Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: «Le tre conversioni di S. Agostino: la franchezza»
Lunedì 17 aprile 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.
PRIMA LETTURA (At 4, 23-31)
In quei giorni, rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani.
Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio dicendo: «Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, tu che, per mezzo dello Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: “Perché le nazioni si agitarono e i popoli tramarono cose vane? Si sollevarono i re della terra e i prìncipi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo”; davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse. E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù».
Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza.
Testo della meditazione
Scarica il testo della meditazione in formato PDF
Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a lunedì 17 aprile 2023.
Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal quarto capitolo degli Atti degli Apostoli, versetti 23-31.
È un testo sicuramente molto bello, molto affascinante, ed è molto attuale per noi. Se voi notate, c’è un termine importante che ritorna due volte, è il termine “franchezza”. Loro pregano dicendo:
“E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola”,
e dopo, quando arriva lo Spirito Santo:
“Colmati di Spirito Santo, proclamarono la parola di Dio con franchezza”.
La franchezza è un dono dello Spirito Santo, questo essere decisi, questo essere chiari, questo non essere pusillanimi, questo essere coraggiosi, questo essere “sì, sì, no, no”, questo non cedere al compromesso, questo non avere paura “alla Don Abbondio”, oppure non essere segnati dalla corruzione, dalla corruzione interiore del potere come Ponzio Pilato, oppure dalla falsità, dalla perversità come Erode.
Il segno, il dono, la presenza dello Spirito Santo è data da due cose: questo tremare — il luogo che trema, questa sorta di terremoto — e dalla franchezza. Loro la chiedono e Dio la dona. Quindi, se loro la chiedono e Dio la dona, proprio come dono dello Spirito Santo, vuol dire che è veramente importante! Perché la franchezza è dono dello Spirito Santo che viene da Dio, non ce la possiamo dare noi. Nessuno nasce leone, grazie a chi si diventa leoni? Grazie allo Spirito Santo. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo per questo, per diventare dei leoni, sennò faremo una vita da conigli. Grazie a questo dono abbiamo la possibilità di testimoniare e di proclamare la parola di Dio. Quindi:
“Pietro, Giacomo e Giovanni andarono dai loro fratelli a riferire quanto avevano detto gli scribi”
e, se voi andate a vedere la prima parte del capitolo quarto degli Atti degli Apostoli— bisogna sempre andare a vedere —, vedete che erano stati arrestati, messi in prigione, cinquemila persone avevano creduto alla parola che era stata proclamata. Poi vengono interrogati:
«Con quale potere o in quale nome voi avete fatto questo?» Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro…
Spiegano gli Atti degli Apostoli. Poi andate a vedere che al versetto 13 del capitolo 4 ritorna questo termine:
Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù.
La franchezza è proprio la cartina tornasole, è proprio il segno, il segnale, il riconoscimento che ti fa dire: “Questi erano stati con Gesù”.
Poi vedono lì vicino l’uomo guarito — vi ricordate? — e quindi non sanno cosa replicare. Perché quando una persona è franca, quando una persona è schietta, quando una persona è chiara, quando una persona è senza compromesso interiore, tu cosa gli rispondi? Non puoi rispondere! È questa la cosa interessante. La persona franca fa domande e non ci sono risposte, perché per poter rispondere ad una persona franca, dovresti essere franco anche tu! Ma se tu non sei franco, non puoi rispondere a quelle domande, perché quelle domande svelano la tua ipocrisia, questo è il punto. Quindi ecco cosa dicono agli Apostoli:
Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo, né di insegnare nel nome di Gesù.
Nella storia poi si ripete sempre: “Non dovete parlare e non dovete insegnare in nome di Gesù”. Il punto, il problema è Gesù! Come sempre.
Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato».
Punto! Vedete la franchezza? Questa è la franchezza! “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.
Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani.
