perché? Perché la formula è oggettivamente inadeguata, e non esprime ciò che la Chiesa intende fare quando conferisce l’Ordine.
Non basta la buona volontà. Il rito deve esprimere chiaramente l’intenzione della Chiesa.
Terzo passaggio: la dichiarazione finale
“Itaque omnibus Pontificum Decessorum in hac ipsa causa decretis usquequaque assentientes, eaque plenissime confirmantes ac veluti renovantes auctoritate Nostra, motu proprio certa scientia, pronunciamus et declaramus, ordinationes ritu anglicano actas, irritas prorsus fuisse et esse, omninoque nullas.”
Traduzione:
«Pertanto, aderendo pienamente a tutti i decreti dei Nostri Predecessori Pontifici su questa stessa questione, e confermandoli e quasi rinnovandoli con la Nostra autorità, di Nostra iniziativa e con piena consapevolezza, proclamiamo e dichiariamo che le ordinazioni celebrate secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente invalide e del tutto nulle.»
È questa la famosa dichiarazione conclusiva. Papa Leone XIII, in virtù della sua autorità suprema, dichiara le ordinazioni anglicane del tutto nulle e invalide. Non si tratta di un’opinione personale o di una valutazione pastorale, ma di un giudizio dottrinale definitivo.
In sintesi: i motivi principali dell’invalidità delle ordinazioni anglicane
- Difetto di forma – Il rito anglicano non include le parole essenziali che esprimono il potere sacerdotale cattolico. Mancano riferimenti al sacrificio eucaristico e alla grazia sacramentale.
- Difetto di intenzione – Gli ideatori del rito volevano abbandonare la dottrina cattolica, e hanno costruito un rituale che non trasmette il vero sacerdozio. Di conseguenza, anche se un celebrante oggi volesse “fare ciò che fa la Chiesa”, quel rito non glielo permetterebbe.
- Conseguenza teologica – Se il sacramento dell’Ordine non è valido, allora non è valida nemmeno l’Eucaristia celebrata da chi non è sacerdote.
Perché questo non si applica alla Chiesa di oggi
Ora è chiaro: Papa Leone XIII non ha dichiarato nulle le ordinazioni perché i vescovi anglicani si erano separati dalla Chiesa, ma perché avevano alterato la sostanza del rito.
Chi oggi afferma che tutte le ordinazioni recenti siano nulle perché avvenute “nella chiesa dell’apostasia” ignora le precise motivazioni dottrinali di Apostolicae Curae e crea scandalo e confusione tra i fedeli, insinuando dubbi su sacramenti validamente amministrati.
Queste affermazioni non hanno alcun fondamento teologico né magisteriale. Attribuire arbitrariamente questa sentenza alla Chiesa di oggi, senza prove, senza autorità, senza fondamento, è un grave errore.
Don Minutella, nel suo video, nega la validità delle ordinazioni, delle consacrazioni e della successione apostolica della “chiesa di Bergoglio” a motivo del fatto che sarebbe “scismata da Roma”. Allora, Don Enrico Bernasconi ordinato il 30 ottobre 2016 e Don Ramon Guidetti ordinato il 28 giugno 2015, entrambi del Sodalizio Sacerdotale Mariano, non sarebbero sacerdoti! Questo rende la tesi di Don Minutella ancor più sorprendente e contradditoria.
Per chi volesse leggerlo, il testo completo di Apostolicae Curae è reperibile online cercando: “Apostolicae Curae”. Il sito del Vaticano pubblica solo l’originale in latino, ma sono disponibili versioni tradotte in italiano su altri siti, ad esempio qui:
http://www.totustuustools.net/magistero/l13apost.htm
Note
[1] I documenti maggiormente oggetto di critica furono Dignitatis Humanae e Gaudium et Spes, in tema di liturgia la critica fu soprattutto successiva alla promulgazione del Novus Ordo.
[2] Cfr. Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Nota esplicativa Sulla scomunica per scisma in cui incorrono gli aderenti al movimento del Vescovo Marcel Lefebvre, 24 agosto 1996, in Communicationes 29 (1997) 239–243.
[3] Ivi, n. 3.
[4] Ivi, n. 6.
[5] Ivi, n. 5.
[6] Mons. Camille Perl, segretario della Commissione Ecclesia Dei, Lettera a un fedele, 28 maggio 1996 e di nuovo in una lettera del 6 marzo 1998 Prot. 236/98 «In the strict sense you may fulfill your Sunday obligation by attending a Mass celebrated by a priest of the Society of Saint Pius X. …If your intention is simply to participate in Mass according to the 1962 Missal for the sake of devotion, this would not be a sin. It would seem that a modest contribution to the collection at Mass could be justified».
[7] Pontificia Commissione Ecclesia Dei, lettera del 27 settembre 2002: «It is true that participation in the Mass and sacraments at the chapels of the Society of St. Pius X does not of itself constitute “formal adherence to the schism”» («È vero che la partecipazione alla Messa e ai sacramenti presso le cappelle della Fraternità San Pio X non costituisce di per sé una “formale adesione allo scisma”»).
