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Λoγον διδoναι: portare ragione

Scuola di Atene (Raffaello)

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «Λόγον διδόναι: portare ragione»
Giovedì 20 aprile 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

PRIMA LETTURA (At 5, 27-33)

In quei giorni, [il comandante e gli inservienti] condussero gli apostoli e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote li interrogò dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
All’udire queste cose essi si infuriarono e volevano metterli a morte.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 20 aprile 2023. Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo quinto degli Atti degli Apostoli, versetti 27—33.

Stiamo vedendo progressivamente questo capitolo quinto e ormai state imparando che quando leggiamo un testo della Scrittura bisogna sempre leggere ciò che sta prima e ciò che sta dopo. Perché un testo della Scrittura, del resto come ogni testo, ha bisogno di essere contestualizzato. Noi quando camminiamo per strada non vediamo una pianta per aria, noi vediamo una pianta che ha un tronco, che è ancorato a un terreno, con delle radici che la tengono ferma, diritta, con una parte aerea, con dei rami. Attorno alla pianta ci sono tante altre piante, magari, poi ci sono i condomini, poi c’è un cancello, poi ci sono le macchine, poi sono gli scoiattoli, le tortore, i cocoriti e quant’altro. Vedete: c’è un contesto. Tutto abita in un contesto, non esiste qualcosa fuori contesto. Se noi leggiamo la Scrittura fuori contesto, non la capiamo o la capiamo al contrario o male. Quindi questo metodo che sto usando spero proprio che vi aiuti, che aiuti ciascuno di noi a leggere correttamente la scrittura, sennò ognuno fa dire alla Scrittura quello che vuole.

Per cui nei giorni scorsi abbiamo già visto in questo capitolo quinto che li avevano messi in prigione, poi l’angelo è arrivato, li ha fatti fuggire e, in quel momento, arriva un tale a riferire, versetto 25: 

“Ecco, che gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a insegnare al popolo”

Benissimo. 

“Allora il comandante uscì con gli inservienti, li condusse via, ma senza violenza per timore di essere lapidati dal popolo”. 

E ieri c’eravamo fermati qui: “Li condussero via senza violenza”.

E dove li conducono? Per questo dobbiamo sempre avere il contesto. Ovviamente non possiamo leggere tutto il Vangelo ad ogni Messa; quindi, vengono scelti alcuni brani che hanno un inizio e una fine, però è lecito domandarsi: “Dove li hanno condotti?” Ecco, oggi lo vediamo. 

“Li condussero nel Sinedrio”. 

Quindi c’è proprio un contesto nel quale avviene questa scena. Al versetto 17 vediamo che il sommo sacerdote, insieme alla setta dei sadducei che erano pieni di gelosia, li butta in prigione, l’angelo li libera e vanno ad insegnare. Al versetto 21 leggiamo:

“Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio, cioè tutto il senato dei figli d’Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione.”

Ma in prigione non ci sono. Vengono a sapere che erano nel tempio a predicare e quindi nuovamente vanno a prenderli, li conducono via senza violenza per paura di essere lapidati, e allora succede che li conducono nuovamente nel Sinedrio. 

E qui il sommo sacerdote fa un interrogatorio — siamo al versetto 28 del capitolo quinto. Che cosa chiede? 

“Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo”.

Quindi cosa dice sommo sacerdote? Dice: voi nel nome di Gesù non potete insegnare e lo decidiamo noi. Voi non dovete insegnare in nome di Gesù. Proprio non dovete parlare di questo nome, non dovete parlare di questa persona, noi vi proibiamo di predicare, di parlare, di annunciare qualcosa in nome di Gesù. 

Che poi è interessante, non lo nominano: “Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome?”. Quale nome? Non lo dicono e non l’hanno detto. Quando dopo tutti i prodigi, i segni, i miracoli e gli ammalati che portavano — vi ricordate nei giorni scorsi, versetti 12—16 — e tutti gli uomini tormentati dagli spiriti impuri venivano liberati, questi si levano, pieni di gelosia, e li vanno a prendere per metterli in prigione: ma nessuno ha nominato Gesù! Non c’è nessuno che parla di Gesù. 

Gesù sembra veramente il convitato di pietra. Andate a vedere chi è il convitato di pietra, questa figura interessante. Gesù sembra veramente il convitato di pietra. Gesù è l’innominato poiché è innominabile. E non è morto da molto! Eppure, la storia degli uomini, come abbiamo visto nel Vangelo di ieri, sta già dicendo: “Noi non vogliamo la luce, noi vogliamo le tenebre. Noi odiamo la luce, perché? Perché le nostre opere sono malvagie e non vogliamo che vengano alla luce per essere riprovate”. Ricordate? Era il Vangelo di ieri.

E questo nome non c’è, se voi guardate il capitolo quinto, non c’è, non c’è il nome di Gesù. È talmente palese, è talmente evidente, che basta dire: “quest’uomo” e tutti capiscono quale uomo. A Gerusalemme di uomini ce n’erano tanti e chiunque avrebbe detto: “Scusi, di quale uomo? Noi sappiamo in nome di chi noi predichiamo, ma voi a chi state facendo riferimento? Dite il nome!” Ma quel nome non si dice. Si parla di quella persona, si proibisce di predicare in nome di quella persona, ma chi è questa persona, il nome di questa persona non lo si fa.

