Premessa
Ho cercato di essere il più preciso, completo e rigoroso possibile. Tuttavia, data la pressione del tempo, le questioni nuove che continuano ad aprirsi e il susseguirsi di notizie tra loro molto eterogenee, è possibile che vi siano inesattezze o valutazioni da rivedere. Se me ne accorgerò, mi correggerò nei prossimi giorni. In ogni caso, mi è oggettivamente impossibile tenere sotto controllo ogni aspetto in tempo reale.
Tesi
Se si parte dal presupposto che Benedetto XVI non abbia mai rinunciato validamente al papato — secondo gli studi che ho presentato nell’omelia del 13 ottobre 2024 — allora ne consegue che Jorge Mario Bergoglio non è mai stato Papa, poiché non si può eleggere un nuovo Pontefice se la sede non è vacante.
In tale ottica, tutte le nomine Cardinalizie effettuate da Francesco risulterebbero nulle, e i Cardinali da lui creati — 108 su 135 — non sarebbero veri Cardinali. Di conseguenza, non avrebbero diritto di partecipare al prossimo Conclave, in quanto le norme speciali che regolano l’elezione papale (la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis) al numero 33 stabiliscono che «il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa».
La partecipazione di soggetti non aventi diritto di voto renderebbe nulla l’elezione ai sensi del can. 169[1].
Vorrei giustificare l’applicabilità del can. 169 — che fa parte delle norme generali per la provvista degli uffici — all’elezione del Papa.
- Il Can. 20 C.D.C. richiede che, ove esista una legge speciale, essa prevalga sulle norme generali[2].
- L’articolo 33 di Universi Dominici Gregisafferma: «È assolutamente escluso il diritto attivo di elezione da parte di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o l’intervento di qualsiasi potere laico, di qualunque grado o ordine» ma non dice esplicitamente (né qui, né altrove) cosa accadrebbe se votassero soggetti non aventi diritto.
- Pertanto, possiamo ricorrere al can 17 C.D.C.[3] per motivare l’utilizzo delle norme generali, e nel caso specifico il can. 169.
Qualche giorno fa avevo detto che il canone di riferimento era il 171, §2[4]. Tuttavia, mi sbagliavo. I due canoni (169 e 171) differiscono per il diverso tipo di soggetti che vengono coinvolti. Nel caso del 169 si parla di soggetti non appartenenti al collegio, nel caso del 171 soggetti appartenenti al collegio ma inabili al voto. In assenza di norme esplicite in UDG, applicavo il 171, §2 solo come criterio interpretativo. Invece, nell’ipotesi che i Cardinali di nomina bergogliana non siano veri Cardinali, il canone più corretto da applicare è il 169.
Il principio di supplenza
In un articolo pubblicato ieri da Aldo Maria Valli l’avv. Guido Ferro Canale invoca il «principio di supplenza» per salvaguardare la validità del prossimo Conclave.
Non mi dilungo qui nella spiegazione del principio di supplenza e dei casi nei quali interviene. Dirò solo, brevemente, che si tratta del principio per il quale, in determinati casi e per il bene dei fedeli, la Chiesa supplisce (Ecclesia supplet) rendendo validi alcuni atti di chi non ha la facoltà di compierli.
La norma di riferimento è il can. 144, §1 del Codice di Diritto Canonico, dalla formulazione piuttosto ostica per i non addetti ai lavori:
«Can. 144 -, §1. Nell’errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva».
Il canone prevede due situazioni in cui si applica il principio: errore comune e dubbio positivo e probabile.
L’errore comune non è ignoranza sulla legge o sulla dottrina della Chiesa ma un errore indotto dalle circostanze. Accade quando la maggior parte delle persone di una comunità, con i dati che ha disposizione, ritiene erroneamente una cosa (errore comune di fatto) o la riterrebbe se avesse a disposizione gli stessi dati (errore comune di diritto)[5].
Il dubbio di fatto è un po’ più complesso da capire ma diciamo, brevemente, che si ha quando esistono elementi tanto a favore quanto a sfavore di una data interpretazione[6].
In entrambi i casi è importante comprendere che la Chiesa si limita a supplire il potere esecutivo di governo, vale a dire la facoltà giuridica necessaria a compiere certi atti (non la potestà legislativa o quella giudiziaria), e la supplisce per i singoli atti, ma non conferisce la facoltà a chi non l’ha.
Tipico è il caso in cui un sacerdote che ascolta delle confessioni senza averne la facoltà. I penitenti, che non hanno elementi per sapere che il sacerdote è privo della facoltà di confessare, sono validamente assolti. La Chiesa supplisce rendendo valide le singole confessioni, ma non conferisce al sacerdote la facoltà di confessare.
