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La Verità, un problema da eliminare?

Maria Cavazzini Fortini - Gesù scacciato da Nazareth

Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di domenica 31 gennaio 2016 (S. Messa del giorno).

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Testo della meditazione

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La Verità, un problema da eliminare?

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

Siamo al capitolo 4 del Vangelo di San Luca, che abbiamo appena ascoltato in questa IV domenica del tempo ordinario, a dieci giorni dall’inizio della Quaresima, il 10 di febbraio siamo già a Mercoledì delle Ceneri, e al capitolo 4 vediamo che la gente, o meglio, quelli che andavano nella sinagoga a pregare Dio, hanno già deciso di ammazzare Gesù, di prenderlo e buttarLo giù; dal ciglio del monte, dalla città costruita sul ciglio del monte, volevano sbattere giù Gesù, buttare giù Gesù ed ucciderLo.

Ma cosa ha fatto Gesù, di così grave, per meritare questo?

Per ammazzare una persona dobbiamo avere dentro un odio, una cattiveria, un rancore, un astio fortissimo, se no non uccido una persona, non è che uccido una persona così.

Perché quelli della sinagoga, quelli che erano tanto devoti a Dio, che pregavano Dio, che conoscevano le scritture, figli di Israele (Shemà Israel…), come mai questa gente è arrivata addirittura a portare nel cuore, in un momento di preghiera (perché stavano pregando), un pensiero comune, comunitario, di omicidio verso uno che ha solo parlato?

Adesso vediamo perché, ma intanto è importante capire che si può pregare e avere nel cuore l’omicidio, si può essere comunità, ed essere comunità nell’omicidio, nel male, nel diavolo, nel volere uccidere le persone. Non basta essere nella sinagoga, non basta pregare Dio, per essere al riparo da queste oscenità.

Stride molto il fatto che l’Evangelista Luca dice che tutti Gli davano testimonianza, Lo riconoscevano ed erano ammirati, erano meravigliati, scrive Luca, delle parole di grazia che uscivano dalla Sua bocca.

Incredibile che, dalla meraviglia, si passi all’omicidio!

Erano meravigliati delle parole di grazia, cioè riconoscevano che Gesù diceva delle parole graziose, belle, vere, buone, gentili, profonde, parole di grazia, e questo suscitava la meraviglia del loro cuore, ma c’è un ma, un ma grande come una casa, e che riguarda il contenuto delle Parole di Gesù.

Perché, parlando della vedova di Sarèpta di Sidòne, e perché, parlando di Naàman il Siro, il lebbroso, Gesù scatena l’ira di questa gente?

Scatena l’ira di questa gente perché dice loro la verità, cioè dice loro: «A nessuno di voi, popolo eletto di Israele, Dio, in quel tempo, ha fatto visita (e ha salvato), se non a due pagani».

Erano due pagani, la vedova di Sarèpta di Sidòne era una pagana e Naàman il Siro era un pagano, e Lui dice: «Dio non ha fatto grazie a nessuno, a nessuno di voi, a nessuno del popolo eletto, solo a due persone pagane», come pagana sarà la Samaritana al pozzo, come pagano era Zaccheo, come pagano era Matteo, come pagana era la prostituta, la Maddalena.

«Dio ha visitato quelle persone, non ha visitato voi, non ha curato voi, non ha salvato voi dalla lebbra e non ha sfamato voi, che siete il popolo eletto».

Questo perché?

Perché Dio guarda il cuore, Dio non guarda l’appartenenza burocratica, legalista, Dio guarda il cuore, il cuore delle persone.

Noi oggi siamo qui alla Santa Messa e Dio guarda il nostro cuore…

Siamo così numerosi, perché oggi si commemora questa grande Sorella dell’Istituto, che ha lasciato una testimonianza grande nella vita dell’Istituto, nella vita della Casa, nella vita delle persone che Lei ha conosciuto, ma non è che basta essere qua e commemorarla per dire che il suo esempio e la sua testimonianza stanno permeando la nostra vita. Ci vuol ben altro, ci vuole l’imitazione, ci vuole il fatto di cogliere la profondità, l’originalità, la ricchezza di questa vita, per poterla fare nostra, perché, se la nostra vita va avanti come se niente fosse, semplicemente facendo memoria di una persona defunta, allora non serve a niente.