Ed è a questo punto che:
Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio dicendo…
Quando sentono il racconto, la prigionia, le persecuzioni, le minacce che hanno ricevuto, quando tutti sentono questo, allora parte questa preghiera, che è molto bella e molto, molto lunga andatela a leggere, parte dal versetto 24 e dice:
“Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, tu che, per mezzo dello Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide:
Perché le nazioni si agitarono…”
Ecco, l’abbiamo sentito. Quindi rifanno proprio una preghiera che parte, come sempre dall’opera di Dio. Si parte dalla scrittura, dall’agire di Dio, poi si arriva a leggere la storia e poi si arriva a invocare l’intervento di Dio:
“…volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola”.
E a quel punto, il Signore interviene e dà il dono della franchezza. Già Pietro e Giovanni avevano dimostrato di parlare con franchezza, ma gli altri probabilmente un po’si sono anche spaventati, avevano timore di tutto quello che stava succedendo: il Signore dà loro questo dono.
Anche noi dobbiamo chiederlo, anche noi dobbiamo chiedere il dono della franchezza per saper difendere la gloria di Dio, l’onore di Dio, il diritto di Dio. Quante bestemmie si sentono oggi! Tutti hanno diritto di bestemmiare, ma guai al primo che dice una parola. Tutti hanno il diritto di fare discorsi impuri, volgari, a doppio senso, ma guai al primo che dice: “Ma veramente non mi sembra il caso che…”.
Tutti hanno il diritto di vedere rispettata la loro fede. Tu prova a bestemmiare o insultare un credente di un’altra religione. Vieni denunciato, puoi essere denunciato di discriminazione razziale o comunque di discriminazione religiosa, puoi essere denunciato di antisemitismo, son cose gravi, non è mica una bazzecola. Ma se lo fai contro Gesù di Nazareth, va tutto bene, va sempre bene, nessuno ha da dire niente e nessuno farà mai niente. Perché contro Gesù di Nazareth si può fare qualunque cosa.
Tu prova oggi a non rispettare le “diversità” cosiddette, di qualunque genere e tipo, e rischi di finire in galera. Ma la diversità dell’essere cristiani, cioè di Cristo, questa non deve essere rispettata, non ha diritti, può essere calpestata.
Noi abbiamo bisogno di questa franchezza!
Bene, io volevo leggere con voi, commentare velocemente — poi magari se non riesco a farla tutta la lascio a voi — una bellissima omelia che Papa Benedetto XVI, il 22 aprile del 2007, tenne a Pavia, parlando delle tre conversioni di Sant’Agostino. Perché ho voluto scegliere questo? Perché vedete, non è che uno si improvvisa franco dall’oggi al domani, non è che adesso tutti usciamo e diciamo: “Ah sì, adesso io ho il dono della franchezza, annuncio la parola di Dio con franchezza” No! Perché è un cammino! E noi siamo abituati a pensare che la conversione è una, cioè io ho fatto una vita brutta, cattiva, a un certo punto mi converto e sono tutto di Gesù. Ecco, no! Ve l’ho già detto tante volte, le cose non vanno così. Ci vuole tempo e ci vuole progressione.
Scrive il Papa:
Il cammino che dobbiamo fare – il cammino che Gesù ci indica, si chiama “conversione”. Ma che cosa è? Che cosa bisogna fare? In ogni vita la conversione ha la sua forma propria, perché ogni uomo è qualcosa di nuovo e nessuno è soltanto la copia di un altro.
La conversione è una forma propria: ognuno ha la sua conversione. E ogni conversione è una cosa nuova, perché ogni uomo è nuovo. Nessuno si converte allo stesso modo di un altro.
Ma nel corso della storia della cristianità il Signore ci ha mandato modelli di conversione, guardando ai quali possiamo trovare orientamento. Potremmo per questo guardare a Pietro stesso, a cui il Signore nel cenacolo aveva detto: “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Potremmo guardare a Paolo come a un grande convertito.
La città di Pavia parla di uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa: sant’Aurelio Agostino. Egli morì il 28 agosto del 430 nella città portuale di Ippona, allora circondata ed assediata dai Vandali. Dopo parecchia confusione di una storia agitata, il re dei Longobardi acquistò le sue spoglie per la città di Pavia, cosicché ora egli appartiene in modo particolare a questa città ed in essa e da essa parla a tutti noi in maniera speciale.
