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La gelosia sfida la santità

L'Angelo libera gli apostoli dalla prigione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «La gelosia sfida la santità»
Mercoledì 19 aprile 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (At 5, 17-26)

In quei giorni, si levò il sommo sacerdote con tutti quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducèi, pieni di gelosia, e, presi gli apostoli, li gettarono nella prigione pubblica.
Ma, durante la notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere, li condusse fuori e disse: «Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita». Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare.
Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio, cioè tutto il senato dei figli d’Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione. Ma gli inservienti, giunti sul posto, non li trovarono nel carcere e tornarono a riferire: «Abbiamo trovato la prigione scrupolosamente sbarrata e le guardie che stavano davanti alle porte, ma, quando abbiamo aperto, non vi abbiamo trovato nessuno».
Udite queste parole, il comandante delle guardie del tempio e i capi dei sacerdoti si domandavano perplessi a loro riguardo che cosa fosse successo. In quel momento arrivò un tale a riferire loro: «Ecco, gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a insegnare al popolo».
Allora il comandante uscì con gli inservienti e li condusse via, ma senza violenza, per timore di essere lapidati dal popolo.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 19 aprile 2023.

Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo quinto degli Atti degli Apostoli, versetti 17-26.

Oggi la parola di Dio ci riporta ancora dentro questa realtà della gelosia, della gelosia del sommo sacerdote e dei sadducei per quello che gli apostoli stanno facendo.

Quando non si possiede un tesoro — e non lo si può possedere perché non si ha il cuore predisposto, aperto, disponibile, a ricevere un tesoro — è chiaro che si comincia a guardare in malo modo chi invece lo ha. E allora uno si chiede: “Ma su che cosa verte questa gelosia? Che cosa ha scatenato la gelosia del sommo sacerdote e della setta dei sadducei? Erano gelosi di chi?”. Perché, sapete, quando noi siamo gelosi, siamo gelosi di qualcuno. E non è che dobbiamo risolvere chissà quale indovinello, lo leggiamo dal testo. Siamo sempre al capitolo quinto, proprio i versetti precedenti, dal dodicesimo in poi, ci dicono cosa stava succedendo:

Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti. Si levò allora il sommo sacerdote con tutti quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di gelosia …

Capite? Erano gelosi della gente. Erano gelosi del “successo pastorale” — diremmo oggi — degli apostoli. 

Basterebbe ragionare per capire cosa c’è sotto, a questo proposito vi consiglio di tenere sotto gli occhi il Vangelo che oggi avete ascoltato nella Santa Messa, io mi sono concentrato sulla prima lettura, ma il Vangelo di oggi è molto importante, è tratto dal capitolo terzo di San Giovanni, versetti 16-21, e Gesù ci spiega bene questa cosa:

“…la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.

Allora, se torniamo al nostro testo vediamo subito in cosa consiste la grande opera degli apostoli: in segni, in prodigi, nello stare insieme, nel diffondere la fede, tale per cui “una moltitudine di uomini e di donne, venivano aggiunti ai credenti al Signore”. Questi testimoniavano la fede e poi la gente si convertiva e credeva. Poi, gli ammalati. Vedete questa attenzione ai poveri, agli ultimi? Quando al centro della vita c’è Dio, quando la ragione del nostro fare è la gloria di Dio, e quindi la testimonianza, la bellezza dell’essere discepoli di Gesù, non è mai poi una vita chiusa in sé stessa, è sempre aperta. A chi? Agli altri, quindi alla testimonianza affinché altri credano, e poi alla sofferenza, agli ammalati.

Perché, addirittura:

“passando almeno la sua ombra   di Pietro —  coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti”.

Immaginatevi la scena: segni, prodigi, stare insieme nel portico di Salomone, gente che si convertiva, miracoli a non finire, malati sanati, indemoniati liberati….

È chiaro il sommo sacerdote, i sadducei — metteteci dentro anche i farisei e quant’altro — erano vite spente, quindi non contagiavano nessuno. A nessuno interessava la loro vita, e soprattutto a nessuno interessava la loro testimonianza. Erano fiaccole spente, erano candele spente, erano tizzoni fumiganti. Erano sterili, aridi, fine a sé stessi. Si parlavano addosso uno con l’altro. Perché la gente e i malati avrebbero dovuto andare da loro? 

