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Le omelie del S. Curato d’Ars: l’orgoglio

orgoglio

«Io non sono come gli altri uomini»
(Luca 18,11).

Questo è, fratelli miei, il linguaggio ordinario della falsa virtù e dell’orgoglio, che, sempre contento di se stesso, è sempre pronto a censurare e a criticare la condotta degli altri.

Questo è anche il linguaggio dei ricchi, che guardano i poveri, come se questi appartenessero a una razza differente della loro, e li trattano di conseguenza.

Per meglio dire, fratelli miei, questo è il linguaggio di quasi tutti. Ce ne sono molto pochi, perfino negli stati più bassi, che non siano toccati da questo maledetto peccato (si riferisce all’orgoglio; n.d.a.), che non abbiano una buona opinione di se stessi, mettendosi completamente al di sopra dei loro simili, e che non portino il loro detestabile orgoglio fino al punto da credere di valere più di molti altri.

Da tutto ciò concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali che sono arrivati e che arriveranno, sino alla fine dei secoli.

Noi siamo portati a spingere il nostro accecamento così lontano che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione.

Gli uni traggono il loro orgoglio, dal fatto di credere di essere più spirituali degli altri; gli altri, a dal fatto di possedere qualche pezzo di terra o dal possesso di denaro, mentre dovrebbero tremare, per il conto terribile che Dio gliene chiederà un giorno.

Oh! fratelli miei, quanti ce n’è che avrebbero bisogno di rivolgere a Dio questa preghiera che sant’Agostino gli rivolgeva:
«Mio Dio, fammi conoscere chi sono veramente, e non avrò bisogno di nient’altro per ricoprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso».

Io, quindi, vi mostrerò:
1°- Come l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;
2°- in quante maniere noi vi cadiamo
3°- e, infine, ciò che dobbiamo fare per correggercene.

Sì, fratelli miei, per darvi un’idea della grandezza di questo maledetto peccato, occorrerebbe che Dio mi permettesse di andare ad afferrare Lucifero dal fondo degli abissi, e di metterlo qui, al mio posto, e di fare raccontare a lui stesso gli orrori di questo crimine, mostrandovi tutti i beni che questo peccato gli ha rapito, e cioè, il Cielo, e i mali che gli ha attirato, che sono le pene dell’inferno.

Ahimè! fratelli miei, per un peccato che può durare un solo momento, una punizione che durerà per tutta l’eternità!

Ciò che vi è di più sciagurato in questo peccato, è il fatto che, quanto più uno ne è contagiato, tanto meno se ne ritiene colpevole (una di quelle finezze psicologiche, tipiche del nostro santo: i peggiori orgogliosi, sono i falsi umili; n.d.a.).

Infatti, mai accadrà che un orgoglioso accetti di credere di essere orgoglioso, nè di riconoscere il suo torto: tutto ciò che fa e dice, è ben fatto e ben detto.

Volete, fratelli miei, farvi un’idea della grandezza di questo peccato?
Guardate quello che Dio ha fatto per espiarlo.
Perchè pensate che Egli abbia voluto nascere da genitori poveri, vivere nell’oblio, vivere nel mondo, non come quelli che si trovano in uno stato mediocre, ma come una persona che non valeva nulla?

E’ perchè questo peccato aveva talmente oltraggiato suo Padre, che non poteva essere espiato da Lui, se non ponendosi nella situazione più umiliante e più spregevole, che è lo stato di povertà, poichè è sufficiente non possedere nulla, per essere disprezzato dagli uni, e rigettato dagli altri.

Guardate, fratelli miei, quanto sono grandi i mali che ha prodotto questo peccato:

Senza questo peccato, non vi sarebbe l’inferno.
Senza questo peccato, Adamo sarebbe ancora nel Paradiso terrestre, e noi saremmo tutti felici, senza malattie, senza tutte quelle altre miserie che ci sommergono ogni giorno; niente morte, niente giudizio da dover subire, ciò che ha fatto tremare i grandi santi; nessuna eternità infelice da temere (si riferisce all’inferno; n.d.a.),il Cielo ci sarebbe assicurato.

Felici in questo mondo e più felici ancora, nell’altro: la nostra vita trascorrerebbe nel benedire la grandezza, la bontà del nostro Dio, per poi continuare anche dopo, questa felice occupazione.

Ah! ma che dico, fratelli miei: senza questo maledetto peccato, Gesù Cristo non sarebbe morto!
O quanti tormenti sarebbero stati risparmiati a questo divin Salvatore!…

Ma, voi mi chiederete, perchè mai questo peccato ha causato maggiori mali di tutti gli altri?
Eccovene la ragione.

Se Lucifero e gli altri maledetti angeli non avessero nutrito l’orgoglio, non sarebbero esistiti i demoni e, di conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri primi genitori, ed essi avrebbero avuto la felicità di perseverare nella loro condizione (il santo sembra ignorare che, come era stato per gli angeli decaduti, anche gli esseri umani sarebbero stati sottoposti, comunque, a una prova di amore “libero e volontario”, verso il loro Creatore; n.d.a.).

So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano una punizione eterna: un avaro che cerca solo di ammassare, e che sacrificherebbe la sua santità, la sua reputazione, e perfino la propria vita, per accumulare un po’ di denaro, nell’intento di provvedere al suo avvenire, fa senza dubbio una grande ingiuria alla Provvidenza di Dio, che ci ha promesso che, se avremo cura di servirlo e di amarlo, si prenderà cura di noi (si noti una delle sottigliezze teologiche del santo che antepone il verbo “servire” al verbo “amare”: è servendolo concretamente e non solo con parole e sentimenti, che si dimostra di amare sia Dio che il prossimo; n.d.a.).

