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Il Card. Sarah: “Vi chiedo di applicare con grande cura Summorum Pontificum”

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Dal 29 marzo al 1 aprile si è tenuto a Herzogenrath, a nord di Aquisgrana, il 18° incontro liturgico di Colonia, organizzato da Don Guido Rodheudt.

Invitato a tenere il discorso d’apertura del convegno, ma non potendo essere presente, il cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino ha inviato agli organizzatori un corposo messaggio che riportiamo integralmente qui sotto nella nostra traduzione.

Qui il testo originale in francese.

Summorum Pontificum: la sorgente del futuro


Intervento del Card. Robert Sarah al 18° incontro liturgico di Colonia, 30 marzo 2017

Desidero anzitutto ringraziare dal profondo del cuore gli organizzatori del Convegno intitolato “La sorgente del futuro” in occasione del 10º anniversario del moto proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI a Herzogenrath perché mi permettono di proporre alla vostra riflessione questo argomento così importante per la vita della Chiesa, precisamente il futuro della liturgia; lo faccio con grande gioia.

Desidero salutare molto cordialmente tutti partecipanti a questo Convegno in particolare i membri delle associazioni i cui nomi sono menzionati sull’invito che avete avuto la grande bontà di inviarmi, sperando di non dimenticare nessuno. Si tratta dell’associazione Una Voce Germania, del Circolo cattolico dei Sacerdoti e Laici dell’Arcidiocesi di Amburgo e di Colonia, dell’Associazione Cardinal Newman, della Rete dei sacerdoti della Parrocchia cattolica santa Gertrude di Herzogenrath.

Come ho scritto al reverendo parroco della parrocchia santa Gertrude di Herzogenrath, Don Guido Rodheudt, mi dispiace molto di aver dovuto rinunciare a partecipare al vostro Convegno a causa di impegni che mi sono sopraggiunti all’improvviso e che si sono aggiunti ad un’agenda già molto fitta. Tuttavia, vi assicuro la mia presenza in mezzo a voi tramite la preghiera: essa vi accompagnerà ogni giorno e, beninteso, sarete tutti presenti all’offertorio della Santa Messa quotidiana che celebrerò durante i quattro giorni del vostro Convegno, dal 29 marzo al 1 aprile.

Procedo dunque ad aprire i vostri lavori con una breve riflessione sulla maniera in cui conviene applicare il motu proprio Summorum Pontificum nell’unità e nella pace.

Restaurare la liturgia

Come sapete, quello che all’inizio del XX secolo fu chiamato il “movimento liturgico”, nacque per la volontà di papa San Pio X, espressa con un altro motu proprio intitolato “Tra le sollecitudini” (1903). Tale volontà era che la liturgia venisse restaurata per renderne i tesori più accessibili e che essa ritornasse ad essere la sorgente di una vita autenticamente cristiana.

Di qui la definizione della liturgia come “fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa” presente nella costituzione sulla santa liturgia Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II (n.10). Non si ripeterà mai abbastanza che la liturgia, in quanto fonte e culmine della Chiesa, trova il suo fondamento nello stesso Cristo. Infatti Nostro Signore Gesù Cristo è l’unico e definitivo Sommo Sacerdote della Nuova ed Eterna Alleanza perché si è offerto egli stesso in sacrificio e, “con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (cf. Eb 10,14). Così, come lo definisce il Catechismo della Chiesa Cattolica, “questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo.” (n. 1068)

È nel contesto del “movimento liturgico”, del quale uno dei più bei frutti fu la Costituzione Sacrosanctum Concilium, che conviene considerare il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, del quale siamo lieti di celebrare quest’anno, con grande gioia e azione di grazie, il 10º anniversario di promulgazione.

Si può dunque affermare che il “movimento liturgico” iniziato da papa San Pio X non si è mai interrotto e continua ancora ai nostri giorni sulla scorta del nuovo impulso che gli è stato conferito da papa Benedetto XVI. A questo proposito si può menzionare la cura particolare e l’attenzione personale che egli ha dimostrato celebrando la santa liturgia da pontefice, i frequenti rimandi nei suoi discorsi alla centralità della liturgia nella vita della Chiesa e infine i suoi due documenti magisteriali Sacramentum Caritatis e Summorum Pontificum.

