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I veri poveri – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.4

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: I veri poveri – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.4
Sabato 4 novembre  2023 – S. Carlo Borromeo Vescovo

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 14, 1.7-11)

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 4 novembre 2023. Festeggiamo quest’oggi San Carlo Borromeo, vescovo.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quattordicesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 1-11.

Oggi ricordiamo che è il primo sabato del mese e, come sempre, ricordiamo la bellissima pratica dei Primi Cinque Sabati del mese.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Scrive: 

7 — Su questa virtù si è scritto molto, e siccome io non so comprenderne l’eccellenza e tanto meno dichiararla, così, per non offenderla col volerla esaltare, non dirò più nulla. Ho detto soltanto quello che ho veduto per esperienza, e confesso di averlo fatto senza accorgermi, tanto d’avvedermene solo ora. Ma ciò che ho detto sia detto.

La santa povertà è la nostra insegna, stimata ed osservata dai nostri santi padri sin dai primordi dell’Ordine. Mi fu assicurato da chi conosce bene la storia, che essi non conservavano nulla un giorno per l’altro. E giacché ora non si pratica più con tanta perfezione nell’esterno, procuriamo almeno, per amore di Dio, di osservarla perfettamente nel nostro interno. Non dobbiamo vivere che due ore, e poi un premio senza fine! Ma è sempre un gran premio, anche solo per osservare il consiglio del Signore, seguire almeno in qualche cosa Sua Divina Maestà.

8 — La povertà deve essere il motto della nostra bandiera, e dobbiamo osservarla dunque: nella casa, nelle vesti, nelle parole, e molto più nel pensiero. Finché vi atterrete a questa regola, siate sicure che, con l’aiuto di Dio, la perfezione di questa casa non verrà mai meno. Diceva S. Chiara che forti mura sono quelle della povertà; e di povertà e umiltà voleva recinti i suoi monasteri. Se la povertà è bene osservata, l’onore del monastero, non meno di tutto il resto, rimane meglio custodito che non negli edifici sontuosi.

Quanto alla sontuosità degli edifici, vi scongiuro di guardarvene per l’amore di Dio e per il sangue di suo Figlio. Se lo potessi dire in buona coscienza, tali edifici crollino il giorno stesso in cui li doveste costruire.

Abbiamo letto il paragrafo settimo e ottavo, e ritorna questo tema importante della povertà, S. Teresa continua a parlare della povertà. Questa santa povertà è stata stimata ed è stata osservata dai santi padri fin dai primordi dell’ordine. Addirittura, lei scrive che essi non conservavano nulla da un giorno con l’altro. Vedete, proprio un affidamento che potremmo dire eroico, un affidamento radicale, totale, alla divina Provvidenza; cioè: quello che mi serve per vivere oggi lo cerco, lo procuro, lo chiedo; domani è un altro giorno.

Certo, per noi sono cose che sembrano quasi impossibili, così lontane nel tempo da essere impossibili. Cose che probabilmente neanche abbiamo mai sentito, conosciuto. Eppure, questo modo eroico di vivere la povertà dice quanto per loro fosse importante fare affidamento solo sull’intervento di Dio. E lei qui richiama l’importanza di un’osservanza interiore, cioè lei dice: va bene, adesso non la viviamo più in modo così eroico esternamente, però internamente sì, siamo comunque chiamati a viverla in modo molto forte. E allora lei dice che la povertà deve essere il motto della nostra bandiera, e va osservata dovunque: nella casa e nelle vesti, nelle parole, molto più nel pensiero. 

A noi risulta abbastanza facile vedere la povertà nella casa e nelle vesti, ma, nelle parole e molto più nel pensiero… forse un po’ meno. Eppure, dovremmo imparare a viverla anche lì. Anzi, dovremmo partire proprio da qui: dal custodire — e quindi dal coltivare — un pensiero povero. Quindi, un parlare povero, cioè essenziale. Diciamo che il riferimento potrebbe essere, anzi deve essere, l’espressione di Gesù: “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no. Il di più viene dal maligno”.

