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Le radici spirituali delle malattie psichiche: ventiseiesima parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di domenica 14 marzo 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Ventiseiesima Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a Domenica 14 marzo 2021, 4° Domenica di Quaresima chiamata “Domenica Laetare”.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato tratto dal cap. III, vv 13-21 di San Giovanni ci dice che il Signore è questa luce, e tutti coloro che vogliono fare emergere le loro opere, i loro cuori, le loro intenzioni, tutte queste persone vanno verso questa luce, che vuol dire andare verso la Verità, fare Verità dentro di sé, perché non si ha paura che tutto questo emerga, non dobbiamo avere paura di far emergere ciò che portiamo nel cuore.

Come stiamo vedendo nel testo che stiamo meditando “L’inconscio Spirituale” del prof. Larchet, l’inizio di questa positiva evoluzione interiore che prende il nome conversione, meglio detta con “metanoia”, che vuol dire cambiamento radicale di tutta la persona, è possibile solo nella misura in cui si fa verità, nella misura in cui si viene alla luce, nella misura in cui si fa emergere. Siamo arrivati al paragrafo dodicesimo, inizia oggi un tema nuovo che è quello della falsa rappresentazione della realtà.

“Falsa rappresentazione della realtà”

“Tutte le malattie psichiche hanno alla loro origine una falsa rappresentazione della realtà, si tratti di sé, degli altri o del mondo circostante. Questa falsa rappresentazione della realtà ha le sue forme estreme nei deliri, che sono presenti nelle psicosi. In queste forme della malattia, spesso sono delle cause organiche ad avere un ruolo determinante (al medesimo titolo per esempio dei deliri che accompagnano la febbre oppure l’assunzione di alcol e droghe); queste malattie devono quindi essere oggetto di una terapia medica. E tuttavia, il contenuto di questi deliri – come dei sogni – dipende in gran parte dalla visione del mondo che la persona si è data, dai suoi desideri, dai suoi timori e dal suo stato affettivo. Uno dei problemi che il terapeuta incontra è che i deliri hanno una forza e presa tali sul malato da renderli nella maggior parte dei casi resistenti a ogni aggiustamento per via di riflessioni o discorsi razionali. La terapeutica medica costituisce allora un coadiuvante non solamente utile ma indispensabile: riducendone la forza, può rendere il malato accessibile al discorso del terapeuta e a una correlativa riflessione personale che lo porti a poco a poco a riaggiustare la sua visione del mondo e la sua rappresentazione della realtà. Sono ben pochi gli psicoterapeuti che hanno preso in considerazione, come fattore costitutivo d’un gran numero di malattie psichiche, questa falsa rappresentazione della realtà (da intendere come falsa Weltanschauung, cioè falsa visione del mondo e dell’esistenza) e hanno pensato che il riaggiustamento di questa rappresentazione dovesse costituire un elemento importante della terapeutica.”

E’ fondamentale correggere questa falsa “Weltanschauung” che in tedesco vuol dire “visione del mondo”. Ed è fondamentale questo riaggiustamento.

“Si stacca da essi Viktor Frankl…”

Se non avete mai letto niente di Victor Frankl io vi consiglio di leggere qualcosa perché è veramente un autore eccezionale, ha fatto, se non ricordo male, 3-4 anni nei campi di concentramento nazisti e ha scritto dei testi molto belli su questa esperienza, ve li consiglio, sono veramente molto densi e belli.

