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Contemplare innanzi tutto

Gianbattista Tiepolo - Vocazione di Isaia

Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di domenica 7 febbraio 2016 (S. Messa del giorno)

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Testo della meditazione

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Contemplare innanzi tutto

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

Vi invito questa mattina a meditare insieme il testo del Libro del Profeta Isaia, capitolo 6. Questo testo si può dividere in quattro parti, i concetti espressi qui sono ripresi poi nella seconda lettura e soprattutto nel Vangelo, e si vede bene come l’Antico Testamento è in collegamento con il Nuovo.

Primo quadro

Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio (immaginatevi la scena). Sopra di Lui stavano dei Serafini (questi Angeli ardenti di carità, gli Angeli dedicati alla carità, gli Angeli infuocati dall’ardore della carità, dallo zelo per il Signore); ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:

«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!

Tutta la terra è piena della sua gloria»”.

Che canto meraviglioso!

“Vibravano (tanto cantavano ed erano forti) gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo”.

Immaginiamoci questa scena di questo canto, di questa bellezza, di questi Angeli, di questa miriade di Serafini, e questo cantare che riempie e fa tremare con il suo rombo gli stipiti del tempio, e questo fumo, simbolo della preghiera che lo riempie, e la bellezza, la grandezza e la maestà di Dio.

Ora, questa è la contemplazione, questo è lo stupore, lo stesso di San Pietro davanti al miracolo di Gesù.

Lo stupore…

Se nella nostra vita non sappiamo più stupirci, non accadrà mai niente di grande, non ci sarà mai conversione per noi.

Un’anima che non si sa stupire, che non sa più stupirsi, è un’anima che ha perso la vita.

Se noi non sappiamo vedere, gustare la sacralità di Dio, la grandezza di Dio, la maestà di Dio, la bellezza di Dio, non accadrà mai nulla nella nostra vita, non ci sarà conversione, come vedremo adesso.

La conversione non nasce dalla paura, non nasce da una riflessione teologica, non nasce dal timore dell’Inferno; la conversione non nasce da una minaccia, da un ricatto, da una educazione cattolica, non nasce dal buon costume, dalla moralità, dal moralismo, dall’etica, dal “così fan tutti”; non nasce dal fatto che vivo in mezzo alle suore, ai preti, ai frati, alle monache e a non so chi altro.

Non nasce lì la conversione!

Non mi converto perché vivo in un convento, non mi converto perché vado in Parrocchia, non mi converto perché faccio parte di non so quale Consiglio, non mi converto perché mi riempio di abiti!

La conversione nasce dall’incontro con la sacralità di Dio e la nostra Santa Messa è il primo luogo nel quale deve vedersi la sacralità di Dio.

L’attore principale è Dio, non l’uomo!

È dall’incontro con la sacralità di Dio, con la maestà di Dio, con l’alterità di Dio, che nasce lo stupore, da questa bellezza.

Le nostre celebrazioni devono essere belle, non orride!

Devono essere gustose, sapide, vere, sacrali!

Quando io vado a Messa, devo andare ad incontrare la sacralità di Dio; se non incontro il sacro, cosa ci vado a fare a Messa?

Non bisogna andare a Messa per cantare, per ballare, per danzare, per fare versi!

Non bisogna andare a Messa per mettermi io, in prima persona, a fare il pagliaccio!

Ho bisogno di andare a Messa per incontrare Dio e Dio si incontra nella sfera del sacro.

Tutto deve trasudare sacralità!

Questi fiori a cosa servono?

Queste tovaglie così belle, così stirate bene, con tutti i ricami, a cosa servono?

Le candele, a cosa servono?

Gli abiti dei ragazzi che servono all’altare a cosa servono?

Come mai mettono l’abito nero?

Per la sacralità, perché questo dice l’onore e la sacralità di Dio.

Come mai si mettono in ginocchio?

Davanti a Dio si sta in ginocchio! Tutta la Scrittura è piena di questo.

Togliti i sandali”, a Mosè, “perché la terra sulla quale tu stai è sacra!”, e subito si prostra.

Appare Gesù, dopo la morte, e tutti cadono a terra prostrati davanti al Maestro.

In piedi sta solo Dio, perché lo stupore ti prende dentro.

San Pietro, pieno dello stupore, della sacralità di Gesù Cristo, per il miracolo, cade alle ginocchia di Gesù e questo dice lo stupore. Se non c’è stupore, noi siamo morti, noi non serviamo a niente, siamo sale insipido e candele spente.

