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La vera povertà – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.3

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La vera povertà – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.3
Venerdì 3 novembre  2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 14, 1-6)

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 3 novembre 2023. Oggi festeggiamo San Martino. Oggi è anche il primo venerdì del mese, quindi ricordiamo la bellissima pratica dei Primi Nove Venerdì del mese, chiesti da Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quattordicesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 1-6.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Scrive:

2 — Pensare a ciò che gli altri godono, secondo me, è un preoccuparsi senza ragione dei beni altrui: e state intanto sicure che non per questo gli altri muteranno di parere, inducendosi a farvi elemosina. Lasciate questa cura a Colui che solo sa mutare i cuori, ed è padrone delle ricchezze e di chi le possiede. Siamo venute qui per ubbidire alla sua chiamata; le sue parole sono veraci: mancheranno i cieli e la terra, ma esse non mancheranno mai. Non manchiamogli noi, e il necessario non ci farà mai difetto. Se qualche volta ci mancherà, sarà per il nostro maggior bene, a quella guisa che per maggior aumento di gloria mediante il martirio mancava ai santi la vita, quando venivano uccisi per la fede di Cristo. E non sarebbe forse un bel cambio finirla una buona volta con le miserie di questo mondo, per andare a godere, in pienezza, le gioie eterne dei cieli?

Cosa possiamo dire di questo paragrafo secondo? Innanzitutto, non preoccupiamoci di ciò che gli altri godono; noi spesse volte facciamo questo errore di fare i confronti e di vedere sempre gli altri più felici di noi. Abbiamo un po’ questa deformazione di giudizio: a noi gli altri appaiono sempre più felici, più contenti, più graziati di noi. Ma lei dice che questo è inutile, questo modo di ragionare, di pensare, di vedere le cose, è inutile. Ma è bello quando le dice:

Lasciate questa cura a Colui che solo sa mutare i cuori…

sì, lasciamo che sia il Signore ad occuparsi di tutto, di noi e degli altri. Lei dice:

Siamo venute qui per ubbidire alla sua chiamata; le sue parole sono veraci…

La nostra vita — l’abbiamo visto anche nei mesi scorsi — è una risposta a una chiamata, che è innanzitutto la chiamata alla santità, che si concretizza sempre come adempimento della volontà di Dio. Noi siamo chiamati a fare la volontà di Dio, non siamo chiamati a preoccuparci di tante sciocchezze, di tante cose che non sono utili, ma a fare la volontà di Dio. E anche qua lei ci dice: “Non manchiamo verso Gesù e non ci mancherà mai il necessario. E se anche qualche volta dovesse mancarci, sarà per il nostro maggior bene”. E poi aggiunge: “Sarebbe anche bello se tutto finisse e potessimo andare a godere le gioie eterne dei cieli”.

Vedete come Santa Teresa ha questo sguardo molto libero sulla realtà presente, non perché la disprezza, ma semplicemente perché la vede nell’orizzonte della vita eterna. E quindi dice: sì, va bene, noi siamo qui per obbedire alla volontà di Dio; noi siamo qui per rispondere a una chiamata, noi siamo qui e lasciamo questa cura delle cose materiali al Signore, non manchiamogli mai, in modo tale che lui non manchi a noi — tutte queste cose verissime, bellissime — ma poi aggiunge: però non dimentichiamoci mai che il fine di tutto è la gioia eterna, è la vita eterna, è lo stare con lui per sempre. Quindi, anche la morte non deve essere vista come la fine di tutto, come la disgrazia delle disgrazie, perché, se noi siamo credenti, se siamo in grazia di Dio, non è altro che andare a godere le gioie eterne dei cieli.

3 — Questo avviso, sorelle, è molto importante, e lo metto qui affinché lo ricordiate anche dopo la mia morte. Finché io sarò in vita, non cesserò di ricordarvelo, conoscendo per esperienza il gran bene che ne deriva. Meno possediamo e meno abbiamo da preoccuparci. Quanto a me — e il Signore lo sa — mi pare di aver maggior pena quando le elemosine abbondano che non quando ci mancano. E non so se ciò dipenda dall’aver veduto altre volte che il Signore ci viene subito in aiuto.

Agire altrimenti, farci vedere povere ed esserlo soltanto nell’esterno, non nello spirito, sarebbe un ingannare il mondo. Ne avrei scrupolo di coscienza, come suol dirsi, sembrando allora delle ricche che chiedono elemosina. Ma piaccia a Dio che ciò non avvenga! Dove allignano queste cure esagerate per avere elemosine, è facile che, un giorno o l’altro, se ne contragga l’abitudine, sino ad andare a chiedere quello di cui non si ha bisogno a chi forse ha più bisogno di noi. I benefattori, nonché perdere, ne guadagneranno, ma non noi di sicuro. Iddio ce ne liberi, figliuole mie! Se ciò dovesse accadere, bramerei piuttosto che aveste rendite.