Per quanto riguarda la composizione del Collegio Cardinalizio che prenderà parte al prossimo Conclave, l’avv. Ferro Canale propone tre possibili “vie d’uscita” per risolvere il problema della validità dell’elezione partendo dal presupposto che Papa Francesco detenesse illegittimamente l’ufficio:
- L’errore comune sulla validità del pontificato di Francesco – Dato che la maggior parte dei fedeli lo ha ritenuto veramente Papa, ci troviamo in un caso di errore comune e pertanto la Chiesa supplisce alla potestà di creare Cardinali (un atto che ricade sotto la potestà esecutiva del Romano Pontefice) e i Cardinali creati da Bergoglio sono effettivamente Cardinali.
- L’errore comune sulla validità delle nomine Cardinalizie di Francesco – Se anche non si applicasse il principio di supplenza al Papa, esso si applicherebbe ai Cardinali. Quindi, pur non essendo veramente Cardinali, la Chiesa supplirebbe alla loro mancanza di facoltà di eleggere il Papa, e il Papa sarebbe validamente eletto.
- Il terzo caso è simile ai precedenti, ma si fonda sul dubbio positivo e probabile circa la legittimità di Francesco per la presenza di opinioni contrastanti sulla sua validità, ciascuna con buone argomentazioni, tanto che non si può aderire all’una o all’altra senza timore di sbagliare. Anche in questo caso opererebbe la supplenza, se non sul Papa stesso, almeno sulla facoltà dei Cardinali di eleggere un nuovo Pontefice.
Circa l’applicabilità del principio di supplenza al Papa, esistono in dottrina opinioni contrastanti. L’avv. Ferro Canale cita, a favore, S. Alfonso[7] che però trattava del caso di elezione simoniaca. Un caso che, tra l’altro, secondo la normativa vigente, non invaliderebbe l’elezione (cfr. UDG 78). Sono contrari Wernz e Vidal[8], che motivano con un’interessante considerazione teologica: dato che la potestà al Papa è data da Dio, e non dalla Chiesa, la Chiesa non può supplire a una potestà che non conferisce lei stessa. Ritengo che sia questa l’opinione corretta ed escludo la possibilità di supplenza alla giurisdizione del Papa invalidamente eletto.
Circa la supplenza dei Cardinali, l’argomento è giuridicamente robusto, purché si concordi con gli argomenti che Ferro Canale porta a sostegno del fatto che l’elezione del Papa è un atto di potestà esecutiva dei Cardinali e non un atto elettivo sui generis.
Ci si potrebbe anche chiedere:
- Se la legge stabilisce che solo chi ha il titolo di Cardinale può eleggere il Papa (UDG 33), allora l’assenza di tale titolo potrebbe essere vista non come mancanza di potestà di governo, ma mancanza di legittimazione soggettiva assoluta all’elezione, che la supplenza non può coprire.
- L’argomento della dimostrazione si basa sul fatto che l’elezione sia un atto di governo esecutivo, ma la facoltà di votare in un’elezione papale è equiparabile a un esercizio di potestà amministrativa delegabile e supplibile?
- Occorre notare che la prassi ecclesiastica e la dottrina più comune non hanno mai applicato la supplenza ad un Conclave viziato dall’invalidità dei membri.
Un discorso teologico
Preso atto delle posizioni conseguenti dal Diritto, sento di dover intervenire con la competenza del teologo a integrare le riflessioni puramente canonistiche dell’avv. Ferro Canale, che peraltro stimo e del quale ammiro la competenza in diritto canonico e la profonda conoscenza della storia della Chiesa.
Il diritto canonico, infatti, deve essere al servizio della teologia, e con essa armonico. Del resto le leggi della Chiesa, anche quando sono di diritto positivo, non possono mai contraddire né la dottrina, né il diritto divino.
Non posso qui astenermi dal considerare il particolare contesto che ha prodotto la Declaratio di Benedetto XVI e l’esito del successivo Conclave.
Nella mia omelia del 13 ottobre ne ho parlato ampiamente, e a essa rimando per una trattazione estesa, che qui non posso ripetere. Ci sono numerosi indizi che convergono a far ritenere che una frangia gnostico-massonica si sia infiltrata fino nei vertici della Chiesa e abbia condizionato i fatti del 2013, allo scopo di operare un sovvertimento all’interno della Chiesa. Negli ultimi dodici anni anche coloro che non hanno mai messo in dubbio la validità dell’elezione di Francesco hanno spesso contestato il suo operato. Cito solo il caso forse più eclatante: il rifiuto, da parte di circa venti Conferenze episcopali e altrettanti Vescovi diocesani o gruppi di sacerdoti di applicare la Dichiarazione Fiducia Supplicans sulle benedizioni alle coppie irregolari. Un fatto inaudito, soprattutto se si pensa che in una successiva nota, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha detto trattarsi di magistero autentico, vale a dire il tipo di magistero che obbliga al religioso ossequio dell’intelletto e della volontà[9].