C’è una ragione, le cose non capitano per caso. E la ragione è che già il nome di Gesù è salvezza, già il nome di Gesù è appartenenza, già il nome di Gesù è luce. Dire quel nome è già un atto di fede. Stiamo già entrando nella dimensione della fede.

Quindi loro non lo dicono perché hanno talmente in odio Gesù, perché sono figli del padre loro — ricordate Giovanni capitolo 8, che abbiamo visto nei giorni scorsi: “Sono figli del loro padre, cioè il diavolo”, dice Gesù — e quel nome è impronunciabile. Perché dire il nome di Gesù vuol dire appartenere a Gesù e vuol dire appartenere al Padre.

Quindi, fateci caso, anche oggi, anche quando si fanno discorsi religiosi, si parla di tutto, ma non si nomina Gesù. Già, ve lo dissi, si può arrivare a fare un discorso, una catechesi, peggio ancora un’omelia, e in 15, 20, 30 minuti, un’ora — mettete una catechesi — di discorso, riuscire a non nominare mai Gesù. Io veramente li invidio perché bisogna essere proprio dei funamboli per fare una roba del genere. “Ma tu sei lì a parlare a nome di Gesù, sei li a parlare per Gesù e di Gesù, e tu riesci a non nominare mai Gesù?” Certo! Perché quel nome è segno di contraddizione, “Svela i cuori”, disse Simeone al tempio, ai suoi genitori, ricordate?

“Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome. Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo.” 

Bisognerebbe dire: “Veramente siete stati voi quel giorno, quel venerdì, scegliendo il brigante e l’assassino Barabba, a dire: «Crocifiggilo, crocifiggilo, il sangue di costui ricada su di noi». L’avete detto voi, l’avete urlato talmente forte, come ricatto verso Pilato, che l’hanno sentito anche i sassi del paleolitico. State dicendo una cosa che avete fatto voi e adesso volete accusarci come di un crimine, perché vi attribuiamo qualcosa che non vi spetta? No! Nessuno attribuisce niente: voi avete detto quelle frasi. Voi, invocando la liberazione di Barabba — brigante, ladro, assassino e quant’altro — e condannando il sangue innocente — perché Gesù era assolutamente innocente ed era evidente persino ai romani, che era stato consegnato per invidia — voi l’ultima cosa che avete detto, che avete fatto dire alla folla, è stata: «Il sangue di costui ricada su di noi e sui nostri figli». E allora cosa volete? Adesso cosa facciamo, riscriviamo la storia? Siccome quella storia lì è troppo infame e troppo infamante, allora cosa fate? Adesso la riscrivete facendo passare che non abbiamo mai detto quelle cose. No, voi le avete dette. Voi le avete dette. Sono state proprio le ultime vostre parole prima che Pilato decidesse di consegnarlo alla croce. Quindi, ognuno si assuma il suo”.

Ma oggi, vedete, anche oggi c’è questa bruttissima abitudine (che viene dall’empietà) di operare il male, di fare delle cose terrificanti e poi fare anche le vittime se qualcuno ti dice: “Tu le hai fatte”. Prima le fai e diventi un despota e porti a termine azioni aberranti, dicendo che ti assumi la tua responsabilità (a me viene in mente qualcosa di molto preciso, ma credo anche a voi, non vado oltre), dopo, se qualcuno ti dice: “Eh, ma tu hai detto questa cosa. Tu hai obbligato a fare questa cosa. Tu hai messo sotto ricatto, per fare questa cosa” — “IO??!” — Allora dopo diventano le vittime. Dopo! Ma dopo che vuol dire magari dopo qualche mese, dopo qualche anno, esattamente come qui— Dopo fanno le vittime, dicono: “No, ma non è vero, ma noi non volevamo, ma non dicevamo, ma non era così grave. Ma le cose non stavano così…”. No, le cose stavano così. Le cose stavano esattamente così. Perché tutti si ricordano quelle grida e quelle urla quel giorno del Venerdì Santo, tutti se le ricordano. Tutti si ricordano di aver visto quell’uomo, tumefatto, distrutto, scarnificato vivo dalle fustigate, dalle botte, dai pugni, dagli sputi, dalle percosse, dalla corona di spine, tutti si ricordano quella scena di un’empietà feroce, diabolica. E adesso tu fai la vittima, cioè stai un po’ a vedere che Gesù è il carnefice!

Riscriviamola talmente tanto, questa storia, che facciamo passare Gesù addirittura come il carnefice. Oppure come colui che, siccome non sono stati i romani, non sono stati gli ebrei, … alla fine Gesù come è morto? Suicida! Perché non è stato nessuno. Perché dopo che personaggi ben precisi hanno detto: “Uccidetelo, ammazzatelo, crocifiggetelo, e il sangue di costui ricada su di noi”, dopo, nella riscrittura della storia, non si sa bene perché: “No, io no, no, io no, no non è colpa mia, non l’ho fatto io”. E alla fine Gesù come è morto? Si è suicidato, si è inchiodato da solo alla croce!

