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Le radici spirituali delle malattie psichiche: ventisettesima parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 15 marzo 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Ventisettesima Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a lunedì 15 marzo 2021, abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal cap. IV, vv 43-54 di San Giovanni. Tante sarebbero le cose da dire su questo brano del Vangelo, questo legame che spesse volte facciamo tra segni, prodigi e fede non è un bel legame, la fede si deve fondare sull’amore, la fede è fiducia, non è voler vedere, voler testare, non è essere io al centro.

“Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.”

Questa dovrebbe essere la nostra vita: credere e quindi camminare. Poi durante il cammino arrivano le conferme, ma la fede è essenzialmente questo, credere e camminare.

Continuiamo il percorso che stiamo facendo sul testo del prof. Larchet, “L’inconscio Spirituale”. Siamo arrivati al paragrafo 14°, oggi vediamo un’altra causa spirituale delle malattie psichiche che si chiama “lo pseudo-amore”. Ascoltiamola molto bene.

 

“Pseudo-amore”

“Un’altra causa spirituale delle malattie psichiche che ha la sua fonte nei parenti prossimi del malato (il padre e/o la madre), causa di cui il malato non ha responsabilità alcuna ma di cui subisce gli effetti patogeni, è quello che possiamo chiamare «pseudo-amore». Non si tratta, come in precedenza, di un’assenza d’amore, ma di un «amore» opprimente, soffocante, perché non rispetta la libertà della persona su cui si indirizza, ma «per il suo bene» vuole imporre la volontà di chi «ama». Una forma d’amore di questo tipo è stata tirata in causa per esempio nell’autismo e nella schizofrenia, con un’accentuazione forse esagerata e che ha colpevolizzato in maniera sistematica e spesso ingiusta i genitori. E tuttavia, spesso se ne può osservare la presenza come fonte di varie psicosi e nevrosi.”

Questo è un tema veramente importante e delicatissimo. Nessuno di noi riconosce di vivere lo pseudo-amore, e chi lo riconosce è perché non ce l’ha, chi ce l’ha sicuramente non lo riconosce. Non è un’assenza d’amore. Quando un genitore dice al figlio: “Cosa ti è mancato nella vita? Non ti abbiamo forse amato?”. Si, ma che tipo di amore era? Lo pseudo-amore è un amore malato, è un amore falso, appunto pseudo-amore. È un amore che, nel momento in cui lo qualifichiamo, cessa di essere amore, è un amore opprimente, soffocante.

“E’ un «amore» opprimente, soffocante, perché non rispetta la libertà della persona su cui si indirizza, ma «per il suo bene» vuole imporre la volontà di chi «ama».”

Noi ci diciamo facciamo queste cose per il bene dell’altro. Ma quale bene? Pensiamo a quando ci inventiamo quelle cose per cui i figli devono venire a Messa, i figli devono andarsi a confessare, i figli devono dire le preghiere e magari sono figli di genitori che si sono convertiti dopo vent’anni di matrimonio, e quindi all’inizio non erano educati alla fede. Mandavano i figli a catechismo, ma in casa non c’era un ambiente di fede. La domenica non si andava Messa, quando si andava in vacanza non si andava a Messa, preghiere non se ne facevano. Figli che in casa non vedevano i genitori pregare, la mamma e il papà che vestivano in un certo modo, discorsi abbastanza lascivi, volgari, amicizie non delle migliori,  un ambiente molto superficiale, mondano, con una formazione assolutamente mondana…. Ad un certo punto uno dei due genitori, o tutte e due, incontrano Gesù — magari quando questi figli hanno sedici, diciotto, vent’anni — si convertono e da quel momento la madre, per esempio, che fino a ieri era la donna più mondana che si potesse vedere, te la trovi come una suora. Comincia a cambiare l’abbigliamento, iniziano ad apparire i crocifissi, i libri di preghiera (mentre prima c’erano le riviste dei pettegolezzi), sparisce la televisione, …  Prima andava a Messa qualche volta, adesso tutti i giorn;, prima non sapeva che cos’era il venerdì di Quaresima, neanche il Venerdì Santo sapeva cosa fosse, adesso digiuno a pane e acqua il mercoledì e venerdì.

Capite che uno che vede queste cose dall’interno pensa che siano impazziti.

Questo succede perché le cose vengono fatte senza criterio. Non si pensa che gli altri ci vedono e quindi c’è bisogno di una mediazione, di una spiegazione, di tranquillizzare le persone e far capire loro che non siamo impazziti. Non ci si affida a qualcuno che ci dice di non passare da un estremo all’altro. E’ giusto far capire che certe cose erano sbagliate, ma bisogna trasmettere il concetto nel modo giusto, bisogna viverle nel modo giusto e con progressione.

Quindi questi genitori che all’inizio del cammino di conversione, per un po’ si sono concentrati su di sé, sulla loro conversione, sul loro cambiamento ad un certo punto si accorgono di avere accanto a sé dei figli, e parte il ragionamento della crocerossina: “Devo salvare le loro anime”.

Quindi, dopo vent’anni in cui non hanno minimamente pensato all’anima dei figli, improvvisamente diventa un chiodo fisso. Vuoi per sé stessi, per salvare la propria  anima, vuoi per un riscatto personale, perché avvertono di aver fallito come genitori da questo punto di vista, allora “devi farlo anche tu figlio” e quindi lo tirano dentro col forcipe.

Questo non è amore, questo è pseudo-amore, perché si violenta la libertà dell’altro, con il pretesto: “È per il tuo bene”. Ma “per il tuo bene” potremmo arrivare anche ad ammazzare. Con questo motto si arriva anche lì e si sperimenta un amore provocante e opprimente.