Ci siamo trovati in una situazione senza precedenti.
Non si può parlare, semplicemente di invalida elezione papale. Un’invalida elezione papale sarebbe potuta scaturire da un errore nelle procedure di elezione, con la perfetta buona fede tanto dell’eletto quanto degli elettori, e scoperto solo in seguito.
La situazione odierna, che vede un Collegio Cardinalizio composto per la stragrande maggioranza da Cardinali nominati da Francesco è viziato non tanto da un’irregolarità procedurale di segno neutro nell’elezione del 2013, quanto da atti dolosi perpetrati da uomini di curia in malafede, secondo un programma di distruzione ben congegnato, come ho argomentato nella mia omelia del 13 ottobre.
Se si vuole parlare di errore comune (Francesco è ritenuto Papa) o di dubbio probabile (c’è il dubbio che Francesco non sia Papa, ma non la certezza), occorre chiedersi se questo errore o questo dubbio non siano stati prodotti con il dolo e se, in questo caso, la supplenza si applichi comunque.
Dobbiamo sempre tenere davanti agli occhi il principio guida che ispira tutto il Codice di Diritto Canonico e, nello specifico, il principio di supplenza: la salvezza delle anime e il bene della Chiesa. Il principio di supplenza non potrebbe mai produrre il male. Esso riflette la sollecitudine della Chiesa, quale società visibilmente ordinata, per il bene comune ecclesiale: in presenza di errore comune o di dubbio positivo e probabile, essa supplisce con la propria potestà di governo alla giurisdizione mancante, affinché non venga compromessa la validità degli atti giuridici e la certezza del diritto. In tal modo, la Chiesa garantisce la stabilità dell’ordine canonico e tutela la pace delle coscienze. Lo scopo della supplenza non è permettere azioni fraudolente ai danni dei fedeli. Non si può invocare la supplenza in tal caso, poiché si contraddirebbe la stessa ratio pastorale del can. 144. La Chiesa non supplisce per legittimare abusi.
Secondo il commento al C.D.C. di Mons. Luigi Chiappetta è lecito provocare deliberatamente l’errore comune «purché ci sia una causa grave e proporzionata[10] in rapporto al bene di una comunità ecclesiale o di un gruppo di fedeli» e cita l’esempio del sacerdote che, pur sapendo di non avere la facoltà di confessare in un dato luogo, si mette a confessare comunque perché c’è un gran numero di fedeli che ne ha la necessità. Il caso è limite, e comunque riferito all’ottenimento di un bene, mai di un male.
Blat nel suo commento al Codice di Diritto Canonico del 1917 scriveva: «Dobbiamo attenerci a quanto già insegnato da Ulpiano, poiché la definizione da lui approvata ha trovato accoglienza tra i Dottori. Egli scrisse infatti:
«Così Labeone definì: il dolo cattivo è ogni astuzia, inganno, macchinazione impiegata per raggirare, trarre in errore, o ingannare un altro». La definizione di Labeone è vera. Tuttavia, Labeone non si limitò a parlare di dolo, ma il Pretore (come riportato sopra nella stessa legge) vi aggiunse l’aggettivo cattivo: poiché gli antichi parlavano anche di dolo buono, e con questo termine intendevano l’abilità o l’ingegno, soprattutto se impiegato contro un nemico o un brigante. È dunque evidente, da questa definizione, che nel Codice la parola dolo va intesa come dolo cattivo, perché è propriamente questo il significato attribuito, e l’autore del canone intende offrire un aiuto efficace alle persone che agiscono in buona fede contro coloro che usano l’astuzia per estorcere ingannevolmente un atto»[11].
In merito al risultato di una elezione viziata, è molto interessante quanto riferisce Mons. Chiappetta commentando il can 125 (che tratta dell’atto di un singolo viziato da dolo, errore, violenza, ecc)[12]. Spiega che, durante i lavori che diedero origine al Codice di Diritto Canonico, fu proposto di inserire un analogo canone relativo anche agli atti collegiali:
«L’atto di un collegio è considerato invalido se la maggior parte dei suoi membri ha espresso il proprio voto sotto l’influsso di violenza o timore oppure per dolo, oppure per ignoranza o errore. Se invece uno o più membri del collegio hanno espresso il proprio voto sotto l’influsso di violenza o timore, oppure per dolo, o per ignoranza o errore, l’atto è valido, ma dà luogo all’azione rescissoria, secondo le norme del diritto, da parte di coloro che vi hanno interesse».