Pensate a quante parole inutili diciamo; pensate a quanti discorsi inutili e dannosi facciamo nella nostra testa; pensate ai pensieri di vendetta, di recriminazione, di avarizia, di egoismo, di impurità. Innanzitutto, questi sono segno di una mancanza di povertà interiore. Chi è povero interiormente, chi si è incamminato sulla via della povertà interiore, impara a non avere tempo, modo, luogo di coltivare questi pensieri; esattamente come il povero esteriore che, per esempio non ha denaro per comprare quello che vuole. E invece noi, con una certa facilità, ci comportiamo da ricchi, sia nel pensiero che nelle parole. E quindi pensiamo tutto quello che vogliamo e diciamo tutto quello che vogliamo, non c’è un limite. La povertà, di fatto, è un grande limite, perché chi vive una vita povera tante cose non può averle, non può permettersele, non se le può concedere. E così dovrebbe essere nei pensieri e nelle parole. Quindi un pensare essenziale, un parlare essenziale. Per esempio, un parlare quando siamo interrogati, sennò imparare a tacere; per esempio, un parlare purificato dalla mormorazione, purificato dalla critica, purificato dalla polemica, purificato dalle parolacce, purificato dalle bestemmie, dai discorsi volgari, dai discorsi inutili. Chiaro che “la bocca parla dall’abbondanza del cuore”, lo sappiamo. E allora certo, se il nostro cuore viene educato alla povertà, anche la bocca sarà povera nel suo dire.

E allora lei dice: “Finché vi atterrete a questa regola, sarete benedetti”. Certo, perché se tutta la nostra persona vive nella povertà interna ed esterna, che — ripeto, perché deve essere sicuro che non ci fraintendiamo — non è cosa solo per monache o per frati, non è semplicemente la rinuncia ad avere rendite; questo invito alla povertà, questo cammino di perfezione, che comprende un’attenzione particolare alla povertà, vale per tutti. In modi diversi, con declinazioni diverse, ma vale per tutti. Il papà e la mamma, il marito e la moglie, sono chiamati a vivere la povertà in un modo diverso dall’eremita o dalla monaca di clausura, ma sono chiamati comunque a vivere la povertà. 

La povertà evangelica ci interpella tutti, in modi diversi. E non facciamo l’errore di banalizzare la povertà come assenza di mezzi, assenza di risorse e quindi di credere che, se ho assenza di mezzi e assenza di risorse, sono un povero e mi metto il cuore in pace. Stiamo ascoltando da Santa Teresa che “c’è una povertà interiore, assolutamente fondamentale e necessaria, perché si possa realizzare in modo equilibrato, conveniente e vero, una povertà esteriore”.

Quindi S. Teresa richiama l’importanza della povertà, dell’umiltà, e di quanto la povertà sappia custodire anche le realtà concrete: lei parla di monasteri, noi potremmo parlare delle nostre case. E poi parla della sontuosità: addirittura lei dice: “Se lo potessi dire in buona coscienza, tali edifici crollino il giorno stesso in cui li doveste costruire”.  Un’espressione forte! La sontuosità, capite, è proprio l’eccesso, è proprio ciò che non serve; è proprio l’eccesso per il gusto dell’eccesso. E questo non ha niente a che vedere con la povertà evangelica, che può essere certo espressa negli edifici, ma c’è una sontuosità anche che si rivela nella persona. Quindi, un parlare sontuoso; perché uno dice: “Sì, come parla bene!” — “E che cosa ha detto?” — “Non lo so…”. Ecco, appunto: tanta scena, ma poi?

9 — Mi pare molto sconveniente fabbricare grandi case con il denaro dei poveri! Il Signore non lo permetta mai! Il vostro monastero sia piccolo e modesto. Imitiamo almeno in qualche cosa il nostro Re, che ebbe per casa la capanna di Bethlem dove nacque, e la croce su cui morì. Non erano certo abitazioni da doversi stare in delizia! Quelli che innalzano vaste case avranno loro buoni motivi, e le loro intenzioni saranno sante; ma per tredici poverelle il più piccolo cantuccio è sufficiente. Se per ragione della stretta clausura potrete avere un giardino e in esso costruirete dei romitori ove ritirarvi in orazione, ciò sia alla buon’ora, perché questo serve al raccoglimento e alla devozione; ma Dio vi liberi da edifici e dimore spaziose e da curiose ornamentazioni! Ricordatevi sempre che al giorno del giudizio dovrà tutto cadere: e chi sa se quel giorno non sia vicino!

10 — Sarebbe strano che in quel giorno la casa di tredici poverelle facesse tanto rumore nel cadere! I veri poveri non fanno rumore! Gente senza rumore devono essere i poveri, se vogliono eccitare compassione.

