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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 23

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 24 giugno 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 23

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 24 giugno 2022.

Abbiamo letto il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo I, versetti 57-66 e 80, di San Luca.

Oggi è un giorno denso di festa e di date importantissime.

Bene. Prima di tutto, oggi festeggiamo il Sacratissimo Cuore di Gesù.

Siamo giunti proprio al giorno della Sua Festa; ormai abbiamo imparato ad amare e a conoscere il Sacratissimo Cuore di Gesù, quindi oggi, sì, è una giornata totalmente dedicata a Lui.

Oggi, appunto, è anche venerdì, quindi facciamo proprio di tutto per festeggiarLo, per stare alla Sua presenza. Dove? Davanti all’Eucarestia, perché sappiamo che lì c’è il Sacratissimo Cuore Eucaristico di Gesù.

Poi, oggi, recitiamo l’Ammenda; recitatela con qualche amico, con qualche amica, andate in chiesa, recitatela insieme, così, se è recitata pubblicamente, avrete la possibilità di ottenere l’Indulgenza plenaria.

Poi, sul sito www.veritatemincaritate.com, troverete sicuramente anche il testo di questa bellissima Ammenda.

Oggi celebriamo anche la Natività di San Giovanni Battista, altra data importantissima.

Inoltre, oggi si conclude il primo ciclo dei quindici venerdì del Sacro Cuore, proprio oggi… bellissima, bellissima questa coincidenza… assolutamente voluta, e oggi si prega per i moribondi.

Bene. Allora, continuiamo la meditazione del nostro testo di San Pietro Giuliano Eymard, che ci dà la possibilità di vivere ancora meglio la Solennità, di oggi, del Sacratissimo Cuore.

“S. Pietro mostrava ai Giudei il Calvario ancor fumante del Sangue di Gesù Cristo: noi mostriamo il Santissimo Sacramento pieno di vita e di amore per gli uomini, e lo diamo a tutti.

Gli Apostoli non potevano mostrare l’Eucaristia come noi: dovevano anzi nasconderla a causa delle persecuzioni: non era ancora il suo tempo. Bisognava conquistare il mondo con la croce di Gesù Cristo prima di elevargli un trono e farvelo regnare. Ma ora Egli vuole manifestarsi; vuole regnare dappertutto: si apre l’èra dell’Eucaristia. Ah! domandate l’estensione del regno di Gesù Cristo nel Sacramento; pregatelo che si faccia dei servi e degli apostoli del suo regno d’amore, affinché Egli venga presto conosciuto, amato e servito da tutti”.

E adesso vediamo gli effetti del peccato veniale. Tempo  fa abbiamo visto il peccato mortale, adesso vediamo il peccato veniale.

“Meditazione Seconda

Gli effetti del peccato veniale

L ’amore di Dio vale per tutto, basta a tutto, è più che certo; ma quando non purifica dal peccato non è amor vero, o non è ancora ben forte; il primo effetto dell’amore è di rendere puro”.

Quindi, per sapere se noi amiamo, dobbiamo vedere quanta purezza abita nella nostra vita.

“Perciò bisogna ancora considerare il peccato, le sue conseguenze funeste, per averne orrore”.

Capite perché ritorna ancora il tema del peccato?

“Donde viene che abbiamo sì poco orrore del peccato, che vi restiamo senza paura, che sapendo di averlo in noi, conoscendolo, non prendiamo maggior cura di evitarlo, di correggerci?”

Da dove viene? Da dove viene il fatto, che noi non stiamo proprio così male con il peccato?

Ve l’ho sempre detto che, di fatto, noi pecchiamo perché ci piace; se una cosa non ci piace, non la facciamo, noi siamo fatti così.

Se continuiamo a ripetere una certa cosa, è perché, di fatto, non ci dispiace, ma allora, da dove viene questo poco orrore?

Se non ho orrore, vuol dire che ho piacere…

Perché vi resto, nel peccato, senza paura?

E infatti mi confesso raramente, infatti mi confesso male; infatti, dimentico i peccati…

Perché ci resto? Perché non ho paura? Perché, sapendo che il peccato è in me, non mi crea problemi? Perché, soprattutto, conoscendolo, e sapendo quello o quei determinati peccati quanto sono per noi allettanti (ognuno ha i suoi, quelli nei quali maggiormente cade), non prendo maggior cura di evitarlo e di correggermi? Perché, dopo la Confessione, non mi impegno seriamente per eliminare quel peccato, per correggermi da quel peccato? Certo, non mi correggerò in una settimana, però, intanto comincio ad organizzarmi, a fargli guerra, a fare di tutto per toglierlo dalla mia vita.

Risposta:

 “Viene dalla volontà cattiva o negligente, dall’indelicatezza o dal poco amor di Dio”.