Nel suo libro “Le Confessioni”, Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, — consiglio a tutti di leggere “Le Confessioni” di Sant’Agostino — che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta. Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il Sacramento che segnò la grande svolta della sua vita. Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino.
Attenti! Quindi non dite mai: “Io mi sono convertito il tal giorno”, come se la conversione fosse un pacco fatto e finito. La conversione è un cammino, non è un momento. Siamo sempre in un cammino di conversione
E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo parlare delle “conversioni” di Agostino che, di fatto, sono state un’unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui.
Qui il Papa ha sintetizzato tantissimo, certo ogni cosa che ha detto sarebbe da spiegare, ma come si fa? Quindi “è un cammino di conversione” e qui è molto bello, cita quando Agostino nella sua ultima malattia, prima di morire, fa proprio mettere alla parete i Salmi Penitenziali. Mentre noi sulle pareti delle persone che stanno morendo mettiamo la televisione accesa h 24, Sant’Agostino fece mettere i Salmi Penitenziali, così da averli sempre sotto gli occhi e poterli leggere e meditare. I Salmi Penitenziali, non i Salmi della Misericordia! I Salmi della Penitenza. Interessante, lui ha scelto questi: ci sarà un motivo, ovviamente! Non credo che Sant’Agostino abbia fatto le cose a caso. Lui arrivò addirittura ad “autoescludersi” è come se si fosse quasi “auto scomunicato”. Cioè si è escluso dall’Eucarestia… Sant’Agostino…
Noi che, non tanto tempo fa, abbiamo fatto mille versi: “Perché non posso avere la comunione, perché? Che senso ha? Allora devo fare la comunione spirituale, perché…?”. Lui si è autoescluso. Io ricordo benissimo che qualche anno fa, nelle mie meditazioni, vi dissi proprio questo: “Viviamo questo tempo, è inutile star qui a far polemiche, a fare questioni, non serve — infatti non è servito a niente, come avete visto — usiamo questi giorni che certamente finiranno, per percepire tutta la grandezza dell’Eucarestia, questo digiuno Eucaristico che ci è imposto usiamolo proprio come grazia, per fare un cammino di ri-preparazione al Sacramento dell’Eucarestia”. Mi ricordo benissimo quando vi dissi: “Arriverà il giorno in cui rifarete la comunione, sarà come una seconda prima comunione”. Ecco, questo è quello che ha fatto Sant’Agostino: Sant’Agostino si è autoescluso per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza. Ha fatto un cammino penitenziale, si è sottratto dall’Eucarestia, non dalla messa, dall’Eucarestia, “per rimettersi nuovamente in un cammino penitenziale e rivivere questo cammino penitenziale e quindi ricevere la salvezza dalle mani di Cristo, come dono della Misericordia di Dio”, che poi si corona con ritornare alla Comunione. Quindi il Papa dice: “Dobbiamo parlare di conversioni, non di conversione!”.
Vorrei parlare — scrive il Papa — di tre grandi tappe in questo cammino di conversione, di tre “conversioni”. La prima conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il cristianesimo, verso il “sì” della fede e del Battesimo. Quale fu l’aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte, era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le domande e i problemi di un giovane. Viveva come tutti gli altri, e tuttavia c’era in lui qualcosa di particolare: egli rimase sempre una persona in ricerca.
Questa è proprio la prima conversione: “l’essere una persona in ricerca”, perché se ho davanti uno “gnocco fritto”, ma che ricerca vuoi che abbia uno gnocco fritto? Se ho davanti questo qui che ha due occhi che sembrano due triglie lesse, “T’amo, o pio bove”, ma che ricerca vuoi che abbia? Se la sua massima aspirazione è mangiarsi pane e prosciutto leggendo la Gazzetta dello Sport, fine! Se la massima aspirazione della mia vita è pane e prosciutto con la Gazzetta dello Sport, ok, abbiamo concluso ogni discorso.
