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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 45

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Martedì 28 febbraio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

PRIMA LETTURA (Is 55, 10-11)

Così dice il Signore:
«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 28 febbraio 2023. 

Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo cinquantacinquesimo del profeta Isaia, versetti 10-11.

Oggi ho pensato di introdurre una piccola novità: all’inizio di ogni meditazione leggerò un brevissimo testo tratto da Diario Spirituale di Edvige Carboni, una laica beatificata il 15 giugno 2019 che si festeggia il 4 di maggio. Non so quanti di noi conoscano questa figura, però ve la consiglio, se non la conoscete, vi consiglio di approfondirla, assolutamente: su Internet trovate la sua storia. 

 Leggerò un testo tratto dal suo Diario Spirituale (essendo stata beatificata, è una figura assolutamente “garantita”, diciamo così): si tratta di pensieri brevi ma molto intensi.

(27 maggio 1941) Gesù mi ha detto alla Santa Comunione: “Figlia mia, come sono triste, vedendo che tanti miei sacerdoti peccano anche sopra l’altare. Il mondo è bagnato di sangue e bagnato di lacrime, eppure loro non riparano il mio cuore addolorato che con la più nera ingratitudine. Dì al tuo confessore che con le sue fervorose preghiere ripari le offese che quotidianamente ricevo da tanti miei amici”.

Ecco, il pensiero di oggi, tratto dal Diario di Edvige Carboni, è rivolto a noi sacerdoti: “peccano anche sull’altare… la nera ingratitudine le offese quotidiane“. Allora ripariamo e preghiamo tanto per i sacerdoti e, se qualche sacerdote ascolta questa meditazione: riflettiamo! Riflettiamo se, per caso, anche noi siamo tra costoro; pentiamoci, confessiamoci il più presto possibile e cambiamo vita con una profonda, vera e sincera gratitudine e soprattutto santità.

Continuiamo la nostra lettura del bel testo di Bonhoeffer, Vita Comune e leggiamo.

Ricordate che ieri abbiamo terminato parlando dell’altro come immagine estranea, addirittura non riferibile a Dio. Bonhoeffer però dice che:

Dio crea l’altro a immagine del proprio Figlio, il crocifisso, e anche questa similitudine mi risultava quanto mai estranea e non riferibile a Dio, finché non ne ho colto il senso.

Adesso vediamo quale sia il senso.

In questo modo la forza e la debolezza, la vivacità o l’inerzia intellettuale, la ricchezza o la carenza di doti, la devozionalità o la sua mancanza, tutta la gamma delle differenze fra gli individui che costituiscono una comunità, non sarà più motivo per parlare, giudicare, condannare, dunque per cercare la propria giustificazione, ma viceversa sarà motivo di gioia e di servizio reciproco. 

Capite? Anche la debolezza, l’inerzia intellettuale, la ricchezza o la carenza di doti, la devozionalità o la mancanza di devozionalità, tutte le differenze tra coloro che fanno parte di una comunità (c’è chi è più in un modo; chi più in un altro; chi è più in un senso e chi è più in un altro), tutto questo non sarà più motivo di giudizio o di condanna — non hai bisogno di giustificarti condannando gli altri —, ma sarà motivo di gioia e di servizio. 

Ricordiamo l’incipit di ieri: la disciplina della lingua, il digiuno della lingua. Questo è tempo di Quaresima e non sarebbe una brutta cosa impostarla su un digiuno serrato, fortissimo, su una disciplina serrata e fortissima della lingua! Non dà nessun danno alla salute, non crea nessun danno al corpo, anzi.

Il vedere la diversità, anche quella in negativo, ad esempio vedere una minore pietà verso Dio, sarà motivo di gioia e di servizio.

Anche ora ad ogni membro della comunità è assegnato un posto determinato, ma non più quello che gli consentirebbe di imporsi meglio, bensì quello che gli permette di svolgere nel modo migliore il suo servizio. 

Ricevi un posto, hai un posto che non ti serve per importi, ma per servire.

In una comunità cristiana la cosa più importante è che ognuno sia un anello indispensabile di una catena. Questa non potrà spezzarsi solo se anche l’anello più piccolo terrà saldamente. 

In una comunità tutti devono sentirsi indispensabili, tutti! Non c’è qualcuno che sia meno importante degli altri e per cui si possa dire: “Se non c’è questo, cade il mondo; se non c’è quello, non si accorge nessuno”. No: non è così! Altrimenti si spezza la comunità, si divide, non è più una comunità, perché è fondamentale che anche l’anello più piccolo tenga saldamente, questo è essenziale. Quindi bisogna avere cura affinché ognuno abbia il suo posto, affinché ognuno abbia anche qualcosa da fare.