Il testo normativo proposto mirava a regolare la validità degli atti collegiali (cioè le decisioni prese da un collegio, come ad esempio un’elezione) in caso di vizi del consenso dovuti a violenza o timore, dolo (cioè inganno intenzionale), ignoranza o errore e si distingueva tra:
- maggioranza viziata → atto invalido
- minoranza viziata → atto valido, ma impugnabile con azione rescissoria
(il criterio che discrimina l’invalidità o la possibilità di azione rescissoria è analogo a quello che si applica ad altri canoni riferiti agli atti collegiali, come ad es il can 171).
La proposta non fu accolta perché avrebbe potuto minacciare la certezza del diritto, rendendo le decisioni collegiali più esposte a contestazioni basate su elementi interni e soggettivi, difficili da accertare (sarebbe molto difficile provare in modo attendibile che una maggioranza ha agito sotto dolo, paura, ecc.) ma questo ci illumina circa lo spirito della legge.
Tornando al caso in esame, si può dire che la maggior parte dei fedeli abbia ritenuto che Francesco fosse Papa a causa degli atti concludenti dei Cardinali a valle della Declaratio di Benedetto XVI (convocazione del Conclave, elezione di un Papa, riconoscimento di tale Papa), ma abbiamo ragione di dubitare che tutto il contesto nel quale sono stati compiuti tali atti sia stato viziato da una componente dolosa. Rimando nuovamente alla mia omelia del 13 ottobre e alle fonti in essa citate.
Potrebbe forse valere la pena accennare al ricorso improprio al principio del “male minore”, talvolta invocato – anche se raramente in modo esplicito – come criterio etico nei cosiddetti casi perplessi. È possibile che alcuni Cardinali, o anche alcuni fedeli, giungano inconsciamente ad adottare tale logica: «meglio sostenere una scelta poco trasparente, pur di evitare uno scisma manifesto». Ma un tale ragionamento, pur comprensibile sul piano umano, è moralmente inammissibile. Non è mai lecito scegliere un male (come il riconoscimento di un’autorità illegittima) con il pretesto di evitarne uno maggiore. Per chi avesse reale contezza della situazione, riconoscere come Papa l’eletto da un Conclave viziato significherebbe aderire consapevolmente a una menzogna ecclesiale, pur sapendo che lo scisma è già stato causato – benché in forma silenziosa – da chi ha usurpato l’autorità petrina. Sant’Antonio di Padova ricorda che la verità va detta anche a costo dello scandalo e la stessa Universi Dominici Gregis (n. 5) vieta esplicitamente di lasciar cadere i diritti della Sede Apostolica, neppure con il pretesto di comporre dissidi o perseguire azioni perpetrate contro i medesimi diritti.
Secondo il testo giuridico del secolo XIV detto Liber Extra: «Ciò che è stato introdotto di nascosto (cioè con dolo), con la forza, o in altro modo illecito, non deve avere alcuna stabilità né può sussistere»[13].
Come potrebbe dunque darsi un valido Conclave?
Abbiamo detto che il can. 169 C.D.C. rende invalida qualsiasi elezione nella quale entrino a far parte soggetti privi del diritto.
Pertanto, secondo i requisiti definiti da UDG 33[14], dovrebbero entrare in Conclave solo i Cardinali nominati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che non avevano compiuto ancora 80 anni alla data della sede vacante. La sede vacante si colloca alla morte di Benedetto XVI, avvenuta il 31 dicembre 2022.
Si tratta, in tutto, di 44 Cardinali. 27 di loro non hanno ancora compiuto 80 anni e quindi sono già stati chiamati a votare nel presente Conclave, i restanti 17 non sarebbero ammessi al voto. Tuttavia UDG 35[15] vieta che si escludano dal voto alcuni Cardinali, pertanto, se questi Cardinali non venissero chiamati a votare si avrebbe un’invalidità dell’elezione per esclusione di più della terza parte degli aventi diritto (17/44) ai sensi del can. 166, §3[16].
L’applicazione della lettera della legge, nella circostanza straordinaria in cui ci troviamo (una sede vacante pluriennale, evidentemente non prevista dalla mens del legislatore) entra, a dire il vero, in conflitto con le ragioni della norma stessa, bene esplicitate da Giovanni Paolo II nel preambolo di Universi Dominici Gregis:
«La ragione di tale disposizione infatti è da cercare nella volontà di non aggiungere al peso di così veneranda età l’ulteriore gravame costituito dalla responsabilità della scelta di colui che dovrà guidare il gregge di Cristo in modo adeguato alle esigenze dei tempi»[17].
