Scroll Top

Card. Robert Sarah – Come rimettere Dio al centro della liturgia

AdOrientem

Pubblichiamo, in una nostra traduzione, un’intervista concessa dal Card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, a Aymeric Pourbaix.

Pubblicato in francese da Famille Chretienne il 23/05/2016

Il Card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti richiama a una grande riflessione sull’Eucarestia. E invita sacerdoti e fedeli a girarsi verso l’Oriente, Cristo.

Alcune settimane fa, ha espresso il desiderio di vedere “rimesso al centro il Sacramento dei Sacramenti” vale a dire l’Eucarestia. Per quale motivo?

Card. Sarah: Desidero intraprendere una grande riflessione su questa questione al fine di rimettere l’Eucarestia al centro della nostra vita. Constato che molte delle nostre liturgie diventano degli spettacoli. Spesso, il sacerdote non celebra più la morte di Cristo tramite il suo sacrificio, ma un incontro tra amici, un pasto conviviale, un momento di fraternità. Nel tentativo di inventare delle liturgie creative o festaiole corriamo il rischio di un culto troppo umano, commisurato ai nostri desideri e alle mode del momento. A poco a poco i fedeli si allontanano da Colui che ci mostra la Via. Per i cristiani, l’Eucarestia è una questione di vita o di morte!

Come rimettere Dio al centro?

La liturgia è la porta della nostra unione a Dio. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in auto-celebrazioni umane, il pericolo è immenso, perché Dio sparisce. Bisogna cominciare col rimetter Dio al centro della liturgia.

Se l’uomo ne è al centro, la Chiesa diventa un’associazione puramente umana, una semplice ONG, come ha detto Papa Francesco. Se, viceversa, Dio è al cuore della liturgia, allora la chiesa ritroverà il suo vigore e la sua linfa vitale! “Nel nostro rapporto con la liturgia si gioca il destino della fede e della Chiesa” scrisse in maniera profetica il card. Joseph Ratzinger.

Che rimedio raccomanda?

Riconoscere la liturgia come opera di Dio presuppone una vera conversione del cuore. Il concilio Vaticano II ha insistito su un punto prioritario: in questo ambito l’importante non è ciò che noi facciamo, ma ciò che fa Dio. Nessun’opera umana potrà mai realizzare ciò che sta al cuore della messa: il sacrificio della Croce.

La liturgia ci permette di uscire dai confini di questo mondo. Ritrovare la bellezza e la sacralità della liturgia richiedono dunque un lavoro di formazione per i laici, i sacerdoti e i vescovi. Si tratta di una conversione interiore.

Per rimettere addio al centro della liturgia ci vuole anche silenzio: questa capacità di tacere per ascoltare Dio e la sua parola. Io affermo che non incontreremo Dio se non nel silenzio e nell’approfondimento della sua parola nel profondo del nostro cuore.

Come farlo concretamente?

Convertirsi vuol dire rivolgersi a Dio. Sono profondamente convinto che i nostri corpi devono partecipare a questa conversione, il modo migliore è certamente di celebrare, – sacerdoti e fedeli – rivolti insieme nella stessa direzione: verso il Signore che viene. Non si tratta, come si sente talvolta dire, di celebrare dando le spalle ai fedeli, o verso i fedeli. Non è quello il problema, si tratta di girarsi insieme verso l’abside, che simboleggia l’Oriente dove troneggia la croce del Signore risorto.

Tramite questo modo di celebrare, sperimenteremo fino dentro i nostri corpi il primato di Dio e dell’adorazione. Comprenderemo che la liturgia è, innanzi tutto, la nostra partecipazione al sacrificio perfetto della Croce. Ne ho fatto personalmente l’esperienza; celebrando in questo modo, l’assemblea, con il sacerdote alla sua testa, è come portata dentro  al mistero della croce al momento dell’elevazione.

Ma questo modo di celebrare è consentito?

È legittimo e conforme alla lettera allo spirito del Concilio. In qualità di prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ci tengo a ricordare che la celebrazione “versus orientem” è autorizzata dalle rubriche del messale, le quali precisano i momenti nei quali il sacerdote si debba girare verso il popolo.  Dunque non c’è bisogno di un’autorizzazione speciale per celebrare rivolti al Signore. Così, in un dibattito pubblicato da L’Osservatore Romano, nel giugno 2015, ho proposto che i sacerdoti e i fedeli si rivolgano verso l’oriente almeno durante il rito penitenziale, durante il canto del Gloria, durante le orazioni e durante la preghiera eucaristica.

Nel pensiero di molti, il cambio di orientamento dell’altare è legato al Vaticano II. È vero?

Dopo più di cinquant’anni dalla chiusura del Vaticano II diviene urgente che leggiamo i suoi testi! Il Concilio non ha mai chiesto di celebrare rivolti al popolo! Questa questione non è nemmeno accennata dalla costituzione Sacrosanctum concilium… Anzi, i Padri Conciliari hanno voluto sottolineare la necessità per tutti di entrare nella partecipazione del mistero celebrato. Negli anni dopo il Vaticano II, la Chiesa ha cercato i mezzi per mettere in atto questa intuizione. Così, celebrare rivolti al popolo è diventata una possibilità, ma non un obbligo. La liturgia della parola giustifica il faccia a faccia tra il lettore e gli uditori, il dialogo e la pedagogia tra il sacerdote e il suo popolo, ma quando arriviamo al momento in cui ci si rivolge a Dio – a partire dall’offertorio – è essenziale che il sacerdote e i fedeli si girino insieme verso l’Oriente. Questo corrisponde effettivamente a ciò che hanno voluto i Padri Conciliari.