Ad esempio: in una comunità cristiana come una parrocchia (immaginiamo) ci sono cento ammalati, cento persone allettate, che non possono uscire di casa e di cui trenta sono malati terminali. Sono inutili alla comunità, a che cosa servono? Non possono fare l’oratorio feriale, aiutare i poveri, aiutare il parroco, leggere in chiesa, pulire l’oratorio, a che cosa servono? Anzi, sono un peso, perché bisogna andare a confessarli, bisogna portare loro la Comunione, bisogna andarli a visitare, insomma è tempo che corre io potrei essere qui a stare con in giovani, correre con i ragazzi, fare tante cose, no?

Se io sacerdote, se io comunità ragiono così, la comunità non c’è più: è già finita! 

Ognuno ha il suo posto e allora io sacerdote dovrò insegnare, innanzi tutto alla comunità e poi ai malati, quale sia il loro posto: il loro è un posto fondamentale. Potremmo dire che i malati sono i “frangi-flutti”, coloro che evitano al fluttuare del mare il disastro sulla comunità; hanno un ruolo di protezione, di intercessione, di supplica, di offerta: per la comunità il loro è un posto essenziale. Se loro non svolgono questo compito, se la comunità non lo riconosce e non è grata a loro, le acque limacciose del mondo, dell’inferno, si scateneranno su quella comunità e non c’è speranza di salvezza. La speranza di salvezza è circondarsi di queste anime sofferenti che offrano la loro preghiera per le varie necessità.

Ad esempio, se ho dieci ammalati, a uno affido la preghiera di intercessione per tutti i bambini delle elementari; a un altro affido la preghiera di intercessione per tutti i sacerdoti, per il parroco, il coadiutore e via di seguito; a un altro affido la preghiera di intercessione per le famiglie in crisi nella comunità e via di seguito. Vedete? Uno scopre quanto sia indispensabile. È un po’ quello che abbiamo letto oggi nel Diario di Edvige Carboni: tu offri la tua sofferenza per la santificazione dei sacerdoti di questa comunità, perché siano santi, protetti: anche l’anello più debole, a questo punto, terrà saldamente. Quindi io non sono un peso da gestire, ma una ricchezza da amministrare: è diverso!

Quindi gli “anelli deboli” vengono coinvolti attivamente, non per una sorta di buonismo, ma perché è necessario, è giusto ed è vero che sia così.

Una comunità che lasci inutilizzati alcuni suoi membri, troverà in questo la causa della sua rovina. 

È così! E ci sono molte ragioni per cui non vengano utilizzati i membri della comunità: perché non la pensano come la penso io; perché non “mi lisciano il pelo”; perché non mi sono simpatici; perché non fanno quello che io voglio. Ci sono mille ragioni! Basta: questa comunità è rovinata alla radice, è come un dente cariato. 

Tutti i membri della comunità devono avere un posto, il loro e non quello che io do a loro: non sono io che amministro i posti. È Dio che lo fa, ognuno con il suo talento e con il suo dono: ci sarà chi suonerà in chiesa; chi canterà; chi farà il catechismo; chi leggera; ci sarà chi è bravissimo a stirare. Ci sono delle mamme, delle nonne che hanno mani d’oro a stirare, a ricamare, a rammendare. Perchè non utilizzare questi doni? Ci sono delle suore, magari anziane, perché non coinvolgerle? Magari può darsi che siano un po’ malate, ma non sono inefficienti, non hanno centoventi anni: ci sono suore – io ne conosco – che, anche se sono un po’ malate, anche se sono un po’ avanti negli anni, sono arzille, piene di gioia, di voglia di fare e non aspettano altro. Invece magari, vengono messe un po’ da parte con la scusa che sono anziane, un po’ malate: “Stai lì!” — “A far che cosa?” — “Niente! A fare quattro stupidaggini!” Perchè? Perchè non coinvolgere anche loro?

Invece sì, invece sarebbe bello. Ricordo ancora quelle suore di quegli Istituti — ce ne sono pochi, ma ce ne sono ancora — dove magari fanno accoglienza ai bambini dell’asilo: i genitori, disperati, distrutti dagli impegni e dalle cose, devono magari uscire presto al mattino, ma l’asilo apre tardi per loro e alla sera oggi avere una famiglia può essere veramente un martirio, non per la famiglia in sè, ma per il mondo dove la famiglia è collocata e che sembra essere tutto un anti-famiglia. 