Secondo quadro

E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il Re, il Signore degli eserciti
»”.

Quando nasce la coscienza del peccato?

Attraverso l’analisi psicanalitica della mia mente?

No.

Attraverso il fatto che mi guardo l’ombelico?

No.

Quando nasce il senso del peccato?

Attraverso il fatto che io guardo il povero, che devo aiutare, che gli do il soldino o non glielo do?

Se ho disobbedito, attraverso una riflessine morale sulla mia vita?

No. Non è qui che nasce il senso del peccato.

Lì nasce il senso di colpa, lì nasce il senso dell’errore, non del peccato.

Il senso del sapersi e del sentirsi peccatori nasce dall’incontro con la grandezza, la straordinarietà, la magnificenza, la maestà di Dio.

Dopo il miracolo dei pesci, San Pietro cade a terra in ginocchio e dice: «Signore, allontanati da me perché sono un peccatore!»

Uno dice: «Cosa c’entra il peccatore con i pesci?»

Eccome se c’entra! Perché, di fronte al miracolo incredibile di cui lui era stato testimone, immediatamente, la riflessione, la luce di quel miracolo, la luce dello stupore, entra nell’anima, la investe, e lui si vede per quello che è, e dice: «Sono un peccatore», anche lui lo dice.

Isaia sente dentro questa cosa: «Non posso stare qui… eppure io ho visto, eppure il Signore ha fatto un miracolo…»

Allora uno diventa matto, e dice: «Come faccio a stare qua, essere così amato ed essere quello che sono?»

Vedete Pietro cosa dice: «Vai via, allontanati da me, perché io non posso stare accanto a Te», altro che: «Ma sì, va bene tutto! Fate quello che volete, tanto il Signore perdona!», queste sono scempiaggini!

Chi ha veramente sperimentato nella Scrittura la grandezza, la bontà, la misericordia di Dio, immediatamente diventa cosciente del suo peccato, non “Ma sì, vabbè…”

Uno si sente piccolissimo, si sente indegno di Dio!

Quando è stata l’ultima volta che ci siamo sentiti indegni di Dio?

Quando è stata l’ultima volta che ci siamo sentiti peccatori?

Infatti, non ci confessiamo mai…mai…pochissimo.

Confessioni preparate male, vissute peggio, e quando ce ne andiamo è come se non ci fossimo neanche confessati.

Chi incontra Dio, chi incontra lo stupore di Dio, chi incontra la sacralità di Dio, diventa cosciente del suo peccato e si sente senza speranza. Questo è il peccatore, per lui la vita è finita, non c’è più speranza, non c’è più niente, c’è il vuoto, il vuoto del suo peccato, perché il peccato è una gola profonda che attrae l’uomo.

Per questo Gesù è morto in croce, per chiudere quella gola, per strapparti dalla disperazione.

Terzo quadro

“Allora uno dei Serafini (Angelo dedicato alla carità) volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che

aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».

Perché ha preso il carbone con le molle e non con le mani?

L’Angelo è puro spirito, non si brucia…perché non lo ha preso con le mani?

Perché le “cose” di Dio non si toccano, sono di Dio.

Cosa vi viene in mente?

Pensando a questo carbone, cosa vi viene in mente?

L’Eucarestia. L’Eucarestia è il carbone ardente, preso con le molle dall’altare di Dio, queste molle sono le mani del Sacerdote, l’Angelo Serafino è il sacerdote del Nuovo Testamento, colui che è mediatore tra Dio e gli uomini, questo Angelo, che, dalla maestà di Dio, si dirige all’uomo e mette sulle sue labbra il carbone ardente. Niente c’è di più ardente del Corpo di Cristo, che arde del fuoco del Suo Cuore, e ti tocca le labbra e te lo mette nella bocca, perché tu ti nutra di quel fuoco. La qualità principale di questo fuoco è di purificarti, di toglierti il peccato, di renderti puro, mondo, degno di stare davanti a Dio, degno di entrare in comunione con Dio.

Infatti, noi diciamo: «Posso andare a fare la Comunione? Vorrei andare a fare la Comunione. Ho fatto la Comunione».

Perché?

Perché quello è il carbone ardente che mi mette in comunione con Dio, che mi fa diventare carne della Sua Carne, sangue del Suo Sangue.

Lo stupore, cosciente del peccato, riconoscere il proprio peccato, poi per noi, nel Nuovo Testamento, la confessione, ergo, ecco il carbone ardente che ci purifica.