Un ubriaco, che si dedica agli eccessi del bere, perdendo la lucidità, mettendosi al di sotto della bestia bruta, reca ugualmente un grande oltraggio a Dio, che gli dona un bene (il vino) solo perchè ne faccia un buon uso, consacrando le sue forze, la sua vita, per servirlo.

Un vendicativo, che si vendica delle ingiurie che gli sono state recate, dimostra un disprezzo “sanguinoso” verso Gesù Cristo, che dopo tanti mesi, e forse anche tanti anni, lo sopporta sulla terra (sopporta la sua voglia di vendicarsi; n.d.a.) e, meglio ancora, gli somministra tutto quello che gli è necessario, sebbene non meriterebbe altro che essere inabissato in mezzo alle fiamme.

Un impudico, rotolandosi nel fango delle sue passioni, si pone al di sotto dei porci, perde la sua anima, e mette a morte il suo Dio; di un tempio dello Spirito Santo (1 Corinzi 6,19) ne fa un tempio dei demoni, delle membra di Gesù Cristo, ne fa le membra di un’infame prostituta (1 Corinzi 6,15),
da fratello del Figlio di Dio, diviene non soltanto fratello dei demoni, ma schiavo di Satana (forse il santo è un po’ eccessivo, ma oggi si sottovaluta “enormemente” questo peccato; n.d.a.).

Tutti questi sono crimini di cui nessuna parola potrebbe esprimere tutto l’orrore, nè la grandezza dei tormenti che meritano.
Ebbene! fratelli miei, noi affermiamo che questi peccati sono così lontani dalla gravità dell’orgoglio, rispetto all’oltraggio che recano a Dio, di quanto il cielo non sia lontano dalla terra: statene certi, non vi è nulla di più facile da dimostrare, e ora ve lo farò vedere (affermazione sconvolgente, ma vera; si pensi a quanto poco peso si dà all’orgoglio, anche in sede di confessione, rispetto agli altri peccati più “vistosi”; n.d.a.).

Allorchè noi commettiamo quegli altri peccati, da una parte violiamo i comandamenti di Dio, dall’altra disprezziamo i suoi benefici, oppure, se volete, rendiamo inutili tutti gli sforzi, le sofferenze, e la morte di Gesù Cristo.

Ma l’orgoglioso, si comporta come uno che, non contento di avere disprezzato e calpestato sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo Sovrano, porta il suo furore fino al punto di volergli piantare un pugnale nel seno, lo butta giù dal suo trono, lo calpesta sotto i pedi e si siede al suo posto (non si dimentichi che, fuori di metafora, l’oggetto di tutti questi maltrattamenti e abusi, è lo stesso Dio; n.d.a.).

Si potrebbe mai concepire una più grande atrocità, fratelli miei?
Ebbene! fratelli miei, ecco che cosa fa una persona vanitosa, quando ella riesce ad attuare la sua vanità in ciò che fa o dice.
O mio Dio, quanto grande è il numero di queste persone!

Ascoltate, fratelli miei, quello che ci dice lo Spirito Santo, parlando dell’orgoglioso:
«Sarà abominevole a Dio e agli uomini, perchè il Signore detesta l’orgoglioso e il superbo» (passim nella Bibbia; n.d.a.).

Gesù Cristo stesso ci dice: «che Egli ringraziava il Padre suo, per aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi» (Matteo 11,25).

Infatti, se percorriamo la Sacra Scrittura, i mali con cui Dio abbatte gli orgogliosi, sono così terribili e così numerosi, che sembra quasi che Egli estingua il suo furore nel punirli, e possiamo vedere come Dio prova quasi piacere nell’umiliare i superbi, quanto più essi cerchino di innalzarsi.
Noi vediamo come spesso un orgoglioso cada in qualche vizio vergognoso, che lo disonora agli occhi del mondo (è l’orgoglio, ci dice il santo, la causa primaria, ma nascosta, di tante “debolezze” e fragilità, che di solito vengono attribuite ad altri motivi secondari, ma più appariscenti; n.d.a.).

Il grande Nabucodònosor, ci fornisce un ottimo esempio.
Questo principe era così orgoglioso, aveva una opinione così alta di se stesso, che voleva essere considerato un dio.

All’apice della sua grande potenza, all’improvviso, sentì una voce dal cielo che gli diceva che il Signore non poteva più soffrire il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che esisteva un Dio, padrone di tutti i regni della terra, il suo regno gli sarebbe stato tolto e sarebbe stato dato a un altro.

Gli predisse che sarebbe stato scacciato dal consesso umano, che sarebbe andato a dimorare con le bestie feroci, che avrebbe mangiato l’erba e rosicchiato il legno, come una bestia da soma.

Nello stesso tempo, Dio gli scombussolò talmente il cervello, che egli credette di essere una bestia e fuggì nella foresta, fino a che riconobbe di non essere niente (Daniele 4,27-34).

Vedete anche il castigo che il Signore fece subire a Core, Datan e Abiron, insieme ad altri duecento tra i notabili dei Giudei.
Pieni di orgoglio, essi avevano detto a Mosè e ad Aronne: «Perchè mai noi non dovremmo avere l’onore di offrire l’incenso a Dio, come fate voi?».

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne, di riunirli da una parte, insieme ai beni che gli appartenevano, perchè li avrebbe sepolti nell’abisso…
Non appena furono separati, la terra si aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì ancora vivi nell’inferno (Numeri 16).