Queste mamme e questi papà che devono correre come delle fionde lanciate. Ricordo una suora che mi diceva: “Guardi, Padre, noi dovremmo aprire alle sette e mezza, ma ci sono i genitori che ci chiedono: “Suora, per favore ” e allora apriamo alle sei, e alle volte ci sono già genitori che sono di corsa con i bambini in braccio che ancora dormono e noi li prendiamo; poi alla sera, verso le cinque, cinque e mezza dovremmo chiudere, ma questi genitori ci chiamano: “Suora, come faccio? Non riesco, sono imbottigliato nel traffico, c’è stato un incidente, ho avuto un ritardo sul lavoro, mi aiuti, la prego”. E allora noi, Padre Giorgio, stiamo qui fino alle sette, alle otto ad aspettarli. Che cosa dobbiamo fare? Non possiamo mettere i bambini sulla strada!”. 

Vedete queste suore belle, sante? Però non si dicono queste cose: si parla solo del male di questo mondo, ma ci sono queste donne totalmente date a Dio che sono capaci di un cuore grande, che salvano queste famiglie, che le aiutano con questi begli atti di eroismo, perché, sapete, stare con i bambini dalle sei del mattino fino alle otto di sera non è poca roba! Le suore diventano un po’ come una seconda famiglia per questi bimbi! Che sostegno diventano per queste famiglie! 

Ognuno ha un posto importante! Ognuno deve essere utilizzato, anche quello in stato terminale, anche lui. Si deve andare da lui e dire: “Noi abbiamo bisogno di te”, perché è vero che abbiamo bisogno di te, della tua sofferenza. Non puoi “fare” più niente? Stai soffrendo? Offri la tua sofferenza, è fondamentale! Affida alla tua sofferenza la mia predicazione, il mio dovere, tu diventa le mie gambe, dammi le ali con le tue preghiere, tu mi dai le ali, la sapienza, la forza per predicare. È fondamentale avere delle anime che offrono la loro sofferenza per questi motivi.

Sarà bene quindi che ognuno abbia anche un incarico specifico per conto della comunità …

Se Bonhoeffer fosse ancora vivo, andrei da lui e gli direi: “Grazie! Grazie perché ha scritto cose belle e vere!”.

… in modo da sapere, nell’ora del dubbio, di essere anche lui utile e capace. 

Il dubbio arriva a tutti, il dubbio in questo caso è tremendo! E qual è il dubbio? “Ma io a che cosa servo?” Questa è una delle tentazioni più tremende che ci possano cadere addosso: nessuno ha bisogno di me; io a che cosa servo? Io sono inutile; io sono incapace; in questa comunità, in questa chiesa servo a niente, quindi? Quindi me ne vado, non vado neanche più a Messa. In questa comunità non servo a niente, non sono capace di niente, non servo niente ai fratelli, quindi non servo niente neanche a Dio. Questo è il diavolo che, con la sua tentazione terribile, fa scacco matto. 

Così la gente regredisce, le persone involvono, si ripiegano su loro stesse, si atrofizzano, perdono la voglia e la capacità diventano come rimbambite!

Quando non ero impegnato con gli studi c’era sempre qualcuno che chiedeva:

 “Padre, ma io no so che cosa fare”

E dicevo sempre loro:

“Non sai che cosa fare? Ma vieni da me! Vieni da Padre Giorgio!”

“Ma io non so fare niente!”

“Non sai fare niente? Ma io sono un talent scout, non temere!”

“Padre, ha bisogno di una mano?”

“Di una mano? Ma io ho bisogno di una mano, di un piede, di tutto! Dammi un ditino, e poi vedrai che cosa succederà nel giro di un mese!”

Tutti abbiamo qualcosa da fare, davvero. Io credo, l’ho sperimentato, che il compito di un sacerdote sia quello di essere un maestro d’orchestra, dove lui non suona niente, nessuno strumento, semplicemente dirige. Ognuno ha il suo strumento, questo è il suo compito, non quello di accentrare il potere, gli incarichi: “Sono capace solo io; faccio bene solo io; sono bravo solo io; sono intelligente solo io”. Per amor del Cielo! 

Quando dicono: “Chi è capace di fare questa cosa? Non c’è nessuno che è capace di fare questa cosa, quindi la devo fare io”. Ma stiamo scherzando? Questo vorrebbe dire che la Provvidenza non è capace, che tu sei più grande e più bravo della Provvidenza che ti ha messo intorno una comunità di incapaci, di imbecilli dove tu spicchi come il corvo tra le galline? Sì, ma resti un corvo.