Non è, tuttavia, possibile derogare alle norme.
Riassumo ancora una volta la mia posizione sulla validità del prossimo Conclave:
Perché l’elezione sia valida, il Conclave deve ammettere tutti e soltanto i cardinali creati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che erano ancora sotto gli 80 anni al 31 dicembre 2022.
Se prendessero parte individui che non sono veri cardinali, il loro numero sarebbe talmente eccedente quello dei veri cardinali da rendere nulla l’elezione.
Allo stesso modo, escludere oggi i cardinali che hanno superato gli 80 anni — ma che erano sotto il limite di età al momento della morte di Benedetto XVI — violerebbe le disposizioni della Universi Dominici Gregis e invaliderebbe ugualmente l’elezione.
Querelle sulla composizione del collegio cardinalizio
Questi giorni non sono stati privi di colpi di scena.
Prima la vicenda giudiziaria che ha portato alla rinuncia, non si sa quanto spontanea, del Card. Becciu.
Mentre preparavo questo testo mi è giunta notizia che il Cardinale keniano John Njue ha rilasciato ieri un’intervista in cui ha detto di essere stato escluso dal conclave. Njue ha precisato: “Coloro che si recano lì per l’elezione ricevono solitamente inviti ufficiali e questo non è avvenuto nel mio caso”. Njue ha precisato: “Non è per motivi di salute, davvero, è difficile commentare”. La diocesi keniana ha smentito l’intervista rilasciata dal cardinale. L’arcivescovo di Nairobi Philip Anyolo, in un comunicato trasmesso ai media nazionali e ripreso dallo stesso Daily Nation, ha spiegato che Njue sarebbe eleggibile a partecipare ed è stato ufficialmente invitato tramite la Nunziatura Apostolica in Kenya, ma le sue condizioni di salute non gli permetterebbero il viaggio. (fonte ANSA)
Da Il Tempo:
«L’altro aspetto singolare è che il comunicato di Anyolo sia stato diffuso solo oggi, cioè dopo l’intervista del predecessore.
Njue era finito al centro dell’attenzione insieme al suo confratello burkinabé Philippe Nakellentuba Ouédraogo perché aveva modificato la sua data di nascita: fino all’Annuario pontificio del 2023 risultava essere nato nel 1944, da quello dell’anno successivo invece la data segnata era il 1 gennaio 1946. Uno slittamento che gli avrebbe consentito di partecipare al conclave se non fossero intervenute motivazioni legate alla salute che però lui stesso nega. In effetti nei giorni scorsi Njue era apparso in pubblico per celebrare la messa nella chiesa cattolica di Santa Teresa di Calcutta-Tena ed aveva tenuto anche un’omelia.
Una situazione su cui dovrà dare delucidazioni la Sala Stampa della Santa Sede che per bocca del suo direttore Matteo Bruni aveva parlato di «motivi di salute» e che nella nota del 2 maggio aveva messo per iscritto che «è stato confermato che non parteciperanno al conclave due cardinali elettori, che ne hanno dato informazione al collegio». Tra i quali, appunto, Njue che però è stato netto nella smentita: “Non è una questione di salute”»[18].
Njue è stato creato Cardinale da Benedetto XVI ed è un vero cardinale. Se dovesse impugnare la sua esclusione esporrebbe a rischio l’elezione, infatti il numero 35 di UDG impedisce di escludere Cardinali dall’elezione. UDG non esplicita quali sarebbero le conseguenze, si potrebbe applicare il numero 76 di UDG e ritenere nulla l’elezione, oppure applicare le norme generali del C.D.C. can. 166, §2 e l’elezione sarebbe rescindibile se il Porporato facesse ricorso.
Alcune obiezioni possibili
La data di sede vacante
Facciamo il punto della situazione sulle posizioni che ci sono in merito:
1) Se la Declaratio non è un’abdicazione (questa è la conclusione alla quale sono giunto), la data di sede vacante è il 31 dicembre 22, data della morte di Benedetto XVI.
2) Se la Declaratio è un’abdicazione la sede è vacante dal 28 febbraio 2013, il Conclave del 2013 è stato convocato regolarmente e Francesco non era Papa per altri motivi (teorie che non ho mai sposato, ma che esistono: (a) era eretico da prima, (b) l’elezione ha subito irregolarità invalidanti, (c) è diventato eretico dopo).
3) Terzo caso, che non riflette il mio pensiero: la Declaratio è un’abdicazione, il Conclave del 2013 ha validamente eletto Papa Francesco e la sede è vacante dal 21 aprile 2025.
