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Il luogo sul quale tu stai è suolo santo

Roveto ardente

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 14 luglio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Il luogo sul quale tu stai è suolo santo

Eccoci giunti a mercoledì 14 luglio 2021. Oggi è San Camillo de Lellis Sacerdote, fondatore dei Camilliani, un Santo tanto dedicato al tema della sofferenza e dei malati. Abbiamo letto la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo III del Libro dell’Esodo.

Ho scelto di leggervi questa lettura per una ragione molto semplice: si possono fare diverse letture di questo testo, io ve ne propongo una sola che è veramente molto semplice.

Guardiamo l’atteggiamento che Mosè deve assumere in seguito a quanto Dio gli dice: Mosè vede un roveto che arde improvvisamente, si sente chiamare dal roveto e sente che Dio gli dà delle indicazioni.

Il roveto ardente che cos’era? Il roveto ardente era un roveto, come li vediamo nei boschetti, la Villa Pamphili è piena di roveti, è un roveto come qualunque altro roveto. C’era un fuoco nel roveto. Ovviamente è il fuoco, non il rovo, l’immagine di Dio, Dio si presenta come fuoco. Mosè si trova davanti ad un fuoco che arde ma non consuma. Lui rimane incuriosito e va a vedere questo fuoco. Appena si avvicina Dio grida, non parla, grida:

«Mosè, Mosè!»

Come se Mosè stesse per fare una cosa gravissima, una cosa pericolosissima. E lui si spaventa e risponde:

«Eccomi!»

Cosa dice Dio?

«Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!»

Mosè si trova di fronte a un fuoco, che non è rimasto lì per sempre, finita questa teofania il fuoco sparisce. 

Io mi domando quale dovrebbe essere il mio atteggiamento quando sono davanti al Tabernacolo. Se Mosè, davanti ad un fuoco che arde e non consuma, un evento prodigioso, un fuoco dal quale Dio gli parla ma che non è Dio, se, dicevo, davanti a questo fuoco Mosè deve togliersi i sandali e non deve avvicinarsi oltre perché il luogo è Santo, mi domando: il luogo sul quale noi stiamo davanti al Tabernacolo come lo definiamo, visto che lì non c’è un elemento che manifesta Dio ma c’è proprio Dio? 

Se lì c’è Dio — e c’è Dio — noi cosa dovremmo fare? Lui deve togliersi i sandali, noi cosa dovremmo fare? Ci dovremmo togliere la pelle dal corpo? Cosa dovremmo fare?

Se questo è l’atteggiamento davanti ad un fuoco che arde e non consuma ma che sparisce, davanti all’Eucarestia, che non sparisce, nella quale Gesù è presente realmente, veramente, sostanzialmente sempre, quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento? Esattamente quello che teniamo tutti i giorni? 

Andiamo oltre, Dio si presenta:

«Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. 

Ma era solo un fuoco! Dio gli parla dal fuoco, ma il fuoco non è Dio, eppure è sufficiente per fargli nascere nel cuore questa paura, per cui si copre il volto. 

E noi, davanti all’Eucarestia, cosa dovremmo fare?

Io questo testo ho voluto leggervelo perché queste sono le fonti, io uso le fonti che ci dà la Chiesa, la liturgia della Parola del giorno, non vado a prendere cose impossibili, misteriche, riservate solo ai più illuminati, no: la liturgia, la lettura che abbiamo tutti, il testo della Scrittura che conosciamo tutti, la Messa di oggi alla quale tutti siamo andati. Però il comportamento non è adeguato, non è proporzionale.

A vedere certe Messe, uno cos’è che vede? Cos’è che capisce? Cos’è che sintetizza? Qual è la sintesi che porta a casa vedendo certe celebrazioni? La sintesi che si porta a casa è che tra il mio pane e prosciutto e l’Eucarestia non c’è molta differenza, perché io pane e prosciutto lo mangio in piedi, sto in piedi, perché nessuno mi nutre con pane e prosciutto, mi nutro da solo, me lo mangio da solo pane e prosciutto e lo mangio anche in piedi tranquillamente. Pane e prosciutto non lo mangio in ginocchio. 