L’ora del dubbio è possibile e la si può vincere solo con un incarico specifico, dando a ciascuno un compito legato ai doni che Dio gli ha dato: noi siamo veramente degli scopritori dei talenti, non che abbiamo dato noi, ma che Dio ha dato. Noi dobbiamo capire quale sia, ognuno ha il suo.

I nonni che sono a casa da soli e non sanno che cosa fare… Per amor del Cielo, quanti giovani hanno bisogno di “nonni adottivi” che tengano i bimbi perché, magari, non possono permettersi l’asilo! Ma quante cose si possono fare; quanto bene si può fare a questo mondo, anche alla fine della nostra vita. 

I sacerdoti anziani sono una ricchezza! “Vado in pensione”, ma quella del sacerdote è l’unica “professione”, diciamo, che non va in pensione: vanno in pensione il chirurgo e l’ingegnere. Il sacerdote non va in pensione. I sacerdoti muoiono lavorando: è così. E non dobbiamo prenderli e parcheggiarli nell’ospizio, no! Perchè? Non possono dedicarsi alla Confessione e alla Direzione Spirituale dei sacerdoti giovani? Quale ricchezza! Hanno tempo, ti possono ricevere in ogni momento; puoi andarli a trovare quando vuoi; puoi stare a parlare con loro per ore perché non devono andare a fare chissà che cosa. Sono lì a tua disposizione; li fai solo felici e loro saranno contenti di arrivare a fine giornata e dire: “Sono felice: oggi ho aiutato due sacerdoti giovani!”. E poi li coinvolgi, fa venire loro la voglia di vivere! “Padre, mi dà l’appuntamento?” , “Sì, sì, vai, vai: ti do l’appuntamento per giovedì prossimo!”. Loro hanno la loro agendina con su tutti gli appuntamenti e poi li guardano, si preparano (non sono come noi ) e ti aspettano: “Dunque, fra una settimana deve arrivare Giorgio, poi Padre Enrico, poi Padre Massimo” e stanno lì e li riguardano perché hanno il tempo di farlo e viene loro voglia. Fanno le crocette sui giorni, vedono, aspettano, attendono. Ti aspettano, eh?

Ricordo un sacerdote anziano che, se sapeva che sarebbe dovuto arrivare un sacerdote giovane, lasciava la porta aperta, usciva a vedere. Quell’altro, come al solito, arrivava di corsa, trafelato con l’auto a pieni giri, che inchioda perché è in ritardo… (scene di vita quotidiana)  scende dall’auto con il maglione al contrario, con le scarpe slacciate, dimentica l’auto aperta (è la vita dei preti giovani!) e il sacerdote anziano che cosa faceva? Gli lasciava la porta aperta, lo aspettava per riceverlo, per confessarlo e poi il sacerdote giovane scappava via perché poi ci sono la parrocchia, i giovani, i ragazzi, le Confessioni, le Quarant’Ore… 

E questi sacerdoti anziani fioriscono, tu dai un senso alla loro vita, li fai sentire utili e importanti perché lo sono. E così il dubbio non viene e, se viene, va via. È brutto sentire gli anziani che dicono: “La mia vita non serve più a niente; non servo più a nessuno; sono inutile”. Questa è una tentazione terribile.

Ogni comunità cristiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma che anche questi ultimi non possono essere senza i deboli. 

Tutti abbiamo bisogno di tutti: non c’è nessuno che abbia meno bisogno di altri! Tutti abbiamo bisogno di tutti! E adesso sentite quest’ultima frase: ci sarebbe da fare sentenza da scrivere e mettere sulla porta.

L’esclusione dei deboli è la morte della comunione.

Rileggo:

L’esclusione dei deboli è la morte della comunione.

È esattamente quello che fa il mondo, per esempio, con l’eutanasia; per esempio, con l’esiliare quelli che, secondo me, non fanno e non dicono quello che voglio io e come voglio io! Pensate a quello che ha vissuto Padre Pio quando è stato sospeso a divinis per tre anni, esiliato nella sua cappellina e nella sua cella ma, come lui, tanti altri. San Giovanni della Croce è stato nove mesi in galera esiliato dai frati e via di seguito.

L’esclusione dei deboli è la morte della comunione: non escludiamo nessuno e, più uno è debole, più dovremmo tirarlo dentro.

Prima di concludere, vorrei dire una cosa che ieri non ho detto e che riguarda più l’argomento di ieri che quello di oggi, però la voglio dire.

È una mia riflessione sulla mormorazione (che significa: dico il male vero che una persona compie), sulla calunnia (che significa: invento il male e lo attribuisco a una persona) e sul parlar male. (Per inciso: guardate che la calunnia è un peccato mortale contro la carità: chi calunnia non può andare a fare la Comunione, bisogna andare a confessarsi. È un peccato mortale contro la carità che bisogna riparare perché uccide moralmente una persona).