L’affermazione secondo cui, dopo la morte di Benedetto XVI, sarebbe necessaria un’esplicita dichiarazione di sede vacante, e che la mancanza di tale dichiarazione pregiudicherebbe la validità di un futuro Conclave, è priva di fondamento. Allo stesso modo, è giuridicamente infondata l’idea che sia la data di tale dichiarazione – e non quella della morte del Papa – a determinare il computo delle scadenze previste da Universi Dominici Gregis. Secondo questa teoria, ad esempio, il calcolo dell’età dei Cardinali ai fini dell’ammissione al Conclave dovrebbe decorrere dalla «dichiarazione di sede vacante» e non dalla data effettiva della morte dell’ultimo Pontefice.
Ma questo è addirittura smentito esplicitamente da UDG. Al n. 33 norma:
«Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, ad eccezione di quelli che, prima del giorno della morte del Sommo Pontefice o del giorno in cui la Sede Apostolica resti vacante, abbiano già compiuto l’80° anno di età».
Universi Dominici Gregis (UDG) non prevede alcuna formula ufficiale o dichiarazione solenne della sede vacantecome condizione per la validità del Conclave, né prescrive una espressione canonica del tipo «vere Papa mortuus est»per proclamare la morte del Romano Pontefice.
Piuttosto, l’art. 17 stabilisce la procedura concreta di accertamento della morte del Papa da parte del Camerlengo, con la redazione dell’atto autentico da parte del Cancelliere della Camera Apostolica. L’art. 19 dispone che il Decano del Collegio Cardinalizio dia comunicazione della morte ai Cardinali, al Corpo Diplomatico e ai capi di Stato, per avviare le procedure previste.
Verifichiamo, ad esempio, i bollettini della sala stampa della Santa Sede dell’aprile 2005 (pubblicati in italiano come lingua originale). Nei comunicati relativi alla morte di Giovanni Paolo II, l’inizio della vacanza della sede è stato reso noto semplicemente con l’annuncio pubblico della morte del Papa da parte del direttore della Sala stampa, Joachim Navarro-Valls e non vi si trova alcuna formula codificata, né tantomeno la frase “vere Papa mortuus est”. Viene semplicemente detto: «Il Santo Padre è deceduto questa sera alle ore 21.37 nel Suo appartamento privato. Si sono messe in moto tutte le procedure previste nella Costituzione apostolica “Universi Dominici Gregis” promulgata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio del 1996»[19].
L’elemento giuridico essenziale è la certezza pubblica della morte o della rinuncia. Pertanto, l’idea che il Conclave debba attendere una specifica formula rituale per essere valido o per computare l’età dei Cardinali ammessi e le date delle procedure è del tutto infondata.
Nel caso della morte di Benedetto XVI, come testimoniato dai bollettini ufficiali della Santa Sede del 31 dicembre 2022 e dei giorni seguenti, il decesso è stato accertato, la notizia della morte è stata pubblicamente annunciata utilizzando il titolo “Papa emerito” e si sono celebrate le esequie pubbliche alla presenza dei capi di stato, dei Patriarchi, Cardinali, Vescovi e clero.
Non vi sono dunque dubbi sul fatto che Benedetto XVI sia deceduto e la sede sia vacante a partire dalla data della sua morte.
Il limite dei 20 giorni
Da altri è stato sollevato il problema che UDG impone un termine massimo di 20 giorni dalla morte del Pontefice per eleggere il nuovo Papa e che se ciò non avviene, non è più possibile procedere con l’elezione e occorre ricorrere ad altri metodi di designazione del Pontefice.
In un articolo pubblicato nel gennaio 2023[20], l’avv. Ferro Canale aveva già smentito questa tesi. Spiegava che il termine dei 20 giorni è un termine detto «acceleratorio» che era stato introdotto con lo spirito di fornire alla Chiesa un pastore nel più breve tempo possibile e non con lo scopo di rendere impossibile l’elezione del Papa. Un termine acceleratorio è presente per tutte le elezioni, con l’evidente scopo di coprire velocemente gli uffici vacanti e la sua trasgressione non è mai a pena di nullità[21].
Utilizzando i criteri interpretativi per le leggi canoniche forniti dal Diritto stesso[22], l’avv. Ferro Canale li applica uno per uno al caso in questione e dimostra che la clausola di invalidità prevista da UDG 76 non si applica al termine dei 20 giorni.
Il limite dei 120 cardinali
È stato sollevato da alcuni il dubbio sulla validità del Conclave, a causa del fatto che i cardinali elettori attualmente sono 135, a fronte del numero massimo di 120 stabilito dalla costituzione Universi Dominici Gregis.
Se ci si colloca nella prospettiva sostenuta lungo tutto questo documento, tale problema non si pone, poiché dei 135 cardinali elettori ben 108 sono stati creati da papa Francesco, e quindi – secondo tale impostazione – non sarebbero veri cardinali.