In altri termini, quello che è stato chiamato l’aggiornamento liturgico è stato in qualche modo completato dal motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI. Di cosa si tratta? Il Papa emerito ha stabilito la distinzione tra due forme dello stesso rito romano: una forma detta ordinaria, che concerne i testi liturgici del messale Romano rivisti secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II e una forma denominata straordinaria che corrisponde alla liturgia che era in vigore prima dell’aggiornamento liturgico. Così, oggi, nel rito romano o latino sono in vigore due messali: quello del beato Papa Paolo VI nella sua terza edizione datata 2002, e quello di San Pio V la cui ultima edizione, promulgata da S. Giovanni XXIII, risale al 1962.

Per un mutuo arricchimento

Nella lettera ai vescovi che accompagnava il motu proprio, Papa Benedetto XVI precisò bene che la sua decisione di far coesistere due messali non aveva solamente per scopo di soddisfare il desiderio di certi gruppi di fedeli affezionati alle forme liturgiche anteriori al Concilio Vaticano II, ma anche di permettere l’arricchimento mutuo delle due forme dello stesso rito romano, vale a dire non solamente la loro pacifica coesistenza ma anche la possibilità di perfezionarli mettendo in evidenza i migliori elementi che li caratterizzano. In particolare, egli scrisse che “le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. […] Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso.

È dunque in questi termini che il Papa emerito manifestò il suo desiderio di rilanciare il “movimento liturgico”. Nelle parrocchie dove il motu proprio ha potuto essere attuato, i sacerdoti testimoniano il più grande fervore sia tra i fedeli che tra i sacerdoti, come Don Rodheudt stesso può testimoniare.

Si è potuto ugualmente notare una ripercussione e un’evoluzione spirituale positiva nella maniera di vivere le celebrazioni eucaristiche secondo la forma ordinaria, in particolare la riscoperta degli atteggiamenti di adorazione verso Santo Sacramento: inginocchiarsi, genuflettere…, e anche un maggior raccoglimento caratterizzato dal silenzio sacro che deve sottolineare i momenti importanti del Santo Sacrificio della messa per permettere ai sacerdoti e ai fedeli di interiorizzare il mistero della fede che è celebrato. È altrettanto vero che occorre fortemente incoraggiare e fare opera di formazione liturgica e spirituale. Allo stesso modo bisognerà promuovere una pedagogia perfettamente calibrata per superare un certo “rubricismo” troppo formale nello spiegare i riti del Messale tridentino a coloro che ancora non lo conoscono, o che lo conoscono in un modo troppo parziale e talvolta prevenuto.

Per questo è opportuno e urgente mettere a punto un messale bilingue latino-volgare in vista di una partecipazione piena, cosciente, intima e più fruttuosa dei fedeli alle celebrazioni eucaristiche. È altresì molto importante sottolineare la continuità tra le due forme messale tramite catechesi liturgiche appropriate… molti sacerdoti testimoniano che si tratta di un compito stimolante perché sono coscienti di lavorare al rinnovamento liturgico portando il loro contributo al “movimento liturgico” del quale abbiamo appena parlato, vale a dire, in realtà, a questo rinnovamento spirituale mistico, e quindi missionario, voluto dal Concilio Vaticano II e al quale ci richiama con vigore Papa Francesco.

La liturgia deve dunque sempre riformarsi per essere più fedele alla sua essenza mistica. Ma il più delle volte questa “riforma”, che si è sostituita alla vera “restaurazione” voluta dal Concilio Vaticano II, è stata realizzata con uno spirito superficiale e sulla base di un solo criterio: sopprimere a tutti i costi un’eredità percepita come totalmente negativa e sorpassata al fine di scavare un abisso tra il prima e il dopo Concilio.

Ora, è sufficiente riprendere la Costituzione sulla sacra Liturgia e leggerla onestamente, senza tradirne il significato, per vedere che il vero proposito del Concilio Vaticano II non era di intraprendere una riforma che potesse divenire occasione di una rottura con la tradizione, ma piuttosto il contrario, di ritrovare e di confermare la tradizione nel suo significato più profondo. Di fatto, quella che è stata chiamata la “riforma della riforma” e che si potrebbe chiamare più precisamente “l’arricchimento mutuo dei riti”, per riprendere un’espressione del magistero di Benedetto XVI, è una necessità anzitutto spirituale. Essa concerne chiaramente entrambe le forme del rito romano. La cura particolare da portare alla liturgia, l’urgenza di tenere in alta stima e di lavorare alla sua bellezza, alla sua sacralità e al mantenimento di un giusto equilibrio tra la fedeltà alla tradizione e legittima evoluzione e dunque di rigettare assolutamente e radicalmente tutta l’ermeneutica della discontinuità e della rottura, questi sono il cuore e gli elementi essenziali di tutta la liturgia cristiana autentica.

