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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 44

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Lunedì 27 febbraio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

PRIMA LETTURA (Lv 19, 1-2. 11-18)

Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non ruberete né userete inganno o menzogna a danno del prossimo.
Non giurerete il falso servendovi del mio nome: profaneresti il nome del tuo Dio. Io sono il Signore.
Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; non tratterrai il salario del bracciante al tuo servizio fino al mattino dopo.
Non maledirai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore.
Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero né userai preferenze verso il potente: giudicherai il tuo prossimo con giustizia. Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 27 febbraio 2023. 

Oggi festeggiamo san Gabriele dell’Addolorata, patrono dell’Abruzzo e ricordiamo in modo particolare tutto coloro che vivono in Abruzzo, chiedendo loro di affidarci a questo santo che ha segnato così tanto la vita di Santa Gemma Galgani, devotissima a san Gabriele dell’Addolorata.

Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo diciannovesimo del Libro del Levitico, versetti 1-2;11-18.

Questa lettura della Santa Messa di oggi si combina perfettamente con la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Vita Comune: stiamo proprio trattando il tema del rispetto del prossimo che non dobbiamo uccidere con calunnie, cattiverie, maldicenze e quant’altro. Proseguiamo la lettura.

Se si esercita fin dall’inizio questa disciplina della lingua ognuno potrà fare una scoperta incomparabile.

Bonhoeffer la chiama “disciplina della lingua”; siccome noi siamo tanto abituati alla disciplina dello stomaco, a digiuni, a penitenze del cibo, mi verrebbe da dire che un digiuno, una penitenza e una disciplina più fondamentale di quella del digiuno dello stomaco, è quella del digiuno della lingua, il digiuno delle parole e delle cattiverie: questa mi sembra il vero digiuno e la vera disciplina. 

Ricordate quello che abbiamo detto ieri sui pensieri malvagi, sul parlare di nascosto contro il fratello; non solo sul parlare, ma anche sull’ascoltare; sull’apparenza del bene (nel cui nome parliamo male degli altri di nascosto) che, di fatto, copre uno spirito di odio contro il fratello con intenti distruttivi? È proprio la lettura dal libro del Levitico che abbiamo appena ascoltato.

Dunque Bonhoeffer dice: “Se tu ti eserciti fin dall’inizio in questa disciplina del lingua, potrai fare una scoperta incomparabile“. E adesso vediamo: qual è la scoperta?

Riuscirà cioè a smettere di tener d’occhio continuamente l’altro, di giudicarlo, di condannarlo, di inquadrarlo nel posto che a lui sembra gli spetti, di esercitare violenza su di lui. 

 Bonhoeffer parla di “disciplina” della lingua intendendo il non parlare male di qualcuno di nascosto; io parlo di “digiuno” della lingua intendendo il non parlare proprio. Ecco perché parlo di “digiuno”!

Bonhoeffer dice: “Disciplìnati, non parlare male degli altri, non parlar male di nascosto, non ammantarti di false scuse per poi ucciderlo con l’odio”. 

Io, invece, dico: “Facciamo un passo in più: parliamo proprio di digiuno e impariamo proprio a non parlare, a stare zitti su quello che riguarda la vita degli altri, perché della vita degli altri noi non sappiamo proprio niente perché nessuno vede nel cuore dell’uomo. Quindi, se non abbiamo un compito grave di responsabilità, cerchiamo di stare zitti. Perché dovrei parlare della vita degli altri? Io parlo della mia vita: se voglio parlare di qualcuno, parlo di me! Voglio parlare dei peccati di qualcuno? Parlo dei miei! Voglio parlare dei difetti di qualcuno? Parlo dei miei! Voglio parlare delle incompetenze e delle incapacità di qualcuno? Parlo delle mie! Ma sugli altri sto zitto!

Bonhoeffer dice: “Se sarai disciplinato, se farai così” e io aggiungo: “Se farai il digiuno della lingua”, smetterai di tenere sempre d’occhio l’altro, smetterai di guardare sempre fuori di te, di giudicare, di condannare, di inquadrare il fratello nel posto che tu gli hai dato. Noi etichettiamo le persone e le sbattiamo in un loculo che porterà per sempre quella etichetta: noi viviamo di pregiudizi! Se noi consideriamo la tal persona vanitosa, quella sarà sempre la vanitosa di turno, non ha importanza che passino gli anni, che quella persona cambi, che si converta, che si penta, che diventi un’altra persona: no! Così l’abbiamo etichettata e così sarà per sempre!

Il digiuno, la disciplina ti aiuteranno a tenere l’occhio su di te e non sugli altri, quindi a non avere nessun giudizio negativo sull’altro, perché tu stai guardando te stesso e non lui. In questa maniera smetterai di essere violento. 