Adesso vi racconto una cosa perché è la sapienza dei nostri nonni. Quando ero piccolino non volevo andare a Messa perché mi annoiavo (non ero ancora in età dei Sacramenti, ero molto piccolo), ma grazie al cielo la mia carissima nonna, assolutamente sapiente, mai una volta mi ha detto: “No, devi andare a Messa”. Guardate la sapienza dei nostri vecchi, mi commuovo solo al pensiero perché se avesse fatto diversamente io probabilmente avrei perso la fede e forse non sarei diventato neanche Sacerdote. Mia nonna aveva l’abitudine di andare a Messa di sera. Lei sapeva che non volevo andare, infatti io brontolavo sempre, e lei mi diceva: “Sì, Giorgio, io e il nonno andiamo a Messa e tu rimani a casa”. Sapendo che io avevo paura del buio, lei cominciava dal fondo della casa ad abbassare tutte le tapparelle, tenendo aperta la porta di ingresso. A mano a mano che lei abbassava le tapparelle io mi spostavo di stanza in stanza, perché avevo paura del buio e quindi scappavo da dove c’era il buio. Alla fine, quando lei aveva tirato giù tutte le tapparelle, io mi trovavo con l’uscio della porta aperto, l’unico punto di luce… Lei poi mi guardava, mi faceva vedere le chiavi e mi diceva: “Bene, queste sono le chiavi di casa, adesso tu resti qui e aspetti che noi torniamo”.

A quel punto mi precipitavo in pantofole sul pianerottolo, dicendo che volevo andare a Messa. E tutte le volte era così.

Non mi sono mai sentito costretto ad andare a Messa e devo dire che l’ho scelto sempre io, non posso dire diversamente, ma lei è stata estremamente furba, ha fatto in modo che quel pensiero nascesse dentro di me, che non fosse un’imposizione dall’esterno che soffocava la mia libertà, ma fosse una decisione vista dall’interno. Lei furbescamente creava le condizioni, ma creare le condizioni non vuol dire forzare, sapeva prendere dal verso giusto la questione.

Noi invece abbiamo l’abitudine di tirare. Ma se io vado in un prato e tiro un filo d’erba, non è che diventa più lungo, semplicemente si strappa. Noi dobbiamo imparare a non tirare nessuno. È davvero tanto brutto non rispettare la libertà degli altri, è tanto brutto imporre la propria libertà. Noi dobbiamo proporre e nel modo più delicato possibile, quasi senza usare le parole e quando si vede che dall’altra parte l’altra persona non è entusiasta, mollate la presa immediatamente.

Il mio confessore, che adesso è morto, un giorno mi disse: “Ricordati Giorgio, meglio essere desiderati che sopportati”. Parole sante anche queste, sempre la sapienza dei nostri vecchi.

Si capisce quando qualcuno quella cosa non ce l’ha ancora dentro, allora è meglio lasciare perdere, è meglio che l’altra persona abbia la possibilità di sentire se veramente ha “fame” di quell’occasione oppure è una sopportazione. Forzare le persone ad andare a Messa, ricattarle, sono le cose più sbagliate che esistano, rendiamo odioso Dio, è veramente terribile. Questo è un paragrafo veramente molto denso, non riusciremo a farlo velocemente perché è troppo attuale, non c’è nessuno che si possa sentire esente.

“Come abbiamo già fatto notare, molte malattie psichiche derivano da una carenza affettiva, e anche questo pseudo-amore è da mettere tra le fonti di carenza affettiva, dato che priva chi ne è oggetto d’un amore vero, sostituendosi a esso.”

“Non amare” e “amare male” sono la stessa cosa, è sempre un non-amore, o si ama bene o non si ama, infatti è una tra le fonti delle carenze affettive.

Ma se non interviene Dio perché dobbiamo intervenire noi? Forse che abbiamo più a cuore la salvezza delle anime che non Dio che è morto per noi? Impariamo a stare al nostro posto, e a predicare con l’esempio non con le parole.

– “Mamma cosa vuoi a Natale come regalo?”

– “A Natale voglio come regalo che tu venga a Messa con noi, che tu venga a confessarti”

Ci rendiamo conto di quale pressione interiore crea una cosa del genere?

La fede non si può imporre, non è una vitamina che uno prende. Il cammino di fede non possiamo farlo diventare la raccolta punti fragola. Il Paradiso non è una raccolta punti fragola, che dopo averli raccolti sei sicuro che puoi avere il premio. Tra i punti fragola e il Paradiso, e l’amicizia con Gesù, e l’intimità con Gesù e la fede, quindi la Vita Eterna, c’è un abisso incredibile come rimando simbolico, non deve passare questa idea. La fede è un percorso arduo, si fonda sull’amore, sul santo timore di Dio, sulla fiducia, sul rapporto intimo, sull’amicizia con Dio. La fede è il rapporto di Abramo con Dio, di Mosè con Dio, di Giuseppe con Dio, non è quella cosa per cui tu metti insieme una raccolta dei punti fragola e quindi poi ritiri il premio. Se uno non ha prima avuto un incontro, il rischio è quello di un rigetto radicale, che poi uno li ricorda per tutta la vita. Bisogna far innamorare di Dio. Non si possono trasformare i ragazzi in asini, in cammelli che carichiamo di “tu devi”, come diceva Nietzsche, di imperativi che ti soffocano. Il perché poi “devo” non lo sa nessuno, so solo che devo.

– “Mamma perché devo?”

– “Perché devi”

– “Ma perché?”

– “Perché devi”

Che Dio è questo Dio che non chiede l’intervento della mia razionalità?

Andremo avanti.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Lunedì della IV settimana di Quaresima

VANGELO (Gv 4,43-54)
Va’, tuo figlio vive.

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

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