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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, XIX parte

B. Conchita Cabrera De Armida

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di domenica 8 agosto 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, XIX parte

Eccoci giunti a domenica 8 agosto 2021. Festeggiamo oggi San Domenico, Sacerdote. Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi tratta dal primo Libro dei Re, capitolo XIX, versetti 4-8.

Forse anche nella nostra vita ci sono momenti in cui desideriamo morire, nei quali desideriamo sparire dalla scena di questo mondo, perché siamo stanchi, perché siamo delusi, avviliti, disperati, sofferenti e quindi tante volte anche noi diciamo: “Ora basta Signore, prendi la mia vita”.

Forse delle volte siamo un po’ immaturi. 

“Perché io non sono migliore dei miei padri” 

Ci avviliamo, facciamo i confronti. Ci addormentiamo sotto la ginestra. Ognuno di noi ha la sua ginestra sotto la quale dormire, quasi per dimenticare, per non pensare, ma poi arriva l’Angelo del Signore che ti dice: “Alzati e mangia, forza”.

E noi ci corichiamo di nuovo perché vogliamo morire sotto la ginestra, ma il passaggio è dalla ginestra al monte Oreb, il monte di Dio.

Noi non possiamo stare sotto la ginestra, noi dobbiamo andare al monte di Dio, l’Oreb, e come si fa? Come si fa a camminare quaranta giorni e quaranta notti solo con la forza di quel cibo?

Semplice!

Tanto semplice a dirsi, quanto difficile a farsi.

Attraverso l’Eucaristia. È Lei la nostra focaccia cotta su pietre roventi, cotta sul fuoco, sulle pietre roventi accese dall’amore del Sacro Cuore di Gesù, lì si cuoce l’Eucaristia.

Il Sacro Cuore di Gesù è il forno dentro al quale viene cotta l’Eucaristia. Dove viene fatta, costruita, pensata, voluta e data l’Eucaristia. 

 

Andiamo avanti con la lettura del libro “Sacerdoti di Cristo” della Beata Conchita Cabrera de Armida. 

Dice Gesù:

“Io cosa proverò al vedere calpestata la meravigliosa grazia della vocazione sacerdotale? Quale ferita profonda è tutto questo per il mio amoroso Cuore!

Sopportare come peso una grazia così insigne?”

Il concetto è che c’è qualcuno, più di uno, per il quale essere Sacerdote è un peso. 

È così. Essere Sacerdote è un peso e tutto quello che riguarda il sacerdozio è un peso. E uno dice: “Ma qualcuno ti ha costretto a diventare Sacerdote?” Se è un peso andare in corsia a curare i malati, non fare il medico, vai a fare l’architetto.

Chi ti ha costretto a diventare Sacerdote? Tutti gli studi che hai dovuto fare, tutte le cose che hai dovuto sopportare, tutte le mete che hai dovuto raggiungere, ma chi ti ha costretto? Nessuno, l’hai voluto tu. E allora perché trattare così male questo dono? 

Purtroppo è così!

“Rinfacciarmi un dono tanto divino? Trascinare per terra una predilezione così ineffabile? 

Vedi a quale punto può arrivare l’ingratitudine di coloro che Io più amo sulla terra? Come il mio Cuore sempre fedele potrebbe non sanguinare a causa di tali infedeltà?”

In questi giorni sto pensando a tutte queste cose, a questo libro che stiamo leggendo, e mi viene la tentazione di non andare più avanti a leggerlo. Ve lo confesso. Non come mia lettura, perché io lo sto divorando e mi piace moltissimo questo testo, e finché non l’ho letto e studiato tutto non lo lascerò mai, ma per voi, forse sarebbe meglio tornare al commento della scrittura dove dico le mie riflessioni. 

Perché? Perché a me sembra che siamo in presenza di una neo-lingua. La neolingua è un nuovo linguaggio. Il linguaggio usato da Gesù in questo libro — ma come in tutti i libri dei Santi — quasi non esiste più oggi. Nessuno più parla così oggi. Nessuno più ascolta queste cose. È come leggere un libro in un italiano antico. Quasi non capisci le parole.