Quale invece la vostra gioia se vedeste allora qualcuno andar libero dall’inferno per l’elemosina a voi fatta! Tutto è possibile, tanto più che voi siete molto obbligate a pregare senza fine per coloro che vi danno da vivere. Benché ci venga tutto da Dio, Egli esige che ci mostriamo riconoscenti anche a coloro per cui mezzo Egli ci sovviene. E badate che in questo non vi sia negligenza!

Mi sono talmente allontanata dal mio soggetto, che non mi ricordo nemmeno di quanto ho cominciato a dire. Credo che così abbia voluto il Signore, perché io non pensavo certo di scrivere quello che ho scritto. Sua Maestà ci sorregga con la sua mano, affinché fra noi non venga mai meno quella perfezione di povertà che ora professiamo! Amen.

Allora: «fabbricare grandi case con il denaro dei poveri». Certo, questa è una riflessione, nuova, interessante… Beh, non sono solo i ricchi che fanno l’elemosina, anzi, spesso sono persone povere, cioè sono persone, mi verrebbe da dire, normali, e ognuno da un qualcosa che ha. Ecco, il ragionamento di S. Teresa è: ma è giusto che, con ciò che ti viene dato in nome della povertà, dalla povertà (perché, capite, magari uno si priva di qualcosa che gli è proprio, che è suo, per darlo a te, per la tua necessità) è giusto con questo, “col denaro dei poveri fare grandi case”? Vedete che, proprio nel parlare, c’è una contraddizione: “Il denaro dei poveri — quindi di chi è nel poco — per le grandi case”? No!

Certo, non è che tu — faccio un esempio — prendi cento da una persona e costruisci con quel cento una grande casa, ma: una persona dà cento, quell’altra dà venti, quell’altra dà cinque, quell’altra dà quaranta, quell’altra dà sessanta, e tu metti insieme mille. Quel mille è formato da tante parti, più grandi o più piccole; ora, dentro a quelle parti, ci sono anche le piccole, le medie o le grandi porzioni di coloro che, nella loro povertà, nella loro normalità di vita, hanno deciso di aiutarti. Eh, allora non è che siccome, appunto, tu ricevi da cento persone una piccola, media, grande porzione, sei quindi autorizzato ad usarla per grandi cose. Ecco, è questo che lei sta dicendo. “Questo denaro dei poveri deve servire per un monastero piccolo e modesto”, cioè per una realtà povera.

Io credo che sia abbastanza chiaro il ragionamento che lei fa, mi sembra molto chiaro, molto consequenziale. Quindi, non è che siccome ho ricevuto tanto, allora devo fare tanto. Devo fare il giusto. Quindi, lei dice: “il monastero piccolo e modesto va bene per noi”, lei poi dà anche un numero, dice “per tredici poverelle”, che non vuol dire che dobbiamo vivere tutti in una stanza, nei letti a castello! No, ci sarà decoro, ognuna avrà la sua cameretta, la sua celletta, ogni monaca avrà la sua cella, poi ci sarà la cucina, poi ci sarà la lavanderia… Però, vedete, lei dice “un monastero piccolo e modesto”, cioè quel tanto che basta, quel tanto che serve. Fatto bene, rigoroso, però modesto.

Ci sono — noi le vediamo — delle case molto belle; e forse la loro bellezza sta proprio nel loro essere modeste: queste case semplici, modeste, alle volte sono anche piccole, eppure tenute, gestite, con grande cura, grande attenzione. E lei dice che in questo modo noi imitiamo Gesù, che per casa ebbe la capanna di Betlemme, e poi la croce su cui morì. E quindi lei dice che, certo, non è un’abitazione dove doversi stare con delizia: eh, certo!

… per tredici poverelle il più piccolo cantuccio è sufficiente.

Bella questa espressione: “Il più piccolo cantuccio”. Questo ridimensiona molto le nostre prospettive. E ciascuno di noi, con queste parole di Santa Teresa, può guardarsi intorno e farsi l’esame di coscienza e vedere se vive sotto o nella logica del piccolo cantuccio. Piccolo cantuccio… anche ciascuno di noi — magari, non so, pensiamo ai giovani, che possono ascoltare anche queste meditazioni — guardano la propria casa — o magari anche i confratelli sacerdoti che ascoltano — guardano la propria casa… ecco, per noi è sufficiente il piccolo cantuccio? Io, giovane, guardo la mia cameretta dove dormo, dove studio: ecco, il piccolo cantuccio è sufficiente? Non è solamente da chiedersi se è sufficiente per vivere, perché certo che è sufficiente per vivere: ma se è sufficiente alla mia psiche — è importante — per star bene, per essere sereno, per essere in pace; per dire: “Per me questo va bene”. Guardate che non è così semplice.

