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I santi segni. Romano Guardini, parte 5

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 5»
Mercoledì 10 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 15, 1-8)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 10 maggio 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quindicesimo del Vangelo di San Giovanni, versetti 1-8.

Proseguiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini I santi segni da dove siamo arrivati ieri. 

Scrive Romano Guardini:

C’è anche il disorientamento della ricerca che qui comincia; ma dopo qualche giravolta essa giunge di nuovo a vere forme. E per questa via essa scoprirà come forme nuove anche le vecchie, scaturite dalla stessa essenza umana: esse vivranno allora della vita di questo essere e la semplice stretta di mano, i doni, la comunanza della tavola riassurgeranno a verace espressione di realtà interiori.

Quindi vedete: non c’è qualcosa di vecchio, di superato o qualcosa di nuovo, “esternamente parlando”. Anche ciò che è più vecchio — usiamo questo termine — ciò a cui siamo maggiormente avvezzi può riassumere a qualcosa di grande: “A verace espressione di realtà interiori”. Dipende da noi, dipende se riusciamo a scoprire queste nuove forme che in realtà, a un occhio superficiale, sono semplicemente vecchie, superate. Superate perché sono parole vuote, sono gesti vuoti, sono azioni cadaveriche. In realtà la stretta di mano, il dono, la comunanza della tavola, dovrebbero essere espressioni di realtà interiori.

Quante volte ci capita di mangiare con qualcuno, se non è pranzo sarà a cena oppure tutte e due, oppure fare una colazione insieme, oppure bere un caffè insieme, una merenda insieme, un gelato insieme, capita. Quelli sono momenti in cui consumiamo? O sono momenti in cui ci esprimiamo? Qui sta la differenza: consumo o mi esprimo? Esprimo cosa? Esprimo la mia realtà interiore.

Tutto ciò ha da portare qualcosa di sconcertante, un cercare ed errare penoso.

Attenti bene a quello che adesso ci dice Romano Guardini perché la riflessione che farà adesso è veramente importante. Magari sono cose sulle quali non abbiamo mai abbastanza riflettuto. 

«Un cercare ed errare penoso»: questa ricerca provoca un disorientamento, questa ricerca ha qualcosa di penoso, di sofferente. È faticoso questo raggiungere nuove forme scoprendole addirittura in quelle vecchie, non è così facile. Non è così facile comprendere che il vecchio e il nuovo, di fatto, non ci sono, perché entrambi scaturiscono dall’essenza umana — come la stretta di mano, per esempio — e sono espressione di realtà interiori. Allora lui dice:

Chi lo esperimenta appare spesso scontroso,

Cioè: chi fa questo percorso di ricerca e di ritrovamento e di espressione della realtà interiore, chi fa tutto questo cammino, questo “errare” — come lo chiama lui — appare spesso scontroso:

perché non può più scialare a chiunque ciò che per lui ha un significato così profondo; deve apparire come un originale, perché prende sul serio cose che nessuno più avverte; perché vede problemi che da tempo sono svaniti nella cecità di tutti gli occhi. Ma beata questa pena: da essa sta per scaturire una civiltà nuova vitale.

Allora Romano Guardini ci dice: “Guarda che spesso appare scontroso chi fa questo percorso di ricerca, chi fa questo percorso di essenzializzazione, per cui va a comprendere che anche le cose più normali, le cose più antiche sono, possono e devono essere espressione di realtà interiori e che quindi vanno riapprezzate, riviste, per la realtà che portano. 

Non dice “è scontroso”, ma “appare scontroso”. Perché appare scontroso? Perché è come se sembrasse un po’ “asociale”. Mettetelo proprio tra virgolette, da prendere con le pinze, perché bisogna capire bene.