Credo che si debba ritornare al testo del Concilio. Certi adattamenti alla cultura locale non sono stati probabilmente sufficientemente ponderati. Penso alla traduzione del Messale Romano; in alcune nazioni, alcuni elementi importanti sono stati soppressi, specialmente al momento dall’offertorio. In francese la traduzione dell’Orate Fratres è stata troncata, il sacerdote dovrebbe dire: “Pregate fratelli perché il mio e il vostro sacrificio sia accettabile da Dio Padre onnipotente.” e i fedeli dovrebbero rispondere: “Il Signore riceva dalle tue mani il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.” [N.d.T. Il testo del Messale francese invece suona come segue. Il sacerdote dice: “Preghiamo insieme nel momento di offrire il sacrificio di tutta la Chiesa” e i fedeli rispondono: “Per la gloria di Dio e la salvezza del mondo”].

Nell’udienza che mi ha concesso sabato 2 aprile, il Papa mi ha confermato che le nuove traduzioni del Messale Romano devono tassativamente rispettare il testo latino.

Cosa dice della partecipazione dei fedeli?

La partecipazione dei fedeli è fondamentale, consiste innanzi tutto nel lasciarsi coinvolgere al seguito di Cristo dentro al mistero della sua morte e resurrezione. “Non si  va alla messa per assistere ad una rappresentazione. Ci si va per partecipare al mistero di Dio” ha ricordato Papa Francesco recentemente, l’orientamento dell’assemblea verso il signore è un mezzo semplice e concreto per favorire una vera partecipazione di tutti alla liturgia.

La partecipazione dei fedeli non dovrà dunque essere intesa come la necessità di “fare qualcosa”. Su questo punto abbiamo deformato l’insegnamento del Concilio. Al contrario, si tratta di lasciare che Cristo ci prenda e ci associ al suo sacrificio. Solo uno sguardo carico di fede contemplativa ci impedirà di ridurre la liturgia ad uno spettacolo dove ciascuno abbia una parte da recitare. L’Eucarestia ci farà entrare dentro la preghiera di Gesù e nel suo sacrificio, poiché Lui solo sa adorare in spirito e verità.

Che senso dà la Chiesa a questa questione dell’orientamento?

Innanzi tutto, non siamo i soli a pregare con un orientamento. Il tempio ebraico e le sinagoghe sono sempre orientate. Trovando questo orientamento, potremo ripartire verso le nostre origini. Constato che anche dei non cristiani, in musulmani in particolare, hanno una direzione per la preghiera.

Per noi la luce è Gesù Cristo. Tutta la Chiesa è orientata verso il Cristo. Ad Dominum. Una Chiesa ripiegata su se stessa in un cerchio chiuso avrebbe perso la sua ragion d’essere. Per essere se stessa, la Chiesa deve vivere rivolta a Dio. Il nostro punto di riferimento è il Signore! Noi sappiamo che ha vissuto con noi ed è ripartito verso il padre sul monte degli ulivi, situato ad est di Gerusalemme e che ritornerà nella stessa maniera. Restare rivolti verso il Signore vuol dire attenderlo ogni giorno. Non avvenga ciò che Dio lamenta costantemente: “A me rivolgono le spalle, non la faccia” (Ger 2, 27)

Orientamento 

1344 – Così, di celebrazione in celebrazione, annunziando il mistero pasquale di Gesù «finché egli venga» (1 Cor 11,26), il popolo di Dio avanza «camminando per l’angusta via della croce» verso il banchetto celeste, quando tutti gli eletti si siederanno alla mensa del Regno.”

Catechismo della Chiesa Cattolica”  § 1344, a conclusione del capitolo sull’istituzione dell’Eucarestia

«Morire dentro l’Eucarestia»

Alla Messa noi siamo innanzi tutto presenti per Dio. Se non rivolgiamo il nostro sguardo in maniera radicale verso Dio, la nostra fede diventerà tiepida, vagabonda e incerta. Quando ero un piccolo corista, osservavo con attenzione la delicatezza e il fervore con i quali i missionari celebravano le loro messe. Grazie a loro ho capito quando il Sacerdote dice: “E’ grande il mistero della fede”, non si tratta di una formula!

Senza la fede cosa può significare l’Eucarestia? Ricordatevi che molti discepoli hanno lasciato Gesù quando ha detto loro: “Vi darò il mio corpo da mangiare”. Al giorno d’oggi, ancora molti lo lasciano…

Sono fisicamente presenti alla messa ma la loro fede è carente, indebolita per la mancanza di fervore dei nostri tempi e il paganesimo delle nostre società. E’ la fede che introduce gli uomini dentro al mistero di Dio che ama fino alla morte.

E anche io muoio in ogni celebrazione eucaristica, come dice San Paolo: «Io muoio ogni giorno» (Rm 15). Se noi moriamo nella celebrazione eucaristica, sappiamo che è per avere la vita nuove. La messa deve essere preceduta da una vita di preghiera intensa a casa.

La celebrazione dell’Eucarestia sarà densa se ogni cristiano coltiva una profonda interiorità e una intensa vita di preghiera quotidiana.»

Card. Robert Sarah

Post Correlati