E soprattutto, questi non convertivano nessuno! Voi non troverete mai nella Scrittura di uno solo che si sia convertito per la testimonianza di scribi e farisei, sadducei e dottori della legge. Non c’è un solo versetto nella Scrittura, — cercatelo e poi mi direte — dove si dica che quella persona si è convertita, si è avvicinata alla fede, grazie alla testimonianza di scribi e farisei. Non c’è. 

Perché questi non avevano niente da testimoniare. Questo è il punto. La nostra fede non è innanzitutto un insieme di nozioni, di regole, di precetti e di cose che bisogna sapere o fare. C’è una parte nozionistica, dottrinale nella nostra fede, certo, io devo sapere che cosa credo, ma innanzitutto la nostra fede è un incontro, è una relazione di figliolanza, è un’appartenenza, è un rapporto di amicizia, è un rapporto di amore. Questo è essere credenti. E se questo è, e se così si vive, gli altri se ne accorgono. E gli altri cominciano ad arrivare.

Quindi noi abbiamo un San Pio da Pietrelcina, che nella sua chiesina, sperduta nel Gargano… Tra l’altro per arrivarci bisognava fare una salita incredibile, a piedi d’inverno, con la pioggia, con la neve, con la grandine, con gli zoccoli, perché le persone semplici del popolo non avevano le scarpe dei lagunari, i più ricchi avevano gli zoccoli, al massimo, ma poi il resto… Non c’era il riscaldamento a pavimento in chiesa e tutte le comodità, c’era un freddo da lupi. Ma succedeva un qualcosa di molto strano. Le parrocchie  diciamo così “a fondovalle” — non è un termine corretto per quei luoghi, ma comunque per intenderci — le parrocchie più vicine, più comode erano vuote! Non c’era nessuno! La messa di Padre Pio era stracolma di gente. 

Se uno di quei preti fosse stato logico — ecco ritorna il nostro tema della logica — si sarebbe fermato e avrebbe detto: “Ma come mai tutta la gente va da Padre Pio e da me non vengono?” Invece di dire: “Padre Pio è cattivo, Padre Pio è un plagiatore, Padre Pio è un mago, Padre Pio è un imbroglione, Padre Pio è un furfante”, avrebbero dovuto dire a sé stessi: “Prima di andare a distruggere la fama di qualcuno, prima di attaccare in modo insipiente la vita di un sacerdote, prova a fermarti un attimo a chiederti: ma perché vanno tutti da questo sacerdote? Magari io non lo conosco, ma mi chiedo: ma perché vanno tutti lì, che è più scomodo, e non vengono qui, che è assolutamente più comodo, e non devono fare tutta quella strada per arrivare alla messa, e non devono andare su due ore prima per entrare, quando qui entrano comodamente subito e si possono sedere tranquillamente?”. Poi sicuramente ben più di qualcun altro avrebbe aggiunto: “Del resto la messa non è uguale qui come là?”. Queste frasi si sentono ancora oggi: “Del resto, la messa non è uguale qui che là?”.

Mi ricordo, di un fatto che mi fu narrato. I fedeli cercavano un sacerdote ben preciso. Allora chiamano la chiesa e chiedono: “Scusi, alle ore tal dei tali, chi celebra?”. I fedeli volevano sapere se celebrasse quel sacerdote, perché volevano andare alla sua Messa. È diritto di ogni fedele andare alla messa di chi vuole, non c’è scritto nel Vangelo: “Tu devi andare nella tua parrocchia alla messa delle 11:00, altrimenti sei contro la fede”. Ognuno sceglie la messa dove vuole e a che ora vuole, c’è una massima libertà su questo, grazie al cielo. Quindi i fedeli — nell’esercizio pieno della loro libertà — si stavano informando per sapere se per caso quel sacerdote celebrasse quella tale messa. Quindi chiamano e chiedono: “Scusi, chi celebra la messa delle ore tali?”. E un altro sacerdote, che aveva preso la telefonata, risponde: “Un sacerdote cattolico”. Punto, e mette giù.