Mentre leggo queste parole di Gesù, io mi immagino alcuni volti, che ti guardano come per dire: “Ma cosa sta dicendo?” 

“Ma è possibile impiegare il tempo per leggere queste cose?”

“Ma cosa interessa a me, ma cosa sta dicendo?”

“Ma che teologia c’è dietro, che ecclesiologia, che morale c’è dietro?”

Il problema è che sono parole di Gesù. Capite, non è un libro interessante di un autore interessante, queste sono le parole del Signore affidate a questa Beata! Uno potrebbe anche non crederci. È liberissimo, ma ciò non toglie che rimangono e io sfido chiunque a dire che queste parole sono false. Tutti sappiamo che sono vere, perché i ragionamenti che fa sono perfetti. Poi magari possono non piacerci, sembrarci esagerati, o fuori luogo o assolutisti, radicalisti, ma sta di fatto che è così ed è vero che c’è questo peso verso il Sacerdozio.

La non voglia di dire Messa, la non voglia di andare a confessare, la non disponibilità all’ascolto, alla predicazione, allo studio e soprattutto alla preghiera, il non stare alla presenza di Dio se non in qualche modo nei tempi in cui siamo costretti a farlo, ma di mia spontanea volontà, quando?

È questo il punto. Quando, da solo?

È proprio un neo-linguaggio, una neo-lingua che viene da una teologia completamente diversa e da una antropologia completamente diversa.

Bisogna essere coscienti di questo, perché non c’è possibilità di un confronto se parliamo due lingue completamente diverse, se veniamo da due padri diversi. Non si può!

Certo poi uno può dire: “A te chi ti dice che il tuo sia quello giusto e il mio sia quello sbagliato?”

No, nessuno. Dico solo che se questo testo, come i testi di Santa Teresa, come i testi di Sant’Ignazio, di Santa Gemma, ti fanno problemi allora c’è un problema, hai un problema. Se questi linguaggi sono per te non buoni, il problema sei tu. Il problema è in te, perché questi testi non dovrebbero farti nessun problema, cioè dovresti dire: “che belli, che veri”.

Mi devo uniformare a queste cose, le devo fare mie, non devo cercare di cambiarle. Non c’è da interpretare, è tutto chiaro. Quindi come si fa a confrontarsi? Non si fa, perché un dialogo in cui uno parla cinese, l’altro il russo, non è molto probabile.

La mia Chiesa piange la perdita dei suoi sacerdoti; Maria ne è profondamente addolorata, ed Io cerco sangue [di anime di- sposte a condividere le mie sofferenze] per cancellare questi crimini davanti al Padre mio celeste, per raddoppiare le mie grazie a quelle anime che si perdono per questo vizio dell’ubriachezza e odiano la loro vocazione.” 

È incredibile veramente. Odiano la loro vocazione e infatti poi l’abbandonano.

“Il rimedio per un sacerdote tentato nella sua vocazione, è pregare, aprirsi al suo vescovo e cercare rifugio nel mio Cuore e in Maria. Il mezzo per guarire sta nella preghiera, nella meditazione delle verità eterne, nella penitenza, nell’avvicinarsi più fiduciosamente a Me, con fede e confidenza, nel lavoro costante. E l’onda avvelenata passerà e la sua anima, purificata, avrà un au- mento di grazia santificante, che non nego mai se mi viene chiesta con umiltà.” 

Questo è il rimedio. Però se non preghiamo, se non meditiamo, se non stiamo sui testi, se non ci mettiamo davanti all’Eucaristia è chiaro che questa onda avvelenata continuerà a travolgere l’anima. Se non cerchiamo rifugio nel Cuore Immacolato di Maria, se non ci apriamo, in questo caso Lui dice con il Vescovo, cioè con il superiore, con qualcuno per averne un aiuto, una luce.