Mi viene nuovamente in mente l’esperienza dei santi, in particolar modo ho in mente ad esempio San Francesco che, da quando inizia il suo cammino di conversione, c’è proprio un periodo nel quale perde tutti i suoi amici, oltre che la sua famiglia, resta solo. Dopo poi arriveranno i discepoli, i suoi frati e quant’altro, ma c’è proprio un periodo di grande distacco, di grande solitudine, di grande deserto, un periodo nel quale lo si pensa impazzito. Pensate a quando poi sale a La Verna, quando riceverà le stigmate, dove anche frate Leone fa fatica a capire quest’uomo. Fatica a capire cosa sta succedendo a quest’uomo che non mangia più, che urla, che piange, che geme, che vive in mezzo ai monti da solo, che piange in continuazione. Fino a quando poi arriverà il momento solenne delle stigmate.

E appare, appaiono, queste persone, scontrose. Perché — ci dice Guardini — le persone che fanno questo cammino capiscono che ciò che stanno trovando, che il significato profondo di ciò che stanno vivendo, dalle cose più piccole a quelle più grandi non può essere buttato così, al vento, alla mercè di tutti. Cioè capiscono che è giunto il tempo di un tirare su il ponte levatoio del castello. Devono raccogliere le forze, devono raccogliersi. Che badate, non è un chiudersi, bensì un trovarsi. È diverso. E quindi capiscono che non possono mettersi a condividere con tutti, perché non sarebbe una condivisione, questo è il punto. Possono condividere con chi sta facendo lo stesso percorso: chi sta facendo lo stesso percorso può capire, può capire questo disorientamento, può capire il ritrovamento di nuove forme nelle vecchie, può capire come anche il piccolo gesto è un’espressione di una realtà interiore, può capire la fatica che stanno facendo in questo percorso.

Ecco perché appare scontroso, ecco perché appare, come ho detto, un po’ “asociale”, perché è come se si sottraesse progressivamente alla mondanità spirituale alla quale noi siamo tanto abituati, invece. Deve apparire come un originale, quindi scontroso e originale, cioè diverso. Originale è il contrario di dozzinale. E qui dobbiamo proprio chiederci noi se, quanto, dove siamo originali e se, quanto, dove siamo dozzinali. Originale perché prende sul serio cose che nessuno più avverte. I santi sono così, gli amici di Gesù sono così: prendono sul serio ciò che gli altri, come degli ippopotami, neanche vedono, neanche sentono. Perché sono degli ippopotami.

Ma queste persone è come se prendessero sul serio tutto. Non vuol dire che sono seriosi, vuol dire che stanno vivendo nella massima realtà possibile. Sono originali, perché vedono problemi che ormai più nessuno vede e quindi non vengono capiti; gli viene detto: “Ma questo non è un problema!”. Sì, potremmo dire — in altri termini — che sono profetici, perché riescono a leggere quanto sta accadendo: nel mondo, nella Chiesa, ovunque. Leggono quanto sta accadendo con gli occhi di Dio e quindi vedono problemi che non si vedono più. È una pena! Per chi vive così è una pena, perché si sente guardato e trattato come scontroso e come originale. 

Ne abbiamo parlato ieri, lo trattiamo nuovamente anche oggi, pensate a Sant’Atanasio. Pensate a San Tommaso Moro, a quello che ha vissuto, a quello che ha perso, a come è stato trattato! Persino la sua famiglia non lo riusciva più a capire. Perché “incocciutirsi” su una cosa? “Ma firma questo foglio e basta! Non sei d’accordo? Fa niente, va bene. L’hanno firmato tutti! Tutti i vescovi l’hanno firmato! Ma perché non lo devi firmare anche tu? Ma firma questo foglio! I preti, i vescovi, l’hanno firmato tutti, ma firma anche tu questo foglio. Il re vuole semplicemente che tu metta una firma, metti ‘sta firma!”. 