Perché dopo si arriva fin lì, dopo praticamente la storia non esiste più. Ma non è che la storia esiste solamente per alcuni e non per altri! E non bisogna rispettare la storia solo per alcuni e non per gli altri! O la rispettiamo per tutti, o non la rispettiamo per nessuno. E allora non tocchiamo Gesù. Almeno rispettiamo la storia del suo dolore e della sua morte infame. Perché è stata una morte infame, da tutti i punti di vista.

“Avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento”. Si vabbè.

È colpa mia se tu non sei capace a costruire un carcere? Per evadere abbiamo ucciso qualcuno? Abbiamo buttato giù le porte? Abbiamo usato la nitroglicerina? Abbiamo usato il tritolo? Abbiamo chiamato i carrarmati? Da questo carcere come siamo usciti?

È un problema tuo, figlio mio, se non sei capace di gestire un carcere e se le tue porte chiuse mi fanno passare. Evidentemente tu hai problema, ma il problema è tuo, non è mio. 

“Mi hai messo in prigione?” —  “Sì” — “Mi sono ribellato?” —  “No” —  “Mi hai chiuso dentro una prigione?” —  “Sì” —  “Hai messo delle guardie a custodia?” —  “Sì” —  “E io cosa ci faccio fuori nel tempio a predicare?” —  “Eh, non lo so come hai fatto ad uscire” —  “E lo chiedi a me? Evidentemente, invece di stare a letto con la bolla al naso, a dormire, dovevi stare a vegliare la mia persona. Perché evidentemente io, e insieme tutti gli altri miei compagni, siamo riusciti a passare nel tuo carcere scrupolosamente chiuso e serrato, con le guardie che facevano le guardie. Non lo so, è un problema tuo questo”. 

Se una prigione non è sicura, non è colpa dei prigionieri se escono, è colpa di chi gestisce la prigione, soprattutto se nessun atto violento è stato messo in opera, e soprattutto se non ci sono prove di un’evasione, ma se le porte eran tutte chiuse, non ci sono buchi nei muri e da nessuna parte sono passati. 

Vai a farti una registrata, non lo so, chiama le tue guardie e controlla le tue serrature. Magari sono serrature che vanno e che vengono. Magari le tue guardie hanno dei momenti di alienazione, fanno cose che non sanno.

Visto che questo Gesù non è figlio di Dio, era un farabutto, era un mentitore, era un bestemmiatore, era un sobillatore; quindi, vuol dire che Dio non è con lui — questo è evidente. 

Visto che sulla croce Dio non è intervenuto, l’ha lasciato morire di una morte infamante; quindi, Dio non è dalla sua parte. 

Dato che la risurrezione avete detto che è una bugia, perché in realtà sono venuti i discepoli, hanno trafugato il corpo, ma lui non è risorto, assolutamente, quel corpo doveva essere lì, la pietra era lì… 

Stante tutte queste evidenze, come hanno fatto a uscire dal carcere? È colpa vostra! 

Perché o smentite ciò che avete detto e fatto, e quindi vi assumete la responsabilità di una morte infame contro un innocente, altrimenti voi avete un problema. Avete un problema con le serrature e con le prigioni. E poi non si capisce perché sono usciti solamente quelli e non tutti gli altri. Avete delle serrature selettive?

Già ve l’ho detto, ve lo ripeto e oggi ve lo spiegherò anche meglio: è una questione di logica. Impariamo ad usare la logica. Perché alle volte, quando ricevo certe e-mail, certi messaggi o certe domande, mi sembra che manchi l’uso della logica. Dio ci ha dato un cervello, una testa pensante, usiamola! Non c’è bisogno di credere negli scrupoli, nella paura e nel terrore, no! Usiamo la logica. Se “A” è uguale a “B”, “B” è uguale a “C”, “A” è uguale a “C”. Punto. Fine del discorso. Usiamo la logica! 

“E volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo”

Non è che noi vogliamo far ricadere su di voi, voi l’avete fatto ricadere su voi stessi, è diverso. Chiamiamo le cose col loro nome. E qui comincia il terrore, qui comincia la fine della pace, qui comincia la persecuzione, qui comincia il “Tu non sei un uomo di dialogo!” — “E te credo! Cioè se dico che è una mela è una mela e tu invece sostieni che è un’arancia, chiaro che non sono un uomo di dialogo, ma io per dialogare con te devo rinnegare la realtà? Non è possibile! Non è possibile, perché quello non è un dialogo, è una follia, è un discorso tra pazzi, non è un dialogo”.

“Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. 

Punto. E questo è un assioma, che voi, sommo sacerdote, sadducei e Sinedrio, dovreste insegnare a noi, voi dovreste vivere di questo, ma evidentemente non è così. Perché voi avete insegnato a obbedire agli uomini e non a Dio, vedi la morte di quello che non si può nominare, del convitato di pietra, dell’innominabile. Voi avete fatto così. 