Vedete Erode, che fece morire san Giacomo, e imprigionare san Pietro.
Egli era così orgoglioso che, essendo un giorno vestito con gli abiti regali, e seduto sul suo trono, parlò al popolo con una tale eloquenza, che si giunse ad affermare: «No, no, non è un uomo che parla, ma è un dio».
Nello stesso momento, un angelo lo colpì con una malattia così orribile, che i vermi lo rosicchiavano vivo, ed egli perì sciaguratamente: voleva farsi passare per un dio, e fu mangiato dal più vile degli insetti (Atti 12,21-23).

Vedete ancora Amàn, questo famoso orgoglioso, che aveva ordinato che ogni persona piegasse le ginocchia davanti a lui.
Irritato fino alla rabbia, perchè Mardocheo disprezzava il suo comando, fece rizzare una forca per impiccarlo; ma Dio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che fosse lui stesso ad esservi appeso.

Leggiamo nella storia, che un solitario (eremita), pieno di orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede.

Essendo andato a trovare san Palemone, questi, vedendogli fare tutta quella esibizione di orgoglio, gli disse catitatevolmente che era stato molto difficile possedere la fede di cui si vantava, con tutto quell’orgoglio che dimostrava.

Diceva anche che, non avendo da noi stessi nulla di buono, non possiamo fare altro che umiliarci, gemere davanti a Dio, e chiedergli la grazia di non abbandonarlo.

Ma quel povero cieco, ben lungi dall’approfittare di quell’avvertimento caritatevole, corse a gettarsi in un braciere di fuoco (era questa la dimostrazione della sua fede; n.d.a.), e Dio permise anche, per portare al colmo il suo orgoglio, che egli non risentisse minimamente l’ardore del fuoco (a volte, l’essere esauditi, può essere la più grande disgrazia e una punizione di Dio…; n.d.a.).

Ma, poco tempo dopo, quello cadde in un grave peccato, un peccato vergognoso contro la santa virtù della purezza.
Il demonio si presentò a lui sotto forma di una donna, che lo stimolava fortemente, seduta al suo fianco nell’atto di abbracciarlo; allora il demonio si scagliò su di lui, lo tramortì di tanti colpi che quello rimase steso sul pavimento.

Infine, riconoscendo la sua colpa, e cioè il suo orgoglio, tornò a trovare san Palemone, e gli confessò, piangendo, la sua colpa.
Ma, cosa strana, fratelli miei, mentre quello ancora parlava, il demonio si impadronì di lui, lo trascinò con grande furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove egli perse la vita (anche se la storia originale riporta un racconto un po’ diverso, il nostro santo vuole insegnarci che non potremo mai sapere quando potrebbe essere ormai troppo tardi per la conversione, nonostante il ripensamento; n.d.a.).

Sì, fratelli miei, vediamo dappertutto come Dio si compiace nel confondere gli orgogliosi.
Non solo un orgoglioso è un’abominazione agli occhi di Dio, ma è anche insopportabile agli occhi degli uomini.

«Ma perchè questo», mi direte voi?
E’ perchè una tale persona non può andare d’accordo con nessuno: a volte vuole elevarsi al di sopra dei suoi eguali, a volte vuole uguagliare quelli che sono al di sopra di lui, per cui non può accordarsi con nessuno.

E così gli orgogliosi sono sempre in disputa con qualcuno, e da qui ne deriva che tutti li odiano, li fuggono e li disprezzano.

No, fratelli miei, non c’è nessun peccato che produca un cambiamento così radicale in chi lo commette, dal momento che un angelo, la più bella creatura, a causa di questo peccato è divenuta il più orribile demonio; e, quanto agli uomini, da figli di Dio ne fa schiavi del demonio.

«Ma questo peccato, mi direte voi, è davvero orribile; bisogna che chi lo commette non conosca nè il bene che perde, nè i mali che si attira, nè, infine, gli oltraggi che fa a Dio e alla sua anima.
Ma come possiamo sapere quando ce ne rendiamo colpevoli?».

Vuoi sapere come, amico mio? Ecco.
Possiamo dire che questo peccato si trova dappertutto, acompagna l’uomo in ciò che fa e dice; è una specie di condimento che trova posto dappertutto.
Ascoltatemi un momento e capirete come.

Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo (Luca 18,10-14), dicendo che un fariseo, essendo andato nel tempio per fare la sua preghiera, se ne stava in piedi, davanti a tutti, dicendo ad alta voce:
«Ti rendo grazie Signore, perchè non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; trascorro la mia vita a fare del bene e cercando di piacerti».

Ecco la vera caratteristica dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio che è stato così buono da servirsi di lui per il bene, invece di rendergli grazie, egli considera tutto ciò come proveniente da se stesso e non da Dio (in realtà il fariseo inizia proprio col ringraziare Dio, con buona pace del nostro curato; la sua colpa, invece, sta tutta nella convinzione, latente in ciascuno di noi, di essere diverso, ossia migliore, degli altri; n.d.a.).

Entriamo in qualche dettaglio, e vi accorgerete come quasi nessuno sia esente da questa colpa.
I vecchi, come i giovani, i poveri come i ricchi, ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto.
Ognuno applaude se stesso, e ama essere applaudito; ognuno corre a mendicare le lodi degli uomini, e ognuno fatica per attirarsele.
E’ così che trascorre la vita della maggior parte della gente.