Quando ascolto una cosa brutta e grave (non il pettegolezzo stupido che capita di sentire al mercato), soprattutto quando è falsa, quindi una calunnia o anche una mormorazione — perché potrebbe essere vera in parte — non posso stare lì fermo e non dire niente. Devo andare ad avvisare la “vittima”! Deve sapere che cosa sta succedendo. Questo è un mio parere, non l’ho letto da Bonhoeffer: ve lo sto dicendo di mia iniziativa.

Poi mi fanno ridere quelli che te lo riferiscono e dicono: “Mi hanno detto che…” 

“Chi ha detto questa cosa?”

“No, Padre, non posso dirlo”

“Come “non posso dirlo”?”

Ma scusami, quella persona ti è venuta a dire una cosa malvagia, empia contro un’altra persona e tu non gli puoi dire chi l’ha fatto? Ma stiamo scherzando? Magari quella persona si fida, magari tratta quello lì come amico, convinta che sia la persona più onesta del mondo e invece è un Giuda. E tu non la devi avvisare? Stiamo scherzando?

Se quella persona mi è venuta a dire una cosa orrenda su di te, io vengo e dico: “Senti un po’, sai che cosa mi è successo? Mi è successo che il signor Tizio mi è venuto a dire questo e questo su di te. Io non voglio collaborare con questo male, non voglio essere colluso con questa roba, quindi ti avviso e ti vengo a dire di stare attento, molto attento, perché questo è quello che mi è stato detto. Ti riporto tali e quali le parole che mi sono state dette.”

La paura è che il calunniatore / mormoratore venga a dirmi: “Come ti sei permesso di andare a dire queste cose?”.

Ma bisogna rispondergli: “E tu, perché sei venuto a dirmele? Come ti sei permesso di venire a buttarmi addosso il tuo veleno? E io non dovrei avvisare quella persona che tu vai in giro a spargere queste cattiverie allucinanti su di lui (o su di lei)? Ma stiamo scherzando? Tu vai a diffamare le persone e io dovrei fare l’omertoso e girare la testa dall’altra parte? No, caro, facciamo venire a galla tutti i vermi che ti porti dentro; facciamo venire fuori la tua lingua biforcuta; facciamola uscire; riveliamo chi sei, riveliamo che sei un serpente!”

Così la vittima di queste cose avrà per prima cosa la possibilità di difendersi e per seconda cosa potrà farsi due conti su quel soggetto e dire: “No, un momento, allora forse è meglio che…” e poi potrà andarlo a prendere per dirgli: “È vero che tu hai detto questo e questo?”. Bisogna chiedere.

“Ma chi te lo ha detto?”

“Questo non ha importanza”, perché io, ovviamente, copro con il manto della carità chi ha fatto quel servizio di carità. “Non è importante chi me lo abbia detto, ma è importante se ciò sia vero. Tu hai detto queste cose sì o no? Allora ne parliamo, le mettiamo sul tavolo.”

“Guarda, mi dispiace.”

“Eh, no, non basta! Adesso vai a riparare e vai a dire a tutti quelli a cui ha raccontato cose false, che tu hai mentito sul mio conto, che hai detto una marea di falsità, che sei andato a raccontare il male! Adesso vai a riparare la tua diffamazione!”

Sapete che è anche un reato penale? Non posso andare a calunniare e diffamare gli altri a cuor leggero! È un reato anche penale e non semplicemente contro la moralità: si rischia una denuncia, si tratta di cose serie.

Quindi impariamo a non fare i mafiosi, a non fare gli omertosi e a non fare i Ponzio Pilato che si lavano le mani nel sangue degli altri. Se ci sono cose gravi — e non “sai che Padre Giorgio è un goloso e di ciliegie?” lo sanno tutti, è solo un pettegolezzo e ci sta, va bene — se si va oltre alla battuta, se vado oltre al pettegolezzo stupido che non fa danni, che non va a ledere la stima e la fama di una persona — va beh, è un goloso e di ciliegie, speriamo che si converta e cresca in santità anche lui, poveretto! — ma se si tratta di cose gravi devo andare e riferire all’interessato: “Lo sai che il tale dice questo di te? Stai in guardia!”.

“Eh, ma io pensavo che quella persona fosse così brava, che mi volesse così bene ”

“Ehhhh, ti sei fidato della persona sbagliata. Capita! Io vengo ad avvisarti, poi fai quello che vuoi”.

Questo non l’ho detto ieri e ci tenevo a dirlo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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