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini, e questo, ricordiamocelo, vale sempre, sapete, vale sempre su tutto. Quando qualcuno ci chiede di compiere un’azione o di dire qualcosa che noi sappiamo andare contro Dio, contro la volontà di Dio, contro la legge di Dio, non si fa! Non si fa!

Attenti, adesso, cosa succede: 

“Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù”.

Oh! Finalmente viene nominato il convitato di pietra, finalmente! E chi lo nomina? Pietro! Loro non lo nominano di sicuro. Il primo che lo nomina è Pietro, il dolce Cristo in terra. Quello che non ha problemi di coscienza, perché non ce l’ha sporca, corrotta, distrutta. E quindi può nominare il nome di Gesù, può andare verso la luce.

“Il Dio dei nostri padri”. E questo obbedire a Dio invece che agli uomini deve darci tanta pace. Poi è vero che vengono le persecuzioni — come appunto stiamo vedendo — sì, ma ciò non toglie che non bisogna obbedire agli uomini invece che a Dio. Quando bisogna scegliere tra obbedire agli uomini e obbedire a Dio, bisogna obbedire a Dio. Il prezzo da pagare è alto? E vabbè, fosse anche la vita, la si paga. Perché tanto guardate, la vita di tutti noi, prima o poi finisce. È finita anche quella di San Pietro. Quindi abbiamo un tempo su questa terra, prima o poi moriremo tutti. E il punto è il dopo, non adesso, che quanto viviamo? Cent’anni? Io ne ho già fatti 50, me ne rimangono ancora un pochino, ma ormai il più è andato. Il più e il meglio è andato. Poi fine, poi muoio. E il dopo? 

E quando ci presenteremo al tribunale di Dio — perché lì ci dovremmo presentare, che ci piaccia o non ci piaccia, così ci dice la Scrittura, ricordiamo tutti Matteo 25, giudizio universale — e lì non lo so, ricordate tutti la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone? Tanto per fare due nomi. E lì cosa diremo: “No, ma sai, aspetta, aspetta, Santissima Trinità, che adesso ti spiego, adesso ti spiego io. Tu devi capire che — alla Santissima Trinità, noi diremo — tu devi capire — allo Spirito Santo, al Logos — tu devi capire — a Dio Padre, l’Eterno — tu devi capire che io…” Ecco, ovviamente già solo a dirlo, già essere arrivati fin qui è eccessivo, non ci arriveremo neanche.

Noi non ragioniamo sull’eternità, e non ragioniamo mai sul giudizio di Dio, su che cos’è il giudizio di Dio, e i santi ci hanno insegnato tanto sul giudizio di Dio.

“Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso, appendendolo a una croce”

Voi l’avete appeso a una croce. Vedete? San Pietro dà a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. Quindi San Pietro dice: “Io l’ho rinnegato, ma non l’ho appeso a una croce, voi lo avete appeso a una croce, assumetevi questa responsabilità, se siete uomini.

“Dio lo ha innalzato alla sua destra” 

Finalmente comincia a esserci qualcuno che parla di Dio e che parla di Gesù. Pietro gli sta facendo l’omelia, gli sta facendo la catechesi:

“Dio lo ha innalzato alla sua destra, come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati”.

Quindi capite perché Gesù muore, perché Gesù risorge, perché Gesù ascende al cielo? Per la conversione e il perdono dei peccati. Non per mangiare insieme la pizza, non per questo, non perché: “Volemose bene”. Per la conversione e per il perdono dei peccati. Quindi vuol dire che è una cosa seria. 

“E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”. 

Boh, a me non sembra che abbia detto cose tragiche, mi sembra una sintesi corretta, logica, reale. Ha detto le cose come doveva dirle, non ha insultato nessuno, non ha mancato di rispetto a nessuno, non ha imposto niente a nessuno. Ha semplicemente parlato dell’innominabile — che finalmente ha avuto un nome e un volto — ha detto: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”, ma questa cosa il sommo sacerdote doveva dire: “Beh sì, vabbè, questa la vivo da sempre, io vivo così”. Ma invece evidentemente no. 

“Il perdono dei peccati, la conversione”, forse questo può dargli un po’ fastidio. 

“Lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore”, sì, possiamo capire, pensare che quello lì che noi abbiamo ammazzato in quel modo, che abbiamo trattato in quel modo, che abbiamo rinnegato in quel modo, sia capo e salvatore alla destra di Dio, vabbè, questo un po’ ci può dare fastidio, va bene, sì, lo capiamo.

“All’udire queste cose, si infuriarono e volevano metterli a morte”. 

No, ma scusa un momento. Perché volevano metterli a morte? Ma questi ammazzano tutti? 

Liberano Barabba, che è un assassino, e adesso si infuriano e vogliono mettere a morte questi uomini, che non fanno del male a nessuno, non hanno ammazzato nessuno, non han rubato a nessuno, non han fatto niente a nessuno, non sono briganti, non sono niente, semplicemente perché parlano a nome di Gesù, perché fanno i miracoli, perché fanno i segni, perché liberano gli indemoniati e dicono queste tre parole…. Ma vi rendete conto? 