Uno potrebbe dire: “Sì ma davanti a pane e prosciutto non faccio un inchino”. No, non faccio un inchino, però magari l’inchino lo faccio davanti alla donna della mia vita, davanti a qualcuno che è molto importante per me. Ma mettersi in ginocchio è un’altra cosa.

E poi, il modo con il quale viene maneggiata la Particola consacrata fa dire: questo è pane, questo è solo pane. È un pane benedetto ma è un pane, è un simbolo — è peggio di quello che diceva Lutero — è un pane benedetto, è il pane della community. Non è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù, è solo un pane. 

Da cosa lo capisci?  Da come lo si tratta, da come lo si manipola, da come lo si gestisce… e poi dal dopo, il dopo dice tutto. Forse sbaglierò, magari faccio un’analisi sbagliata e come vi dico sempre, se è così prendete e buttate nel cestino quello che vi dico, non ha importanza. Quando io ho finito di mangiare mi alzo e me ne vado se sono da solo. Se sono con qualcuno che conosco, se mangiamo insieme o andiamo al ristorane, mangiamo, ci alziamo e ce ne andiamo. Ma quello è pane comune, è una pizza, una carbonara, il caciocavallo. 

Qui c’è il Corpo di Cristo. 

Finisce la Messa: chiacchiere e fuga.

Questa non è la celebrazione del Sacrificio di Cristo, non ho ricevuto niente, ho semplicemente assolto ad un dovere, ad un’abitudine, a uno stile, a un qualcosa che devo fare. 

Se voi vedete la famosa sagra della salamella che io tanto stimo e ammiro [detto con ironia], se voi vedete queste cene dell’amicizia, della tribù, queste cose che adesso con l’estate si moltiplicano… 

Adesso arriva la grande dea, anzi siamo già dentro ampiamente nella sua liturgia, la liturgia della salamella. Una volta mi è capitato di assistere alla preparazione. Non credevo ai miei occhi! La liturgia del Cielo sbiadisce a confronto! Per la preparazione della liturgia della salamella si inizia giorni prima a dare avvisi, a fare memoria, mandare whatsapp, come se uno si potesse mai dimenticare di questa cosa così importante, essenziale, coessenziale all’esistenza. I preparativi cominciano giorni prima, dovete vedere come puliscono il pavimento, la zona dove poi si andrà, innaffiano l’erbetta, preparano i tavoli, le sedie. Lì non c’è Covid, non c’è, il problema del Covid non c’è, non si capisce bene come fanno queste pseudo distanze, lì non mi sono sembrati molto suscettibili a questo tema. La salamella porta pace su tante cose, mentre Gesù crea angosce, ansie, non va bene niente, per la salamella invece va bene tutto. I tavoli, le sedie, i lavaggi, la preparazione… e poi partono le musiche, entrano le luci, mettono i fiori, preparano le candele delle zanzare, e poi arriva lei, lei entra come una dea, che uno dice: 

“Ma cos’è che sta arrivando?”

“Sto arrivando io, la salamella, la tua salamella”.

La portano come se stessero portando l’Arca dell’Alleanza, arrivano con questi bidoni incantanti, incantevoli di salamella cruda, e poi, come se non ci fosse un domani… come se non ci fosse più il tempo… quando la dea comincia ad essere posta sulle sacre braci, basta! I suoi aromi e i suoi profumi fanno uscire dalla dimensione temporale, uno dimentica spazio e tempo e si colloca in una dimensione parallela, entra nella settima dimensione. Lì non c’è un fine, non c’è qualcuno che dice: “Adesso la Messa è finita andate in pace”. No, assolutamente, una volta che si è consumata la dea, poi va avanti fino a morire.

In chiesa stiamo mezz’ora, cinque minuti col fiato sospeso come se ci fosse un attacco di gas nervino e quindi il prete deve essere veloce a fare l’omelia perché si deve andare via, ma quando arriviamo alla liturgia della sagra della salamella, lì non c’è problema, lì passiamo le serate, le nottate a mangiare e bere fino a morire.