È bello che tocchi proprio le labbra, che tolga le impurità dal parlare, dal gustare.

Le labbra sono il luogo della relazione, della parola, dell’incontro, dell’espressione, della manifestazione di sé, dell’io. Quindi, toglie tutto ciò che è impuro, tutto ciò che è falso, bieco, egoista, prepotente, cattivo, indegno, toglie tutto, e lo rende puro secondo Dio, degno di stare alla presenza di questa maestà immensa, di fumo, di canto e di meraviglia.

Quarto quadro

Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!»”

«Pietro, tu, d’ora in poi, diventerai pescatore di uomini».

La missione di evangelizzare il mondo nasce così, non nasce dalle nostre belle idee, non nasce dal “ho voglia”, “me la sento”, “lo dobbiamo fare”, ma è questo il percorso biblico, è questo il percorso evangelico, è questo il percorso di tutta la Scrittura, che ci dice: «Per essere missionario, per essere evangelizzatore, per portare Dio all’uomo, tutti, dovete fare questo percorso: l’incontro con Dio, lo stupore di Dio, la coscienza dell’alterità di Dio, della sacralità di Dio, della bellezza di Dio, lo stupore (deve nascere lo stupore, perché se non nasce non nasce niente), il quale fa nascere la presa di consapevolezza del peccato e dell’essere peccatore, da qui, la confessione del peccato, quindi l’Eucarestia. A quel punto tu puoi evangelizzare».

Sapete perché?

Perché non porti più te stesso, ma Dio, perché sei puro, sei mondo. A questo punto tu puoi diventare un missionario, perché a questo punto tu puoi portare solo Gesù, solo Dio, perché hai fatto una esperienza vera e personale di Dio; di Dio tu adesso hai una coscienza personale, tu sai chi è Dio, perché L’hai sperimentato tu direttamente e non parlerai di aria fritta, non ripeterai “bla bla bla”, le cose che si sentono sempre, ma parlerai di Dio che è in te, e chi ti ascolterà dirà: «Mamma…ma questo è veramente Dio! Qua c’è veramente la vita!»

Certo! Perché sarà ciò che tu avrai assimilato, tradotto per gli altri, e così diventi missionario. Questo è quello che hanno fatto i Santi, tutti i Santi hanno fatto così, hanno tradotto Dio per l’uomo, dalla loro esperienza però.

Ecco perché San Tommaso d’Aquino scrive “Contemplata aliis tradere”, tu trasmetti ciò che hai contemplato, ma se tu non contempli non trasmetti niente.

Dobbiamo fuggire a gambe levate da cristiani che non pregano, peggio se sono preti e suore, perché sono diavoli incarnati, via, non hanno niente da insegnare, niente, nulla, nulla.

Mia nonna mi diceva: «Ricordati, Giorgio, i preti sono come il carbone: se sono spenti, sporcano; se sono accesi, incendiano».

Noi dobbiamo stare vicini ai cristiani che pregano!

Padre Pio diceva: «Chi non prega si danna», e non ci sono “se”, e non ci sono “ma”.

«No, ma io prego mentre faccio…»

No, tu non preghi, perché per imparare a pregare mentre fai, devi prima avere imparato a pregare stando davanti al tabernacolo, ore e ore, ore e ore, ore e ore, non quelle preghiere del “take away”, del “fast food”, di chi passa storto davanti ad una chiesa con la gamba incrociata, con un segno di croce storto e sbilenco: «Ciao Gesù!» e ho pregato.

Che preghiera è quella lì?

Io prego prima di andare a letto, dicendo un Padre nostro e un’Ave Maria mentre sono nel letto sopra al cuscino!

Questa non è preghiera! Questa non è preghiera!

Non c’entra niente con lo stupore! Non c’entra niente con la contemplazione della grandezza e della sacralità di Dio!

Tu non hai incontrato Dio, hai semplicemente assolto un precetto tuo, ma questo non è un incontro con Dio!

Nasce stupore da quella preghiera? Nasce stupore dal fatto che tu hai fatto quello sgorbio davanti alla chiesa? Nasce stupore davanti al fatto che tu fai la Comunione e scappi via come un ladro, appena finisce la Messa?

Ma non c’è niente!

Infatti, la nostra vita è triste, è piatta, facciamo sempre gli stessi peccati, siamo soli come cani…perché?

Perché non abbiamo Gesù Cristo nel cuore e nella testa.

Un Santo ti cambia un campo di concentramento, capite?