“… e la sua logoterapia, il quale invece mette il problema del senso (logos) dell’esistenza al centro del suo modo di considerare le malattie psichiche e della loro terapeutica. E tuttavia, anche la concezione di Frankl, sebbene egli giustamente ritenga che la relazione dell’uomo con Dio è determinante per il senso – corretto oppure no – che l’uomo dà alla sua esistenza e per gli effetti – positivi o negativi – che ne derivano a riguardo della sua sanità mentale, resta troppo generica; per la ragione che egli non si rifà a nessuna ben precisa antropologia religiosa. Già altrove ho fatto vedere che, in una cornice di cristianesimo, i Padri hanno invece descritto con precisione le cause e gli effetti della patologia della conoscenza, insieme alla maniera di rimediarvi. E una patologia assai complessa. Per un verso, è l’ignoranza di Dio a rivelarsi come la fonte di tutti i mali, in particolare di tutte le passioni – a cominciare dall’amore egoistico di sé -. Per altro verso, sono le passioni a contribuire in gran parte a falsare la conoscenza dell’uomo; ed è soltanto nella terapeutica delle passioni, destinata a sfociare nell’apatheia, o impassibilità, che l’uomo può ritrovare una conoscenza perfettamente corretta. Questi due aspetti li ritroviamo anche nella patologia psichica: per un verso, alla base d’un certo numero di turbe psichiche c’è una falsa rappresentazione della realtà; per altro verso, tuttavia, è la stessa patologia clinica a falsare la conoscenza della persona. E se il lavoro terapeutico dovrà consistere nell’agire sulla rappresentazione della realtà presente nel malato, non potrà tuttavia trattarsi d’un processo puramente intellettuale, ma quel lavoro dovrà appaiarsi a un intervento sulle varie turbe che possono influenzare la conoscenza. Significa che, nella misura in cui la patologia mentale si può collegare a una patologia spirituale, la terapeutica da attivare dovrà consistere nell’aiutare il malato a recuperare una corretta conoscenza della realtà, ricentrando in Dio la sua rappresentazione del mondo. Ciò permetterà una riduzione della maggior parte dei fattori patogeni già analizzati – falso senso di colpa, falso timore e falsa inquietudine, assolutizzazione del relativo, aggressività perversa, cattivi orientamenti del desiderio, sopravvalutazione e svalutazione patologiche dell’io, perturbazioni nella relazione con gli altri -, che sono tutti atteggiamenti strettamente connessi con una falsa conoscenza del loro oggetto. Ma non è meno vero che una riduzione delle malattie spirituali che sono alla base delle turbe mentali permetterà una rettificazione della falsa conoscenza e l’accesso a una conoscenza non delirante.”

Dove è possibile bisogna mettere in campo tutto l’apporto della vita spirituale e quindi mettere in campo la centralità di Dio per correggere la nostra visione del mondo.

“Mancanza d’amore”

“Tutte le osservazioni fin qui fatte potrebbero farei credere che la terapeutica di certe malattie mentali legate a malattie spirituali si riduca a una terapeutica delle malattie spirituali da cui sarebbe colpito chi è malato psichicamente. Ebbene, non si deve dimenticare -l’abbiamo detto nel capitolo primo -che il malato di malattie psichiche lo è il più delle volte per malattie spirituali di questo o quel membro del suo ambiente di cui ha subìto, a causa della sua fragilità (soprattutto nel periodo dell’infanzia), gli effetti negativi. Una frequente causa di turbe psichiche è la mancanza d’amore di cui una persona è stata vittima da parte dei suoi prossimi, in particolare i genitori.”

Quando noi affamiamo gli altri non dando amore, succedono i disastri.