Ero tentato — quando dovevo decidere che cosa fare in questo tempo di novembre e di dicembre, così come vi ho detto — di fare un altro testo, molto più breve di quello che ho scelto. Magari un giorno lo farò, era un testo che si chiama, se non ricordo male, “Cinque pani e due pesci”, del cardinale Văn Thuận; penso che tutti conosciate un po’ la sua storia, non so come definirlo, veramente, mi viene proprio dire: questo martire della fede, perché veramente ha vissuto degli anni terribili. Quando leggo i suoi testi — anche questo piccolo libretto, “Cinque pani e due pesci” — come dirvi, rimango lì, fermo, e dico: “Mah! Tredici anni in isolamento…”. Io queste cose, guardate, non riesco a dimenticarmele, ve ne ho già parlato qualche tempo fa: tredici anni in isolamento! Aveva una cella di prigione senza finestre, camminava avanti e indietro in cella, lui dice, per non farsi venire l’artrosi nelle ginocchia. Il buio, l’assenza dell’Eucarestia! Poi, vabbè, trova il modo di celebrare, in modo clandestino, ma questo è un altro discorso. E poi era giovane, lui era già arcivescovo quando lo imprigionano; non aveva fatto niente di male, semplicemente il papa l’aveva nominato arcivescovo e da lì si è scatenata questa persecuzione. E lui scrive — ve ne ho già parlato — dicendo: “Io sono qui e penso alla mia cattedrale, penso alle processioni, penso alle sante messe, ai battesimi, ai matrimoni, alle conferenze che facevo, penso alle predicazioni, penso… Non c’è più niente! Non ho più niente. Più niente di tutto questo”. E, capite, era un giovane arcivescovo. Quante cose bellissime poteva fare. Ecco, e lui dice: “Io qui ho imparato la distinzione tra fare le opere di Dio — quindi proprio fare, fare cose — e fare la volontà di Dio”. C’è una distinzione radicale tra le opere di Dio e la volontà di Dio. La volontà di Dio in quel momento lo chiamava lì.

Difficilissimo, questo è veramente un cammino di grandissima povertà. E quel cantuccio… quello non era un cantuccio, quella era la galera, ma non la galera che abbiamo noi, questa è la galera galera, quella proprio indescrivibile, che solo a vederla ti senti morire, che fare dentro tredici anni…

Tredici anni sono tredici anni, cioè, io non lo so, alle volte quando dico queste cose mi tremano le vene, perché dico: per dire tredici anni ci vogliono due secondi, per vivere tredici anni, ci vogliono tredici anni, fatti di ore, di minuti, di secondi. Tredici anni! Tredici anni tu ti vedi la carne che invecchia addosso! Tredici anni, tu vedi il tuo corpo che invecchia, lo senti; poi di galera: nell’umido, nel freddo, nel caldo bollente, tredici anni, notte e giorno da solo! No, no, noi queste cose le possiamo dire, ma credo neanche immaginare. Non sono immaginabili, veramente, non lo sono, non lo sono: tredici anni sono tredici anni, è una quantità di tempo infinita. Ma uno dice: “Ah sì, ma rispetto all’eternità …”. Sì, comincia a viverla! Comincia a vivere tredici anni all’inferno, poi vediamo!

Vabbè, comunque lo tengo in mente sempre — ovviamente lui adesso è morto — perché dico: “Questo è l’esempio di un uomo…”. Lo dico di lui come tanti altri che oggi sono vivi e che neanche sappiamo chi sono, che volto hanno, e neanche sappiamo dove sono sepolti vivi, in chissà quale campo di detenzione, in chissà quale buco di isolamento. Laici, laiche, suore, sacerdoti, catechisti, vescovi… rinchiusi (e Santa Teresa ci parla di questo piccolo cantuccio). E non hanno niente; la cosa incredibile è che gli tolgono tutto, li spogliano di tutto, degli abiti, anche delle cose più intime, tutto, gli portano via tutto, non hanno più niente, niente; ma niente vuol dire niente, niente: hanno solo la propria pelle.

