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I santi segni. Romano Guardini, parte 6

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 6»
Giovedì 11 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Card. Schuster comunica bambino

Il Card. Alfredo Ildefonso Schuster (Roma, 18 gennaio 1880 – Venegono Inferiore (VA), 30 agosto 1954) mentre comunica un bambino

VANGELO (Gv 15, 9-11)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 11 maggio 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quindicesimo del Vangelo di san Giovanni, versetti 9-11.

Continuiamo la lettura del libro Lo Spirito Della Liturgia, I Santi Segni di Romano Guardini.

Abbiamo visto ieri l’importanza del ridare alle parole il loro senso, come ha detto Papa San Pio X e come ha riportato poi Romano Guardini. Stiamo giungendo alla fine di questa premessa al libro I Santi Segni, e ieri ci siamo lasciati con questa domanda:

Perché ho parlato di tutto questo?

È importante adesso capire il motivo, il fine. Attenzione.

Perché in nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell’agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita religiosa.

E qui lui non fa riferimento alla vita religiosa come intendiamo noi, magari pensando che riguardi semplicemente i frati e le suore. Qui “vita religiosa” vuol dire proprio vita cristiana. Quello che noi andremo a leggere adesso vedrete che riguarda la vita di tutti noi cristiani, quindi la vita religiosa che conduciamo ogni giorno o che dovremmo condurre ogni giorno. 

Innanzitutto, Guardini ci parla di “profanazione della parola”. Una “parola profanata” è una parola che non parla più, una parola vuotata, una parola che non rimanda più alla realtà e non dice più le cose, una parola che non raggiunge più chi mi ascolta, una parola che non consente nessuna empatia. 

Lo “svuotamento dell’agire” è ciò che abbiamo visto quando ha parlato di cadaveri di azioni: quindi maschere, formalità, formalismi. Abbiamo già trattato questo argomento nei giorni scorsi.

La “vanificazione del segno” significa che i segni, dei quali noi siamo pieni (la nostra vita è piena di segni, anche di segni religiosi, ma non solo, dare un bacio è un segno) sono vani, sono stati vanificati. 

Ora lui dice: “In nessun ambito del nostro vivere umano tutto questo accade in modo così terribile come nella vita religiosa”.

E un’affermazione, una diagnosi, gravissima, che ovviamente va spiegata e soprattutto provata, perché non si può fare un’accusa, una diagnosi così grave, senza portare delle prove, perché sono parole pesanti. Proprio perché stiamo imparando ad essere attenti al significato della parola e alla realtà alla quale la parola rimanda, capite che queste parole sono pesantissime.

Tenendo presente queste tre gravissime situazioni — profanazione della parola, svuotamento dell’agire, vanificazione del segno — adesso vediamo cosa scrive Guardini.

Cosa deve succedere alla nostra anima, quando essa ha disimparato a soffermarsi dinanzi alle realtà della salvezza? Quando essa pronunzia sante parole che sono una vuota eco? Quando ha santi segni e compie sante cerimonie senza più avvertire la realtà che vi è rinchiusa?

Ora Guardini entra nel dettaglio. Queste sono tre domande; adesso arriva il momento clou, adesso arrivano le prove, però queste tre domande dobbiamo tenerle presente: “Cosa accade alla mia anima quando non è più capace a soffermarsi sulle realtà della salvezza, quando le sante parole che pronunciamo sono una vuota eco, quando non avverto più i santi segni e le sante cerimonie, non avverto più la realtà che vi è chiusa dentro?”.

Scrive:

Dillo tu stesso, che peso hanno per noi le parole: «Dio», «Cristo», «grazia»?

In una nostra giornata quante volte diciamo la parola «Dio»? Quante volte diciamo la parola «Gesù»? Quante volte diciamo la parola «Maria»? Quante volte noi diciamo la parola «grazia»? Che peso hanno queste parole per noi? Hanno ancora un peso? 

Prosegue:

Cos’è per noi fare il segno della croce? Il piegare le ginocchia? Rivelazione di una realtà soprannaturale? Oppure una figura d’ombra? Un’ascesa verso il cielo? O piuttosto un compiere delle formalità?

È una domanda che lui si pone.