Io ho bisogno di capire: quello che c’è in chiesa è o non è Dio? A me non sembra che sia Dio, dal comportamento, dall’ethos cristiano ampiamente diffuso, a me non sembra di concludere che lì ci sia Dio. 

È tristissimo, alcune volte questa sagra viene fatta proprio fuori dalla chiesa, ho proprio in mente un luogo in cui accade così: qui  la chiesa e fuori, quasi sul piazzale, poco avanti, avviene questo, sembra di scendere dal monte Sinai con il vitello d’oro: “Canti e danze a due cori io sento”, diceva Mosè, perché poi c’è anche il canto, ovviamente, e cantano tutti, non c’è nessuno stonato, e ballano. Tu arrivi, guardi la chiesa e vedi il deserto dei tartari, non c’è dentro nessuno. Queste sagre vengono fatte in onore della Madonna, dei Santi, ma non c’entrano niente, noi onoriamo la Madonna con la salamella, ditemi voi cosa c’entra, non si capisce cosa c’entri. Ovunque la chiesa vuota, perché prima fanno la Messa, giustamente, poi finita la Messa la sagra e in chiesa c’è Gesù da solo. 

Dove ci collochiamo?

Io non ho nessun problema a sentirmi dire che sono duro, bacchettone, retrogrado e non so quali altri termini, ma capite io non posso rinunciare alla logica. Finora non ho trovato nessuno che mi abbia spiegato logicamente questa cosa e io, finché non trovo una logica, non posso abbandonare la mia per prenderne un’altra, non posso seguire i “quaqquaraqua”, il “si dice”, “mi piace”, “a me sembra”, “io credo”. No, ci deve essere una logica. Io prendo le fonti, prendo questo testo, prendo la sagra e prendo la chiesa e comincio a fare delle proiezioni. Le proiezioni ortogonali sono quelle, non le puoi cambiare, quello è il solido e quella la proiezione ortogonale. Non le posso inventare, quello è, quello sono, non posso proiettare un’altra cosa, così avviene qui. 

Quando andiamo davanti a Gesù nel Tabernacolo, cerchiamo proprio di essere altro, di essere diversi da tutto, di prendere questi brani della Scrittura e dire: “E io su che suolo sono? Sto guardando chi?”

“Eh ma lei parla solo dell’Eucarestia, che noia, che barba, non sa parlare di altro Padre, ha studiato solo quello nella sua vita?”

Tanto ci sono già altri che parlano di altro. Io parlo dell’amore della mia vita, non so parlarvi di altre cose, a me non viene di parlarvi di altre cose, non sono capace, non so cosa dirvi, io so parlarvi solo di questo, sarò monotono, ripetitivo, stancante, stufante, sarà così, non lo nego, ma non so parlarvi di altro, ho sempre quello in mente, anche perché vedendo certe situazioni, penso al Signore e dico: “Perché nessuna attenzione ai frammenti, nessuna attenzione a come avviene la Fractio Panis, il momento in cui si spezza l’Ostia alla Santa Messa, in cui il Sacerdote si comunica?”

Uno guardando quei momenti dovrebbe dire: “Che fede! Mamma che fede!”

Come si fa ad aver ricevuto appena l’Eucarestia e la prima cosa che si fa è mettersi a ridere, parlare, scherzare? Come si fa? Come si fa ad arrivare alla Santa Messa e arrivare due minuti prima della celebrazione? Come si fa? È il momento più tremendo, è il miracolo dei miracoli, è l’evento degli eventi, la Santissima Trinità che si apre e dona il Verbo!

Alle volte penso che sono talmente stupido e talmente peccatore, talmente malvagio che, evidentemente, le mie parole non fanno niente, non producono niente, non convincono nessuno, non cambiano la vita a nessuno. Le mie parole non devono cambiare la vita, però, ascoltando un certo discorso, uno magari due conti se li potrebbe fare, certo non è che uno cambia perché ha sentito qualcuno parlare, però almeno farsi due conti. Evidentemente no. Io invoco sempre un caro Santo, del quale un giorno vi parlerò: San Pasquale Baylon, “il Serafino dell’Eucarestia” — così era chiamato — non era neanche Sacerdote, era un fratello converso. Molti dicono che sono miti, leggende, che non sono veri, ma io ci credo. Ad esempio la sua pecorella lo chiamava belando per ricordargli che stava suonando la campana della Messa, dell’Adorazione, lui si metteva in ginocchio e pregava. Qualche volta vi racconterò un po’ la sua storia e i suoi eventi, perché lui aveva chiesto a Dio questa grazia, di essere avvisato quando non sentiva la campana e Dio gli aveva mandato questa pecorella — perché lui portava le pecorelle al pascolo — e lui abbraccia la sua pecorella e si mette anche lei in ginocchio e pregano insieme.