La nostra vita deve essere toccata da questa realtà, e questa vita sicuramente era una vita profondamente permeata dall’incontro col Signore e dalla preghiera, oltre che dall’aiuto alle altre persone.

Il Signore, nella nostra vita, o prima o dopo, ci incontrerà attraverso qualcuno, che può essere una persona fisica, può essere una luce della mente, può essere l’ascolto della Parola di Dio, può essere una Messa, può essere un pellegrinaggio (i mezzi di Dio sono infiniti); ci incontrerà, almeno una volta, sicuramente tutti, e ci offrirà l’alternativa, cioè ci dirà: «Io ti do la grazia di capire che questa vita che stai vivendo non è secondo il mio cuore, te lo faccio proprio capire». Ciascuno di noi, se guarda dentro lo vede, lo sente che il Signore in qualche modo ci ha già raggiunti, facendoci capire quello che Lui vuole da noi, quello che Lui si aspetta da noi.

La mia verità, come dice San Paolo, la vedrò, la conoscerò per quello che io veramente sono, contemplando Dio.  Bene, di fronte a questa verità, noi avremo due possibilità: o prenderemo Gesù Cristo per buttarLo giù dal precipizio, cioè uccidere la verità perché non la vogliamo sentire, non la vogliamo affrontare, non la vogliamo riconoscere, oppure fare come hanno fatto la Maddalena, il Buon Ladrone, Zaccheo, la Samaritana, e via di seguito, fermarci, ascoltare e cambiare.

Ma vedete, c’è sempre questa domanda retorica, che viene fuori da chi non vuole cambiare mai, e la domanda è: «Ma cosa devo fare per cambiare?»

Io, veramente, qualche volta dico: «Santa pazienza, ma nessuno di noi è vissuto nel Bangladesh o nella tribù del Bongo Bongo, cioè nessuno di noi viene dalla tribù del Bongo Bongo», mi capite?

Noi non veniamo dalla tribù degli Apache del 700, che siamo lì con l’ascia in mano da una parte e la pelle del coyote dall’altra, che ci muoviamo non sapendo distinguere la destra dalla sinistra, noi abbiamo avuto una formazione culturale medio alta; nessuno di noi probabilmente è Pico della Mirandola, però tutti abbiamo avuto una formazione, abbiamo fatto le nostre scuole, un minimo di formazione culturale l’abbiamo tutti, no?

Veniamo qui a scuola, in questa augusta scuola, e sicuramente le professoresse, le Sorelle, dottissime, ci hanno insegnato qualcosa…bene, allora, io dico: «Ma quando abbiamo letto I Promessi Sposi del Manzoni, tutti, volenti o nolenti (io soprattutto nolente, ai tempi che furono), ci saremo detti: “Sto benedetto uomo che si chiama Innominato, quando è andato dal Cardinale, non è che ha incominciato a dire: “Ma come si fa? Ma da dove parto? Ma in che maniera? Ma dove vado? Ma cosa devo fare? Ma non vedo… Ma non so…”»

Questo ha riconosciuto il suo male, per una notte intera è impazzito sentendo i fantasmi delle armature, che gli si aggiravano nella casa, nel castello; al mattino, appena desto, ha preso il suo cavallo, è andato là e, nonostante tutto e tutti, tutto il clericame che era lì che lo guardava come se arrivasse il demonio (non gliene è fregato niente), è andato e ha detto: «Io voglio incontrare il Cardinale!», punto, con tutta la reputazione malsana che lo precedeva.

Una volta che lo ha incontrato, a quell’uomo è bastato dire: «C’è un debito aperto, si chiama Lucia»… frin frun fran, questo ha preso, è partito, è andato e l’ha liberata.

Non ha incominciato a dire: «Ma quando? Ma come? Ma aspetta che ci penso… Ma a quello come lo dico? Ma a quell’altro come lo faccio? Ma devo vedere… Ma devo riflettere… Ma devo contemplare Gesù Cristo in croce… Devo fare un ritiro di cinque giorni…»

Nooo, perché questo ha colto la verità di Dio, ha preso, è partito, e basta! In tre parole! Tre parole!

Quello gli ha detto: «Hai un debito aperto?»

«Sì».

«Come si chiama?»

«Lucia».

«Prendi e vai!»

Fine.

L’unico che si è messo a disquisire, chi è stato?

Il solito, il solito, che in tutto il romanzo non è cambiato di un capello, l’infame: Don Abbondio, l’unico!