“Che ricorrano allo Spirito Santo, che purifichino la loro anima per scoprire Dio in essa; che rinuncino a se stessi, che vincano se stessi, che ubbidiscano, che si umilino, che invochino misericordia!

Quante anime si allontanano da Me a causa dello scandalo che sacerdoti ubriachi – che non sono stati capaci di vincere tale vizio -, danno loro! Questo peccato ha anche gravi conseguenze, perché non soltanto offende Me, ma fa sì che molte altre anime mi offendano, si allontanino dai sacramenti, parlino male della Chiesa e, persino, perdano la fede. Un sacerdote indegno del nome che porta trascina una catena di anime verso il male. 

Come può consigliare temperanza chi non c’è l’ha? 

Ditemi se queste parole sono fuori asse. Ma sono logiche.

Prendiamo un esempio molto banale: se tu fumi, come fai a venire da me a dirmi che devo essere povero? Tu fumi, che è un vizio molto evidente, è proprio l’espressione paradigmatica dell’inutilità di un vizio. Non c’è niente di più inutile che fumare e non c’è niente di più dannoso che fumare, ma questo è un altro aspetto, perché uno può dire che della sua salute fa quello che vuole. Stiamo su un ragionamento molto di logica. Tu fumi e vieni a predicare a me l’importanza a me di essere temperante. No, non puoi. Vieni a predicare a me l’importanza della povertà, no… perché tu i soldi per fumare dove li hai presi?

Capite bisogna fare i conti poi. 

I soldi per comprare le sigarette dove li hai presi? Da chi? Li hai presi dalle offerte in Chiesa? Ma le persone non danno i soldi perché tu vada a comprarti le sigarette. 

“Ma io ho lo stipendio…”

Sì, ma quello stipendio da dove arriva?

Tu non fai un lavoro come chi va a scaricare ai mercati generali del pesce, quintali di pesce ogni giorno e quindi si porta a casa lo stipendio e ci fa quello che vuole.

Se quei soldi non vengono da quel tipo di lavoro, ma vengono da altro, appunto sempre da queste offerte, sempre dal tuo stipendio che ricevi in quanto Sacerdote, in quanto Ministro di culto, in quanto colui che deve fare certe cose, allora no, poi non venirmi a parlare della Madre terra. Non mi parli della Madre terra, dell’ecosistema, del problema dell’ozono, no perché tu sei fonte di inquinamento dalla mattina alla sera, capisci?

“Come può prendere nelle sue mani indegne il mio Sangue per darlo alle anime, chi lo disonora bevendolo sacrilegamente? C’è chi, a volte, celebra un così alto sacramento come intontito e non totalmente cosciente. Nessuno può capire fino a che punto mi ripugni scendere [sull’altare] su quelle labbra che quasi non sanno ciò che dicono, su mani non pure, in cuori più neri della notte!” 

Guardate che è una radiografia terrificante.

Ma Io, sentendo pronunciare le parole della consacrazione, scendo sempre, opero sempre la transustanziazione, trasformo sempre il sacerdote in Me. 

E cosa provo quando il sacerdote è annebbiato, è incatenato da questo detestabile vizio dell’ubriachezza 

Questi sono martìrii che nascondo nel mio Cuore. Quanto è grande la mia fedeltà nel compiere la mia promessa di scendere sugli altari! Oh amore infinito con il quale mi sono volontariamente vincolato, pronto a ubbidire sempre alle parole del sacerdote che consacra, per indegno che sia! 

Ho sopportato tutto purché l’uomo avesse un Gesù ostia, sacrificato per amore. L’ho sopportato non soltanto in quella notte memorabile nel Cenacolo, [ma nei secoli], crocifisso nel più intimo della mia anima da quegli stessi miei che dovrebbero essere altri Me, e non lo sono.

Ecco io penso che dobbiamo pregare tanto e inabissarci nel cuore di Gesù e dire: “Gesù, portami via. Fammi morire, ma non peccare”.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

PRIMA LETTURA (1 Re 19, 4-8)

In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra.
Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.
Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

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