La porta per la quale l’orgoglio entra con maggiore abbondanza, è la porta della ricchezza.
Dal momento in cui una persona accresce i suoi beni, la vedete cambiare nel modo di vivere: essa si comporta come quei farisei di cui ci parla Gesù Cristo:

«Essi amano essere chiamati maestri, ed essere salutati, bramano i primi posti, cominciano a vestirsi più elegantemente» (libera citazione di Matteo 23,5-7); essi abbandonano la loro semplicità: se li si saluta, muoveranno appena la testa, senza levarsi il cappello (secondo l’usanza del tempo; n.d.a.).
Camminano a testa alta, e si studiano di usare, nella conversazione, le parole più ricercate, di cui, spesso, non conoscono nemmeno il significato, e amano ripeterle.

Un uomo del genere, vi romperà la testa col racconto dell’eredità che ha ricevuto, per mostrarvi come i suoi beni si siano accresciuti.

Tutta la sua preoccupazione consiste nel faticare per farsi stimare e lodare. Se riesce in qualche sua opera, si affretta a pubblicarla, per sciorinare il suo presunto saper fare.

Se ha detto qualcosa per la quale ha ricevuto un plauso, egli non la smette di rompere i timpani di coloro che gli sono attorno, fino ad annoiarli e a farsi deridere.

Ha fatto qualche viaggio?
Sentirete quest’orgoglioso, raccontare cento volte più di quello che, realmente, ha visto o fatto, attirandosi la compassione di coloro che lo ascoltano.

A volte, pensano di essere spiritosi, ma si fanno solo disprezzare interiormente, poichè non ci si può trattenere dal pensare dentro di sè: «Quest’orgoglioso si illude che noi crediamo a tutto quello che dice…».

Guardate una persona di ceto elevato, mentre esamina l’opera di un altro; vi troverà mille difetti, e poi dirà: «Ah! che volete? poverino non sapeva fare di meglio!».
Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri, senza innalzare se stesso, allora si affretterà a parlare di qualche opera che ha fatto lui, e che qualcuno, a suo dire, ha trovato così ben fatta, che ne parla continuamente a tutti.

Un orgoglioso, se vede un gruppetto di persone che chiacchierano insieme, penserà che si parla di lui, o in bene o in male.

Una giovane (orgogliosa) si trova ad avere una bella figura? o almeno, crede di averla?
Allora la vedrete camminare a passo lento, con affettazione, con un orgoglio che sembra salire fino alle nuvole.

Possiede delle camice o dei vestiti, in genere?
La vedrete lasciare aperto il suo armadio, in modo che si possano vedere.
Si inorgoglisce per le sue bestie (i parrocchiani di Ars, erano tutti contadini o allevatori; n.d.a.)e per la sua famiglia (accostamento curioso, forse ironico; n.d.a.).
Si vanta di sapersi confessare bene, di sapere pregare bene il buon Dio, del suo contegno quando sta in chiesa.

Una madre, si vanta dei suoi figli; un contadino, si vanterà perchè le sue terre sono tenute in migliore stato di quelle degli altri, che egli condanna, mentre applaude il suo saper fare.

A volte vedrete un giovane orgoglioso, che possiede un orologio nel suo taschino, e forse, sovente, ha solo la catena, e cinque soldi nella tasca.
Allora lo sentirete dire: «Temo che sia troppo tardi…», in modo che gli si consigli di controllare l’orologio, e così si sappia che ne possiede uno.

Se si gioca, per cercare di guadagnare qualche soldo, anche se non ha che due soldi in tasca, prenderà tutto ciò che ha, e, spesso, anche ciò che non ha: quanti ce n’è che, pur di andare in certi luoghi di piacere, si fanno prestare del denaro, o perfino degli abiti!

Quando un orgoglioso entra in una comitiva, nella quale pensa di non essere conosciuto, subito gli vedrete fare il resoconto della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti, e di tutto ciò che può innalzarlo, per far conoscere chi è, o meglio, chi non è.

No, fratelli miei, non vi è nulla di più ridicolo e di più balordo, che stare sempre pronti a parlare di ciò che si possiede, e di quello che si fa (in una sola parola: di se stessi; n.d.a.).

Sentitelo, quel padre di famiglia, quando i suoi figli sono in età di maritarsi: in tutte le comitive in cui si trovano, li si sente dire: «Possiedo già mille franchi in contanti, quel mio possedimento mi rende tanto…».
Ma poi chiedetegli cinque soldi per i poveri, e vi dirà che non ha nulla.

Una sarta o un sarto (notare l’ordine delle parole; n.d.a.), se sono riusciti a cucire bene una certa roba o un abito, se si trovano a passare delle persone che lo indossano, e qualcuno dei presenti dice:
«Oh! com’è bello, chissà chi lo ha fatto!»
«Ma certo! sono stato io!», diranno.
E perchè hanno detto ciò? per far vedere quanto sono abili.
Ma se il vestito non ha fatto una buona riuscita, si guarderanno bene dal parlarne, per paura di essere umiliati.

Vi dirò anche, che questo peccato di orgoglio, è ancora più grave, nelle persone che sembrano fare professione di pietà.

Questo maledetto peccato di orgoglio, si nasconde perfino nelle più basse attività: un aratore, o un tagliatore di legna, se sono alla vista dei passanti, porranno ogni cura nello svolgere il lavoro, «affinchè, dicono, se passerà qualcuno, non debba dire che non so lavorare».

Questo peccato, si nasconde perfino nel crimine e nella virtù: si vede perfino chi si gloria di aver commesso il male.

Ascoltate la conversazione di alcuni ubriachi:
«Ah! dicono, un giorno mi sono trovato con un tale, che ha voluto competere con me a chi beveva di più, senza ubriacarsi, ma gli ho fatto vedere io!».