Capite?

Ecco la risposta di San Pietro Giuliano Eymard!

Hai una volontà cattiva? Hai una volontà negligente? Sei indelicato?

Ami poco Dio.

Tutte queste realtà vivono, più o meno fortemente, dentro di noi e sono la ragione per la quale, appunto, abbiamo così poco orrore del peccato.

Sentite:

“Se si facesse per il buon Dio e per la propria anima quello che si fa nel commercio e in qualunque condizione per riuscirvi, saremmo presto gran santi”.

Quanta cura, costanza, dedizione e impegno noi mettiamo per il nostro corpo, a tutti i livelli, eh, dalla palestra, alla ginnastica, all’alimentazione, alla dieta, al riposo, a tutto quello che riguarda il nostro corpo!

 Cose assolutamente sacrosante, per l’amor del Cielo, ma quanto noi facciamo, quanto impegno mettiamo, quanto siamo ligi e scrupolosi su queste cose… ma non così siamo per Dio, e neanche per la nostra anima!

Non abbiamo per la nostra anima la stessa cura che abbiamo, per esempio, per il nostro corpo o per i nostri soldi, per le nostre cose, per la nostra casa, per la nostra macchina, e via di seguito… se l’avessimo, saremmo presto grandi Santi!

Verissimo, questo è un discorso che io vi ho fatto tantissime volte, veramente tantissime volte, ed è inconfutabile, indiscutibile.

Se io faccio digiuno, perché sto facendo una dieta, se non mangio la carne mai, perché sono vegano o per rispetto dell’ecologia, benissimo, tutti ad applaudirmi, tutti ad ammirarmi, ma se io faccio digiuno perché è venerdì e voglio fare la memoria della Passione di Gesù o perché è mercoledì e voglio riparare al tradimento di Giuda e di tutte le anime consacrate, tutta questa ammirazione non c’è, tutto questo consenso non c’è.

Infatti, come conigli ci nascondiamo sottoterra per fare quello che dovrebbe essere un onore, e quindi diciamo: «No, oggi io non mangio perché ho mal di testa. No, oggi non mangio perché non ho voglia. No, oggi non me la sento. No, ieri ho mangiato troppo. No, non esco a cena perché non lo so…», e via di seguito… ma non diciamo la verità, per mille ragioni, forse anche giuste, ma sta di fatto che, se lo facciamo per il corpo, nessun problema.

Oggi è Natale e io non mangio il Panettone perché sono a dieta e devo perdere dieci chili…. e nessuno mi dice niente.

Sì, magari ti diranno: «Oh vabbè, ma almeno il giorno di Natale!»

«No, neanche il giorno di Natale».

«Va bene. Guarda che bravo! Hai visto, che volontà di ferro che ha? Guarda che impegno! Eh… è proprio bravo. Sì, sì, guarda che…»

Se la stessa cosa la faccio per fare una penitenza o un fioretto, dicono che sono pazzo, se va bene.

E infatti, poi, il riscontro ce l’ho nel cammino di fede, che non migliora e non decolla.

“Bisogna che Dio ci paghi di quel che facciamo per Lui e delle cure che ci prendiamo per l’anima nostra, ed è ancora male servito!

Si dice: «Ma infine che cosa è poi il peccato veniale?”

Mamma… guardate, qui San Pietro Giuliano Eymard veramente è… bravissimo.

“E’ una mancanza leggera che non dà la morte all’anima»”.

È vero! Quello che dicono, e che San Pietro Giuliano Eymard sta stigmatizzando, è vero! È vero che è una mancanza leggera, che non dà la morte all’anima, vero.

E lui va avanti e dice:

“E con questo si dorme tranquillamente sul peccato veniale. Oh, quante cose c’insegnerà il Purgatorio! Ma fin d’ora vedete quali sono gli effetti del peccato veniale e comprenderete quanto dobbiate fuggirlo”.

Adesso ve lo spiega e dice: «Sì, sì, è vero, non dà la morte all’anima. È vero che è una mancanza leggera».

Santa Teresa d’Avila, su questa questione del peccato veniale, si scatena fortemente, assolutamente, assolutamente contrarissima, e mette in guardia dal cadere volontariamente nel peccato veniale.

L’abbiamo già visto questo concetto:

“Non parlo di quelle mancanze di debolezza, di fragilità, contro le quali stiamo in guardia, che commettiamo per sorpresa, e da cui usciamo appena le abbiamo fatte; …”

Quindi, non sta parlando di queste.

Vedete? Non li chiama neanche peccati, perché sono mancanze, legate a che cosa? Legate al mio essere uomo, al mio essere creatura, ed è vero che in quanto esseri umani, feriti dal peccato originale, noi abbiamo una debolezza e una fragilità creaturale, perché è vero che siamo fragili e deboli, ma non in questo senso.