Se invece ho davanti una persona in ricerca, questa è una persona che sta affrontando la sua prima conversione, nonostante porti dentro tutte le sue passioni, tutti i condizionamenti del suo tempo, tutte le sue domande, tutti i suoi problemi, tutto! Però l’importante è che sia in ricerca.
Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità.
Ecco, vedete questa è la prima conversione: questa ricerca della verità, questo non accontentarsi mai, questo non vivere come fanno tutti. Scrive il Papa:
Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l’uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta.
Cioè il suo massimo scopo non era avere in mano il telefono dalla mattina alla sera e continuare a guardare i social e continuare a scrivere idiozie. Quest’uomo, pur con tutte le sue passioni e i condizionamenti, tutto quello che volete, quest’uomo era un cercatore della verità, era uno che non si accontentava, era un inquieto. Si faceva le domande, quelle profonde, era un cercatore di senso, voleva una meta, cercava uno scopo, un fine.
La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita
Scrive il Papa. Verissimo! La passione per la verità! Ma noi che passione abbiamo? Stiamo attenti alla passione dello gnocco fritto. Qual è la nostra passione? Noi quando ci svegliamo al mattino che cosa pensiamo? Spero che il primo pensiero non sia la colazione. Cosa pensiamo la mattina appena ci svegliamo, al caffè? O siamo inquietati dalla ricerca della verità? Se il nostro pensiero quando ci svegliamo al mattino è: cappuccio e brioche, ecco, non c’è conversione, capite! Non c’è conversione, siamo ancora prima.
La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. E c’è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava.
Bellissimo! Non era sufficiente, solo Gesù era sufficiente. Noi invece… A noi basta tutto tranne che Gesù.
L’amore per questo nome lo aveva bevuto col latte materno. E sempre aveva creduto – a volte piuttosto vagamente, a volte più chiaramente – che Dio esiste e che Egli si prende cura di noi. Ma conoscere veramente questo Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a dire “sì” a Lui con tutte le conseguenze – questa era la grande lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che “in principio era il Verbo” – il Logos, la ragione creatrice. Ma la filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo si è fatto carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno.
E soprattutto che non vivono la loro vita in base alla televisione.
Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare sempre di nuovo l’umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo.
Bellissimo!
La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla fine del secondo libro delle sue Confessioni con le parole: “Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu, però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto per tutti»” (2 Cor 5,15; Conf 10,43,70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo, Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato, insieme con i suoi amici, un piccolo monastero.
Non so quanti di noi sapevano che Sant’Agostino aveva fondato un monastero.
Ora la sua vita doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di preziose opere filosofiche. Nel 391 egli andò a trovare nella città portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare alla vita monastica. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella cattedrale, venne riconosciuto. Il Vescovo della città, un uomo di provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l’intenzione di scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione. Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della città. — Vedete la vocazione! — Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino scrisse al Vescovo Valerio: “Mi sentivo come uno che non sa tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al timone… E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione” (cfr Ep 21,1s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora egli doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta.
Qui secondo me sicuramente papa Benedetto sta parlando un po’anche di sé, lui è stato un po’ Sant’Agostino
Al suo posto ci venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel linguaggio della vita quotidiana. Ciò che ora costituiva la sua quotidianità, lo ha descritto così: “Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti” (cfr Serm 340, 3). “Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica” (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che quest’uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare: sempre di nuovo essere lì per tutti; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita.
Questa è la seconda conversione: parto con un’idea “monastero, vita contemplativa” e finisco “sacerdote che predica”. Quindi, sempre di nuovo essere lì per tutti, con Cristo, donare la vita affinché gli altri possano trovare in lui la vera vita. Quindi anche il suo desiderio di studio, di raccoglimento, di fare le “sue cosine”: tutto svanito! E quindi la grande opera filosofica di tutta una vita che aveva sognato non la scrisse mai. Però ci ha dato il Vangelo, tradotto nel linguaggio quotidiano, che è quello che vi ho letto, “correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi…” vedete, questa opera di educazione del popolo di Dio.