Noi non possiamo abituarci a queste cose. Perché poi questa struttura si è ripresentata nella storia verso tutti i discepoli di Gesù, tutti i veri discepoli di Gesù. Ma non hanno fatto niente e non hanno detto niente di offensivo verso nessuno. Ma cosa hanno detto per essere messi a morte? 

Per mettere a morte una persona deve esserci una roba gravissima. Tu non puoi ammazzare tutti! Non puoi ammazzare tutti quelli che non la pensano come te! Non puoi ammazzare tutti quelli che hanno un pensiero diverso dal tuo! Eppure, è proprio così. Qui c’è una ribellione radicale e totale all’evidenza e alla logica. 

Oggi voglio lasciarvi un nuovo motto, che spero tanto diventi proprio un motto, un nostro segno che ci contraddistingue, come discepoli di Gesù. Non l’ho inventato io, ovviamente. È un qualcosa che credo non abbiate mai sentito, poi magari voi mi scrivete, mi dite: “Padre, che banalità che dice, com’è banale, ma certo, ma tutti lo sappiamo, ne parlano dalla mattina alla sera. È come andare a insegnare ad Einstein a fare le operazioni aritmetiche”. Va bene, sono contento, se è così sono contento e scusatemi, spegnete la registrazione — perché tanto poi è finita — volevo solo dirvi questo.

Questo nuovo motto è formato da due parole greche: λόγον διδόναι. Diciamo subito che non c’è una fonte certa per questa dicitura. Sicuramente è tipica della filosofia greca ellenica ed è attribuita comunemente alla scuola socratica. È stata talmente usata fin dai resoconti orali socratici, riportati da Platone e da altri, che è diventato un concetto filosofico universale e fondamentale, interpretato in seguito da ogni scuola con sfumature diverse. Il significato più letterale è “portare discorso”, λόγον διδόναι è “portare discorso” e, inteso comunemente, si può tradurre come “portare argomenti”. Vi ricordate quando vi dicevo: “Portate le fonti!”. Ma le fonti non si portano. 

Mi è stata girata una “replica” — sapete che a me non piace fare nomi, e io infatti non li faccio, ma anche perché non mi interessa difendere me stesso, possono dire quel che vogliono, attaccarmi, non mi interessa. Non faccio repliche ad personam, facendo nomi e cognomi, indicando i link, non mi interessa. Mi sono state mandate da più persone, due repliche, diciamo così, una molto ampia e una invece molto sintetica di pochissimi minuti, a quelle due catechesi che io feci sulle false devozioni.

Non dico nomi e neanche caratterizzo le persone, perché non mi interessa dover replicare a loro e non mi interessa difendermi, non dico neanche gli insulti che mi sono stati rivolti, tre di questi molto gravi, molto brutti. Io non mi sono mai permesso nelle mie meditazioni e omelie, di rivolgere insulti a nessuno. Le mie omelie sono tutte registrate e trascritte, quindi si può andare a prendere i testi e ascoltarli e leggerli, e voi non troverete mai insulti e offese, giudizi, critiche che io ho rivolto a qualcuno, men che meno a confratelli sacerdoti. Mai! Mai fatto, dal 2001 che sono diventato prete a oggi. Non ho mai fatto nomi, mai mi son messo a criticare e a disquisire e a giudicare e a sparare sentenze gravissime.