Questo peccato della lingua, che abbiamo visto ieri, di fatto è una mancanza di carità grave (poi, certo, bisogna guardare l’oggetto): leggete il sermone sulla mormorazione di san Giovanni Maria Vianney e capirete. 

È poi una forma di violenza: quando noi parliamo male di una persona di nascosto, facciamo un atto di violenza contro di lui, lo stiamo violentando; è come se prendessimo questa persona e le tirassimo delle coltellate nella schiena. Se è un nostro amico, se è una persona che si fida di noi, è come se ci avvicinassimo e, mentre apre le braccia per abbracciarci, gli affondassimo un pugnale nel cuore: una vigliaccata peggiore di questa non si può fare! Questo è quello che ha fatto Giuda! 

Stiamo attenti, stiamo molto attenti a noi stessi! Dopo andiamo in giro a fare le marce per la pace; dopo facciamo le preghiere per la pace vogliamo la pace, preghiamo il Rosario per avere la pace, quando abbiamo la lingua sporca del sangue degli altri e le mani sporche di sangue perché ammazziamo le persone con le parole, con la diffamazione, con la calunnia senza avere mai il coraggio di andare a dire in faccia a queste persone quello che pensiamo. Non abbiamo il coraggio di aprirci a un confronto e dire a noi stessi: “Io penso che questa persona sia così. Ma posso sentire questa persona che cosa ha da dire di sé?” Perché non posso andare a dire: “Io mi sono fatto questa idea: tu che cosa hai da dirmi?”. “Ma con quella persona non si può parlare!”. Tu prova! Poi, se ti risponderà male, potrai dire che con quella persona non si può parlare, ma tu prova! 

Non dobbiamo mai cedere a questi sistemi infernali e, se non hai il coraggio, allora taci: non devi dire niente di male di quella persona! Visto che tu ti sei sottratto al confronto, non hai avuto il coraggio (che viene dall’umiltà e dalla verità) di andare a esporre ciò che ti sembra vero di quella persona, allora stai zitto e non potrai mai dire niente di male, perché altrimenti tu avrai fatto un atto di violenza. È come se avessi tirato un pugno in faccia a quella persona, è come se tu l’avessi buttata a terra, come se tu l’avessi fatta cadere, è la stessa cosa! È come prendere un coltello e puntarglielo nella schiena: uguale!

Perché? 

Non credo di esagerare, ma il 90% di tutte le diatribe, i dissidi e le liti intestine che ci sono sfumerebbero nel nulla, se ci fosse il coraggio della verità: di andare, chiedere e aprirsi a un confronto. Sfumerebbero nel niente e vedremmo che l’artefice di tutto questo è il diavolo!

Se la persona ha fatto la penitenza della lingua…

Ora riesce a riconoscere il fratello nella sua piena libertà, così come Dio glielo ha posto davanti. 

Se hai mantenuto la disciplina della lingua, hai rinnegato i pensieri malvagi e, ancora di più, se ti sei esposto a un cammino di verifica e di verità con l’altro, tu finalmente lo potrai vedere per quello che è, nella sua libertà, perché quel fratello lì – è questa la questione nodale – lo ha messo nella tua vita Dio: è questo il problema. E se Dio te lo ha messo, c’è una ragione.

La visione si amplia, e con sua sorpresa è in grado di riconoscere nei suoi fratelli, per la prima volta, la ricchezza e la gloria della creazione divina. 

Capito? Per la prima volta vede ricchezza e gloria, non vede sempre il male! 

“Hai fatto; hai detto; sei ipocrita; sei quello e sei quell’altro”

Al contrario, vede per la prima volta l’altro nella sua bellezza e nella sua verità, nella sua gloria.

Dio non ha fatto l’altro come avrei voluto configurarlo io.

L’altro non è fatto a immagine e somiglianza mia; è fatto a immagine e somiglianza di Dio! Dio ha formato e plasmato l’altro – e poi la sua storia lo ha ulteriormente plasmato – in modo diverso da come lo voglio io! 

Ecco perché i matrimoni spesso falliscono: a un certo punto, una domenica mattina, uno si sveglia, guarda l’altro e dice: “Ah, ma tu non sei quello che io pensavo che tu fossi!”.

“Ma chi ti aveva detto e chi ti aveva assicurato del fatto di avere un clone accanto a te? Io non sono il tuo clone, sono tuo marito e non sono fatto a tua immagine e somiglianza! Non sono il prodotto dei tuoi sogni, capito? Io non vivo in una fiaba! Io vivo in carne e ossa. Grazie al Cielo, sono una persona diversa da te e, soprattutto, non sono la proiezione riuscita di quello che tu volevi che io fossi! Chi mi ha formato, l’ho incontrato prima di incontrare te. Tutta la storia da cui vengo viene prima di te!”.