Il cardinale Joseph Ratzinger ha incessantemente ripetuto che la crisi che scuote la chiesa da una cinquantina d’anni, principalmente dopo il Concilio Vaticano II, è legata alla crisi della liturgia e quindi alla mancanza di rispetto, alla desacralizzazione e all’orizzontalizzazione degli elementi essenziali del culto divino. “Io sono convinto – ha scritto – che la crisi della Chiesa, che noi viviamo oggi, si fonda largamente su una disintegrazione della liturgia” (Joseph Ratzinger, La mia vita. Ricordi 1927-1977, Fayard, pag. 135).

Certamente, il Concilio Vaticano II ha voluto promuovere una più grande partecipazione attiva del popolo di Dio e far progredire di giorno in giorno la vita cristiana tra i fedeli cristiani (cf. Sacrosanctum Concilium, n.1). Certamente, sono state realizzate delle belle iniziative in questo senso. Tuttavia, non possiamo chiudere gli occhi sul disastro, la devastazioni, lo scisma che i promotori moderni di una liturgia vivente hanno provocato rimodellando la liturgia della Chiesa secondo le loro idee. Si sono dimenticati che l’atto liturgico non è solamente una PREGHIERA ma anche e soprattutto un MISTERO nel quale si realizza per noi qualcosa che non possiamo comprendere pienamente, ma che dobbiamo accettare e ricevere con la fede, l’amore, l’obbedienza e un silenzio adorante. Questo è il senso vero della partecipazione attiva dei fedeli. Non si tratta di un’attività solamente esteriore, di una ripartizione di ruoli o di funzioni nella liturgia, ma piuttosto di una ricettività intensamente attiva: la ricezione è dentro il Cristo e con il Cristo, l’offerta umile di sé nella preghiera silenziosa e un atteggiamento pienamente contemplativo.

La grande crisi della fede, non solamente a livello dei fedeli cristiani ma anche e soprattutto tra numerosi sacerdoti e vescovi, ci ha posto nell’incapacità di comprendere la liturgia eucaristica come un sacrificio, come lo stesso atto compiuto una volta per tutte da Gesù Cristo, che rende presente il Sacrificio della Croce nella modalità incruenta, ovunque nella Chiesa, attraverso i diversi tempi, luoghi, popoli e nazioni. Abbiamo spesso la tendenza sacrilega di ridurre la Santa messa a un semplice pasto conviviale, alla celebrazione di una festa profana e ad un’autocelebrazione della comunità; o, peggio ancora, a un spettacolo mostruoso contro l’angoscia di una vita che non ha più senso o contro la paura di incontrare Dio faccia a faccia, perché il suo sguardo svela e ci obbliga a guardare con verità e senza dissipazioni la bruttura della nostra interiorità. Ma la Santa messa non è uno svago. È il sacrificio vivente del Cristo morto sulla Croce per liberarci dal peccato e dalla morte e al fine di rivelare l’amore e la gloria di Dio Padre. Molti ignorano che lo scopo di tutta la celebrazione sono la gloria e l’adorazione di Dio, la salute e la santificazione degli uomini, poiché, nella liturgia “Dio è perfettamente glorificato e gli uomini santificati” (Sacrosanctum Concilium, n.7).

La maggior parte dei fedeli – sacerdoti e vescovi compresi – ignorano questo insegnamento del Concilio. Così come ignorano che i veri adoratori di Dio non sono coloro che, secondo le loro idee e creatività, riformano la liturgia per fare qualcosa che piace al mondo, ma coloro che, con il Vangelo, riformano in profondità il mondo per permettergli di accedere a una liturgia che sia riflesso della liturgia che si celebra da tutta l’eternità nella Gerusalemme celeste. Come ha sovente sottolineato Benedetto XVI, alla radice della liturgia si trova l’adorazione, e quindi Dio.