Allora, meno possediamo e meno abbiamo da preoccuparci. Sì, questo è vero. Penso a una famiglia: potrebbero avere anche un conto in banca lungo non so quanti zeri, però averlo senza “possederlo”. Sembra un po’ una contraddizione, ma è vero. Ci sono persone, ci sono famiglie che hanno tanto, eppure sono molto libere rispetto a questo “tanto”, lo hanno, ma sembra quasi che non lo possiedano. E ci sono invece famiglie, o persone, che hanno poco e che invece sono estremamente attaccate, sono molto avare da questo punto di vista: ecco, questo non va bene. Questo non va bene, perché poi dal possedere nasce la preoccupazione.

E poi lei dice: attenzione a farci vedere povere all’esterno ma non essere povere dentro; perché, se siamo povere all’esterno ma non siamo povere internamente, questo vuol dire ingannare; perché sembrerebbero allora delle ricche che chiedono elemosina e un ricco non chiede l’elemosina. 

Abbiamo già trattato tante volte questa importanza della povertà spirituale — “beati i poveri in spirito” — l’abbiamo trattato poco tempo fa con Bonhoeffer. Questo affidarci totalmente, solamente a Dio, affidare la cura di noi stessi al Signore, pensare che è lui che si occupa di noi; non avere altra ricchezza che la Provvidenza di Dio.

E poi, lei mette in guardia dalle “cure esagerate per avere elemosine”, quasi che poi se ne contragga l’abitudine e quindi si va a chiedere ciò di cui non si ha bisogno a chi forse ha più bisogno di noi. E questo non va bene. In generale noi dobbiamo sempre avere questo senso di misura. L’elemosina noi la intendiamo subito come il fatto che un’altra persona mi dia qualcosa di molto concreto; per esempio del denaro, piuttosto che dei beni di prima necessità, o anche di seconda e terza necessità, però se c’è bisogno, se è necessario. Pensate anche — mi viene questo pensiero adesso — al tempo, alle energie, alle fatiche che non di rado facciamo perdere agli altri, che ne avrebbero tanto bisogno, per soddisfare dei nostri egoismi. Anche questo è un andare a chiedere ciò di cui non si ha bisogno a chi ha più bisogno di noi. Pensate alla stanchezza di una mamma, di un papà che non stanno bene; perché capite: una giornata di lavoro, la famiglia… e magari i figli che vanno a gravare, a chiedere ciò di cui non hanno bisogno, per questa cura esagerata di “avere”. Pensate anche solo alla fatica del lavoro e di come poi è facile spendere quella fatica, ad esempio, per dei capricci, per delle inutilità, per delle superficialità.

“Di sicuro, se i benefattori guadagnano, noi no — scrive — piuttosto è meglio avere rendite, che vivere una povertà falsa”. Cioè, questa povertà interiore, che è l’anima della povertà esteriore, deve essere reale.

4 — Di questo, dunque non preoccupatevi affatto. Ve lo chiedo in elemosina, per amor di Dio. Quando la più giovane tra voi scoprisse in monastero una simile tendenza, alzi le sue grida al Signore, e prevenendone umilmente la Superiora, le dica che sbaglia strada, e che di questo passo si va, a poco a poco, alla completa rovina della vera povertà. Confido nel Signore che questo non avverrà mai, e che mai Iddio abbandonerà le sue serve. Il presente scritto che mi avete chiesto servirà, se non altro, a ricordarvelo sempre.

5 — Credetemi, figliuole mie! Dei tesori racchiusi nella santa povertà, per vostro bene il Signore mi ha fatto intendere qualche cosa, e se ne convinceranno tra voi anche quelle che ne faranno esperienza. Ma non credo mai come me, perché fino allora non solamente non ero povera di spirito come per la mia professione dovevo essere, ma ne ero piuttosto sciocca. La povertà è un bene che racchiude in sé ogni bene, conferisce un dominio universale e ci rende padroni di tutti i beni della terra, perché ce li fa disprezzare. Che m’importa, infatti, dei re e dei signori, se non so che farmi delle loro ricchezze, se per contentarli mi può avvenire di offendere, anche in poco, il mio Dio? Che m’interessano i loro onori, se sono convinta che il più grande onore per un povero sia di esser tale veramente?