Anche il beato Duns Scoto, non arrivò al martirio, nel senso che non lo uccisero, però ebbe problemi grossi perché rifiutò di fare una firma. E quindi anche lui ebbe dei problemi non da poco: perse la cattedra, fu trasferito, insomma…

Vedete: i santi ci fanno vedere quanto sono originali, quanto sono scontrosi. C’è anche questo da dire: San Pio da Pietrelcina è famoso per essere stato giudicato come scontroso, in realtà padre Pio era dolcissimo, amabilissimo. Certo, non accettava di trattare le cose, di additare le cose in modo banale, superficiale, ma lui era una persona dolcissima. Chi lo ha avvicinato nel modo giusto ha incontrato una dolcezza che nella vita mai prima e mai più dopo ha potuto incontrare, per quanto P. Pio era amorevole, affettuoso. Ecco, questa pena — lui dice — è beata, perché sta per scaturire da essa una civiltà nuova, vitale.

Strano! Anni fa il Papa Pio X ha detto: «Ridate alle parole il loro senso!».

Sì, noi dovremmo fare una bandiera, prendere una bandiera e metterci su questo motto: “Ridiamo alle parole il loro senso”

Quanto profondamente ci penetra oggi nell’anima questa esortazione! Sì, ridare alle parole il loro senso, e così pure alle forme e azioni della vita. Questo dovrà fare la gioventù.

Ridate alle parole il loro senso: “amore” vuol dire “amore”; “servire” vuol dire “servire”; “mela” vuol dire “mela”. Le parole hanno un loro senso, ridiamo il senso alle parole. 

Uno dice: “Come faccio?” Ma guarda, comincia da qua: tu prendi una parola e vai a vedere il dizionario. Guardate che resterete e resteremo molto sorpresi del significato di alcune parole che noi assolutamente ignoriamo in tutte le loro accezioni. 

Vai a cercare la parola “sacrificio”. Quando noi diciamo: “Sono dovuto andare a fare gli esami del sangue e non ho potuto fare colazione, mamma che sacrificio!” Ma no! Non si può usare questa parola per una cosa del genere! Sacrificio è una parola talmente densa, talmente profonda che tu non la puoi usare perché non hai bevuto il caffè con la brioche. “Eh, che sacrificio oggi, sai non ho potuto mettere l’ammazzacaffè alla fine del pranzo” No, no, no, no!

Pensate a quanti discorsi volgari che si fanno, a quante battutine a doppio senso. 

Pensate alle parolacce che si dicono. Sì, è una cosa che io nomino praticamente mai, non so perché mi sia venuto in mente adesso. Non la nomino mai perché la do talmente scontata e per data che non la posso neanche nominare, nel senso non mi viene proprio in mente, ma adesso mi è venuta in mente e la dico: spero veramente che tra di noi nessuno cada in questo brutto vizio. La parolaccia è veramente l’abominio della parola, è la corruzione della parola. “Parolaccia”, proprio il termine stesso ce lo dice. É una parola deturpata, corrotta, rovinata. Pensate a quante se ne dicono. E mi auguro che sulla nostra bocca non ci siano mai. Questo è un vizio che va assolutamente estirpato, un linguaggio scurrile è un linguaggio miserabile. Che uno dice: “Guarda, pulisciti la bocca e quando avrai cambiato modo di parlare ci rivedremo. Perché non ho nessuna intenzione di sporcarmi le orecchie con questo tuo modo così volgare di parlare, che non è un parlare. Non è questo un parlare. E queste non sono parole, sono parolacce”.

Allora, scrive Romano Guardini:

Perché ho parlato di tutto questo? 

Mi fermo qui, siamo alla fine della premessa, ormai è finita, ma la finisco la prossima volta perché è tutta una sezione a sé, perché proprio questa finale ci apre sul primo capitolo, proprio sul libro. E allora lo facciamo domani.

La domanda è: “Perché ho parlato di tutto questo?” Che significa: “Perché ho fatto tutta questa premessa?”. C’è un perché. 

Uno dice: “Ma cosa c’entra tutto questo con i santi segni? Cosa c’entra tutto questo con lo spirito della liturgia? Perché ha detto tutte queste parole, perché ha fatto tutte queste riflessioni bellissime?”

Ecco, domani concluderemo la premessa e capiremo, in conclusione, perché ha parlato di tutto questo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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