Omelia sulle letture del giorno
Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di giovedì 12 novembre 2015
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.
Testo della meditazione
Scarica il testo della meditazione
Il cristiano e la sofferenza
Sia lodato Gesù Cristo!
Sempre sia lodato!
Certamente è un mistero molto grande questo atteggiamento di Gesù nei confronti della sofferenza e del rifiuto. Gesù è molto diverso da noi, dalla logica che purtroppo abita anche dentro a noi Cristiani Cattolici, a noi praticanti.
Noi portiamo i crocifissi al collo, portiamo la corona in tasca, portiamo l’anello della decina al dito, facciamo le nostre preghiere, andiamo a Messa, ma, quando arriva la sofferenza, rischiamo di diventare peggio di quelli che non credono.
Non parlo e non penso innanzitutto alla sofferenza fisica, che è pure pesante, difficile, dura da portare, certamente, ma parlo soprattutto della sofferenza spirituale, quella interiore, che credo sia ancora peggio da portare di quella fisica.
In quella fisica, sapete, in un modo o nell’altro, almeno ogni tanto, si riesce ad avere un po’ di requie… una medicina, un farmaco, nei casi più estremi, la morfina, insomma, se mi viene il mal di denti, prendo un antidolorifico. Esiste l’antidolorifico, esistono delle medicine per togliere un po’ il dolore, certo, non è come essere sani, però…
Nell’anima, nello spirito, non esiste l’antidolorifico, non posso dire: «Ho questo tormento terribile nella mia famiglia, adesso stasera mi prendo un antidolorifico dello spirito».
Se ho accanto un marito o una moglie che non mi ama, che non mi capisce, con il quale non vado d’accordo, se ho dei figli che sono la mia disperazione, se ho dei genitori che sono una disperazione, non li posso cambiare! Non posso dire: «Cambio vita, come un serpente che cambia la pelle, per due ore e poi torno nell’involucro, nel bozzolo del bruco». Quel tormento è sempre lì, giorno e notte, 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, non esiste Natale che tenga, non se ne va!
Ma noi, di fronte a questa sofferenza, fuggiamo, in tanti e troppi modi.
Noi abbiamo paura di soffrire, abbiamo paura di essere rifiutati, facciamo delle cose incredibili pur di non soffrire e pur di non essere rifiutati, compiamo le scelte più sbagliate possibili, alle volte diventiamo cattivi per non essere rifiutati e per non soffrire, tradiamo Dio, tradiamo la Legge di Dio; questa è la differenza sostanziale tra Gesù e noi.
Gesù parla spesso della sua sofferenza, non come una tragedia da evitare; questo Glielo propone Pietro e viene tacciato di essere satana, perché ragiona secondo gli uomini.
Gesù ne parla come qualcosa al quale Lui va incontro.
Gesù va incontro alla sofferenza, ne parla ai discepoli — che neanche la vogliono sentir nominare — come un pezzo del Suo cammino, come una tappa fondamentale del Suo cammino, alla quale Lui non vuole sottrarsi e dalla quale non vuole fuggire.
Gesù non vuole fuggire dalla sofferenza! Gesù non rifugge dal rifiuto dei farisei!
Se voi leggete il Vangelo, i farisei sono sempre presenti, sembrano degli spettatori costantemente presenti, attori che interagiscono costantemente con la vita di Gesù.
Non ci sarebbe vita di Gesù se non ci fossero il diavolo, poi gli scribi e i farisei.
È fatta così la Sua vita, una vita continuamente di lotta, di dolore, di rifiuto, di incomprensione e di abbandono.
Non dimentichiamoci che, proprio nell’ora più tremenda di Cristo, Lui viene lasciato solo da tutti, da tutti, tutti! Chi per un verso, chi per un altro, sono via, tutti!
Neppure San Giovanni è lì con Lui, quello che poche ore prima Gli ha messo la testa sul petto, non c’è neanche lui, se ne va via anche lui, e Gesù vive interamente questa solitudine, questo rifiuto, questo abbandono.
Con la Sua vita Gesù ci insegna, se vogliamo, a fare altrettanto.
Ci sono delle volte che ad incontrare alcuni Cristiani, alcuni credenti, quando li vedi arrivare da lontano… Usando l’espressione di Santa Teresa, lei le chiamava le suore afflitte, queste persone afflitte.
Tu le vedi arrivare da lontano… sembra di vedere delle cipolle con le gambe, queste anime piangenti e sofferenti, come se tutti i dolori del mondo li avessero addosso loro; sono sempre nella sofferenza, sempre nel dolore e uno dice: «Ma senti, ma è possibile? Ma tirati un po’ fuori! Chi è che a questo mondo non soffre? Chi a questo mondo non ha delle croci?»