Non dico che tutti e due hanno fatto cose gravissime. Uno dei due sì, ha espresso dei giudizi secondo me molto gravi, tra l’altro si vedeva da come rispondeva e da come parlava, che non aveva assolutamente né ascoltato né letto quello che ho detto — semplicemente si muoveva sulla suggestione di ciò che gli veniva detto, comportamento secondo me abbastanza imprudente. Forse è sempre meglio andare alla fonte, e leggere e vedere bene uno che cosa dice, non basta che qualcuno ti riporti tre righe in 20 secondi per sparare sentenze. L’altro invece ha fatto un discorso molto più ampio, ha letto qualcosa, ma poi le sintesi che ha fatto… “vanno per campi”, cioè non riprendono il discorso che io ho portato avanti. Perché accade questo? Perché mettersi a discutere sulle fonti è un problema, perché se hai delle fonti contrarie devi citarle, non basta che io dica: “Il Santo Curato d’Ars ha detto che…, San Francesco d’Assisi faceva questo, questo e quest’altro”, va bene, dove è scritto? Se il Santo Curato d’Ars, San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, facevano alcune cose, per favore, portate le fonti, cioè dite il volume, il libro e la pagina, perché io possa andare ad approfondire, a confrontarmi, a verificare. È diritto di ciascuno verificare, nessuno di noi ha il diritto di essere creduto sulla parola. Se non abbiamo le fonti, non parliamo. Se abbiamo le fonti, citiamo le fonti. Nel libro tale, alla pagina tale, è scritto questo e questo e questo e tutti possiamo andare a verificare. Io ho sempre fatto così, soprattutto quando io ho parlato delle false devozioni, perché addirittura vi ho citato gli Acta Apostolicae Sedis e non solo quelli. Ho citato diversi documenti, che probabilmente queste persone non conoscono e non conoscevano. Uno dei due di sicuro non li conosceva, mi sembra che lo ammetta anche, l’altro mi sembra di capire, ma magari mi sbaglio, che non li conosca, ma del resto non è che tutti possiamo conoscere tutto, io ci sono milioni di cose che non conosco, è chiaro che se uno studia una cosa non può studiarne un’altra. Questo non scandalizza nessuno e nessuno pretende che tutti conoscano tutto, però portare le fonti è fondamentale; quindi, quello che mi interessava dire era: quando dobbiamo criticare il detto o l’operato di qualcuno, lo dobbiamo fare citando le fonti, non citando il nostro pensiero. Non dando del farabutto a un sacerdote — questo è un termine che uso io, non hanno usato questo termine, ma non voglio farvi capire di chi parlo — semplicemente dicendo “perché lo dico io”. Non si fa, non è corretto. Bisogna dire: “Ha detto questo, questo e quest’altro. Un momento, vado a verificare, vado a studiare la cosa, vedo se le cose sono state dette rettamente e poi ne parliamo”. Ma dopo, non all’istante! E soprattutto se le ho lette non posso dire: “No, qui fa confusione, qui parla di una cosa che non c’entra niente”. No, guardate, non si fa così, non si fa così. Io non ho fatto confusione, sono andato a rivedere i testi che ho letto, non c’è nessuna confusione. Ho citato testi reperibili da tutti, ho citato perfettamente le fonti e ho chiamato le cose col loro nome. Ne ho fatti due, di interventi, uno è stato quello grosso, dove ho citato tante cose, poi ho fatto un secondo, dove ho specificato meglio una questione. Quindi sono due, perché sul primo c’è stato un punto nel quale ho usato un’espressione particolare che non ho spiegato bene e mi rendo conto, leggendola, che ho dovuto fare un po’ la retractatio di Sant’Agostino, ho dovuto andare a riprendere quel testo perché non mi è piaciuto molto come l’ho espresso. Volevo dire una cosa ma, nel modo in cui è venuta fuori, non è venuta fuori bene. Qualcuno l’ha capita bene, ma qualcuno no. Allora quando mi è stato fatto presente, ho detto: “Sì, in effetti lì non sono stato chiaro”, e quando non si è chiari vuol dire che non si è neanche precisi. Quindi ho fatto un secondo intervento, dove ho ripreso la questione e l’ho ri-precisata ulteriormente, ho spiegato bene la cosa, anche perché grazie alla “ritrattazione” — chiamiamola così, come quelle che ha fatto Sant’Agostino — ho potuto approfondire meglio una questione e andare a scoprire delle fonti che la prima volta non avevo trovato. Quindi la ritrattazione è stata molto più puntuale, perché mi ha dato la possibilità di fare degli agganci ulteriori, di portare ulteriori fonti.

Quindi avviso che sono due, non una, due, quindi prima di andare lancia in resta col cavallo e il pennacchio, vediamo bene dove, cosa e quante volte il sacerdote in questione — sono io — ha parlato di questa cosa. Ne ho parlato due volte e non c’è bisogno di ascoltarle. Basta andarle a leggere, ci sono tutti i testi scritti su Telegram e sul sito www.veritatemincaritate.com, quindi uno se le va a prendere e vede che cosa ho detto.

Questo perché? Perché bisogna portare gli argomenti. E gli argomenti non si possono confutare dicendo: “No, non è vero, questo è un modo per confondere le coscienze”. No, qui non si confonde. La verità non confonde nessuno. Se uno è nell’errore e qualcuno gli annuncia la verità, certo rimane un po’ — come dire — colpito, ci rimane male, perché dice: “Eh, mamma mia, allora io ho sbagliato”. Va bene, ma è meglio che vivere una vita nell’errore. Meglio prendere un attimo un freno a mano tirato, registrare un po’ la questione e dire: “No, io non voglio andare nel burrone, voglio fare le cose giuste, quindi va bene, adesso ho le prove che alcune cose non vanno bene, correggo”. Questo attaccamento a qualcosa non è un segno bello. San Giovanni della Croce direbbe che non è un segno di nudità spirituale, non è un segno di povertà interiore, è un segno che l’io si è un po’ troppo attaccato a qualcosa. E soprattutto, qui non c’è il λόγον διδόναι.

