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Il vizio capitale dell’ira e la santa ira

Ira

Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di giovedì 9 giugno 2016.

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Soltanto colui che si arrabbia senza motivo è colpevole; chi si adira per un motivo giusto non incorre in nessuna colpa. Poiché, se mancasse la collera, non progredirebbe la conoscenza di Dio, i giudizi non avrebbero consistenza ed i crimini non sarebbero repressi.
Ed ancor più: chi non si incollerisce quando lo esige la ragione, commette un peccato grave, poiché la pazienza non regolata dalla ragione propaga i vizi, favorisce le negligenze e porta al male, non soltanto i cattivi ma, soprattutto, i buoni.

San Giovanni Crisostomo (Hom. XI in Nath., 344-407)

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

Il vizio capitale dell’ira e la santa ira

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

Vediamo in questa prosecuzione del capitolo 5 di San Matteo, che abbiamo letto anche ieri, questo perfezionamento di Gesù, Gesù che perfeziona la Legge e che non viene a togliere nulla. Gesù comincia a dare qualche esempio della giustizia, che deve essere, come dicevamo ieri, santità interiore, a differenza della giustizia esteriore, che hanno invece gli scribi e i farisei, e fa questo richiamandosi alla legge contro l’omicidio.  Gli scribi e i farisei sono persone, e rappresentano tutte le persone gonfie del loro orgoglio e della loro superbia. Infatti, queste persone hanno disprezzo per gli altri, e loro erano dei mormoratori, dei calunniatori, dei litigiosi, tenaci nell’odio e tenaci nell’invidia.

Credevano di essere irreprensibili solo perché, di fatto, si astenevano dall’omicidio.

Andavano al tempio (noi potremmo dire oggi che andavano in chiesa) in un atteggiamento di ipocrita pietà. Si gloriavano di portare l’offerta, senza pensare che a volte quell’offerta era il frutto di sopraffazioni e di ingiustizie, senza pensare che quell’offerta portava con sé la maledizione e le lacrime di quelli che avevano angariato.

Quante volte noi ci avviciniamo al Signore portando con noi la sofferenza, il dolore che abbiamo causato agli altri, quante volte ci accostiamo al Signore con le mani piene di ingiustizia e, speriamo non sia il nostro caso, anche di cattiveria.

Gesù alza la Sua voce contro questa falsa santità, che prescindeva completamente dalla giustizia e dalla carità, ed esclama che, se fino ad allora l’omicidio era stato stimato degno di essere condannato nel giudizio (ossia nel tribunale composto da ventitré giudici, che risiedeva in ogni città per le piccole cause), d’ora innanzi, chi si adirerà contro il proprio fratello desiderando il suo male, sarà degno di essere condannato a questo giudizio, cioè commetterà una colpa reale, una colpa meritevole di pena, della quale Dio terrà conto nel Suo giudizio.

Chi poi, nell’esplosione dell’ira, giunge al disprezzo dicendo a suo fratello: «Raká!», che in ebraico vuol dire “vuoto”, sarà reo di una colpa maggiore, simile a quella che si giudicava nel Sinedrio, che era un tribunale composto da settanta membri, che giudicava colpe gravissime quali l’idolatria e il delitto contro il sommo sacerdote, e comminava le pene più infamanti. Quindi, chiamare “vuoto” il proprio fratello e disprezzarlo è una colpa che offende Dio e copre l’anima di infamia dinanzi al Signore, che è carità.

Infine, chi chiamerà il proprio fratello “stolto”, che in ebraico significa “scellerato, empio, maledetto da Dio”, sarà condannato al fuoco della Geenna, cioè sarà colpevole di peccato mortale, passibile quindi dell’Inferno, se non si converte, se non chiede perdono.

Gli scribi e i farisei si contentavano di condannare l’omicidio, cioè l’estremo atto esterno di violenza; Gesù, invece, condanna l’ira, la mancanza di carità e l’ingiuria, e vuole che ogni uomo si preoccupi di comparire davanti a Dio con il cuore pieno di carità. Per questo dobbiamo lasciare il nostro dono davanti all’altare se… (tutto quello che abbiamo detto prima).

Dentro a questo contesto, per una questione di equilibrio, non dobbiamo però dimenticare quello che scrive San Giovanni Crisostomo nella XI omelia nella Natività (344-407). In questa omelia, San Giovanni Crisostomo, chiamato “Bocca d’oro”, questo Santo Padre, scrive a proposito dell’ira.

Oggi va un po’ di moda questo buonismo indistinto, per cui dobbiamo essere tutti mezzi rimbambiti e dire che va bene tutto, che guai arrabbiarsi, guai qui e lì, invece dobbiamo capire bene, perché anche Gesù vive questa santa ira, in alcuni momenti.