Possibile che siamo sempre lì a lagnarci, a frignare, a lamentarci, ad aver qualcosa da dire, a supplicare per chissà che cosa!
Ma impariamo a viverla questa sofferenza! Impariamo ad assumerla da Cristiani, da discepoli di Gesù, a farla nostra! Santa Teresa di Gesù Bambino nascondeva ogni più piccolo dolore, e noi siamo lì a mostrare… Santa Bernadette Soubirous ha nascosto la gamba che le è marcita e noi siamo lì a mostrare le setoline nelle dita, frignando come dei bambini perché abbiamo male, ma quand’è che diventeremo Cristiani? Quand’è che saremo di Cristo? Quand’è che impareremo a vivere con dignità la nostra sofferenza, a dire: «Questa è la mia croce», «Questa è la mia tappa», «Questo è il mio Golgota»?
Basta! Viviamola con dignità, come ha fatto Gesù!
Una cosa, guardate, che mi ha sempre colpito del Vangelo è questa… Gesù è l’uomo perfetto, è Dio, più perfetto di Lui non c’è nessuno, ma era anche perfettamente uomo, non solo Dio.
Voi andate a vedere nel Vangelo (nel mio non c’è, però magari nel vostro lo trovate), se trovate una riga, una volta, mezza, va bene anche mezza volta, nella quale Gesù dice: «Prega per me!»… non c’è! Non chiede mai di pregare per Lui.
Gesù aveva bisogno di coraggio? Certo! Certo!
Tanto ne aveva bisogno che suda sangue nel Getsemani, tanto era solo che il Vangelo dice: “Coepit pavere, tedere et mestus esse”, cioè era macerato dentro dalla mestizia, dalla paura, era distrutto interiormente, fisicamente, dal terrore di quello che Lo aspettava, tanto che un Angelo Lo va a confortare.
Se noi ci ragioniamo è uno scandalo che una creatura conforti il creatore… che cos’è questa roba? Impossibile!
Lui, la Seconda Persona della Santissima Trinità e va lì l’Angelo a confortarlo… cos’è questa cosa?
Noi dobbiamo riflettere sulle cose! Non è una cosa normale!
Un misero Angelo (fosse magari l’Arcangelo o non so chi), no, un misero Angelo che va lì a confortare Gesù, la Seconda Persona della Santissima Trinità, Colui che è ripieno dello Spirito Santo!
Ma che conforto aveva bisogno Gesù?
Eppure, il Signore, voi non lo sentirete mai dire: «Prega per me!»
Perché?
Non perché Gesù fosse superbo, è una bestemmia, non si può dire questa cosa!
Non perché Gesù, disprezzasse la preghiera, per l’amor del cielo, ma perché Gesù ci ha insegnato a vivere nel modo più elevato possibile il dolore, la sofferenza, e a dire: «Tu, non temere! Mettiti nella logica di dire: “Questa è la mia croce, questa è la mia tappa per arrivare in cielo, l’aiuto arriverà, il conforto arriverà”, ma tu non essere come in un mercato che vai a spandere il tuo dolore ovunque, tu, tienilo per te, come facevano i Santi, conservalo nel tuo cuore, parlane con il Signore, parlane con Dio!»
È quello che fa Gesù nel Getsemani.
Gesù, nel Getsemani, con chi parla del Suo dolore? Col Padre!
Gesù parla sempre con il Padre della Sua sofferenza…e perché anche noi non potremmo imparare questa cosa?
Se voi lo fate, vedrete come è difficile, è difficilissimo!
Vi sembrerà che vi manchi l’ossigeno! È come un pesce che boccheggia fuori dall’acqua, perché, pensare che nessuno sa che state soffrendo, vi sembrerà come se vi tirano via la terra da sotto i piedi! Noi abbiamo bisogno della commiserazione degli uomini, abbiamo bisogno della compassione degli uomini, abbiamo bisogno di sentirci compatiti, di sentirci vittime! Questo vittimismo così diffuso…
Invece il Signore non ci insegna questa cosa, ci insegna ad essere dignitosi, a dire: «Questa è la tua sofferenza? Vivila fino in fondo!»
Concludo con una storia, che dicono che è vera. Io non so se è vera, l’ho letta per vera, ma, se anche non fosse vera, sarebbe comunque una bella storia, una bella fiaba, diciamo così; se è vera, allora, ancora di più.
Mi ha proprio colpito quando l’ho letta e dice proprio questa cosa della dignità della sofferenza.
La storia, vera o non vera (perché oggi lo sapete su internet non si capisce mai se è vara o non vera), però è bella, dice così…
Una mamma ha un bambino e questo bambino cresce e va a scuola; ad un certo punto, lui si accorge che questa mamma è senza un occhio e ha una vergogna terribile di sua mamma.