Cos’è per noi fare il segno della croce? Il piegare le ginocchia? Allora adesso lui pone una domanda-risposta: queste due cose — o anche il dire la parola «Dio», «Cristo», «grazia», «Maria» — sono la rivelazione di una realtà soprannaturale? Oppure una figura d’ombra? Sono un’ascesa verso il cielo? O piuttosto un compiere delle formalità? Che cosa sono? Sono una rivelazione o sono una figura? Sono un’ascesa o sono una formalità?

“Le devo dire”, “devo pregare”, “devo andare alla messa”, “devo celebrare la messa”, che cos’è che sono? 

E lui scrive:

Non è troppo spesso la seconda cosa? — cioè le formalità? — E tutto questo non perché in noi rigettiamo quelle verità, bensì perché in noi non v’è più quella viva coscienza della realtà di cui qui si tratta.

Noi non abbiamo più la coscienza della realtà che è veicolata da queste parole, da questi segni, da questi gesti: «Dio», «Cristo», «Maria», «grazia», «perdono», «misericordia», veicolano alla nostra coscienza una realtà? Fare il segno di croce, che realtà veicola? Piegare le ginocchia? 

A parte che oggi non lo fa quasi più nessuno, perché tutti fanno questo inchino e quando arrivano in chiesa la prima cosa che fanno è sedersi. Una cosa che non si fa in nessuna casa di nessuna persona che vi invita come ospite per una cena, per un rinfresco, per una merenda, per un gioco, per quello che volete voi. Nessuno entra in una casa e la prima cosa che fa è andarsi a sedere sul divano. Non lo fa nessuno, nessuno, neanche un bambino di cinque anni, non lo fa nessuno. Tu entri in una casa, sei accolto, saluti, c’è questo momento iniziale di scambio di saluti, di accoglienza, poi, dopo che hai salutato, dopo che magari hai portato un dono e hai consegnato una bottiglia di vino, una torta, quello che è, la famiglia ospitante ti invita lei a sederti e ti dice lei dove, non è che tu dici: “No, io vado in cucina” — “No, tu non vai” — “Io vado in camera da letto” — “No!” — “Ma io mi siedo sopra al tavolo” — “Eh no! Ti dico io dove ti devi sedere, ti porto in salotto e ti faccio accomodare sul divano, piuttosto che su una poltrona, oppure ti porto in cucina, perché ti voglio far assaggiare il mio meraviglioso caffè con la panna e ti faccio sedere in cucina per questa ragione”, ma è colui che ti ospita che ti conduce a sederti, che ti invita ad accomodarti, nessuno di noi va dove vuole. 

In chiesa, nella casa di Dio, invece funziona proprio così: uno entra, va dove vuole, si siede come vuole e il saluto da rivolgere al Signore è ormai praticamente quasi sparito. Perché fino a poco tempo fa era: tu entri in chiesa, prendi l’acquasanta, ti fai il segno della croce — c’è tutto un significato profondo in questo gesto — poi vai, genuflessione davanti al tabernacolo, entri nella tua panca, ti metti in ginocchio, saluti e adori Gesù nel tabernacolo, quindi ti siedi. Questo è ciò che è sempre stato fino a poco tempo fa, perché è un atto di rispetto e di adorazione ed io sono davanti a Dio, sono nella casa di Dio, quindi…

Tutto questo che significato ha? A quale realtà rimanda? 

Uno dice: “Eh, adesso non c’è più!” — “Eh sì, ma perché non c’è più?” — Chiediamocelo, perché non c’è più. Non è perché c’è stato qualcuno brutto e cattivo che ce l’ha tolto. No, no. Perché noi, quando ci tolgono i nostri diritti, di cui siamo ben consapevoli, guardate che siamo capaci di fare la rivoluzione. Voglio vedere cosa succede se ci tolgono il pane da mangiare; se noi stiamo lì, come tanti babbei, a dire: “Sì, vabbè, muoio di fame”, no, non succede così! Ma questa cosa perché è accaduta? Magari una risposta potrebbe essere: “Forse perché tutti questi segni erano semplicemente delle formalità”, che c’erano perché c’erano, poi se non ci sono più non ci sono più, va bene, tanto non significavano nulla. Ormai non avevano più alcun senso, quindi sono spariti, come tutto ciò che non ha senso, tutto ciò che non ha senso finisce. Che cosa dura nel tempo? Ciò che ha significato.