Noi che ci stiamo lì a lamentare se non abbiamo tutte le cose come vogliamo noi…

Un Santo ti cambia il campo di concentramento, perché lui ha Gesù Cristo dentro…così ha fatto San Massimiliano Maria Kolbe, ricordato per sempre.

E noi, perché non siamo ricordati?

Perché siamo insignificanti. La nostra vita, che c’è o non c’è, non cambia la vita di nessuno.

Perché insignificanti?

Perché non c’è Gesù, non c’è Gesù.

Noi cristiani dobbiamo chiedere di portarci a Dio, non agli uomini, a Dio, a pregare.

Cosa devo chiedere ad un prete e ad una suora?

Gesù perché ha chiamato i preti e le suore?

Per fare…?

No! Nel Vangelo non c’è scritto così.

Li chiamò perché stessero con Lui”, questo è scritto nel Vangelo, questa è la ragione della vocazione: perché stessero con Lui, non per andare dai poveri o per andare a predicare, no, no, perché stessero con Lui. Questa è la ragione del Vangelo, dopo verrà la missione, dopo che sono stati con Lui.

Quindi, noi, ad un prete e ad una suora, cosa dobbiamo chiedere?

Di insegnarci l’arte di Dio: la preghiera.

Insegnami a parlare con Dio, insegnami ad ascoltare Dio, a stare alla presenza di Dio, parlami di Dio!

Questo è il compito di un Sacerdote e di una suora: parlare di Dio, insegnare Dio, condurre a Dio, poi verrà tutto il resto.

Quello che faceva Madre Teresa di Calcutta.

Nessuna è più santa nella carità di lei, nessuna! Nessun uomo, nessuno è più santo nella carità di Madre Teresa di Calcutta, nessuno.

Esattamente: prima l’Opus Dei, prima l’Opera di Dio, dopo tutto il resto.

Quello che hanno fatto i Monaci Benedettini, tutti dediti a Dio, ma hanno cambiato l’Occidente. Se noi oggi non sguazziamo in mezzo alla malaria e alle paludi, è per i Monaci, mica i Grandeur, mica per gli uomini di mondo, è per i Monaci. Loro hanno bonificato tutta la nostra cara Europa, loro hanno messo i campi dove prima c’erano gli stagni pieni di malaria e di schifezze, loro, ma perché?

Perché prima c’era l’Opera di Dio, solo a seguito di quella; come dice il Concilio Vaticano II: dalla contemplazione all’azione.

Ecco, questo noi impariamo dalle Scritture.

È difficile?

Sì, perché questa è la più grande ascesi, perché vuol dire rinunciare a sé, vuol dire mettere da parte il proprio io e mettere al centro Dio, vuol dire perdere tempo davanti al tabernacolo, ore, ore davanti al tabernacolo.

«E ma io ho tanto da fare…sono stanco…»

Ore…ore, perché poi noi dobbiamo rendere conto a Dio della nostra vita e della vita degli altri, e verremo misurati su quanto siamo stati con Lui.

Quanto tempo abbiamo dedicato a Gesù? Quanto siamo stati accanto a Gesù?

«No, ma io sto accanto a Gesù nel fratello…»

No, tesoro, non hai capito il concetto!

Tu stai accanto a Gesù, a Gesù che è presente nell’Eucarestia, così Lo potrai vedere nel fratello, non il contrario.

Di questo è piena la Chiesa, il Concilio Vaticano II è pieno di questa cosa, i Santi dicono tutti questa cosa qui.

Chiediamo, quindi, al Signore, in questa ultima domenica prima della Quaresima, che questa Quaresima sia veramente un tempo di uscita, come dice il Papa, di Chiesa in uscita, certo, per andare verso Gesù, il quale ci condurrà al fratello; Lui, non noi, non il contrario. Che sia un tempo nel quale preghiamo di più e meglio, mettendo Gesù al primo posto, stando accanto al tabernacolo!

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

 

Letture del giorno

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Prima lettura

Is 6,1-2.3-8 – Eccomi, manda me!

Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

Salmo responsoriale

Sal 137

Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Seconda lettura

1Cor 15,1-11 – Così predichiamo e così avete creduto.

Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.
Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

Canto al Vangelo

Mt 4,19

Alleluia, alleluia.
Venite dietro a me, dice il Signore,
vi farò pescatori di uomini.
Alleluia.

Vangelo

Lc 5,1-11 – Lasciarono tutto e lo seguirono.

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

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