L’unico che ha avuto da dire e da ridire, da fare elucubrazioni: «E adesso? E come? E dopo?», l’unico, lui. In tutto il romanzo non si è convertito di una virgola, anzi, ha avuto da ridire addirittura sul Cardinale, perché era troppo santo…capite?

Addirittura, su di lui: «Come si fa a sopportare questi Santi? Ma questi Santi come sono pesanti! Vogliono cambiare loro e devono cambiare gli altri, stargli vicino è una roba terribile…»

Perché?

Perché, a questo, di cambiare, non gli interessava niente; a questo di convertirsi non interessava un fico di niente!

L’Innominato, quando torna, dice: «Vi avviso: da oggi qui si cambia vita! Se volete stare, state; se volete andarvene, andate! Io ho capito cosa devo fare, basta, non obbligo nessuno. Io mi comporterò così, voi fate quello che volete!»

Questo vuol dire accogliere Gesù e non buttarLo giù dal pozzo!

E noi dobbiamo chiederci cosa vogliamo fare, perché il Signore, finché siamo in vita, è lì che ci bussa, che ci guarda e ci dice: «Ma tu, cosa vuoi fare delle Mie Parole? Tu, della Mia vita, cosa vuoi fare? Tu, della Mia presenza, cosa vuoi fare? Tu, vuoi ascoltare la Mia verità? Vuoi ascoltarMi? Vuoi che ti dica dove sono le tue piaghe purulente? Vuoi che ti dica quando tu hai iniziato a tradirMi, quando tu hai iniziato a diventare indifferente verso di Me? Vuoi che ti dica quando tu hai incominciato ad abbandonarMi? Vuoi che ti dica quando tu hai incominciato a non pregare più, a non venirMi più a cercare e a salutare, quando tu hai incominciato a rilassarti nella tua vita? Vuoi che ti dica quando tu hai incominciato a fare le orecchie da mercante, quando tu hai preferito gli uomini a Me, quando tu Mi hai lasciato solo per non rimanere solo tu? Interessante…tu hai lasciato solo Me, che sono la Vita, perché tu, nell’illusione, ti sei andato a scavare cisterne screpolate di acqua avvelenata, che sono i rapporti con gli uomini, quando si confondono con quelli con Dio. Quando tu ti sei illuso di servire Me solamente perché facevi tanto volontariato…»

È così: c’è molta differenza tra quello che ha fatto Madre Teresa di Calcutta e quello che fa per gli altri, uno che non crede.

C’è una differenza abissale!

Io non mi dimenticherò mai in carcere un detenuto, che un giorno (era un sabato) mi disse, quando non ero ancora Sacerdote: «Fra Giorgio, basta! Basta. Dì a queste donne, assistenti volontarie, di non venire più in carcere a trovarci, ci danno più fastidio che altro!»

Io l’ho guardato e ho detto: «Ma cosa stai dicendo? Ma poverine, con tutto quello che fanno, vengono qua e stanno tutto il pomeriggio con voi, vi portano i vestiti, le sigarette, tutte le cose, vi ascoltano, vi fanno cose, vanno a parlare con l’assistente sociale, vanno dall’educatrice, vanno dal direttore, vi trovano le scarpe, vi portano gli slip…ma perché?»

E questo mi ha risposto così, mi ha detto: «Ma perché vengono?»

Ho detto: «È evidente il perché: vengono per servirvi».

«No, non è vero! Sì, è vero che ci portano le cose, ma queste, quando vengono, invece di ascoltare noi, di aiutare noi, vengono per essere aiutate loro. Cominciano a raccontarci le beghe con il marito, le beghe con la suocera, le beghe con i figli, che sono depresse, che non stanno bene, che fanno fatica, queste vengono per sé stesse! Non vengono per aiutare me, che sto male, e finisce sono io ad aiutare loro…ma che senso ha?»

«Ah…vabbè, allora se è così, non ha senso. Che senso ha?»

Questo è fare la carità?

No!

Noi ci illudiamo di fare la carità, perché noi facciamo tante cose, questa non è la carità!

La carità non è fare tante cose, la carità è il senso divino, che io do ai miei atti.

Gesù disse, non mi ricordo più a quale Santa: «Se tu raccoglierai uno spillo per amore Mio, in quell’atto tu salverai un’anima»

Ecco, era Santa Teresa.

Noi?!

Ma per noi non è così, capite?