Non si fa così. Innanzitutto, è una mancanza di rispetto, verso la libertà sacrosanta dei fedeli. È inutile che parliamo tanto di laici, laiche, e di collaborazione coi laici, quando poi li trattiamo in questo modo. Quindi, innanzitutto, questa è una risposta maleducata. Un sacerdote cattolico? Beh, questo è evidente che sarà un sacerdote cattolico a celebrare, ma perché non dici il nome? Non dico il nome perché sono divorato dalla gelosia. Perché io so che se dico che a quella messa celebrerà quel sacerdote, moltissimi andranno a quella messa e magari alla mia messa non viene più nessuno. 

Allora con Padre Pio cosa hanno fatto? Quando hanno visto come andavano le cose… perché poi capite, se i fedeli vanno tutti al convento dei Cappuccini alla messa di Padre Pio e qui in parrocchia non viene più nessuno, secondo voi le offerte, i soldi — perché poi anche di questo dobbiamo parlare — dove andranno a finire? Nella parrocchia dove non ci va più nessuno, o al convento dei Cappuccini? Le candele accese, le offerte alla Santa Messa, le Sante messe da far celebrare, le offerte libere dei fedeli, dove andranno a finire?

E anche questo è un tema che ha la sua importanza, ovviamente, nell’istigazione della gelosia. E poi il fatto che uno esce per celebrare la messa e trova lì due gatti, magari spelati, che insieme fanno l’età di Matusalemme; invece, là da Padre Pio c’erano ragazzi, bambini, giovani, famiglie, adulti, c’era tutta l’età, tutta la “sequenza cromatica” dell’età. E quindi questi si riempiono di gelosia, perché le tenebre rifiutano la luce. 

Quindi — dicevo — perché non ci si ferma a farsi due domande? 

Ce lo dice la scrittura, andiamo a prendere l’espressione esatta, quello che dice Gesù a Nicodemo:

“Chiunque infatti fa il male odia la luce, e non viene alla luce”

Cioè non si mette a fare un ragionamento e a domandarsi: “Perché lì tanta grazia e qui dove vivo io c’è il deserto? Perché?”.

Ma non lo farò mai questo ragionamento, perché dovrei mettermi sotto la luce della verità, del sano ragionamento e quindi cosa emergerebbe? La mia vita marcia! Ecco cosa emergerebbe. Emergerebbe la mia vita marcia. Emergerebbe la mia vita falsa, come lo è quella di questi tizi. Quindi le mie opere dalla luce della verità, verrebbero “riprovate”,  verrebbero non benedette, non accolte, verrebbero rimproverate, perché sono malvagie, perché faccio il male e perché non voglio che il mio male venga alla luce. Questa è la questione.

Anche perché uno dice: “Ma scusa, i malati perché non li portavano agli scribi, ai farisei, dai sadducei e dai dottori della legge, perché non li portavano dal sommo sacerdote?”. Semplice, perché quelli non facevano i miracoli. Ed è quello che dice Gesù, ricordate quel passo del Vangelo, dove a un certo punto il Signore dice: “Beh, non credete a me, credete alle opere”. Visto che voi non le fate, visto che voi non fate niente, visto che voi sapete solamente fare tanti quaquaraquà e chiacchieroni, visto che voi non sapete pensare e parlare d’altro che delle vostre leggi e delle vostre regole e dei vostri formalismi, ecco, tutto questo però che frutti porta? Nessuno! “Siete sepolcri imbiancati – dice Gesù – cioè siete morti, – capite cosa gli sta dicendo Gesù? – voi siete sepolcri imbiancati, pieni di ogni putridume, c’è dentro proprio il marcio, lo schifo. Siete gente morta. Ora, invece che avvicinarvi alla vita, invece che cercare la vita, invece che rinnegare, espellere, tutto questo marcio dentro di voi, piuttosto che aprire i vostri sepolcri e far entrare la vita, voi cosa fate? Volete uccidermi”.

Beh, è la stessa cosa che adesso fanno lì con Pietro e con gli apostoli: li prendono e li sbattono in prigione. Eh, certo! Quando la gelosia non può immediatamente uccidere — poi arriverà anche a quello — cosa fa? Li sbatte in prigione, che è un modo per dire: “Ti tolgo la libertà e mi illudo che, buttandoti in prigione, io riesca a chiudere la luce” — perché gli apostoli erano portatori di luce — quindi ti chiudo in una prigione pubblica “così almeno ti spengo”.