Mettiamoci tuttavia nella prospettiva di chi considera validamente creati questi cardinali.
Anche Giovanni Paolo II superò la soglia stabilita. Con il concistoro del 21 febbraio 2001, il collegio cardinalizio arrivò a comprendere 135 elettori. Il Papa non morì in prossimità di quella data, e quindi il Conclave che elesse Benedetto XVI due anni dopo non superò la soglia dei 120 cardinali elettori. Tuttavia, se Giovanni Paolo II — già gravemente malato nel 2001 — fosse morto poco dopo, anche quel Conclave si sarebbe svolto con un numero di elettori superiore a quanto previsto.
Poiché i concistori non sono eventi frequenti, è ragionevole ritenere che un Papa «si porti avanti» con le nomine. Considerando la composizione attuale del collegio cardinalizio, nel giro di un anno ben 15 cardinali raggiungeranno il limite degli 80 anni. Se Francesco fosse morto un anno più tardi, il numero degli elettori sarebbe sceso esattamente a 120.
Poiché i cardinali sono nominati dal Papa, e poiché si presume che un Papa conosca l’aritmetica di base, è corretto ritenere che, qualora egli proceda a nomine che fanno superare la soglia dei 120, stia consapevolmente derogando alla norma, esercitando una potestà che effettivamente gli compete. Il Papa, infatti, è il supremo legislatore della Chiesa.
Ammettere tutti i cardinali elettori al Conclave non costituisce un arbitrio, ma significa accogliere ciò che il precedente Pontefice ha stabilito. Al contrario, sarebbe contrario a Universi Dominici Gregis n. 35 escludere qualcuno: «Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto».
[1] «Can. 169 – Perché l’elezione sia valida, non può essere ammesso al voto nessuno, che non appartenga al collegio o al gruppo» (Codice di Diritto Canonico 1983). Ove non ulteriormente specificato si farà sempre riferimento al Codice del 1983, attualmente vigente, abbreviandolo con CIC.
[2] «Can. 20 – La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente; la legge universale però non deroga affatto al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto» (CIC).
[3] «Can. 17 – Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all’intendimento del legislatore» (C.D.C.).
[4] «Can. 171 -, §1. Sono inabili a dare il voto: 1) chi è incapace di atto umano; 2) colui che manca di voce attiva; 3) chi è legato dalla pena della scomunica sia per sentenza giudiziale sia per decreto con il quale la pena viene inflitta o dichiarata; 4) colui che si è staccato notoriamente dalla comunione della Chiesa., §2. Se uno dei predetti viene ammesso, il suo voto è nullo, ma l’elezione vale, a meno che non consti che, tolto quel voto, l’eletto non ha riportato il numero dei voti richiesto» (C.D.C.).
[5] Esempio preso dal sito della canonista Cathy Caridi: immaginiamo che una famiglia abbia un anziano parente molto malato, il medico dice che sta per morire, e la famiglia chiama il parroco per dargli gli ultimi sacramenti. Il parroco arriva, scopre che l’anziano non è mai stato cresimato e, poiché il can. 883, §3 concede automaticamente a un sacerdote la facoltà di amministrare la cresima in pericolo di morte (facoltà che ordinariamente è data solo ai Vescovi), gliela conferisce. Supponiamo ora che il malato non muoia, ma viva altri 23 anni. Questo è un tipico caso di “errore comune di fatto”, quando è stato amministrato il sacramento i dati a disposizione dei presenti lasciavano credere effettivamente che l’uomo sarebbe morto, e in tal caso Ecclesia supplet si applica davvero.
Facciamo un altro esempio: un nuovo parroco arriva in un paese. Tutti lo accolgono come parroco e questi inizia a celebrare matrimoni. Successivamente si scopre che, per qualche motivo, la sua nomina a parroco è invalida. Dato che solo un parroco (o un sacerdote da lui delegato) può celebrare matrimoni, tutti i matrimoni che ha celebrato sono invalidi? No, anche in questo caso la Chiesa supplisce, per il bene delle anime dei fedeli.
Viceversa, supponiamo che una famiglia chiami la parrocchia perché un parente anziano sta morendo. Arriva un diacono permanente che si mette ad amministrare l’unzione degli infermi. Tutti sanno che è un diacono, quindi non c’è alcun errore su chi egli sia; ma magari i familiari non sanno che solo un sacerdote ordinato può celebrare validamente questo sacramento (cfr. can. 1003, §1). Si tratta di “errore comune”? No, perché milioni di persone potrebbero dire subito che un diacono non può amministrare l’unzione. Dunque, se un diacono tenta di celebrarla, il sacramento è invalido e il can. 144, §1 non si applica.