E allora non c’è problema a non fare più una genuflessione, tanto non aveva senso! E, se aveva senso, io non ne ero cosciente, per me non aveva senso, non mi diceva niente e non ero consapevole di quello che facevo fino in fondo. Stiamo attenti a quello che facciamo senza avere coscienza della realtà a cui rimanda, perché se lo facciamo così, tra le altre cose, prima o poi quella cosa sparirà. E la causa di quello sparire è mia, perché ho messo in atto segni e azioni insignificanti, quindi destinati a finire.

“Eh, ma sono cose importantissime!” — “Si, peccato che io non ne ero cosciente. Non ero più cosciente e quindi non mi interessavano”. E quindi lui dice: “Noi non è che rigettiamo quelle verità” — cioè il problema non è che io sono contro queste cose, no, no, il problema è che non ne ho coscienza, non mi dicono niente.

Perché la nostra fede non ha più capacità di presa né forza visiva?

Eh, non lo so… Un giovane — lui parla dei giovani — che ci vede a una Santa Messa, sia me che celebro come sacerdote, sia voi che partecipate come fedeli, un giovane entra, ci vede, e che cos’è che vede? Dei cadaveri in azione, dei musoni depressi, “rintontoliti”, addormentati, sbadigliosi, annoiati, frettolosi, sciattoni? Oppure vede fervore, vede vita, vede realtà, vede convinzione, vede coscienza di ciò che si fa, vede segni non che parlano, che gridano, tanto sono vissuti con consapevolezza? Cos’è che vede? 

Perché la nostra fede non ha più capacità di presa né forza visiva?

Se io vedo qualcosa di bello e di vero, quel vedere e quel contemplare, hanno una forza di persuasione, di seduzione, di chiamata potentissima. Ciò che è bello, ciò che è vero, ci prende dentro, ci cattura. 

Prendete, ad esempio, San Giovanni Crisostomo. Crisostomo vuol dire “Bocca d’oro”. Una delle accuse per cui poi l’hanno perseguitato era: “Con tutti i vescovi che ci sono, devono proprio andare da San Giovanni Crisostomo? Vanno tutti da San Giovanni Crisostomo perché quello lì, sapete, come predica lui non predica nessuno, come è bravo lui non è bravo nessuno, come sa spiegare lui il Vangelo non lo sa spiegare nessuno…”. 

Ma perché Sant’Agostino deve andare da Sant’Ambrogio? Con tutti i vescovi che ci sono, con tutti i predicatori che ci sono, adesso non venitemi a dire che come Sant’Ambrogio non c’è nessuno! Nessuno sa spiegare il Vangelo come Sant’Ambrogio? 

Allora ecco le accuse. Poi prendiamo Padre Pio, che non predicava, ma semplicemente celebrava la messa. “Ma perché per andare ad assistere a una Santa Messa, a partecipare alla Santa Messa, devono andare fin su lì nel Gargano, da Padre Pio, quando possono andare giù in parrocchia tranquillamente a cinque minuti da casa loro?”. Ecco, e allora parte l’accusa. 

Siccome i cadaveri non hanno esperienza di vita — perché sono cadaveri — allora che cosa succede? Inizia la persecuzione: “Ecco, loro vanno da San Giovanni Crisostomo…, ecco, loro vanno da sant’Atanasio…, ecco la gente va da Padre Pio… perché è un millantatore, perché è uno che gli lava il cervello, perché è un seduttore, perché è uno che con quella lingua che ha riesce a intortare su tutti…”.

Quando uno legge Sant’Agostino poi capisce perché si è convertito andando da Sant’Ambrogio. 

Bisogna essere un tantino sopra al livello 0,1 dell’ignoranza, perché è chiaro che se io non studio, non leggo mai niente, succede che mi imbottisco di ideologia pura e quindi poi è finita, come hanno fatto i persecutori di cui abbiamo parlato poc’anzi. 

Quando uno legge Sant’Agostino, studia Sant’Agostino, legge Sant’Ambrogio dice: “Sì, adesso capisco perché Sant’Agostino andava da Sant’Ambrogio, sempre da Sant’Ambrogio, e come mai si è convertito ascoltando Sant’Ambrogio. È chiaro”. Si Sant’Ambrogio ce n’erano tanti in giro? No, è questo è il punto. Come parlava Sant’Ambrogio e come scriveva Sant’Ambrogio non ce n’erano tanti in giro, ma perché? Perché Sant’Ambrogio aveva una vita di preghiera, di fede e di amore per il Signore che non era così condivisa da molti.