Pertanto, bisogna riconoscere che la grave e profonda crisi che dal Concilio affligge e continua ad affliggere la liturgia e la Chiesa stessa, è dovuta al fatto che il suo centro non è più Dio e la sua adorazione, ma gli uomini e la loro pretesa capacità di “fare” qualcosa per essere occupati durante le celebrazioni eucaristiche. Anche oggi, un numero importante di ecclesiastici sottostima la grave crisi che attraversa la Chiesa: relativismo nell’insegnamento dottrinale, morale e disciplinare, gravi abusi, desacralizzazione e banalizzazione della Santa liturgia, visione puramente sociale e orizzontale della missione della Chiesa. Molti credono e affermano a gran voce che il Concilio Vaticano II ha suscitato una vera primavera della Chiesa. Tuttavia, un numero crescente di ecclesiastici considerano questa “primavera” come un rifiuto, una rinuncia alla sua eredità multisecolare, oppure come una rimessa in discussione radicale del suo passato e della sua Tradizione.

Rimproveriamo all’Europa politica di abbandonare o di negare le sue radici cristiane. Ma la prima ad aver abbandonato le proprie radici e il proprio passato cristiano è incontestabilmente la Chiesa cattolica post-conciliare. Certe conferenze episcopali si rifiutano addirittura di tradurre fedelmente il testo originale latino del Messale Romano. Taluni pretendono che ogni chiesa locale possa tradurre il messale Romano, non secondo l’eredità sacra della Chiesa e seguendo il metodo e i principi indicati da Liturgiam authenticam ma secondo le loro fantasie, le ideologie e le espressioni culturali suscettibili, dicono loro, di essere comprese e accettate dal popolo. Ma il popolo desidera essere iniziato al linguaggio sacro di Dio. Il Vangelo e la rivelazione stessi, sono reinterpretati, contestualizzati e adattati alla cultura occidentale decadente. Nel 1968 il vescovo di Metz, in Francia, scrisse nel suo bollettino diocesano una sinistra enormità che suonava come la volontà e l’espressione di una rottura totale con il passato della Chiesa. Secondo questo vescovo, dobbiamo al giorno d’oggi ripensare la stessa concezione della salvezza portata da Gesù Cristo, poiché la Chiesa apostolica e le comunità cristiana dei primi secoli del cristianesimo non avevano compreso nulla del Vangelo. È solo a partire della nostra epoca che abbiamo compreso il disegno di salvezza portato da Gesù. Di qui l’audace e sorprendente affermazione del vescovo di Metz: “La trasformazione del mondo (cambiamento della civiltà) insegna e impone un cambiamento nella concezione stessa della salvezza portata da Gesù Cristo; questa trasformazione ci rivela che il pensiero della Chiesa sul disegno di Dio è stato, prima del presente cambiamento, insufficientemente evangelico… Nessun’epoca tranne la nostra è stata in grado di comprendere l’ideale evangelico della vita fraterna.” (citato da Jean Madiran, L’hérésie du XXe siècle, Nouvelles Editions Latines (NEL), 1968, p. 166).

Con una tale visione, non ci si stupisce delle devastazioni, delle distruzioni e delle guerre che sono seguite, e che persistono ai nostri giorni, in campo liturgico, dottrinale e morale, perché si pretende che nessun epoca tranne la nostra abbia avuto la capacità di comprendere “l’ideale evangelico”.

Molti rifiutano di guardare in faccia l’opera di autodistruzione che la Chiesa sta portando avanti tramite la demolizione pianificata delle proprie fondamenta dottrinali, liturgiche, morali e pastorali. Mentre le voci di alcuni ecclesiastici di alto rango si moltiplicano, affermando ostinatamente errori dottrinali, morali e liturgici manifesti, sebbene siano stati centinaia di volte condannati, e lavorano alla demolizione del poco di fede che resta del popolo di Dio, mentre la barca della Chiesa solca il mare in tempesta di questo mondo decadente e le onde si scagliano sulla barca, nonostante essa si vada riempiendo d’acqua, un numero crescente di ecclesiastici e di fedeli urla: “Tutto va ben, madama la marchesa!”.

Ma la realtà è tutt’altra: in effetti, come diceva il cardinal Ratzinger: «I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e si è invece andati incontro a un DISSENSO che – per usare le parole di Paolo VI – è sembrato passare dall’autocritica all’autodistruzione. Ci si aspettava un nuovo entusiasmo e si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in larga misura sotto il segno di un richiamo ad un presunto “spirito del Concilio”, e in tal modo lo ha screditato» (Joseph Ratzinger, Entretien sur la foi, pp. 30-31)

«Oggigiorno nessuno più osa contestare onestamente e seriamente le manifestazioni di crisi e di guerra liturgica alle quali il concilio Vaticano II ha condotto» (Joseph Ratzinger, Principes de la théologie catholique, Téqui, 1985, p. 413).