“Ma che stupidaggini! Non crederai mica a quelle cose?”

Sì, io ci credo, mi hanno innamorato da bambino e ci credo anche adesso a cinquant’anni, sono ingenuo? Va bene, e allora? Non mi fa alcun problema. Mi piace proprio vederle queste scene, mi piace immaginarmele, sognarmele, gustarmele, pensare alla grazia che ha avuto quest’uomo, tra l’altro morto giovane. È nato il giorno di Pentecoste, il 16, ed è morto il 17 di maggio. Nasce il giorno di Pentecoste e muore il giorno di Pentecoste. Pensate che grazia! 

Come la Beata Imelda Lambertini, il cui corpo è a Bologna — chi è di Bologna vada a trovarla, vada a dire una preghiera per me, dove c’è la salma — un’altra ragazza innamorata dell’Eucarestia, che muore il giorno della sua Prima Comunione , giorno deciso da Gesù, perché non gliela volevano dare per la sua giovane età. 

Preghiamo il Serafino dell’Eucarestia, lui era innamorato di due realtà: l’Eucarestia e la Madonna. Lui ha consumato la sua vita davanti al Tabernacolo, è come Mons. Fulton Sheen (sapete che lui morì davanti al Tabernacolo), come San Galdino che muore durante la Santa Messa mentre predica. Io darei trent’anni di vita per morire così. Se Dio mi dicesse: “Rinunci a trent’anni della tua vita e io ti faccio morire così?” direi: “Sì”. 

Morire davanti al Tabernacolo? Un sogno! Tu sei davanti a Gesù e come il cero ti spegni lì, davanti a lui, una vita spesa davanti al Tabernacolo. Stai celebrando Messa e muori lì. La Beata Imelda: fai la Comunione e non ti alzi più. 

Sono esistiti, e questo ci basta per sapere che qualcuno almeno ha amato Gesù Eucarestia anche al posto nostro, probabilmente, e lo ha amato follemente, ha amato Gesù Eucarestia, la Vergine Maria nel modo più bello.

Mi fermo perché se no vado avanti fino alle calende greche. Chiediamo al Preziosissimo Sangue di Gesù la grazia di renderci conto che lì nel Tabernacolo c’è Sangue, Corpo, Anima e Divinità.

Pensate che quando San Pasquale è morto, mentre celebravano il funerale, all’elevazione dell’Ostia da parte del Vescovo, ha aperto gli occhi da morto, sia per l’Ostia che per il Calice. Ha aperto gli occhi per l’ultima volta, a guardare ancora per una volta Gesù Eucarestia. Quando trovi questo, tutto il resto è spazzatura. Come San Paolo: “Io considero tutto spazzatura rispetto all’aver guadagnato Cristo”.

Tutto il resto che cos’è? È pula, è niente, è vanità delle vanità dice Qoelet, tutto il resto non conta niente, nulla conta, conta solo questo. Nella vita non conta nient’altro e quando nella vita staremo morendo, ve lo assicuro, ne sono convintissimo, ci darà conforto solo il ricordo del tempo passato davanti a Gesù Eucarestia, sarà per noi conforto il ricordo dei giorni che avremo dedicato ad andare a trovare Gesù abbandonato nel Tabernacolo. Quello sarà il nostro conforto, nell’attesa che Gesù ci venga a prendere.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. San Pasquale Baylon prega per noi. Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.  Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

 

Mercoledì della XV settimana del Tempo Ordinario – Anno B

PRIMA LETTURA (Es 3, 1-6. 9-12)

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».
Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».

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