E’ anche un atto di orgoglio, il desiderio di arricchirsi, e l’invidia verso coloro che già sono ricchi, perchè vedono che sono rispettati e onorati.

Ci sono altri, poi, i quali, nel loro modo di parlare, saranno estremamente umili, e che perfino si disprezzeranno, e sembrerà che facciano pubblica ammissione della loro debolezza.
Ma, dite loro qualcosa che li punzecchi in profondità: fin dalla prima parola, li vedrete montare in superbia, tenervi testa, fino al punto di denigrarvi, e fare a pezzi la vostra reputazione, per quel presunto affronto che hanno ricevuto.

Costoro avranno una grande umiltà, in apparenza, soltanto fino a che li si adula o li si loda.
A volte, se si parla bene di qualcun altro davanti a noi, ci sembra quasi che ci infastidisca, sembra che questo ci umili.
Allora mostriamo un’aria triste, oppure diciamo:
«Ah! quello è come tutti gli altri, non ha tutte queste belle qualità che andate dicendo; voi non lo conoscete bene!…».

Io aggiungo, che l’orgoglio si nasconde perfino nelle nostre buone opere.
Ci sono molti che non faranno l’elemosina e non renderanno un servizio al loro prossimo, se non per passare come persone buone, persone caritatevoli.
Se fanno l’elemosina davanti a qualcuno, daranno di più che se non vi fosse nessuno presente.
Se vorranno far sapere che hanno fatto qualche favore o reso qualche servizio al loro vicino, cominceranno a dire:
«Poveretto, stava male, ha una vita molto disgraziata; un giorno è venuto da me, mi ha parlato della sua miseria, e io gli ho dato una certa cosa»
(dopo questa casistica dettagliata dell’orgoglio, portata avanti dal santo con acume e realismo, verrebbe da dire: si salvi chi può!… n.d.a.).

Un orgoglioso non vuole essere ripreso, ha sempre ragione: tutto quello che dice, è ben detto, e tutto quello che fa, è ben fatto.

E lo vedrete sempre esaminare la condotta degli altri; trova difetti dappertutto: non c’è nulla che sia stato fatto bene, o che sia stato ben detto.
Anche se una persona compie una certa azione con la migliore intenzione del mondo, eccolo che, con la sua lingua avvelenata, la interpreta male.

Quanti ve ne è che, per orgoglio, si inventano le cose?
Se raccontano ciò che essi stessi hanno fatto o detto, aggiungeranno molto più di quello che realmente è.
Altri mentono, per paura di essere umiliati.
Per meglio dire, i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentire loro, sono i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che hanno percorso l’universo intero.
I giovani, al contrario, si vantano di ciò che non faranno mai.

Tutti mendicano e tutti corrono dietro al fumo della vanagloria. Questo è il mondo di oggi, fratelli miei.
Mettetevi una mano sulla coscienza, scandagliate il vostro cuore, e riconoscerete la verità di ciò che vi ho detto.

Ma, quello che vi è di più triste, è il fatto che questo peccato genera nelle anime, delle tenebre così fitte, che non ci si accorge di essere colpevoli (di orgoglio).
Ci si accorge molto bene di quando gli altri si lodano falsamente, quando si attribuiscono delle lodi che non si sono meritate, ma, da parte nostra, siamo convinti di meritarle sempre.

Io affermo, fratelli miei, che ogni persona che ricerca la stima degli altri è un cieco.

«E perchè mai, mi direte voi?».

Amico mio, eccotene la ragione.
Per prima cosa, non dirò che egli perde tutto il merito di quello che fa, che tutte le sue elemosine, tutte le sue preghiere e le sue penitenze, non saranno altro che un motivo di condanna (affermazione vera ma inquietante; n.d.a.).
Egli crederà di aver compiuto qualche bene, ma tutto sarà stato guastato dall’orgoglio.

Ma dico, soprattutto, che costui è cieco: anche se egli meritasse sul serio la stima di Dio e degli uomini, dovrebbe piuttosto fuggirla che cercarla.
La cosa migliore che possa fare è persuadersi di non valere nulla, e di non meritare nulla, e solo allora riceverà tutto.

Noi vediamo sempre che quanto più una persona vuole esaltarsi, più Dio permette che sia umiliata, mentre, quanto più vuole nascondersi, tanto più Dio fa brillare la sua reputazione.

Ecco: mettete la mano e gli occhi sulla verità, e riconoscerete che è così (strano modo di dire, ma il senso è intuitivo; n.d.a.).

Una persona orgogliosa, corre a mendicare le lodi degli uomini, ma nella parrocchia, nessuno lo conosce!
Mentre, colui che si nasconde meglio che può, che disprezza se stesso, anche se vi allontanate di molti chilometri, le sue qualità sono da tutti conosciute.

Per meglio dire: la sua reputazione vola ai quattro angoli del mondo: più si nasconde. più è conosciuto, mentre, più l’altro vuole mostrarsi, più si affossa nelle tenebre (dell’oblio), nel senso che nessuno lo conosce, e lui stesso si conosce ancora meno.

Se il fariseo, come abbiamo visto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine autentica di un cuore sinceramente penetrato del suo nulla, della pochezza dei suoi meriti e della grandezza della sua fiducia in Dio.

Gesù Cristo ce lo presenta come un modello perfetto, al quale dobbiamo conformarci.

Il pubblicano, ci dice san Luca, dimentica tutto il bene che, forse, aveva compiuto in tutta la sua vita, per occuparsi esclusivamente della sua miseria spirituale, della sua indegnità; egli non osa comparire davanti a un Dio così santo.