Spesso io vi richiamo dicendo: «Perché io sono debole… io sono fragile… io sono ferito…», non è in quel senso lì eh… non in quel senso, ma nel senso che il mio stato di uomo è uno stato debole e fragile, questo lo vediamo ovunque: la nostra vita è appesa ad un filo, la nostra salute è appesa ad un filo, noi non riusciamo neanche a spostare un sasso, se pesa cinque chili in più, non riusciamo a prendere una macchina e a spostarla a destra e a sinistra!

Siamo deboli, siamo fragili, ma questo non come scusante a livello morale, per dire: «Beh allora, va bene tutto». No. È un dato di fatto: l’essere umano è un essere debole, è un essere fragile, perché non può fare tutto quello che vuole, quindi non è onnipotente, e poi è fragile.

Certo, si vede che la sua vita è fragile: infatti deve continuare a curarsi, infatti deve mangiare tre volte al giorno.

Questa debolezza e questa fragilità, di fatto, ci fanno commettere delle mancanze, ma lui dice bene “per sorpresa”, cioè le facciamo  e neanche ce ne accorgiamo, si vede che sono proprio mancanze legate alla nostra natura umana.

E uno dice: «Oh accipicchia, come ho fatto a fare questa cosa?»

Eh… come ho fatto?… certo, sono un essere umano e purtroppo devo starci più attento, devo essere molto più guardingo, perché sono più esposto a queste mancanze, essendo appunto una creatura.

Infatti, lui dice: “… e da cui usciamo appena le abbiamo fatte”, cioè, siccome abbiamo una coscienza delicata, queste mancanze le commettiamo, ci cadiamo per questa debolezza, per questa fragilità, ma, appena le vediamo, diciamo: «No, no, io queste cose non le voglio, quindi adesso mi impegnerò a cercare, non di diventare onnipotente, ma di essere più attento la prossima volta su questa questione, perché, sapendo di essere debole e fragile creaturalmente, so che messo in quella condizione ci posso cadere dentro, quindi starò più attento».

“… ma dell’affezione al peccato veniale, per cui lo si commette facilmente, non se ne sente il torto che reca a Dio, lo si tiene senza inquietudine dopo esservisi esposti; insomma parlo del peccato veniale che si commette per affetto ed in cui si rimane per abitudine”.

Ecco, qui abbiamo tutti la definizione di che cosa intende San Pietro Giuliano Eymard per peccato veniale e di che cosa è un peccato veniale.

Allora, un esempio.

Un conto è se io cammino e prendo una buca, ho una piccola storta, zoppico per dieci metri, per cinquanta metri, perché ho appena preso il colpo, e poi ritorno dritto; un conto è se io invece mi azzoppo, un conto è se io inizio a camminare storto, è tutta un’altra roba, perché prendo una piega, prendo, quindi, un habitus.

Perché lo prendo?

Perché entro in questa zoppia?

Perché quel peccato, quella mancanza, diventa peccato in quanto lo voglio, in quanto ci sono affezionato, in quanto mi piace, in quanto non provo più…

È questa la cartina tornasole:

Lo commetti facilmente?

Non senti più il torto che reca a Dio?

Lo tieni sulla coscienza senza inquietudine, dopo che ci sei caduto?

Ecco, allora tu sei dentro al peccato veniale.

Se invece tu non lo commetti facilmente, senti il torto che reca a Dio, l’hai sulla coscienza in modo pesante, cioè lo senti con una grande inquietudine interiore, vuol dire che non sei entrato in questa dinamica del peccato veniale, perché non ci sei legato per affetto e perché non lo commetti per abitudine.

Lui è di questo che sta parlando, è contro questo che si scagliano invece i Santi!

Ora, attenzione a quelli che dicono: «Eh vabbè, il peccato veniale cosa vuoi che sia, mica dà la morte all’anima!»

Ecco, sentite:

“Ora il peccato veniale — quello che vi ho appena spiegato — paralizza la potenza di Dio sulla nostra anima. Quando Dio incontra nel cammino dell’anima il peccato veniale, la sua potenza è arrestata, non può operare”.

Capite perché vi parlo sempre della Confessione frequente?

Per questa ragione, perché purtroppo è facile fare peccati veniali, essere quindi affezionati a dei modi, a degli usi e a dei costumi, che di fatto si configurano come dei peccati veniali.

Pensate a chi ha l’abitudine di mentire, di nascondersi…

È un peccato veniale, ma è un peccato, anche se non mortale, che paralizza la potenza di Dio sulla nostra anima.