Un giorno, questa mamma, che lavorava lì a scuola, era bidella, va in classe per parlare con il suo bambino; tutti la vedono e capiscono bene che è la mamma di questo bambino e quindi lo prendono in giro, dicendo: «Ah tua madre è quella senza un occhio! Ah sei il figlio di quella sguercia!»
Lui rimane mortificato, umiliato da questa cosa, quindi va a casa e ne dice di tutti i colori alla mamma: «Ma come ti sei permessa di venirmi a cercare, io non volevo! Adesso mi hai umiliato e sono lo zimbello di tutta la classe!»
Insomma, questo bambino cresce con un rancore, quasi un odio terribile verso sua madre.
Diventa adulto, si sposa, prende il suo lavoro e si trasferisce addirittura di nazione, se ne va via, perché non vuole più vedere questa donna.
Dopo tanti anni, la mamma prende e lo va a cercare, lo trova nel paese dove lui era andato, ma così, senza avvisarlo.
Lui aveva avuto dei figli e lei voleva vedere i suoi nipotini; arriva, suona, i bambini aprono la porta e rimangono spaventati al vedere questa donna senza un occhio, quindi, un’altra volta lui la caccia via: «Ma come ti sei permessa di venire? Io non ti volevo vedere! Vattene via! Hai spaventato anche i miei bambini!»
Insomma, la manda via e lei prende e se ne va, senza dire una parola, senza fare un verso, senza arrabbiarsi, senza rispondergli male, umilmente, prende e se ne va.
Anzi, mi è piaciuta questa frase che Lei dice: «Chiedo scusa, credo di avere sbagliato casa» e se ne va. Vedete che dignità?
Lui, in seguito, è chiamato a ritornare nel suo paese, per una rimpatriata di ex alunni della classe, quindi torna a casa; non vuole passare a trovare la sua mamma, va con gli ex alunni, e poi gli viene la curiosità di vedere la sua casa, dopo diversi anni.
Va lì nella sua casa, suona, perché voleva entrare, ma vede che la casa è tutta chiusa; la vicina lo vede, esce e gli dice: «Guarda, mi dispiace che sei arrivato così tardi, la tua mamma è morta qualche giorno fa, però mi ha lasciato questa lettera per te. Mi ha detto che tu saresti ripassato sicuramente, un giorno, e di dartela».
Lui la apre… nella lettera la mamma usa delle parole dolci nei confronti di suo figlio e, in pochissime righe, gli scrive: «Quando eri piccolo tu hai avuto un incidente e hai rischiato di perdere un occhio, così io mi sono detta: “Posso rinunciare al mio, perché mio figlio veda con due occhi”, e oggi io so che tu vedi il mondo grazie al mio occhio. Con tanto affetto, la tua mamma».
Vedete, questa è la dignità delle persone.
Quando uno soffre nel dolore con dignità, non ha bisogno della commiserazione di nessuno, del compiangere di nessuno, perché la sofferenza ha una dignità intrinseca, se è vissuta bene, umanamente e spiritualmente.
Chiediamo quindi al Signore la grazia di saper anche noi dire questa frase, che ha detto Gesù: «Ma prima è necessario che io soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».
Sia lodato Gesù Cristo!
Sempre sia Lodato!
Letture del giorno
Prima lettura
Sap 7,22-8,1 – La sapienza è riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio.
Nella sapienza c’è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile,
agile, penetrante, senza macchia,
schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto,
libero, benefico, amico dell’uomo,
stabile, sicuro, tranquillo,
che può tutto e tutto controlla,
che penetra attraverso tutti gli spiriti
intelligenti, puri, anche i più sottili.
La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento,
per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa.
È effluvio della potenza di Dio,
emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente;
per questo nulla di contaminato penetra in essa.
È riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell’attività di Dio
e immagine della sua bontà.
Sebbene unica, può tutto;
pur rimanendo se stessa, tutto rinnova
e attraverso i secoli, passando nelle anime sante,
prepara amici di Dio e profeti.
Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza.
Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione,
paragonata alla luce risulta più luminosa;
a questa, infatti, succede la notte,
ma la malvagità non prevale sulla sapienza.
La sapienza si estende vigorosa da un’estremità all’altra
e governa a meraviglia l’universo.
Salmo responsoriale
Sal 118
La tua parola, Signore, è stabile per sempre.
Per sempre, o Signore,
la tua parola è stabile nei cieli.
La tua fedeltà di generazione in generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
Per i tuoi giudizi tutto è stabile fino a oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona intelligenza ai semplici.
Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.
Che io possa vivere e darti lode:
mi aiutino i tuoi giudizi.
Canto al Vangelo
Gv 15,5
Alleluia, alleluia.
Io sono la vite, voi i tralci, dice il Signore;
chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.
Alleluia.
Vangelo
Lc 17,20-25 – Il regno di Dio è in mezzo a voi.
In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».