Ben lontano dall’imitare il fariseo, che si pone in un posto da dove possa essere visto da tutti, e riceverne le lodi, questo povero pubblicano, non appena entra nel tempio, corre a nascondersi in un angolo, si pone da solo davanti al suo Giudice, con la faccia rivolta verso terra, con il cuore spezzato dal dolore, e con gli occhi bagnati di lacrime.

Egli non osa guardare l’altare, tanto è confuso, alla vista dei suoi peccati, e della santità di Dio, davanti al quale si considera indegno di apparire.

Egli grida, nella più grande amarezza del suo cuore: «Mio Dio, per favore, abbi pietà di me, perchè sono un grande peccatore!».

Questa umiltà, commosse talmente il cuore di Dio che, non soltanto gli perdonò tutti i suoi peccati, ma, in più, lo lodò pubblicamente, affermando che quel pubblicano, sebbene peccatore, gli era stato più gradito, per la sua umiltà, del fariseo, con la sua vana esibizione delle sue presunte opere buone:
«Io vi dichiaro, dice Gesù Cristo, che questo pubblicano ritornò a casa sua senza peccati, mentre il fariseo ne esce più colpevole di quando era entrato nel tempio. Da questo concludo che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato» (Luca 18,10-14).
(Può sorprendere alquanto questa apertura del santo curato, verso il peccatore, proprio lui che in altri casi sembrava nutrire la massima intransigenza: in realtà, ciò che lo rende spesso severissimo è l’ostinazione spavalda e l’ipocrisia di certi peccatori di professione, non disposti al sincero pentimento; n.d.a.).

Abbiamo visto, fratelli miei, che cos’è l’orgoglio, quanto questo vizio sia orribile, come oltraggi Dio e, infine, come il Signore si compiaccia di punirlo.
Vediamo ora che cos’è l’umiltà, che è la virtù opposta.

Se «l’orgoglio è la sorgente di ogni specie di vizio», possiamo dire che l’umiltà è la sorgente e il fondamento di tutte le virtù.
Essa è la porta, attraverso la quale, Dio fa passare tutte le sue grazie; è lei che condisce tutte le nostre azioni, che comunica loro ogni valore, che le rende così gradite a Dio.
Infine, è lei che ci rende padroni del cuore di Dio, che lo rende nostro servitore, oserei dire, perchè mai Dio ha potuto resistere a un cuore umile.

«Ma, mi direte voi, in cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie?».

Amico mio, ascoltami e te lo mostrerò.
Mentre prima hai considerato se sei contagiato dall’orgoglio, adesso vedrai se possiedi la felicità di possedere questa bella e rara virtù.
Se la possiedi interamente, il Cielo ti è assicurato.

L’umiltà, ci dice san Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel nutrire disprezzo di noi stessi.
L’umiltà è una fiaccola che ci mostra, in piena luce del giorno, le nostre imperfezioni.

Essa, dunque, non consiste in parole o in azioni, ma nella conoscenza di se stessi, che ci fa scoprire una infinità di errori, che il nostro orgoglio ci tiene nascosti fino ad allora.

Io affermo che questa virtù ci è assolutamente necessaria per accedere al Cielo; ascolta quello che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo:
«Se non sarete simili a un bambino, voi non entrerete mai nel Regno dei Cieli. In verità vi dico, che se non vi convertirete, se non abbandonerete questo sentimento di orgoglio e di ambizione, tanto connaturali agli uomini, voi non entrerete mai nel Cielo» (Matteo 18,3; ma si tratta, come al solito, di citazione a senso, non letterale; n.d.a.).

«Sì, ci dice il sapiente, l’umiltà ottiene tutto».

Volete ricevere il perdono dei vostri peccati?
Presentatevi a Dio, nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, ritenendovi indegni di ottenere la grazia che state chiedendo: allora potete essere certi che la otterrete.

Vi sentite tentati?
Umiliatevi a causa della vostra miseria, e riconoscete che, con le vostre sole forze, non potrete fare altro che perdervi: allora sarete sicuri di essere liberati.

O bella virtù, quanto rendi gradita un’anima a Dio!

Gesù Cristo stesso, non poteva darci un’immagine più bella della grandezza dei suoi meriti, che dicendoci che Egli aveva voluto «prendere la forma di schiavo» (Filippesi 2,7), che è la condizione più vile.

Che cos’è che rese la santa Vergine così gradita a Dio, se non la sua umiltà e il disprezzo che nutriva verso se stessa?
(Il “contemptus sui”, o “disprezzo di sè”, a cui si riferisce il santo, non ha nulla di spregiativo, ma corrisponde a quel “odiare la propria vita”, di cui parla più volte Gesù di Nazaret: Giovanni 12,25, e che corrisponde al rinnegamento del proprio egoismo; n.d.a.).

Leggiamo nella storia che sant’Antonio (si riferisce ad Antonio abate; n.d.a.) ebbe una visione nella quale Dio gli fece vedere il mondo interamente ricoperto di una rete, e i demoni che la stendevano dai quattro angoli.

«Ah! gridò il santo, chi potrà mai evitare di cadere in questa rete?».
«Antonio, gli rispose il Signore, solo l’umiltà ci può riuscire» (come solo i pesci più piccoli sfuggono alle maglie strette delle reti gettate nel mare (n.d.a.).
Ciò significa che se riconoscerete di non meritare nulla da voi stessi, e che non siete capaci di nulla, allora sarete vittoriosi.

Un amico di sant’Agostino gli chiese quale fosse la virtù che bisognasse praticare, per risultare più graditi a Dio.
Quello gli rispose: «Soltanto l’umiltà è sufficiente. Io ho dovuto molto faticare per cercare la verità, per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovate altre».