E si finisce per fare quello che hanno fatto nel Vangelo di oggi, quello che hanno fatto il sommo sacerdote e gli scribi che decidono: “Adesso li ammazziamo tutti” — “Perché?” — “Eh, perché hanno detto una roba che non ci piace”. Non si fa così. E non si può neanche smontare quasi un’ora di discorso — adesso non mi ricordo più quanto tempo è durato, dico un’ora per andare in difetto, magari è stato anche di più — con tutte le prove portate, semplicemente con un colpo di spugna, oppure dicendo: “Ma secondo me, ma per me, io penso che, non è vero che”, e sparando giudizi a destra e a manca, no! Si prendono le fonti e mi si dice: “Questa fonte che hai letto è falsa”, ok, oppure si prendono le fonti e mi si dice: “Questa fonte che hai letto è vera, ma tu l’hai capita male”. Benissimo. “E te la spiego bene io”. Molto bene! Se ho sbagliato, guardate, sono pronto a riconoscere il mio errore, se ho sbagliato a leggere una fonte, se ho sbagliato a capirla. Non sono Dio, io sbaglio a capire le cose! Mi capita, mi è capitato, e credo che mi capiterà nuovamente, purtroppo, perché sono un essere umano e sbaglio a capire. Quindi se qualcuno mi dimostra che ho capito male, sono pronto a fare marcia indietro e dire: “Scusatemi, in buona fede ero convinto di aver capito giusto, invece ho capito male, adesso che qualcuno me l’ha spiegato, ho capito bene”. Ma… stando alle fonti

Quindi “portare discorso”, λόγον διδόναι, inteso comunemente come “portare argomenti” e dimostrazioni per ciò che si afferma o ciò che si compie.

Si parte da qui, non dal mio pensiero, non dal Giorgio-pensiero, non dal pensiero di Tizio, Caio e Sempronio. Non c’è un’autorità, ipse dixit: “Io, dall’alto di …, decreto che …”. “Sono un sacerdote, voi non dovete predicare il nome di questo…” — “Ma tu chi sei? Con quale autorità dici questo?” — “No, perché il santo tal tale e tal altro hanno detto e hanno fatto” — “Benissimo! Le fonti? Ma è così difficile? Porta le fonti, cita i testi, porta i libri, dì dove l’hai letto, grazie, e lo andiamo a leggere tutti, non possiamo conoscere tutto. Se ci citi le fonti, noi andiamo ad approfondire, meglio così!”. E correggiamo, e si corregge, e si amplia, e si approfondisce la conoscenza.

In Italia, pensate, esiste da anni una casa editrice proprio specializzata in testi filosofici di logica, che si chiama proprio λόγον διδόναι. Pensate un po’.

Vi leggo adesso una citazione di Guido Calogero, filosofo e storico, che dice: 

“Socrate è il primo filosofo che teorizza il principio del διαλεγεσθαι, (dialegesthai), del dialogo razionale, in comune con gli uomini”. 

Eh, si può ragionare se c’è di mezzo la ragione, altrimenti si sragiona.

Sorrido. Guardate, veramente, credetemi, non mi sono offeso, ci sono rimasto male, son sincero, ci sono rimasto male, perché mi è dispiaciuto. Tra l’altro me l’hanno mandato proprio un giorno particolare, non voglio dirvi quale, perché sennò poi uno capisce magari a che cosa mi riferisco, quindi ci sono proprio rimasto male. Mi sono detto: “Ma Santa Pace, proprio oggi? Vabbè…”, e poi mi son detto: “Boh Ma perché? Non lo so. C’è modo e modo di dire le cose”. 

Ripeto, guardate, sono pronto a ritrattare, a riconoscere il mio errore se ho sbagliato, ma io non vedo l’errore, ho citato le fonti, le fonti dicono quello. Io non posso cambiare le fonti.

Poi questo modo che si ha oggi di attaccare sui social le persone, dove non c’è possibilità di contraddittorio. È anche per questo che io non faccio i nomi. In questo momento non possono controbattere a quello che dico, è evidente, perché sono io da solo. Quindi non è corretto, secondo me, fare nomi e cognomi.

Per precisione, dobbiamo dire che uno dei due ha fatto nome e cognome, l’altro no, grazie al cielo, almeno quello non l’ha fatto, però, se voi andate su internet e cliccate “false devozioni”, viene fuori velocemente che ne ho parlato io; quindi, non è che c’è molto da andare in giro. Però va bene, diciamo che riconosco che il secondo non ha fatto nome e cognome, quindi questo va riconosciuto, perché comunque è importante, anche se poi è stato quello che ha usato termini più gravi, più pesanti.

“Fondamento dell’etica e metro del civile convivere”

Si può parlare, no? Si può dire: “Ma guarda questa cosa non la capisco”, oppure si può dire: “Boh, io ho letto questa cosa, però ho qualche dubbio”. Sicuramente il mio intento non è confondere le coscienze, non è confondere le persone, ma portare alla luce dei testi che io ho letto così, e ve li ho letti e.… poi non lo so, se invece leggendo “A” vuol dire “B”, va bene.

Anche sul tema dell’imprimatur, io ho detto cose molto precise, che non sono state minimamente riportate in modo corretto da uno dei due; io non ho detto quello che è stato riportato. 

Quindi stiamo attenti, perché se non si riportano le cose come sono si cade nella calunnia, si cade nella diffamazione. Perché uno deve avere il testo in mano e dire: “Ha detto questo, questo e questo”. Quindi stiamo attenti ad andare a caso, perché sembra che uno vada un po’ a casaccio, “Ma boh, non so cosa dire, non mi ricordo”. 