Ecco, Santa Teresa ci dice:

…Dio vi liberi da edifici e dimore spaziose e da curiose ornamentazioni.

 Certo, perché rispetto a queste esperienze che vi sto raccontando, capite che tutto questo risulta un insulto? Cosa me ne faccio di un edificio enorme, di dimore spaziose o curiose ornamentazioni; cosa mi servono se poi mi guardo nello specchio della vita di questi santi uomini e donne, di questi confessori e martiri della fede? Certo, poi lei dice che sarebbe strano che facesse tanto rumore nel cadere la casa di tredici poverelle; certo: i veri poveri non fanno rumore. Gente senza rumore. Questo è molto forte: “i veri poveri non fanno rumore, sono gente senza rumore”. Chi di noi — non dico di voi, di noi, me per primo — sa di questi poveri, di questi poveri cristiani incarcerati, torturati, perseguitati, ammazzati a causa della loro fede in Gesù? Nessuno! Chi ne parla? Nessuno! Nessuno, non ne parla nessuno. Chi li difende? Nessuno. Perché i veri poveri non fanno rumore: sono gente senza rumore.

Pensate al traffico degli esseri umani. Questa è un’altra piaga devastante, che noi neanche possiamo immaginare, noi non la immaginiamo. Pensate al traffico dei bambini, questi bambini o che sono orfani e vengono portati via oppure questi bambini che vengono portati via alle famiglie povere, oppure le famiglie povere che li vendono. Traffico di questi bambini per le cose più innominabili che si possano fare e pensare. Fanno rumore? Zero! Chi ne parla? Nessuno. Chi si fa voce della loro sofferenza? Nessuno!

Sono situazioni veramente terribili, gente senza rumore; i poveri a cui si dedicava madre Teresa di Calcutta? Gente senza rumore. Non fanno rumore, e vivono situazioni di povertà terribili. 

Questi bambini hanno una vita distrutta, che nessuno più potrà ridargli; a parte quelli che vengono uccisi, quelli che muoiono, ma anche quelli che vivono, che sopravvivono, cosa resterà? Pensate al tema terribile della prostituzione infantile, della pedofilia, cose che solo a nominarle ti si ghiaccia il sangue nelle vene. Ma quando è stata l’ultima volta che abbiamo pensato a queste cose? Quando è stata l’ultima volta che qualcuno ci ha parlato di queste cose? Anche questo è un tema che… non lo so…

Io, se posso, mi permetto di consigliarvi la visione di un film che, vi dico già, non credo che sia per tutti. Sapete che io vi consiglio sempre dei libri o dei film che di solito sono per tutti. Questo non me la sento di dire che è per tutti. Il film si chiama: Sound of freedom. È un film del 2023 diretto da Alejandro Monteverde. È un film basato su una storia vera e tratta la vicenda di Timothy Ballard (interpretato da Jim Caviezel) che è un ex agente governativo, che lotta contro il traffico di esseri umani minorenni in Colombia. Su Internet poi potete trovare anche la trama del film, che è stato distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi a partire dal 4 luglio 2023. Ecco, non è per tutti.

Jim Caviezel, voi sapete, è quello che ha interpretato Gesù nel film The Passion; su Internet, su YouTube ci sono anche delle testimonianze molto belle che lui fa; un uomo cristiano, assolutamente convinto, un fervente cristiano. 

Potete vedere anche dei trailer che ci sono sempre su YouTube che Sound of freedom è un film che narra proprio di questa cosa che vi sto dicendo. Uno si immagina che, dato il tema, ci possano essere immagini impure e scene brutte… no, non troverete nulla di tutto questo, però è pesante! È un film pesante. È un film pesante perché fa riflettere su qualcosa su cui non siamo abituati a riflettere. Ci costringe a vedere una realtà che proprio ti ferma il cuore: i veri poveri non fanno rumore. Nelle parti finali del film si leggono i dati storici, i dati statistici, c’è un’analisi statistica di questi abusi, di questi bambini portati via. Sono numeri impressionanti, numeri impressionanti! I veri poveri non fanno rumore, gente senza rumore, esattamente quello che accade. Così come tutti i cristiani che vengono portati via, vengono incarcerati, vengono perseguitati, vengono rieducati perché sono di Gesù: non fanno rumore!