San Giovanni Crisostomo — Bocca d’oro — non era Bocca d’oro perché era un bravo incantatore di serpenti. Lui era Bocca d’oro perché era un Santo, perché aveva un amore per il Signore tale che l’ha portato fino a dare la vita in tutti i sensi; l’hanno esiliato, l’hanno torturato, gliene hanno fatte di tutti i colori. L’hanno portato fino a farlo morire, là, nelle steppe e in mezzo al freddo, al ghiaccio, fino a quando lui, poverino, è morto estenuato. È stata una tortura tutto quello che gli hanno fatto, perché l’imperatrice ce l’aveva contro di lui, perché lui, appunto, predicava in un certo modo.

Insomma… i cadaveri non riescono a capire che c’è una forza, una capacità di presa, una forza potente, visiva, dentro le parole, le azioni di questi uomini. Che io, povero scarafaggio, me le sogno. Ora, non è che devo demonizzare loro perché io sono un poveretto, perché la mia vita di fede fa pietà. Io non devo demonizzare San Giovanni Crisostomo perché io non tocco le vette della sua interiorità, della sua onestà interiore, della sua onestà intellettuale e del suo rapporto intimo con Gesù. Altrimenti finisco per diventare Caino del mio fratello Abele, capito? Eh, sì, poi finisce così, la storia si ripete sempre perché poi io vedo che Dio li benedice (la chiesa di Sant’Ambrogio era stracolma quando Ambrogio era lì).

Quando c’era il beato Cardinal Schuster il Duomo di Milano era stracolmo di milanesi. Quando il Cardinal Schuster celebrava la Santa Messa, non riusciva a cadere uno spillo sdraiato, tanta era la gente che riempiva il Duomo di Milano. “Eh, perché è bravo come lui non c’è nessuno!” — “Esatto! Esatto, perché come il Cardinal Schuster non c’era nessuno!”, punto. È un dato di fatto, te ne devi fare una ragione, caro. E quindi? E quindi la gente andava dal beato Cardinal Schuster. Incantata da cosa? Dalla capacità di presa, dalla forza visiva di quest’uomo, a parte la predicazione che era eccezionale, quella del Cardinal Schuster.

Se voi avete occasioni di vedere qualche foto — io l’ho vista — nella quale viene ripreso il Cardinal Schuster mentre amministra la Comunione ai fedeli, voi restate senza parole. Una fotografia, non un video, una foto! Io ho in mente ancora — di foto ne ho viste tante, di immaginette, di santi — questa foto del beato Cardinal Schuster mentre dà la Comunione… Sarebbe proprio da mettere la foto, se la ritrovassi, del beato Cardinal Schuster mentre dà la Comunione a un fedele. E uno dice: “Ecco, è tutto chiaro, tutto quadra, perché di preti e di vescovi che danno la comunione in quel modo ce ne sono tanti? Non lo so, ma sicuramente quel modo di amministrare l’Eucarestia che cosa dice? Dice tutto! Dice tutto!”. Guardate quella foto, se la trovate guardatela, e quello vi dice la capacità di presa e la forza visiva che ha quella fede lì. Per cui rimani sedotto, rimani affascinato. Dici: “No, ma io questo qui non lo lascio più. Da adesso per sempre. Io qui ho trovato la fede, ho trovato un uomo di fede, ho trovato un uomo di Dio. E chi mi separerà più da questo?”. E quindi il Duomo di Milano si riempiva fino all’inverosimile. Oggi le nostre chiese sono semi deserte. “Perché la nostra fede non ha più capacità di presa né forza visiva”. Eh…

La fede è coscienza di realtà soprannaturali. La fede è vita in un mondo di realtà invisibili. Abbiamo noi questa fede?

Noi ce l’abbiamo questa fede? “Coscienza di realtà soprannaturali”. Uno vede la tua fede — perché la fede si vede, non è una cosa occulta, si vede se tu hai coscienza delle realtà soprannaturali, se tu hai vita, se tu vivi in un mondo di realtà invisibili, se tu sei un esperto delle cose di Dio, si vede! Si vede da come preghi, si vede da come partecipi alla Messa, si vede da come celebri la Santa Messa, si vede da come mangi, si vede da come parli, si vede da come giochi, si vede da come scherzi. La nostra fede trasuda da ogni nostra azione, che sia religiosa, che sia un’azione naturale, della vita di tutti i giorni, del come tu prepari il sugo all’amatriciana… Anche da lì si vede.