Noi dobbiamo avere i posti più belli, i posti più onorati, i posti più appariscenti, più stimati, più di potere…il Papa quante volte richiama a queste cose?

Noi, che ci nutriamo del fatto che io mi inchino a tirare su uno spillo, che non vede nessuno e che nessuno apprezza, per amore di Cristo…ma no, questo lo fa la serva, la schiava, la donna delle pulizie, l’ultimo del mondo, non io!

Ma davanti a Dio cos’è che conta?

Vedete come il modo di ragionare di Dio, che c’è nella scrittura, è completamente diverso dal nostro, come è lontano…

Allora, noi prendiamo Gesù e la Sua verità e la buttiamo giù a nel pozzo, diciamo: «Io questa verità non la voglio».

Infatti, cosa succede?

Succede che la nostra vita non cambia; voi vedete che passano gli anni, ma noi rimaniamo sempre in quel punto lì. Cambiamo gli anni, diventiamo vecchi, ma soprattutto vecchi dentro, cambiano gli anni, ma noi rimaniamo esattamente quello che siamo sempre stati.

Poi diciamo: «Il Signore non mi aiuta…»

Oca del Campidoglio, non è che il Signore non ti aiuta, è che tu noi hai voglia di lavorare, perché convertirsi è faticoso, sai, è molto faticoso!

Costa delle rinunce terribili, costa un’ascesi, costa delle penitenze, costa dirsi dei no, costa dei cambiamenti di vita, è difficile!

Tu sei disposta?

Adesso inizia la Quaresima, tra dieci giorni…ecco, chiediamoci: «Io cosa voglio fare di questa Quaresima?»

Non arriviamo come i soliti mammalucchi, al Mercoledì delle Ceneri: «Non mi sono preparato…cosa faccio? Vabbè…non mangio la nutella».

No, non facciamo queste cose, guardate, lasciamo stare!

Il Signore non ha bisogno di vederci con lo stomaco vuoto, non è questa la penitenza della Quaresima!

La penitenza che dobbiamo fare in Quaresima è la penitenza che inizia il 10 di febbraio e dura tutta la vita: questo vuol dire avere fatto una bella Quaresima!

Perché se noi, in tutta la nostra vita, avessimo fatto la Quaresima, dove, ad ogni Quaresima avessimo iniziato una penitenza, che durava tutta la vita, noi saremmo cambiati da così a così, oggi saremmo completamente un’altra persona.

Quelle penitenze idiote non servono a nessuno, ma soprattutto non servono a Dio, e neanche a noi.

Iniziamo già questi nove giorni, che ci attendono, come una novena, dove noi chiediamo a Dio, attraverso la Vergine Maria, di illuminare la nostra testa e farci capire qual è la vera penitenza che dobbiamo fare in questa Quaresima, che inizia e non finisce più; finirà quando noi avremo veramente risolto quella cosa per la quale noi stiamo facendo penitenza. Allora è finita. Questo è lo scopo della penitenza!

Lo scopo della penitenza non è la penitenza, lo scopo della penitenza è la carità. Quindi, quando io avrò raggiunto lo scopo per cui faccio quella penitenza, la penitenza finisce, ma non finisce a Pasqua, perché finisce la Quaresima; finisce quando io mi sono veramente impegnato e ho cambiato la mia vita.

È dura eh?

È vero, è dura…è così, è dura, ma la vita cristiana è questo, per meno non si va; e una vita cristiana diversa, non è la vita testimoniata dai Santi, non è quello che il Signore ci chiede, e noi lo sappiamo, perché il nostro cuore non è felice.

Il nostro cuore è veramente felice, quando abita veramente in Dio.

Vi lascio con questa parola, una parola.

“Veramente”, tenete sempre in mente questo avverbio “veramente”, vera-mente, con una mente vera.

Tutto quello che facciamo, parole e opere, sia sempre fatto con una vera mente!

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

 

 

Letture del giorno

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Prima lettura

Ger 1,4-5.17-19 – Ti ho stabilito profeta delle nazioni.

Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti».

Salmo responsoriale

Sal 70

La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza.

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.

Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.

Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno.

La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.

Seconda lettura

1Cor 12,31-13,13 – Rimangono la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di tutte è la carità.

Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Canto al Vangelo

Lc 4,18

Alleluia, alleluia.
Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.
Alleluia.

Vangelo

Lc 4,21-30 – Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei.

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

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