E poi Santa Teresa, conclude dicendo, che l’elemosina libera dall’inferno. Certo, quando noi facciamo del bene a qualcuno, noi stiamo facendo l’elemosina. Beh, certo, liberare questi bambini è certamente l’elemosina per eccellenza, un atto di carità incredibile, ridare libertà, libertà, ridare libertà. Ricongiungere questi bambini con i loro genitori, per esempio, quello che ha fatto Madre Teresa. Anche lei nasce così, come intuizione originaria: “Sii la mia luce nei buchi di Calcutta”, questo è quello che il Signore le dice; poi verrà fuori la questione dei lebbrosi, ma innanzitutto è questo: salvare questi bambini dal degrado nel quale loro vivevano; questa è la sua esperienza, nasce così.

Santa Teresa dice: 

… pregare senza fine espressione forte — per coloro che vi danno da vivere.

Tutto viene da Dio — interessante — ma lui vuole 

che ci mostriamo riconoscenti anche a coloro per cui mezzo Egli ci sovviene. E badate che in questo non vi sia negligenza!

Questo è importantissimo. A chi ci fa del bene, noi non possiamo semplicemente dire un’Ave Maria, non funziona così! Coloro che ci danno da vivere… pensiamo alla vita fisica, materiale, e anche a quella spirituale. Pregate per quel sacerdote che vi ha accompagnato nella vostra adolescenza, nella vostra gioventù, che magari adesso è morto… non dimenticatelo, fate dire delle messe, pregate ricordandolo nel Rosario, pregate per il vostro confessore, per il padre spirituale. Dobbiamo mostrarci riconoscenti, pregare senza fine: “Non vi sia negligenza in tutto questo”.

Quando ci andiamo a confessare, impariamo a dire grazie. Non è scontato, non è dovuto che quel sacerdote sia lì, in quel momento, ad ascoltarmi, a ridarmi la grazia di Dio, a darmi il perdono di Dio. Non è scontato, non è dovuto. Potrebbe essere altrove, potrebbe non esserci. Cosa ne sappiamo noi delle sofferenze che quel sacerdote sta vivendo per essere lì in quel momento? Cosa ne sappiamo noi dei suoi travagli? Cosa ne sappiamo noi delle sue fatiche fisiche? Cosa ne sappiamo? Noi non sappiamo niente, sappiamo solo che è lì per noi. Santa pazienza, almeno grazie, almeno buongiorno, buonasera; perché neanche questo si fa! Neanche il saluto cioè: buongiorno, buonasera; niente! Il grazie, poi… figuriamoci. Non dico di andare lì con un’anatra all’arancia, però voglio dire, almeno buongiorno e buonasera, almeno grazie. Almeno essere riconoscenti a lui e a Dio per questo dono, per quell’esserci.

Io ho in mente esempi di sacerdoti meravigliosi che negli orari più incredibili erano in confessionale ad ascoltare le confessioni: alle sei del mattino, all’una del pomeriggio, nelle pause pranzo del lavoro. Ho in mente un padre nostro carmelitano che, quando ero giovane studente, andava a confessare in Duomo. Vi posso dire il nome, perché adesso è morto ed è stata una persona meravigliosa che ho conosciuto, si chiamava padre Cristoforo, ed era anche esorcista in Duomo a Milano. Lui andava sempre a confessare nell’orario della pausa pranzo. Era lì per confessare quelli che lavoravano e nella pausa pranzo potevano andare da lui. Confessionale sempre gremito di persone. Mi ricordo quest’uomo che passava dalla portineria, quando tornava — tutto anchilosato dall’artrosi, tutto mezzo storto, eppure fedelissimo a questo impegno — mi ricordo che lui poi passava e prendeva un pezzo di pane, prendeva qualcosa in portineria da mangiare; io ero lì — a quei tempi ero obiettore di coscienza, facevo il mio servizio in quel convento dove lui viveva — e mi ricordo che prendeva questo pezzo di pane e io rimanevo impressionato, perché non mangiava a mezzogiorno, perché era lì per fare questo ministero. Vite immolate! E ce ne sono tanti, tanti. E, santa pazienza, possibile che non venga neppure in mente di ringraziare?

Quindi: “pregare senza fine, mostrarsi riconoscenti, non vi sia negligenza”.

Santa Teresa — inizieremo domani il terzo capitolo — in due capitoli avete visto come ci sta rieducando ad una vera vita cristiana.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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