Il mistico è mistico anche quando si fa il latte coi biscotti, perché non se lo fa come tutti gli altri. Ricordate cosa scriveva Guardini? Il mistico è un originale, non è dozzinale. Chi ha un rapporto stringente, vero, chi ha una fede profonda in Gesù, chi ha coscienza delle realtà soprannaturali, chi vive di una realtà invisibile, vive dentro quel mondo, lo può nascondere quanto vuole, ma si vede, ed è bello! E ti prende dentro, e ti fa venir voglia di viverlo anche tu, ti contagia. 

I fondatori degli ordini religiosi non mettevano gli annunci su Facebook. Santa Teresa non ha messo su Instagram: “Io sono Santa Teresa, chi mi ama, mi segua. #SantaTeresa”… No! La sua vita, la sua vita di tutti i giorni… San Giovanni della Croce: stessa cosa! San Francesco: stessa cosa! Sant’Ignazio: stessa cosa! 

Abbiamo noi questa fede? Se non l’abbiamo, fine! Qui c’è la ragione di quel senso di vuoto, di insignificanza, di insipidezza della nostra vita religiosa, per cui non interessa a nessuno, cioè gli uomini la guardano e dicono: “Bah! A me non dice niente, non mi interessa proprio. Ci mette più passione il mio meccanico ad attaccarmi la marmitta che non quello lì a celebrare la Messa o andare a ricevere la Comunione. Quindi preferisco il mio meccanico”. “C’è più passione, fervore, entusiasmo, partecipazione, fraternità (oggi va di moda questo termine, questa parola), comunione, amicizia, tra me e i miei “amici” con cui vado a ballare tutti i sabati sera, i venerdì sera e le domeniche sera, con cui mi sballo, con cui mi drogo, con cui fumo fino a morire, che non con questi quattro morti in piedi con cui vado a cantare alla Messa quelle nenie che solo a sentirle ti fan venire la pellagra!”.

Guardate che io tante volte l’ho sentita questa cosa, tante volte ho sentito i giovani dire queste frasi. Tante volte. Ed è brutto, perché vuol dire che la nostra realtà non comunica più, perché non si ha più coscienza. È brutto sentire dei giovani dire: “Ma io quando andavo a fumare con i miei amici… sì, facevamo qualcosa di sbagliato, quando mi ubriacavo con loro facevamo qualcosa di sbagliato, va bene, ma noi eravamo uniti, cioè eravamo veramente uno per l’altro; io lì mi sentivo a casa, cioè mi sentivo famiglia, mi sentivo parte di qualcosa. Poi può essere il male, ma mi sentivo parte di qualcosa”.

Provate a ragionare, perché c’è questo proliferare, per esempio in America, così forte delle gang? Perché è fondamentale sentirsi parte di qualcosa! È fondamentale appartenere a qualcosa, a qualcuno! Il problema per cui Gesù non viene assolutamente capito, accolto, amato, stimato, ma messo in croce, qual è? È semplice, è l’appartenenza al Padre. Il suo appartenere al Padre, detto, ridetto, stradetto in ogni modo da parte di Gesù, questo non viene assolutamente compreso, capito e accettato da quelli che gli stanno intorno. Questo è il punto, l’appartenenza al Padre.

Uno dice: “Eh, ma che cattivi, vanno a finire nelle gang” — Eh sì, ma quale alternativa hanno? Chi è che gli offre lo stesso “essere famiglia”, lo stesso “essere casa”? Poi uno può dire: “Sì, ma quella lì non è una vera famiglia, ma quella lì non è una vera casa, ma quello lì è male, ma quello lì …” — “Sì, tu puoi dire tutto quello che vuoi, ma intanto lì c’è qualcosa. È vero, ha un senso cattivo, brutto, ma ha un senso”.

Queste esperienze ci dicono che piuttosto del “non-senso”, piuttosto che l’insignificanza, è meglio il senso del male. Piuttosto che l’indifferenza, piuttosto che l’insipidezza, è meglio buttarsi nel fuoco. “Almeno interesso a qualcuno!”. Certo che la nostra ragione si ribella a tutto questo, vero, ma l’esperienza ci dice che è esattamente così. Questo non vuol dire che ora andiamo tutti a buttarci nelle gang, o andiamo tutti a drogarci, a ubriacarci; non sto facendo l’apologia del genio ribelle piuttosto che del bello e cattivo, non è questo, sto dicendo che quello che dice Guardini è un esame di coscienza molto vero, molto serio.