Ascoltate ciò che ci dice la storia.
San Macario, ritornando con un fascio di legna, trovò il demonio, armato di forca e tutto infuocato, che gli disse:
«O Macario, quanto mi fai soffrire perchè non ti posso maltrattare; perchè mi fai soffrire tanto?
Poichè tutto quello che tu fai, lo faccio anch’io, meglio di te: se tu digiuni, io non mangio mai; se tu vegli, io non dormo mai; c’è soltanto una cosa che tu posssiedi in più rispetto a me, e a causa della quale tu mi hai vinto».

Sapete, fratelli miei, quale era quella cosa che si trovava in san Macario, ma che il demonio non aveva?.
Ah! amici miei, era l’umiltà.
O bella virtù, com’è felice colui che ti possiede, e com’è capace di compiere grandi cose!

Infatti, fratelli miei, quand’anche possedeste tutte le altre virtù, se non possedete questa, voi non avete nulla (solo quel recipiente vuoto, che è il cuore dell’umile, è capace di riempirsi con la carità effusa dallo Spirito Santo: 1 Corinzi 13; n.d.a.).

Donate pure i vostri beni ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vita, fate penitenze fino a che il vostro corpo possa sostenerle, vivete tutta la vostra vita nel ritiro, non sfuggirete alla dannazione, se non avrete l’umiltà.

E così vediamo che tutti i santi hanno faticato per tutta la loro vita o per conquistarla o per conservarla.

Quanto più Dio li colmava di benefici, tanto più essi si umiliavano.
Guardate san Paolo, elevato fino al terzo cielo, egli non si ritiene altro se non un grande peccatore, un persecutore della chiesa di Gesù Cristo, un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupava.

Guardate sant’Agostino, san Martino: essi non osavano entrare in chiesa, senza tremare, tanto la loro miseria spirituale li atterriva.

Tali devono essere le nostre disposizioni, se vogliamo essere graditi a Dio.

Noi vediamo, fratelli miei, che quanto più un albero è carico di frutti, tanto più i suoi rami si abbassano: allo stesso modo, quanto più noi compiamo delle buone opere, tanto più dobbiamo umiliarci, riconoscendoci indegni che Dio si serva di uno strumento tanto vile, per fare del bene.
No, fratelli miei, non abbiamo altro modo per riconoscere un buon cristiano, se non dall’umiltà.

Ma voi mi chiederete: da cosa si può riconoscere se un cristiano è umile?
Niente di più facile, e ora lo vedrete.

In primo luogo, io affermo che una persona veramente umile, non parla mai di se stessa, nè in bene nè in male; ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio, che la conosce così com’è.

Ella ha gli occhi unicamente sulla sua condotta, e geme nel vedersi così colpevole, e si affatica per rendersi più degna di Dio.

Non la vedrete mai indirizzare il suo giudizio sulla condotta degli altri, ella ha una buona opinione di tutti.
Se deve disprezzare qualcuno, questo qualcuno è solo se stessa.

Ella volge al bene tutto ciò che fanno i suoi fratelli; è convinta che soltanto lei può fare del male. Da questo deriva che, se parla del suo prossimo, è solo in bene.
Se non c’è da dire nulla di buono, custodisce il silenzio.
Se la si disprezza, ella pensa che si sta facendo ciò che si deve fare, e, dopo che lei stessa ha disprezzato Dio, è convinta di meritare ancora di peggio.

Se le si rivolgono delle lodi, la vedrete arrossire e prendere la fuga, gemendo al pensiero di come resteranno disingannati, nel giorno del giudizio, coloro che la ritengono una persona per bene, mentre è tutta ricoperta di peccati.
Ella ha tanto orrore delle lodi, quanto gli orgogliosi ne hanno per le umiliazioni.

I suoi migliori amici saranno sempre coloro che le faranno conoscere i suoi difetti.

Se può fare del bene, ella sceglierà sempre colui che l’ha calunniata, o che le ha fatto qualche torto.

Gli orgogliosi, cercano la compagnia di quelli che la esaltano e che la stimano; ella, al contrario, fuggirà costoro, per andare con quelli che sembrano avere una cattiva opinione di lei.

Tutto il suo piacere è di stare da sola con Dio, di manifestargli la sua miseria, pregandolo di avere pietà di lei.

Che si trovi da sola, o in compagnia, voi non noterete nessun cambiamento nelle sue preghiere, nè nel suo modo di agire.

Poichè compie tutte le sue azioni solo per Dio, e in vista di piacergli, ella non si preoccupa affatto di ciò che pensano o dicono gli altri.
Ella si affatica per piacere a Dio, mentre, per quanto riguarda il mondo, si può ben dire che se lo mette sotto i piedi.

Ecco come si comportano coloro che possiedono l’umiltà…

Gesù Cristo, sembra che non faccia nessuna distinzione tra il sacramento del Battesimo, quello della Penitenza, e l’umiltà.

Infatti, Egli ci dice che, senza il Battesimo, non entreremo mai nel Regno dei Cieli (Giovanni 3,5); senza il sacramento della Penitenza, dopo aver commesso peccato, non vi potrà essere perdono (cfr. Giovanni 20,23), e in seguito ci dice che, senza l’umiltà, non entreremo mai nel Cielo (Matteo 18,3).

Sì, fratelli miei, se avremo umiltà, quand’anche fossimo tutti coperti di peccati, noi siamo certi di essere perdonati, mentre, senza l’umiltà, anche se avessimo compiuto tutte le buone opere possibili, noi non ci salveremo mai!
Eccovi un esempio che ve lo dimostra, come meglio non si potrebbe.