Lei dice che la povertà è un bene che racchiude in sé ogni bene. Perché ci dà un dominio su tutti i beni della terra e ce li fa disprezzare; disprezzare nel senso di dire: sì, sono belli, sì, sono importanti, ma non sono il tutto; in questo senso. Ecco perché è così importante condurre una vita povera, che vuol dire libera dal superfluo, libera dall’inutile. Non conduco una vita povera quando mi ritrovo a dover buttare via il cibo perché è andato male in frigorifero, perché è andato male nella dispensa: questa non è povertà! Ci sono persone che arrivano addirittura a buttare via il pane, è una cosa terribile. Buttare via la carne, il pesce, le verdure, ma questa si può definire povertà? No! Questa non è una vita povera! Quante cose che ci avanzano, poi non le consumiamo e poi le buttiamo; quante cose in eccesso: “per paura che mancasse quindi ho…” Eh, no! Non è che siccome posso, quindi devo; me lo posso permettere, quindi lo faccio, ma cosa vuol dire? Che ragionamento è? Te lo puoi permettere perché il Signore oggi ti ha concesso questo, ma noi dovremmo vivere come se non ce lo potessimo permettere.

Quindi, anche qui troviamo il tema del contentare i re, i signori, e quindi rischiare di dover offendere o di poter offendere Dio anche in poco. Che alle volte succede. Anzi, più di una volta può succedere che, per contentare i potenti, devo offendere il Signore, devo mancare nei confronti del Signore.

6 — Gli onori, secondo me, van sempre d’accordo con le ricchezze: chi desidera gli onori non aborrisce le ricchezze, mentre chi aborrisce le ricchezze poco si cura degli onori. Avvertasi bene questa cosa, perché la bramosia degli onori porta sempre con sé qualche attacco a rendite e a denari. Sarebbe, infatti, assai strano trovare un povero onorato dal mondo! Anche se fosse degno di ogni onore, sarebbe sempre tenuto in poco conto. Ma la vera povertà, quella che si abbraccia per amore di Dio ecco! Questa è la vera povertà! Non dimentichiamo questa espressione: la vera povertà è quella che si abbraccia per amore di Dio. — porta con sé un’onorabilità così grande che s’impone a tutti, perché non si cura d’altro che di piacere a Dio. È cosa certa, intanto, da me stessa constata, che quando non si ha bisogno di nessuno, si hanno in cambio molti amici.

Sì, proprio così. Quindi: gli onori vanno sempre d’accordo con le ricchezze e chi desidera gli onori desidera anche le ricchezze. E la vera povertà, non dimentichiamolo, è quella che io abbraccio per amor di Dio, non per amore di una ideologia. No! L’abbraccio per amore del Signore, cioè, scelgo di vivere in modo povero, che, ripeto, non è il non avere niente per forza; perché poi ovviamente ci sono vari livelli, vari gradi, legati agli stati di vita; ripeto, è chiaro che un papà, una mamma, una famiglia, non possono vivere come viveva San Francesco, come viveva Sant’Antonio Abate, no? È evidente che non è possibile. Tutti siamo chiamati a vivere la povertà, intesa proprio come distacco, come non possesso; ma nei vari livelli in cui la viviamo, tutti la dobbiamo vivere per amor di Dio, non per altre ragioni, solo per amore del Signore e: “questa porta con sé una grande onorabilità; una onorabilità che si impone a tutti, perché non si cura di altro che di piacere a Dio”.

E come già vi dicevo: il mondo se ne accorge, quando una persona vive volendo piacere al Signore! Gli altri lo capiscono, lo vedono, anche se tu non lo dici, anche se tu non parli, anche se tu stai zitto, gli altri se ne accorgono.

…quando non si ha bisogno di nessuno, si hanno in cambio molti amici.

Certo, perché siamo liberi! E quindi, essendo liberi, gli altri si avvicinano volentieri; le persone si avvicinano volentieri, perché non si sentono strumentalizzate, non si sentono usate e, quindi, questa libertà viene ampiamente ripagata. Una persona povera, innanzitutto povera interiormente, sicuramente avrà accanto tanti amici, cioè tante persone che gli vorranno bene. In questo momento non posso non pensare a Madre Teresa di Calcutta, per esempio, ma anche la stessa Santa Teresa d’Avila. Ma è così! Perché tu percepisci che, anche quando aiuti, è un aiutare qualcuno che è libero. Cioè, c’è un bisogno — perché ovviamente anche Santa Teresa non viveva d’aria — però non è il tutto. E quindi vedi che quella persona va oltre.

Beh, credo, anzi più che credo, spero di essermi spiegato e di aver potuto un pochino rendere più accessibile quanto vi ho letto di Santa Teresa. Di cuore auguro a tutti ancora un buon primo venerdì.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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