Oggigiorno, si procede alla frammentazione e alla demolizione del santo Missale Romanum abbandonandolo alle diversità culturali e ai fabbricanti di testi liturgici. Sono felice qui di congratularmi per il lavoro gigantesco e meraviglioso realizzato attraverso Vox Clara dalle conferenze episcopali di lingua inglese e quelle di lingua spagnola e coreana, ecc. che hanno tradotto fedelmente e in perfetta conformità alle indicazioni e ai principi di Liturgiam authenticam il Missale Romanum e la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha concesso loro la recognitio.

Una guerra liturgica

In seguito alla pubblicazione della mia opera Dio o niente sono stato intervistato su questa guerra liturgica che da decenni, troppo spesso, divide i cattolici. Ho affermato che si tratta di un’aberrazione, perché la liturgia è per eccellenza l’ambito nel quale i cattolici dovrebbero fare l’esperienza dell’unità nella verità, nella fede e nell’amore e che, di conseguenza, è inconcepibile celebrare la liturgia avendo nel cuore sentimenti di lotta fratricida e di rancore. Del resto, Gesù non ha pronunciato delle parole molto esigenti sulla necessità di andarsi riconciliare con il fratello prima di presentare la propria offerta altare? (cf. Mt 5, 23-24). Poiché “a sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere «in perfetta unione»; prega affinché «esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede»; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa.”(Sacrosanctum Concilium, n. 10).

In questo “faccia a faccia” con Dio, che è la liturgia, il nostro cuore deve essere puro da tutte le inimicizie e questo presuppone che ciascuno debba essere rispettato nella propria sensibilità. Questo significa concretamente che, se da un lato occorre affermare che il Concilio Vaticano II non ha mai chiesto di fare tabula rasa del passato e dunque di abbandonare il messale detto di San Pio V, che ha generato tanti santi, basti citare quei sacerdoti così ammirabili come San Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, San Padre Pio, Josemaria Escriva de Balaguer; allo stesso tempo è essenziale promuovere il rinnovamento liturgico voluto dallo stesso Concilio e dunque  i libri liturgici aggiornati secondo la costituzione Sacrosanctum Concilium, in particolare il messale detto del beato Papa Paolo VI. E aggiungo che la cosa più importante, a prescindere dal fatto che si celebri nella forma ordinaria o straordinaria, è di dare ai fedeli ciò a cui hanno diritto: la bellezza della liturgia, la sua sacralità, il silenzio, il raccoglimento, la dimensione mistica e l’adorazione. La liturgia ci deve mettere faccia a faccia con Dio in una relazione personale di intensa intimità. Ci deve immergere nell’intimità della Santissima Trinità. Parlando dell’usus antiquior nella sua lettera di accompagnamento al Summorum Pontificum Papa Benedetto XVI disse che «subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia».

Si tratta di una realtà inevitabile, un vero segno dei nostri tempi. Quando i giovani sono assenti dalla santa liturgia ci dobbiamo chiedere: perché? Dobbiamo vegliare affinché anche le celebrazioni secondo l’usus recentior facilitino questo incontro, che esse conducano le persone sul cammino della via pulchritudinis che porta al Cristo vivente e all’opera nella sua Chiesa oggi attraverso i suoi riti sacri. Infatti l’Eucarestia non è una sorta di “pranzo tra amici”, un pasto conviviale della comunità, ma un sacro Mistero, il grande Mistero della nostra fede, la celebrazione della Redenzione compiuta da Nostro Signore Gesù Cristo, la commemorazione della morte di Gesù sulla Croce per liberarci dei nostri peccati. È dunque conveniente celebrare la Santa messa con la bellezza e il fervore di un Santo Curato d’Ars, di un padre Pio o di un Josemaria e questa è la condizione sine qua non affinché giunga “dall’alto”, se così si può dire, una riconciliazione liturgica (cf. Intervista al sito cattolico Aleteia, del 4 marzo 2015).