[8] PCTL Nota cit., n. 6.
[9] La formula “una cum famulo tuo Papa nostro Francisco” è una menzione liturgica che significa la celebrazione in unione con la Chiesa. Il sacerdote nomina colui che è riconosciuto come Papa dalla Chiesa universale. In caso di errore sulla legittimità del Papa, non vi è peccato né illiceità, perché l’intenzione è quella di celebrare in comunione con il legittimo Romano Pontefice, chiunque egli sia.
[10] Infatti la traduzione italiana del Messale che attualmente in vigore è la traduzione del Messale promulgato durante il pontificato di Benedetto XVI, come avevo già spiegato in un precedente intervento, e la traduzione italiana vale solo per l’Italia, quindi è sbagliato dire che «Papa Francesco ha cambiato il messale».
[11] «3100-3102: Risposta del S. Uffizio al Vicario apostolico dell’Oceania Centrale, 18 dic. 1872 – Domanda e risposta si riferiscono alla dottrina dei metodisti che il battesimo sia un puro e semplice segno esteriore di inserimento nella comunità cristiana. – Ed.: ASS 25 (1892/93) 246 / CollPF? 2, 60, n. 1392. Fede e intenzione del ministro dei sacramenti – Domanda: 1. Il battesimo amministrato da quegli eretici [metodisti] non è forse dubbio per la mancanza dell’intenzione di fare quello che ha voluto Cristo, quando espressamente è stato dichiarato dal ministro, prima di battezzare, che il battesimo non ha nessun effetto nell’anima? 2. È forse dubbio il battesimo così amministrato, se la dichiarazione suddetta non è stata espressamente fatta subito prima che il battesimo fosse amministrato, ma è stata spesso pronunciata dal ministro, e quella dottrina viene apertamente predicata in quella setta? Risposta: Questi dubbi, invero, già da tempo sono stati sollevati, e la risposta è stata a favore della validità del battesimo: questo lo puoi vedere presso Benedetto XIV, nel De Synodis dioecesanis, l. VII, c. VI, n. 9, dove si trovano queste parole: «Si guardi il vescovo dal dichiarare incerta e dubbia la validità di un battesimo soltanto per questo motivo, perché il ministro eretico, dal quale è stato amministrato, dato che non crede che per il lavacro della rigenerazione sono cancellati i peccati, non lo ha amministrato per la remissione dei peccati e perciò non ha avuto l’intenzione di amministrarlo come è stato istituito da Cristo Signore…». Il motivo di questo è chiaramente insegnato dal cardinale Bellarmino nel De sacramentis in genere, l. I, c. 27, n. 13, dove, dopo aver esposto l’errore di coloro che affermano che il Concilio di Trento nel canone XI della sessione VII ha definito che non è valido il sacramento se il ministro non si propone non solo l’atto, ma anche il fine del sacramento, cioè si proponga ciò per cui il sacramento è stato istituito, aggiunge questo: «… Il concilio infatti in tutto il canone 11 non nomina il fine del sacramento, e neppure dice che è necessario che il ministro si proponga ciò che si propone la Chiesa, ma ciò che fa la Chiesa. Ciò che la Chiesa fa, poi, non significa il fine, ma l’azione…». Da questo consegue ciò che dice Innocenzo IV, nel c. 2 del De baptismo al n. 9, cioè che è valido un battesimo dato da un saraceno, di cui è noto che non crede che per l’immersione nient’altro si faccia se non un bagno, solo che intenda fare ciò che fanno gli altri che battezzano. Conclusione della risposta: A 1. No: perché, nonostante l’errore riguardo all’effetto del battesimo, non si esclude l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. A 2. È previsto nella prima». (DH 3100).
[12] Pierpaolo Dal Corso, «La consacrazione a scopo sacrilego di una sola materia o di entrambe, durante la celebrazione eucaristica o fuori della santa messa» in Ius Ecclesiae, XXVI, 2014, pp. 623-644.
[13] «Receive the holy goste, whose synnes thou doest forgeve, they are forgeven: and whose sinnes thou doest retaine, thei are retained: and be thou a faithful despensor of the word of god, and of his holy Sacramentes. In the name of the father, and of the sonne, and of the holy gost. Amen.» (The boke of common prayer…, Londra 1550).
[14] «Receive the Holy Ghost, for the Office and Work of a Priest in the Church of God, now committed unto thee by the imposition of our hands. Whose sins thou dost forgive, they are forgiven; and whose sins thou dost retain, they are retained. And be thou a faithful dispenser of the Word of God, and of his holy Sacraments; In the name of the Father, and of the Son, and of the Holy Ghost. Amen» (The Form and Manner of Making, Ordaining and Consecrating of Bishops, Priests, and Deacons According to the Order of the Church of England).