In un fidanzamento che cosa c’è che conta? Invece di anticipare i passi e fare ciò che non va fatto (perché è proprio fuori tema, perché non rende la ragione di quello che ora vi dico, non si possono aver i fichi a dicembre!) contano la conoscenza, il dialogo, la comunicazione. Di che cosa? Di quello che io sono, non di quello che tu vuoi che io sia. Cominciamo a parlarci e a dirci chi sono stato io in questi vent’anni, da dove arrivo, le esperienze che ho fatto, chi sono io dentro di me, fuori di me, quello che io voglio essere, quello che per me è importante! 

“Ma sei io faccio così, rischio di perdere l’altro!” 

Ma questa è l’unica strada per avere veramente la presenza dell’altro e che sia una presenza vera e non un artefatto. Altrimenti l’altra persona, invece di amare me, ama la proiezione di me, ma non ama me.

Stiamo attenti a vivere la vita come Avatar: piace a tutti chiudersi in una macchina e proiettarsi in un mondo fantastico dove sono alto, bello, slanciato; dove sono un guerriero; dove volo sui draghi, faccio le cose più incredibili, combatto contro i cattivi, salvo l’albero della vita, parlo con le anime… bellissimo! Ma non è reale! La tua realtà è quell’uomo sulla sedia a rotelle, quella è la tua realtà! Infatti, perché poi avvenga il passaggio dall’uomo reale sulla sedia a rotelle al sogno, con la consegna definitiva in questa altra realtà, che cosa ci vuole? La morte! Ci vuole la morte fisica della persona, di quel soldato sulla sedia a rotelle e quindi l’intervento della realtà soprannaturale e il passaggio nel mondo fantastico. Va bene, ma quello deve essere morto! 

Non si può tenere il piede in due realtà: non esiste o l’una o l’altra! O stai in questo mondo, o stai in un altro mondo. Quindi non è che, per venire a parlare con me, l’altra persona che mi sta davanti deve entrare nella capsula e fare la trasmigrazione per diventare l’Avatar, no! 

Noi, invece, facciamo così: quando andiamo fuori con il nostro micio-micio a fare i cuori di panna, io che cosa faccio? Mi infilo nella capsula, attivo e faccio la trasmigrazione e divento l’Avatar tutto azzurro! Sì, ma quello non sono io! Quello non sono io! Noi non dobbiamo entrare in nessuna capsula, dobbiamo stare fuori dalle capsule! 

Io sono questo, vengo da qui e ho questa storia: non vado bene? Tu capisci che non va bene? Bene: saluti e baci, arrivederci, fine! Ognuno per la sua strada, ma almeno ho incontrato persone reali!

La mia ragazza è credente, per cui adesso tutti i giorni dico il Rosario; la mia ragazza è credente, per cui sono vent’anni che non vado a Messa e adesso vado a Messa tutti i giorni, inizio a fare il digiuno… 

Ma questo non è lui! Infatti, quando vi lascerete, lui sarà peggio di prima perché avrà anche l’odio verso queste cose che ha fatto! Non è frutto di un cammino: è che, siccome tu lo vuoi azzurro, lui si infila nella capsula e diventa l’Avatar, ma non è lui, non è la persona.

“No, ma io lo cambio!”

Sì, disse l’eroina al tossicomane: “Ma io lo cambio!” Certo!

“Dai, facciamo così: tu diventi la mia droga e io divento la tua droga. Droghiamoci insieme l’uno dell’altro!” Una bellezza! Sai che vita? Una cosa meravigliosa! Due dipendenti l’uno dall’altro, un futuro! Io vedo un futuro qui davanti!

Non me lo ha dato per fratello, allo scopo di farmelo dominare, ma perché al di sopra di lui io ritrovi il Creatore. 

Dio non mi ha dato quella persona, chiunque essa sia, perché io la schiacci, la domini, la faccia a mio uso e consumo no, ma perché, incontrando l’altro, io vedo Dio e penso a Dio che lo ha creato, non ad altro!

Nella sua libertà di creatura ora l’altro è per me motivo di gioia, mentre prima lo era di fastidio e di pena. 

Tutto dipende dal fatto che valga quello di cui si parlava all’inizio: la disciplina della lingua, il digiuno della lingua e dei pensieri. Allora io vedrò l’altro come motivo di gioia. Certo! 

Quando vi dicevo: “Aprite le vostre case; fate entrare le persone; vivete la domenica insieme, fate fraternità, chiamatela come volete, fate amicizia, fate qualcosa. Non fate diventare le vostre case come loculi di morte; non fatele diventare bare: metteteci dentro vita; fate girare la vita! State insieme: imparate e vedere l’altra persona come motivo di gioia!”.