[6] Esempio preso dal sito della canonista Cathy Caridi: un parroco parte per le vacanze il 16 agosto e delega un altro sacerdote a celebrare matrimoni fino al suo ritorno, ma nella lettera scrive che la delega vale “per un paio di settimane”. Così, non è chiaro se la delega valga anche per un matrimonio celebrato il 31 agosto. Siccome l’intenzione era chiara, ma la forma scritta no, si tratta di un dubbio positivo e probabile di fatto. In questo caso, Ecclesia supplet si applica, e un matrimonio celebrato il 31 agosto sarebbe valido.
[7] S. Alfonso Maria de’ Liguori, Theologia Moralis, Lib. III, Tract. I, Cap. II, Dubium III – De simonia, Art. III – Quae sint poenae simoniae, Qu. IV – An electio Pontificis simoniaca sit nulla (ed. Parigi 1835, vol. I, pagg. 312-3).
[8] Franciscus Xaverius Wernz – Petrus Vidal – Philippus Aguirre, Ius Canonicum ad normam Codicis exactum, vol. II, Roma 1943, pagg. 480-2, nt. 56.
[9] «Can. 752 – Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda» (C.D.C.). Per ulteriore approfondimento: «Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi. Il magistero del Romano Pontefice e del Collegio dei Vescovi in materia di fede o di costumi o di verità intimamente connesse, anche se non intende enunziare una dottrina con atto definitivo, obbliga i fedeli a prestare a tale dottrina un religioso ossequio, evitando con cura quello che con essa non sia concorde. Non basta una semplice adesione esterna: è necessaria anche e soprattutto quella interna, dell’intelletto e della volontà. Questo non impedisce che la verità enunziata venga opportunamente approfondita, ai sensi dei cann. 218 e 386, § 2. L’approfondimento comprende anche lo “sviluppo”, ma eodem sensu eademque sententia» (Luigi Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico, Commento giuridico-pastorale, vol. II, Dehoniane, Roma 19962, n. 3117).
[10] Cfr. Luigi Chiappetta, op cit., n. 1021.
[11] Alberto Blat, Commentarium Textus CIC, commento al can. 103 CIC 1917, p. 43.
[12] Cfr. Luigi Chiappetta, op. cit., n. 885.
[13] Liber Extra, X.5.41.5.
[14] «33. Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, ad eccezione di quelli che, prima del giorno della morte del Sommo Pontefice o del giorno in cui la Sede Apostolica resti vacante, abbiano già compiuto l’80° anno di età. […]» (C.D.C.).
[15] «35. Nessun Cardinale elettore potrà essere escluso dall’elezione sia attiva che passiva per nessun motivo o pretesto, […]» (C.D.C.)..
[16] «Can. 166 -, §1. Il presidente del collegio o del gruppo convochi tutti gli appartenenti al collegio o al gruppo; la convocazione poi, quando deve essere personale, ha valore, se viene fatta nel luogo del domicilio o del quasi-domicilio oppure nel luogo di dimora., §2. Se qualcuno di quelli che devono essere chiamati fu trascurato e perciò è stato assente, l’elezione vale; purtuttavia su istanza del medesimo, una volta provata l’omissione e l’assenza, l’elezione, anche se fu confermata, deve essere rescissa dall’autorità competente, purché consti giuridicamente che il ricorso è stato trasmesso almeno entro tre giorni dalla ricezione della notizia dell’elezione., §3. Che se fosse stata trascurata più della terza parte degli elettori, l’elezione è nulla per il diritto stesso, a meno che tutti i non convocati non siano effettivamente intervenuti» (C.D.C.).
[17] UDG, proemio.
[18] Il Tempo, 6 maggio 2025.
[19] La costituzione Universi Dominici Gregis era alla sua prima applicazione, in questo senso pare opportuno che ne sia stato esplicitato l’utilizzo.
[20] https://www.radiospada.org/2023/01/su-unipotesi-di-anti-conclave/
[21] «Can. 165 – Qualora non sia stato disposto altro dal diritto oppure dai legittimi statuti del collegio o del gruppo, se un collegio o un gruppo di persone avesse il diritto di eleggere a un ufficio, l’elezione non sia differita oltre il trimestre utile da computarsi dalla ricezione della notizia della vacanza dell’ufficio; trascorso inutilmente questo termine, l’autorità ecclesiastica, cui compete il diritto di confermare l’elezione o il diritto di provvedere successivamente, provveda liberamente all’ufficio vacante» (C.D.C.).
[22] «Can. 17 – Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all’intendimento del legislatore». «Can. 18 – Le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta» (C.D.C.).