Ecco, allora, San Giovanni Crisostomo ci spiega bene quando l’ira è peccato e quando invece l’ira è santa, perché c’è anche una santa ira.

San Giovanni Crisostomo scrive: “Soltanto colui che si arrabbia senza motivo è colpevole; chi si adira per un motivo giusto non incorre in nessuna colpa”.

Certo, dobbiamo essere sicuri che il motivo sia giusto, che non sia legato ai nostri gusti ma che sia un motivo di verità, di giustizia.

Continua San Crisostomo: “Poiché, se mancasse la collera, non progredirebbe la conoscenza di Dio, i giudizi non avrebbero consistenza ed i crimini non sarebbero repressi”.

Questa santa collera, quando il motivo è giusto, è non solo necessaria ma doverosa, altrimenti la conoscenza di Dio non progredisce, altrimenti non avviene la repressione del crimine, altrimenti il male dilaga.

Quante volte noi ci comportiamo come Ponzio Pilato, chiudendo occhi, bocca e naso come le tre scimmie, per non vedere, non parlare, non sentire?

Ma noi non siamo delle scimmie! Noi siamo dei cristiani!

Quando c’è di mezzo la verità e la giustizia, noi dobbiamo intervenire e, allora, ecco l’affondo potente che fa San Giovanni Crisostomo: “Ed ancor più: chi non si incollerisce quando lo esige la ragione, commette un peccato grave, poiché la pazienza non regolata dalla ragione propaga i vizi, favorisce le negligenze e porta al male, non soltanto i cattivi ma, soprattutto, i buoni”.

Stiamo attenti, per una sorta di quietismo interiore (che tra l’altro è anche un’eresia), per un voler essere in pace con tutti, per un voler stare bene con tutti o per scrupolosità pusillanime, a non tradire la ragione e a non tradire la giustizia e la verità!

Quando la giustizia lo esige, quando la verità lo esige, dice San Giovanni Crisostomo, se tu non ti accendi d’ira, cioè non ti fai sentire, non chiami le cose con il loro nome, non difendi cioè che è giusto difendere, tu commetti un peccato grave, cioè non puoi accostarti all’Eucarestia.

Ponzio Pilato, se avesse vissuto la santa ira, avrebbe salvato Gesù!

Invece, per salvare sé stesso, per salvare la politica, per salvare il quietismo, per il voler star tutti bene e in pace, ha sacrificato l’unico Giusto.

Questo non si può fare!

Si deve dire quando il male è male, e bisogna dirlo in faccia a chiunque, chiunque esso sia, qualunque veste porti!

Stiamo attenti, perché se no la propagazione dei vizi, le negligenze, il male e la corruzione dei buoni diventa responsabilità nostra, stiamo attenti a non diventare collaboratori dell’ingiustizia!

Dobbiamo tenere sempre insieme, da una parte questo grande rispetto per le persone, questa grande temperanza, mansuetudine e bontà, e dall’altra dobbiamo tenere insieme la difesa assoluta della giustizia e della verità, altrimenti commettiamo esattamente il peccato grave, come se avessimo tradito la carità, in quel senso che ho detto all’inizio.

La Vergine Maria ci conceda la grazia di saper vivere sempre, e sempre meglio, dentro a questo santo equilibrio!

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

Letture del giorno

Giovedì della X settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

PRIMA LETTURA (1Re 18,41-46)

Elìa pregò e il cielo diede la pioggia.

In quei giorni, Elìa disse [al re] Acab: «Va’ a mangiare e a bere, perché c’è già il rumore della pioggia torrenziale». Acab andò a mangiare e a bere.

Elìa salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia. Quindi disse al suo servo: «Sali, presto, guarda in direzione del mare». Quegli salì, guardò e disse: «Non c’è nulla!». Elìa disse: «Tornaci ancora per sette volte». La settima volta riferì: «Ecco, una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare». Elìa gli disse: «Va’ a dire ad Acab: “Attacca i cavalli e scendi, perché non ti trattenga la pioggia!”».

D’un tratto il cielo si oscurò per le nubi e per il vento, e vi fu una grande pioggia. Acab montò sul carro e se ne andò a Izreèl. La mano del Signore fu sopra Elìa, che si cinse i fianchi e corse davanti ad Acab finché giunse a Izreèl.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 64)

Rit: A te la lode, o Dio, in Sion.

Tu visiti la terra e la disseti,

la ricolmi di ricchezze.

Il fiume di Dio è gonfio di acque;

tu prepari il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra:

ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,

la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l’anno con i tuoi benefici,

i tuoi solchi stillano abbondanza.

Stillano i pascoli del deserto

e le colline si cingono di esultanza.

Canto al Vangelo (Gv 13,34)

Alleluia, alleluia.

Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:

come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Alleluia.

VANGELO (Mt 5,20-26)

Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

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