Continuiamo la citazione di Guido Calogero:

“Socrate rappresenta il primato e la fecondità dell’etica sostenuta dalle ragioni della dialettica e coniugata con essa, a cominciare dalla procedura e dall’atteggiamento fondamentale del λόγον διδόναι και δεχεσθαι (logon didonai kai dechesthai), del dare e chiedere ragione”, 

è quello che sto facendo io adesso, è quello che faccio sempre, quando vi leggo e vi porto le fonti. Poi certo, io ve le spiego per come sono capace, però almeno voi le fonti le avete e ve le cito, sempre 

che in lui, come poi, in altro orizzonte teoretico, in Platone, dirige con sicurezza i passi dapprima iniziali, poi sempre più densi di contenuto, della costruzione della filosofia”. 

Quindi è fondamentale dare e chiedere ragione, dare e portare argomento.

Notiamo che San Pietro, nella prima lettera di Pietro, capitolo terzo, versetto 15, anche se usa una formulazione un po’ diversa, parla negli stessi termini di λόγον: 

“Pronti sempre a dare una risposta a chi vi domanda ragione della speranza che è in voi”. 

E qui usa λόγον per parlare di ragione, quindi il nostro compito è portare ragione, portare fonti, portare prove. 

Va bene, queste cose alle volte nella nostra vita umana succedono e sono anche occasioni per crescere un po’ in umiltà, per crescere anche nella semplicità e soprattutto sono occasioni per offrire a Dio, perché uno certo ci rimane male, dispiace, ma non tanto perché uno viene contraddetto in modo errato, ma dispiace perché sarebbe bello vederci tutti “alla ricerca di” e non ideologizzati o lancia in resta a combattere crociate che magari non esistono, come Don Chisciotte con i mulini a vento, quindi non vediamo nemici dove non ci sono, perché non ci sono nemici, il tema non sono i nemici. 

Vediamo le persone e vediamo quello che dicono, come vi ho già detto, citando San Tommaso — adesso a memoria non me la ricordo più, ma quando vi ho fatto quell’omelia vi ho citato la quaestio, adesso non me la ricordo e vado a memoria, non sto citandolo precisamente — quando lui diceva che persino dai demoni noi possiamo apprendere la verità. Non so se sono un demonio, spero di no, di non essere addirittura arrivato questo livello di corruzione, comunque sentite, non lo so, magari lo sarò e pregate per me e per la mia conversione. Comunque, se anche lo fossi, vi dico: se dico almeno ogni tanto un briciolo di verità, prendete quel briciolo, il resto buttatelo via. 

Mi scuso per avervi rubato tanto tempo oggi, sono stato molto lungo, più del solito, più del dovuto, ma ci tenevo a fare questo discorso sul “portare ragione”, “portare fonti”, perché altrimenti ricadiamo nella Prima lettura di oggi, in questo atteggiamento ideologico, chiuso, gretto, sciocco, che poi sta alla base dell’invidia, o l’invidia sta alla base di questo, boh, deciderete voi, e poi alla fine si covano sentimenti brutti, come quelli del Sinedrio verso gli apostoli, che li vogliono mettere a morte. Non portiamo mai questi sentimenti nel cuore, chiediamo al Signore di andare oltre. 

Ecco io, ripeto, non conservo nessun rancore verso queste persone e sono sicuro che l’avranno fatto con le migliori intenzioni, forse non hanno letto, hanno letto poco o si son fidati di ciò che è stato riferito. Ecco, non lo so. Comunque, credo che lo capiate, anche se non mi vedete in volto, dalla voce credo che capiate che non ho proprio alcun rancore.

Credo proprio che siano occasioni belle che abbiamo per crescere, anche se possono essere fonte di un po’ di sofferenze. Queste cose ci fanno davvero crescere, se vissute bene, e ci hanno dato anche l’occasione — a me e a voi — di fare questo approfondimento e coniare questo nuovo motto λόγον διδόναι,  che nuovo non è, perché risale ai tempi di Socrate, quindi è abbastanza vecchio.

Quindi da adesso, se dovesse scapparmi di citarvi qualcosa e non metto la fonte, me lo fate presente che così sarà mia premura andare a cercarla o citarvela la volta dopo, perché purtroppo anche a me sfuggono, alle volte, le cose. Ci sto molto attento su questo, sono sincero, perché ci tengo molto a essere preciso. Di solito, quando non cito la fonte, ve lo dico, vi dico: “Guardate, non mi ricordo più dove l’ho letto, non mi ricordo magari neanche il Santo”, ve lo dico, perché mi viene in mente in quel momento, “Mi ricordo questo”, poi magari qualcuno lo va a cercare, lo trova e lo mette nei commenti. Ecco, vi ringrazio, però abbiate pazienza, ma non sono un computer, e non ho un computer davanti a me; quindi, alle volte dovete prendere un po’ il bello della diretta, con semplicità e accettando la povertà di questo strumento.

Di cuore vi benedico, vi abbraccio tutti, anche queste due persone, e vi auguro una Santa Giornata.

 Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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