Se la nostra fede non dice più niente, è chiaro che le persone vanno via, è chiaro che ci desertifichiamo progressivamente, è chiaro che uno va a cercare altrove. Perché tutti fuggono? Perché qua non si dice nulla!

È lo stesso discorso del perché le persone vanno dai maghi, dalle maghe, dalle cartomanti e dalle sette: la stessa cosa! 

Perché c’è una proliferazione di queste realtà pentecostali e similari per esempio in America Latina? È fortissima, c’è un’emorragia potentissima dalla Chiesa Cattolica verso tutte queste realtà protestanti. Ma perché? Cosa trovano loro là che non trovano qua? Andate a leggere che cosa dicono; il tema fondamentale è: “Noi là troviamo spiritualità”. Poi uno può dire: “Sì, ma è deviata, è sbagliata, non è corretta”. Va bene, è sbagliata, tutto quello che vuoi, ma intanto loro lì trovano quello che qui non trovano più. Anche se è sbagliato, ma qualcosa c’è.

E noi che cosa offriamo? Prima di tutto, noi che cosa siamo? Tutta questa spiritualità la offriamo o siamo rinchiusi dentro le nostre quattro mura a pensare alle nostre quattro cose? E non abbiamo mai la forza e il desiderio, il fervore, il coraggio di proporre niente! Niente, non si propone mai niente! È sempre aria fritta e rifritta e stagnante delle sempre solite, stesse, noiose cose. Che uno a un certo punto dice: “Ma possibile che la vita di fede, la vita religiosa, sia solo questo?” Come se fosse solamente andare alla Messa alla domenica. Punto. Ma… tutta la spiritualità cristiana, cattolica, tiriamola fuori, proponiamola! 

Altrimenti è chiaro che poi dopo uno va dalla maga: se per parlare con un prete ci vogliono 25 giorni, ci vuole l’appuntamento, ci vuole “Aspetta che apro l’agenda”, ci vuole “Aspetta che trovo l’orario”, ci vuole “Aspetta che non lo so”, io chiamo la maga e questa il giorno dopo mi riceve e vado a farmi leggere la mano, le carte e a parlare con i morti. Pagherò 50 €, ma almeno ho trovato qualcuno che mi da delle risposte. 

Quando uno sta male, quando uno è disperato, quando uno ha bisogno, non può aspettare un appuntamento. Io ho bisogno adesso, non tra una settimana. Adesso. Adesso non c’è nessuno? Va bene, e io vado dalla maga. Vado dalla cartomante a farmi leggere e a farmi fare gli intrugli e a parlare con gli spiriti dei morti. 

Interessante anche questo fenomeno delle sedute spiritiche, del parlare con i morti, chiamare in causa i morti… perché abbiam bisogno di parlare con i morti? Forse perché non riusciamo più a parlare con i vivi? Perché abbiamo bisogno di andare a chiamare in causa i morti? “Ah, ma questo è un peccato grave”. Sì, tutto quello che volete, ma perché lo si fa? Perché la vita, i viventi, non hanno più risposte significative da darci, quindi andiamo a cercarle nella morte, come se lì ci fosse chissà quale risposta. 

Ecco che lui scrive:

Qui dobbiamo iniziare il rinnovamento. Non distruggere l’«invecchiato» e trovare il «nuovo». Le grandi parole e le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondità essenziali.

Il rinnovamento parte da qua. Da me, da me che devo vivere una vera vita di fede, esattamente come dice lui, con la coscienza delle realtà soprannaturali e la vita in un mondo di realtà invisibili.

 Non c’è bisogno di distruggere niente a motivo che è superato, non c’è niente di superato. Non c’è un nuovo da trovare, anzi, c’è esattamente da andare nelle profondità essenziali delle cose e delle forme e delle parole: “Le grandi parole e le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondità essenziali”. Non dimentichiamolo mai. Anzi, c’è proprio un ritorno all’origine. Tutto il contrario dell’andare a cercare strade nuove, o dire “vecchio” e “nuovo”. 