Leggiamo nel libro dei Re, che il re Acab era il più abominevole dei re che avevano regnato fino ad allora; non credo che si possa dire di più di quello che lo Spirito Santo ce ne dice (l’intero episodio è narrato in 1Re 21; n.d.a.)..
Ascoltate:

Era un re dedito a ogni sorta di impurità, stendeva le mani impunemente e senza distinzione, su tutti beni dei suoi sudditi, fece ribellare contro Dio gli Israeliti, sembrava quasi che fosse un uomo che si era venduto e si era impegnato a fare ogni sorta di male: in una sola parola, egli aveva superato nei crimini, tutti quelli che lo avevano preceduto.

Perciò Dio, non potendo più tollerare i suoi crimini, e ben risoluto nel volerlo punire, chiama il suo profeta, Elia, e gli ordina di andare a trovare quel re e di comunicargli il suo disegno:

«Digli che i cani berranno il suo sangue, e divoreranno le sue carni; farò piombare sulla sua testa tutto il furore della mia vendetta; non gli risparmierò nulla, gli farò sperimentare l’eccesso del mio furore, perfino per mezzo dei cani».

Notate ora, fratelli miei, quattro cose:
1°- Si vide mai un uomo più malvagio di lui?
2°- Si era mai vista una determinazione più chiara (da parte di Dio; n.d.a.), di far morire un uomo che meritava benissimo di essere punito?
3°- C’era stato mai nessuno che avesse impartito un ordine più preciso?
«E’ in quel luogo, aveva detto il Signore, che ciò accadrà».
4°- Si è mai visto, nella storia, un uomo condannato a un supplizio più infame di quello a cui fu condannato Acab, e cioè di dare in pasto ai cani il suo corpo e di far bere loro il suo sangue?

Ah! fratelli miei, chi potrebbe mai sottrarsi dalle mani di un nemico così potente, che ormai ha preso una decisione? (sta parlando di Dio, divenuto nemico di Acab; n.d.a.).

Acab, avendo ascoltato le parole del profeta, cominciò a strapparsi le vesti.
Ascoltate ciò che gli dice il Signore:
«Ormai, non c’è più tempo, hai compreso troppo tardi, Io mi prendo gioco di te».

Ma quello si copre di un cilicio:
«Tu pensi, gli dice il Signore, che questo mi ispirerà sentimenti di compassione, e mi farà revocare la mia decisione? Tu digiuni adesso: avresti dovuto digiunare del sangue di tante persone che tu hai fatto morire!».

Allora Acab, gettatosi per terra, si coprì di cenere, e, allorchè doveva apparire in pubblico, camminava a testa nuda, con gli occhi attaccati al pavimento.

A questo punto, il Signore disse al profeta:
«Profeta, hai visto come Acab si è umiliato, prostrandosi con la faccia a terra? Ebbene! va’ a dirgli che, dal momemto che si è umiliato, Io non lo punirò più, e che non farò piombare sulla sua testa la folgore e la vendetta che gli avevo preparato. Vagli a dire che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare i miei ordini, e ha disarmato la mia collera».
(L’intero racconto, sostanzialmente fedele al testo biblico, è stato rielaborato dal santo in forma di drammatizzazione o di sceneggiatura, alquanto efficaci per sottolineare la potenza paradossale dell’umiltà, che, proprio per l’ammissione della propria debolezza, arriva a disarmare la Potenza e la Giustizia di Dio; n.d.a.).

Ebbene, fratelli miei, non avevo forse ragione nel dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio non le può rifiutare nulla?

Se la possediamo, noi abbiamo, allo stesso tempo, tutte le altre, mentre, senza di essa, tutte le altre virtù sono niente.

Concludiamo, fratelli miei, dicendo che noi conosceremo se un cristiano è un buon cristiano, dal disprezzo che nutre verso se stesso e verso tutto ciò che fa (“disprezzo” nel senso di distacco salutare, da cui scaturisce la vera pace; n.d.a.) , e dal fatto che egli interpreta in maniera benevola, tutto quello che il suo prossimo fa o dice.

Da ciò, fratelli miei, potremo avere la certezza che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra, e che il Cielo sarà nostro…
(questa omelia si chiude in un modo brusco, e manca la solita finale: «E’ quello che io vi auguro…», che conclude di solito le omelie del santo curato, al posto del classico: «Sia lodato Gesù Cristo….

Nota

Si può restare meravigliati per il fatto che il nostro santo sembri attribuire alla virtù dell’umiltà il primato su tutte le altre virtù, mentre siamo abituati a considerare la carità, la vera regina di tutte le virtù cristiane, come ci insegna chiaramente san Paolo nel cap. 13 della 1 Lettera ai Corinzi.

In realtà non c’è alcuna contraddizione: il santo curato, col suo solito acume psicologico e spirituale, considera giustamente l’umiltà come il mezzo per svuotare il vasello del cuore, come lo chiamava Caterina da Siena,da ciò che fin dalla nascita lo riempie e lo intasa: l’amor proprio disordinato o egoismo, che è ben diverso dal retto amore di se stessi, che è premessa necessaria all’amore del prossimo.

Solo se e quando il cuore, mediante l’esercizio costante e continuo dell’umiltà, si sarà svuotato della miscela velenosa dell’egocentrismo e dell’egoismo, diventerà capace di contenere l’acqua viva della carità, che lo Spirito Santo riversa nel cuore dei credenti in Cristo (Lettera ai Romani 5,5).

Perciò umiltà e carità sono la stessa cosa, o meglio, sono le due facce di un’unica medaglia.

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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