E poi Benedetto XVI conclude:
C’è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di conversione di sant’Agostino.
Agostino, quindi, ha conosciuto tre conversioni.
Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare più a fondo le Sacre Scritture. Il suo primo ciclo di omelie, dopo questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi spiegava la via della retta vita, “della vita perfetta” indicata in modo nuovo da Cristo – la presentava come un pellegrinaggio sul monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire ancora tutto l’entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il messaggio di Cristo, può essere, appunto, “perfetto”. Circa vent’anni dopo Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni…
Qui, Benedetto XVI dice una cosa importantissima. Io credo che ciascuno di noi debba avere sempre accanto il libro delle proprie ritrattazioni. Chi non ha il libro delle proprie ritrattazioni è un superbo. È proprio una persona che è meglio evitare. È fondamentale avere le proprie ritrattazioni e se uno non ha mai fatto ritrattazioni del suo pensiero è un superbo quindi è ottuso
… in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo, aveva appreso cose nuove.
S. Agostino si corregge da solo, riprende le cose che aveva detto e dice: “No, qui, qui e qui non va più bene, bisogna ritrattare, bisogna rivedere, bisogna correggere, perché dopo vent’anni ho capito che quello che avevo scritto non va più bene perché era incompleto, perché era sbagliato, perché andava letto in un altro modo”, quindi lo ritratta. È fondamentale ritrattare. Nessuno di noi è Dio, che ha una parola eterna, noi siamo in cammino.
Riguardo all’ideale della perfezione nelle sue omelie sul Discorso della montagna annota: “Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (cfr Retract. I 19,1-3). Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà – non soltanto l’umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede della Chiesa, non solo l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui stesso e all’intera Chiesa peregrinante era continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona; e noi – aggiungeva – ci rendiamo simili a Cristo, il Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.
E qui si potrebbe citare Shakespeare. Adesso non mi metto a citare anche Shakespeare, altrimenti andiamo a finire a fare due ore di meditazione.
Quindi, Agostino fa queste ritrattazioni: impariamo a ritrattare i nostri pensieri, anche davanti ai nostri figli, anche davanti gli educandi, anche davanti ad altre persone. Uno dice: “Guardate, ho detto fino adesso questa cosa ma ho sbagliato, non è completa, ho capito che doveva essere detta in un altro modo, oppure non dovevo proprio dirla, ho sbagliato a dirla”.
E questo discorso sulla perfezione, interessante! Quindi prima la presenta come perfezione per tutti poi dice: “No, un momento aspettate, in realtà il perfetto è Gesù”. Noi invece siamo in cammino e abbiamo bisogno sempre della Misericordia di Dio. In che maniera ci rendiamo simili al perfetto, che è Gesù? Se proprio vogliamo essere simili a Gesù, in che modo diventiamo simili a Gesù? Quando siamo simili a Gesù? Quando ci avviciniamo tanto alla perfezione? Quando siamo misericordiosi come Lui è misericordioso.
Io ho voluto leggervi questa bellissima omelia — almeno secondo me è bellissima, poi magari a voi non piace, io la trovo bellissima — di Papa Benedetto XVI del 24 aprile 2007 a Pavia sulle Tre conversioni di Sant’Agostino. Credo che ci siano dentro tanti spunti, io ho dovuto leggerla velocemente, perché il tempo è tiranno.
La franchezza di cui abbiamo parlato all’inizio, che è fondamentale, fa parte di questo cammino di conversione; gli apostoli l’hanno avuta dopo una preghiera, come dono di Dio ma, come ogni dono di Dio, poi bisogna continuamente rinnovarlo, bisogna custodirlo, perché si può anche perdere e quindi noi possiamo vedere un po’ a quale conversione siamo arrivati, a quale delle tre, magari nessuna delle tre, magari sono ancora prima, va bene, l’importante è essere coscienti e fare tutto il nostro possibile per…
Vi auguro di cuore una Santa giornata.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.