“La terapeutica spirituale (tanto meno poi le psicoterapie) non può – è impossibile – restituire alla persona malata l’amore di cui è stata privata, soprattutto se la carenza è di vecchia data. Il disimpegno affettivo dello psicoterapeuta – che, l’abbiamo già visto, in genere fa parte delle condizioni di esercizio della sua professione – esclude ogni manifestazione personale d’amore. Ma la stessa cosa non vale per il terapeuta spirituale, il quale, se è un padre spirituale, può manifestare al suo paziente – che è allora un suo figlio spirituale – amore paterno, che se pur si colloca sul piano d’una paternità simbolica d’un ordine diverso dalla paternità biologica, non ha tuttavia meno forza. L’amore spirituale che questa relazione mette in gioco, in un’affettività purificata e trasfigurata, sia da parte del «padre» che del «figlio» spirituali, possiede una potenza riparatoria e ricostruttiva superiore a tutte le forme d’amore psicologico; ho di persona conosciuto dei casi in cui non soltanto la guarigione spirituale, ma anche la guarigione di malattie psichiche gravi fu il frutto di relazioni di questo tipo. L’amore d’un vero padre spirituale per il suo figlio spirituale è libero da ogni passione, e dunque da ogni egoismo, da ogni possessività e da ogni spirito di dominazione. Per questo, è un amore liberatore, che non blocca l’uomo in una relazione chiusa, ma ha per effetto di aprirlo alla relazione con gli altri e, soprattutto, con Dio. L’amore del padre spirituale per il suo figlio spirituale vuol essere tutt’insieme un’espressione e un simbolo dell’amore infinitamente più grande e infinitamente più profondo che Dio ha per lui, e alla fine dovrà sempre scomparire davanti a quest’altro amore. Pur esigendo – un perfetto rispetto per i genitori (cfr. Matteo 15,4-5; Marco 7,10; 10,19; Luca 10,20), il cristianesimo relativizza la relazione con essi rispetto alla relazione con Dio ( cfr. Matteo 10,37; 19,29; Marco 10,29; Luca 14,26). Il Cristo afferma: «Chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me. Chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me» (Matteo 10,37); e più radicalmente ancora: «Se qualcuno viene a me e non odia suo padre, sua madre, [, . .]non può essere mio discepolo» (Luca 14,26). Ciò non giustifica affatto l’assenza d’amore, ma dà più valore e peso all’amore per Dio che all’amore per i parenti. «Chiunque avrà lasciato [ .. .] padre, madre [. .. ] a causa di me riceverà il centuplo» (Matteo 19,19; dr. Marco 10,29-30). L’amore di Dio, di cui l’amore del padre spirituale può essere il rivelatore e il mediatore, è capace di colmare tutte le deficienze affettive dell’uomo, comprese le più antiche e profonde, per poco che l’uomo si ponga nelle condizioni di credere a quest’amore e di contraccambiarlo. L’uomo può guarire da molte turbe causate da carenze affettive e recuperare il senso del proprio valore se ha la certezza – provata nella fede e poi nell’esperienza interiore – che Dio gli si dedica – come a ogni altra persona, e qualunque sia il suo stato di degnità o indegnità – con amore assoluto, totale, incondizionato, senza riserve, eterno, con un amore che, perché divino, è infinitamente più vasto e profondo di qualsiasi amore umano. Per diventare adulto spiritualmente, l’uomo deve elevarsi passando attraverso la gerarchia di tutti i gradi della paternità. e della filiazione: biologica, spiritual-umana, spiritual-divina. Al contrario di quanto sostiene Freud, non è Dio a essere un sostituto del padre biologico, a un certo punto del suo sviluppo e per far fronte a un sentimento d’abbandono o di spoliazione, ma è piuttosto il padre biologico a essere un sostituto del padre spirituale, e poi il padre spirituale a essere un sostituto del Padre divino, fino a quando l’uomo avrà appreso, attraverso tutte queste tappe, a trovare il suo vero Padre, quello della sua vera natura e della sua vita eterna, non già a scopo di rassicurarsi, ma per dare piena soddisfazione al suo bisogno di essere amato e al suo bisogno d’amare, con quella gratuità dell’amore autentico che Dio ci ha insegnato «amandoci per primo» (cfr. Prima lettera di Giovanni 4,10).”

Fondamentale amare ed essere amati. Un genitore ha il dovere di amare in modo giusto e corretto, il padre spirituale anche, e non dimentichiamoci che queste mancanze di amore sono poi quelle che danno i più grandi problemi. Amare si manifesta in tanti modi, l’importante è che ci siano delle prove concrete che uno ama, e allora veramente è possibile superare tutto. La prossima volta vedremo lo “pseudo amore”, paragrafo quattordicesimo.

Vi auguro di cuore una santa giornata, e la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE (ANNO B)

VANGELO (Gv 3,14-21)
Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

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