Pensate agli sguardi impuri, o ai pensieri impuri, peccati che non so quanti ancora confessino… Certo, se non ci cado dentro proprio a capofitto dicendo: «Voglio star lì a pensare, a fare sguardi…», ma ci cado in modo non grave, però ci cado, però mi piacciono, questo è un peccato veniale, sono peccati veniali contro la purezza… e la potenza di Dio è arrestata.

“Nell’altro mondo la giustizia si paga senza bisogno che vi acconsenta il colpevole; — sta parlando del Purgatorio — ma quaggiù abbiamo sempre la libertà. Dio non può fare in noi se non quello che consentiamo di lasciarlo fare, e la volontà perversa (nel peccato veniale) dell’uomo in respingere la potenza di Dio è più forte che la volontà di Dio”.

Bisogna dirlo a quelle persone che dicono: «Oh vabbè… cosa vuoi che sia! Queste qui sono sciocchezze».

Sì, perché tu hai la coscienza spessa come la pelle del mammut, e allora, ovviamente, se tu sei un mammut, è difficile che senti delle vespe sul groppone, è difficile, perché se anche ti punge un calabrone, un mammut non se ne accorge. Tu fai la stessa cosa con un bambino, e guarda cosa succede quando una zanzara punge un neonato. Se una zanzara punge un mammut, il mammut neanche sa che esiste la zanzara; se una zanzara punge un bambino, guarda cosa succede sulla sua pelle così tenera, così giovane, così sensibile.

Noi, che coscienza abbiamo? Noi cosa siamo? Dei mammut o dei fanciulli?

Stiamo attenti, perché la nostra volontà di peccare, anche venialmente, respinge la potenza di Dio, è più forte della Volontà di Dio, perché Dio rispetta la mia volontà.

Attenti eh… attenti:

“Ma certo! Dio non può far nulla con uno che ha la coscienza occupata da un’affezione ad un peccato veniale; è impossibile che Egli unisca la sua potenza alla nostra, la sua azione alla nostra”.

Perché?

“Il peccato è, di sua stessa natura un’avversione da Dio; costituisce un’opposizione di essenza ad essenza, di natura a natura. Che volete che faccia Iddio? Potrebbe rovesciarci; ma ci ha dato un tempo per vivere e godere della nostra libertà: Egli rispetta questo decreto”.

Il peccato veniale arresta il corso della bontà di Dio. La grazia è l’effusione della bontà divina. Ora Dio non può assolutamente dare la sua grazia ad uno che con un atto dice: «Non la voglio»”.

È il peccato veniale.

“Dio non può rendere buono un atto cattivo di sua natura”.

E qui, al posto del punto, potremmo mettere due punti e dire tante, tante, tante cose…

Quindi, mi sembra chiaro, no?

Se la nostra coscienza è occupata dall’affezione al peccato veniale (questo è il tema), cioè se noi vogliamo bene, se a noi piace quel peccato lì, veniale, di fatto, siccome abbiamo un cuore solo, questa affezione, questo amore, occupa il nostro cuore, la nostra coscienza, e quindi Dio non può unire la Sua potenza, la Sua azione, alla nostra.

Siccome il peccato è, di sua stessa natura, un’avversione a Dio, c’è una opposizione di natura a natura, di essenza ad essenza, e non possono stare insieme, o l’una o l’altra: o metti dentro Dio, e tiri fuori il peccato veniale, cioè la sua affezione, oppure perdi Dio, perché Dio rispetta questa libertà.

Il peccato veniale arresta il corso della bontà di Dio.

Eh… quindi, chissà, le nostre preghiere non vengono così tanto ascoltate perché… Ci avete mai pensato perché? Perché forse (ne basta uno eh) c’è un peccato che ci piace, a cui siamo affezionati.

Interessante quel giovane che disse: «Ma io faccio tutto quello che vuole il Signore, io obbedisco, io faccio qualunque cosa, però… ci deve essere una zona franca, dove neanche Dio deve entrare a disturbarmi, dove io faccio quello che voglio». Non è possibile, non può esistere questa cosa, perché il nostro cuore non va a scompartimenti, è uno, o lo dai tutto o non dai niente.

Ecco perché qualcuno dice, o diceva: «È difficile andare d’accordo con Gesù, perché: o tutto, o niente». Sì, certo, perché Lui ha dato tutto, quindi non può accettare le mezze misure; chi dà tutto, vuole tutto. Non possiamo giocare al compromesso con Dio.

Io, col peccato, cosa dico? Dico: «Non voglio la grazia di Dio, non la voglio. Non voglio la grazia di Dio». Questo è il peso del peccato!

Ecco perché, e ve lo ripeto per la centesima, per la milionesima volta: «Bisogna confessarsi frequentemente». Per questa ragione!

Mi fermo. Domani andremo avanti su questo tema, così importante, del peccato veniale, perché, come vedete, è assolutamente attuale.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

VANGELO (Lc 1, 57-66. 80)

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

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