Ma cosa vuol dire “vecchio” e “nuovo”? Che termini sono? “Queste sono parole vecchie, queste sono forme vecchie”. Ma se non sai neanche cosa vogliono dire, se hai perso il significato di quelle parole, come fanno a essere nuove o a essere vecchie? Cosa c’è di nuovo o di vecchio nella parola “fede”? Cosa può esserci di nuovo e di vecchio nella parola “amore”? Cosa c’è di nuovo e di vecchio nella parola “speranza”? È cambiato qualcosa circa la fede come “coscienza di realtà soprannaturali” o “vita in un mondo di realtà invisibili”? È un’altra cosa la fede? Non so! 

E lui si chiede:

Cosa mai deve essere qui mutato? Può forse modificare la struttura della ruota o quella del martello?

Mamma, guardate questo esempio non dobbiamo dimenticarlo mai! Il martello ha quella forma, la ruota se diventa quadrata, è un problema. “No, ma io devo fare una ruota nuova”. E tu prova ad andare su una bicicletta con le ruote quadrate! Vai! Vai sulla bicicletta con le ruote romboidali, voglio vederti! Fai venti metri così! Vediamo! La ruota della bicicletta è quella, la struttura è quella, poi tu puoi mettere un copertone diverso, puoi mettere i raggi in lega, puoi fare tutto quello che vuoi, ma non puoi cambiare la struttura. La struttura di un martello è la struttura di un martello. “No, ma io lo voglio fare nuovo, adesso lo faccio di gommapiuma” — “Bene e piantaci dentro un chiodo nel muro, col martello di gommapiuma”.

Esse sono corrispondenti all’essenza; appena sono viste, sono anche foggiate, e rimangono. Oppure credi di poter mutare l’afferrar della mano, ovvero il modo in cui l’occhio si fissa sull’oggetto? Molte delle parole e delle forme della Chiesa sono di questo genere.

Cerco di concludere, sennò non finiamo più.

Ci è possibile però un’altra cosa: «ridar loro il proprio senso». Cioè: vedere la realtà che dietro di esse giace. Rivivere ciò che si pronunzia. Allora le forme si svolgeranno dall’interiore pienezza.

Cioè: ridiamo il senso alle cose. Vediamo la realtà che giace dietro ad esse e, invece di cercare cose nuove, vediamo qual è il senso proprio dell’inginocchiarci, del fare il segno della croce, dell’incenso, del dare la mano. Invece di dire: “Cambiamo tutto, rifacciamo tutto da capo”, no, vediamo il senso delle cose, qual è l’essenza che sta dentro queste? Perché il martello… è quella la struttura del martello, sennò non è più un martello. “Allora le forme si svolgeranno dell’interiore pienezza”.

Questo libretto vorrebbe esser di sussidio a tale scopo. Vuol mostrare come si possa cogliere un senso dietro le parole che diciamo ogni giorno; come si possano vivere i segni che ripetiamo di continuo. Vuol apprendere e avvertire il nucleo delle forme di cui è intessuta la nostra vita. Allora sperimenteremo davvero l’urto delle realtà che ci giganteggiano dinanzi nella Chiesa e nelle sue consuetudini.

Se faremo tutto questo allora avvertiremo l’urto. Quando faccio il segno della croce, mi arriverà un urto della realtà che sta dentro a quel segno. 

E queste consuetudini riprenderanno a vivere, quasi fossero totalmente nuove. 

Il primo segno che guarderemo sarà il segno della croce. Vedrete cosa scrive e, dopo che l’avremo letto, vedrete che non potrete più farlo allo stesso modo. Vedete, a questo punto diventerà nuovo. Il segno della croce, che è la cosa più vecchia che c’è, da quando noi ne parleremo, da quando leggeremo Guardini, vedrete che il giorno dopo, il giorno stesso, voi direte: “Non ho mai fatto il segno della croce così bene, non ho mai fatto il segno della croce con questa consapevolezza. Da adesso il segno della croce ha questo senso”. È nuovo, e poi è sempre quello!

Non vuol essere però un libro didattico. Racconterò, come mi capita, ciò che mi è successo. E così come l’ho visto io, vedilo tu, meglio, più precisamente, più chiaramente; e buona fortuna.

Bellissimo! Quindi da domani cominceremo proprio con il primo capitolo, diciamo così, del segno della croce.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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