Perciò mi oppongo con vigore a che occupiamo il nostro tempo a contrapporre una liturgia all’altra o il messale di San Pio V a quello del beato Paolo VI. Si tratta piuttosto di entrare nel grande silenzio della liturgia, di lasciarsi arricchire da tutte le forme liturgiche, siano esse latine o orientali. Infatti, senza questa dimensione mistica del silenzio e senza uno spirito contemplativo, la liturgia resterà un’occasione di lacerazioni odiose, di scontri ideologici e di umiliazione pubblica dei deboli da parte di coloro che pretendono di detenere un potere, anziché essere il luogo della nostra unità della nostra comunione col Signore. Così, invece che affrontarci e detestarci, la liturgia dovrebbe farci arrivare tutti insieme all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo… e, agendo secondo verità nella carità, cresceremo in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo (cf. Ef 4, 13-15) [cf. Intervista a La Nef, ottobre 2016, q. 9].

Come sapete, il grande liturgista tedesco Mons. Klaus Gamber (1919–1989) designava con la parola: «Heimat» questa casa comune o «piccola patria» che è quella dei cattolici riuniti attorno all’altare del Santo Sacrificio. Il senso del sacro, che impregna e vivifica i riti della Chiesa è correlato, indissociabile dalla liturgia.

Orbene, in questi ultimi decenni molti fedeli sono stati maltrattati, talvolta profondamente turbati da celebrazioni marcate da un soggettivismo superficiale e devastatore, al punto da non riconoscere la loro «Heimat», la loro casa comune e, per i più giovani, al punto da non averla mai conosciuta! Quanti se ne sono andati in punta di piedi, particolarmente i più piccoli e più poveri tra loro! Sono divenuti in qualche sorta degli “apolidi liturgici”.

Il “movimento liturgico” al quale le due forme sono associate vuole dunque rendere loro la loro «Heimat» e allo stesso tempo vuole reintrodurli nella loro casa comune, perché sappiamo bene che, nella sua opera di teologia sacramentaria, il cardinal Joseph Ratzinger, molto prima della pubblicazione del Summorum Pontificum aveva messo in evidenza che la crisi della Chiesa, e dunque la crisi del la fede, proviene in gran parte dal modo in cui trattiamo liturgia, secondo il vecchio adagio lex orandi, lex credendi.

Nella prefazione che ha accordato al magistrale lavoro di monsignor Gamber: Die Reform der römischen Liturgie La riforma della liturgia romana») il futuro Papa Benedetto XVI affermava così, cito:

Un giovane sacerdote mi diceva di recente: “Ci vorrebbe oggi un nuovo movimento liturgico”. Era l’espressione di una preoccupazione che, di questi giorni, solo degli spiriti volontariamente superficiali potrebbero allontanare. Ciò che importava a questo sacerdote, non era di conquistare nuove e audaci libertà: quali libertà non ci siamo già arrogati? Sentiva che abbiamo bisogno di un nuovo inizio che tragga origine dall’intimo della liturgia, come l’aveva voluto il movimento liturgico quando si trovava all’apogeo della sua vera natura, quando non si trattava di fabbricare testi, di inventare azioni e forme, ma di scoprire il centro vivente, di penetrare nel tessuto propriamente detto della liturgia, affinché l’adempimento di questa fosse il risultato della sua stessa sostanza.

La riforma liturgica, nella sua concreta realizzazione, si è allontanata sempre più da questa origine. Il risultato non è stata una rianimazione ma una devastazione. Da un canto, abbiamo una liturgia degenerata in “show”, nella quale si cerca di rendere la religione interessante con l’aiuto di idiozie alla moda e di massime morali seducenti, con dei successi momentanei nel gruppo dei fabbricanti di liturgia, e una attitudine all’arretramento tanto più pronunciata presso coloro che cercano nella liturgia non lo “showmaster” spirituale, ma l’incontro col Dio vivente davanti al quale ogni “fare” diventa insignificante, essendo solo questo incontro capace di farci accedere alle autentiche ricchezze dell’essere. D’altro canto, abbiamo la conservazione di forme rituali la cui grandezza emoziona sempre, ma che, spinte all’estremo, manifestano un isolamento ostinato e alla fine non lasciano altro che tristezza. Certo, tra i due estremi rimangono tutti i sacerdoti e le loro parrocchie che celebrano la nuova liturgia con rispetto e solennità, ma vengono rimessi in discussione dalla contraddizione tra i due estremi, e la mancanza di unità interna nella Chiesa alla fine fa comparire la loro fedeltà, a torto per molti di loro, come una semplice verità personale di neoconservatorismo. Un nuovo impulso spirituale è quindi necessario affinché la liturgia sia di nuovo per noi una attività della comunità della Chiesa e che venga strappata all’arbitrio dei sacerdoti e dei loro gruppi liturgici. Non si può “costruire” un movimento liturgico di questo genere – non più di quanto si possa costruire un qualche cosa di vivo -, ma si può contribuire al suo sviluppo sforzandosi di assimilare di nuovo lo spirito della liturgia e difendendo pubblicamente quanto abbiamo fin qui ricevuto.”