Poi, va bene, c’è quello più pasticcione e quello meno pasticcione, va bene. Quello pasticcione per dieci volte lo sopporterai e all’undicesima gli dirai: “Pasticcione, pasticcione, pasticcione, pasticcione!”. Quando gli avrai detto cento volte “pasticcione”, basta! Che cosa devi fare? Ci sta che qualche volta perdi la pazienza, non è che l’altro debba sempre essere motivo di gioia e di gaudio e di letizia: arriverà la volta in cui dirai: “Basta! Non ne posso più!”. Anche Gesù lo ha detto: “Fino a quando resterò con voi, fino a quando dovrò sopportarvi!” Che peso! Bene, ci sta anche questo, però, intanto, siamo dentro in un flusso di vita 

È come quando al mare arriva l’onda e la schiuma ricca di ossigeno con tutte bollicine ti viene addosso! Va bene! Qualche volta prenderai qualche botta; tutta quell’onda ti farà andare l’acqua nel naso, ti farà fare le capriole, ti butterà un po’ lì, va bene! Però, che sensazione di vita, di salsedine, di iodio, di mare, di bello! Preferite lo stagno con i girini e i rospi? Lì non c’è l’onda, ci sono solo la mucillagine, lo schifo. Preferite quello? 

E in tutto questo, alle volte, ci sarà anche la fatica. Quando vedrete uno che combina qualcosa, direte: “Eh, che cosa ti devo dire? Sei un pasticcione”. Basta, che ci vuoi fare? Ci sarà sempre qualcuno che è più pasticcione di altri e ce ne faremo una ragione: avrà anche lui o lei la sua bellezza (pasticcione sono anche le ragazze, non solamente i maschi!). Sarà anche un po’ motivo per sorridere: ogni tanto ci devono essere questi tipi un po’ così, un po’ alternativi, diciamo così!

Sentite che cosa dice adesso:

Dio non vuole che mi configuri l’altro secondo l’immagine che piace a me, cioè secondo la mia propria immagine ma, al contrario, nel renderlo libero nei miei confronti, Dio lo ha fatto immagine di se stesso.

L’altro non è il mio clone. Noi dobbiamo spaccare la macchina fotocopiatrice umana e dobbiamo metterci nella testa che l’altro lo incontro solamente nella libertà, solo lì; solo dentro a una grande dinamica di libertà. Quando l’altro è veramente libero di dire sì e di dire no, allora io veramente lo posso incontrare, perché Dio non vuole che io lo faccia a mia immagine e somiglianza. Lo ha già fatto Lui. L’altro non deve diventare il vitello d’oro, il mio idolo: l’altro è l’altro e deve stare al suo posto, quello che gli ha dato Dio, nella sua libertà! 

Non posso mai sapere anticipatamente come risulti l’immagine di Dio nell’altro, ma comunque si tratta sempre di qualcosa di nuovo, di una figura che si fonda solo sulla libera creazione di Dio. Potrebbe sembrarmi un’immagine estranea, addirittura non riferibile a Dio. Ma Dio crea l’altro a immagine del proprio Figlio, il crocifisso, e anche questa similitudine mi risultava quanto mai estranea e non riferibile a Dio, finché non ne ho colto il senso.

Ecco, domani vedremo che cosa significhi “coglierne il senso” e vedrete che bello!

Quindi: c’è sempre qualcosa di nuovo nell’altro, in ciascuno di noi: c’è sempre bisogno di imparare. Diciamo così: noi dobbiamo essere per l’altro come Cristoforo Colombo è stato per le Americhe. Noi dobbiamo sempre partire per la scoperta delle Americhe, sempre! 

“No, ma non c’è niente; è una follia; morirete tutti nel viaggio.”

“Va beh, va beh, la rischio lo stesso. Sono uno scopritore di novità: voglio scoprire le bellezze e le novità dell’altro! Con tutto quello che porta dentro; certo, ci sarà anche qualche spina, va bene!” 

Ce l’ho anche io qualche spina, che cosa dobbiamo fare? Chi mi prende, prende Padre Giorgio e le sue spine. Tutti abbiamo le nostre spine! 

E l’altro “potrebbe sembrarmi un’immagine estranea” e farmi dire :“Mamma mia, ma quanto è diverso!” oppure “Ma quanto è lontano da Dio, questo!”.

Ma, Bonhoeffer dice, io ho scoperto che questo ha un senso; qui bisogna cogliere un senso. Dio ha fatto l’uomo a immagine del proprio Figlio Crocifisso, no? Quindi qual è il senso di questa estraneità dell’altro, questo suo non essere riferibile a Dio, questo suo sembrare così fuori da me? C’è un senso!

Domani lo vedremo!

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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