Poverini! La luce non si spegne chiudendola in quattro mura, anzi, risplende ancora di più. La luce, ricordiamocelo, non si spegne sbattendo in esilio le persone. Perché risplende ancora di più, perché trova ancora più forza, perché diviene ancora più ardente. La luce non si spegne ammazzando i Santi, che diventano martiri, perché quella luce, quel sangue, diventa motivo, forza, potenza creatrice di nuovi credenti.

E infatti loro li prendono, li sbattono in prigione e la notte stessa, non dopo un mese, non dopo tre giorni, la notte stessa arriva l’angelo, apre il carcere e li porta fuori. Vale a dire: il Signore della storia, il Kyrios, chi è? È Gesù. Quindi voi non potete venire e pensare di dettare legge a tutto e a tutti. Voi avete deciso nella vostra ingiustizia, nella vostra malvagità e perversità, nella vostra stoltezza e durezza di cuore, di buttarli in prigione, va bene, e il Signore li libera! Loro ci vanno in prigione, non fanno la guerra per non andare. Poi arriva l’angelo e li porta fuori. E cosa dice l’angelo? “Andate a proclamare al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita”. L’angelo gli dice: “Non fermatevi, Andate avanti!”. Arriverà il giorno in cui moriranno per Gesù, ma non è ancora quel giorno. Quindi: “Non vi fermate!” e “Nessuno vi può fermare, se Dio è con voi”.

E così questi di notte — immaginatevi la scena — escono invisibili e nessuno si accorge di niente. L’angelo del Signore apre le porte del carcere (ma poi le ritrovano sbarrate, chiuse, quindi è avvenuto tutto un movimento particolare), quindi loro poi vanno nel tempio e si mettono a insegnare.

E i sacerdoti, “belli belli” al mattino, dopo aver fatto colazione, dopo essersi belli profumati, dopo aver mangiato fino a morire, dopo aver dormito con chissà quale coscienza morta dentro — come si fa a dormire dopo aver sbattuto gli innocenti in carcere non si capisce, ma si può arrivare anche a questo — questi arrivano belli, belli e convocano il sinedrio e dicono: “Andate a prenderli in prigione”. Eh sì, ciao… Ma gli inservienti non li trovano e trovano il carcere chiuso. 

“Udite queste parole, il comandante delle guardie del tempio e i capi dei sacerdoti si domandavano perplessi a loro riguardo che cosa fosse successo. In quel momento arrivò un tale a riferire loro: «Ecco, gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a insegnare al popolo»”.  

E qui uno dice: “Ma fermati! Ma fermati cinque secondi, ma per l’amor del cielo! Li hai presi, li hai messi in carcere, li hai chiusi dentro, ci hai messo le guardie, ti svegli al mattino vai e trovi tutto chiuso, le guardie al loro posto e questi non ci sono più, ma fermati un secondo a ragionare, ma prova a chiederti in quale razza di follia sei entrato. Dove sei andato a finire, dove sei scivolato. Prova a chiederti quando hai perso la luce della fede, quando hai perso la luce della ragione! Prova a farti tre domande e a metterti in discussione per una volta nella vita”. 

Allora che cosa fanno? 

“Vanno per condurli via… però senza violenza”. 

Eh, certo! Perché visto il concorso di popolo, se si fossero messi a usare violenza… c’era uno al quale era guarito il fratello, quell’altro al quale era guarito il figlio, quell’altro al quale era stata liberata la moglie… se metti le mani addosso agli Apostoli, quelli ti ammazzano! È chiaro! Quindi per paura di essere lapidati li portano via un po’ quatti quatti, un po’tranquilli. Anche questo fa parte della perversità, anche questo modo ambiguo e falso di comportarsi fa parte dell’empietà.

Ecco, allora chiediamo al Signore la grazia grande di essere tra coloro che hanno la forza, il coraggio, la franchezza — abbiamo visto in questi giorni la franchezza — di proclamare agli altri le parole di vita che sono il Vangelo di Gesù. E badate: innanzitutto proclamarli con la vita! Certamente non con i messaggini sui social, non quelli inoltrati. Innanzitutto, con la nostra vita. Poi con la parola.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

 

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