Penso che questa lunga citazione, così precisa e così limpida, sia di vostro interesse, all’inizio di questo Convegno, e contribuisca altresì a lanciare la vostra riflessione sulla “sorgente del futuro” («die Quelle der Zukunft») del motu proprio Summorum Pontificum. Infatti, lasciate che vi trasmetta una convinzione che mi abita da lungo tempo: la liturgia romana, riconciliata nelle sue due forme, che è essa stessa il “frutto di uno sviluppo” secondo l’espressione di un altro grande liturgista tedesco, Joseph Jungmann (1889-1975), può lanciare il processo decisivo del “movimento liturgico” che tanti sacerdoti e fedeli attendono da così tanto tempo.

Da dove incominciare? Mi permetto di proporvi le tre piste seguenti che riassumo con le seguenti lettere: SAF: silenzio-adorazione-formazione in italiano, e in tedesco: SAA: Stille-Anbetung-Ausbildung.

Innanzitutto il silenzio sacro senza il quale non si può incontrare Dio. Nella mia opera La forza del silenzio ho scritto così: “Nel silenzio l’uomo non conquista la sua nobiltà e la sua grandezza se non è inginocchiato per ascoltare e adorare Dio.” (n. 66).

Poi, l’adorazione. A questo proposito, condivido la mia esperienza spirituale nello stesso libro La forza del silenzio: “Da parte mia, so che i più grandi momenti della mia giornata si trovano in quelle ore incomparabili che passo in ginocchio, nella penombra, davanti al Santissimo Sacramento del Corpo del Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Sono come inabissato in Dio e avvolto dalla sua presenza silenziosa. Vorrei solo appartenere a Dio e immergermi nella purezza del suo Amore. Eppure misuro quanto sono povero, così lontano dall’amare il Signore come Lui ha amato me fino a darsi per me” (n 54).

Infine la formazione liturgica a partire da un annuncio della fede o catechesi che abbia come riferimento il Catechismo della Chiesa cattolica che ci protegge da eventuali elucubrazioni più o meno colte di certi teologi in vena di “novità”. Ecco quello che ho detto a questo riguardo in quello che è diventato usuale chiamare “il discorso di Londra” del 5 luglio 2016 pronunciato nel corso della terza conferenza internazionale dell’associazione Sacra Liturgia: “La formazione liturgica che è primaria ed essenziale è un’immersione nella liturgia, nel profondo mistero di Dio, nostro Padre amorevole. Si tratta di vivere la liturgia in tutta la sua ricchezza, cosicché, avendo bevuto profondamente alla sua sorgente, abbiamo sempre sete delle sue delizie, del suo ordine e della sua bellezza, del suo silenzio e della sua contemplazione, della sua glorificazione e adorazione, della sua capacità di metterci intimamente in contatto con Colui che è all’opera nei e attraverso i Sacri riti della Chiesa.” (cardinal Robert Sarah : Troisième Conférence internationale de l’Association Sacra Liturgia, Londres. Discours du 5 juillet 2016. Cf. site internet de l’Association Sacra Liturgia : Vers une authentique mise en œuvre de Sacrosanctum Concilium, 11 juillet 2016).

È dunque in questo contesto globale e in uno spirito di fede e di profonda comunione all’obbedienza di Cristo sulla Croce che, umilmente, vi chiedo di applicare con grande cura Summorum Pontificum; non come una misura negativa e retrograda, rivolta al passato, o come qualcosa che costruisca muri o un ghetto, ma come un contributo importante e autentico alla vita presente e futura della Chiesa e al movimento liturgico della nostra epoca, al quale sempre più persone, specialmente i giovani, attingono tante cose vere, buone e belle.

Vorrei concludere questa introduzione con le luminose parole di Benedetto XVI alla fine dell’omelia che pronunciò nel 2008 nella solennità dei Santi Pietro e Paolo:

“Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo.”

Vi ringrazio per la vostra benevola attenzione e che Dio vi benedica e riempia le vostre vite della sua Presenza silenziosa.

Robert Card. Sarah
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti

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