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Le omelie del S. Curato d’Ars: l’impurità

impuro

«Legatelo mani e piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: là sarà pianto e stridore di denti».
(Matteo 22,13)

Se ogni peccato mortale, fratelli miei, dovrà trascinarci, precipitarci, folgorarci nell’inferno, come Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, quale sarà mai la sorte di colui che avrà avuto la disgrazia di concedersi al peccato più infame, il peccato d’impurità?

O mio Dio! si può mai pronunciare il nome di un vizio così orribile, non solo agli occhi dei cristiani, ma anche a quelli delle creature ragionevoli?

Potrei mai pronunciare questo nome, fratelli miei, e voi, potreste mai ascoltarlo, senza essere colti da un fremito?
Ah! se potessi avere la fortuna, mostrandovi tutta la nefandezza e tutto il carattere orribile di questo peccato, di farvelo fuggire per sempre!

O mio Dio! un cristiano, potrebbe mai abbandonarsi a una passione che lo degrada fino a metterlo al di sotto della bestia più vile, più bruta e più immonda?
Un cristiano, potrebbe mai lasciarsi andare a un crimine che produce tante devastazioni in un’anima?
Un cristiano, dico, che è il tempio dello Spirito Santo, un membro di Gesù Cristo, potrebbe mai immergersi e rotolarsi, o annegare, per così dire, nel fango di un vizio così infame che, abbreviando i suoi giorni, e facendogli perdere la reputazione, gli prepara tanti mali e tante sciagure per l’eternità!

Sì, fratelli miei, per darvi un’idea della grandezza di questo peccato, vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile:
1°- tutta l’ “orribilità” (lasciamo il neologismo coniato dal curato; n.d.a.) di questo crimine;
2°- in quante maniere ce ne possiamo rendere colpevoli;
3°- quali sono le cause che possono condurvici;
4°- infine, che cosa dobbiamo fare per preservarcene.
(Come si presagisce già dal preambolo, in questa omelia ne sentiremo delle belle, per chi avrà il coraggio di seguirla fino alla fine!…, specie oggi che le nostre orecchie sentono cose che il curato non avrebbe mai immaginato, con la tacita complicità di chi dovrebbe…n.d.a.).

Per farvi comprendere la gravità di questo maledetto peccato, che fa perdere tante anime, dovrei qui far sfilare, sotto i vostri occhi, tutto ciò che l’inferno possiede di più terribile, di più disperante, e, nello stesso tempo, tutto ciò che la potenza di Dio infligge a una vittima colpevole di questo crimine.

Ma, comprendete come me, che giammai ci sarà dato di esprimere adeguatamente la gravità di questo peccato e il rigore della giustizia di Dio verso gli impudichi.
Vi dirò solo che colui che commette il peccato d’impurità, si rende colpevole di una specie di sacrilegio, poichè, essendo il nostro cuore il tempio dello Spirito Santo, ed essendo il nostro corpo un membro di Gesù Cristo, noi profaniamo realmente questo tempio, con le impurità a cui ci abbandoniamo; inoltre, del nostro corpo, che è un membro di Gesù Cristo, facciamo realmente il membro di una prostituta (in perfetta linea con le Scritture: 1Corinzi 6, 15-19!; n.d.a.).

Esaminiamo ora se voi potrete mai formarvi un’idea che si avvicini alla grandezza dell’oltraggio che questo peccato fa a Dio, e della punizione che merita.

Ah! fratelli miei, bisognerebbe trascinare qui, al posto mio, quell’infame regina Gezabele, che ha fatto perdere tante anime con la sua impudicizia; bisognerebbe che vi facesse essa stessa il quadro disperante dei tormenti che sta subendo, e che subirà per tutta l’eternità, in quel luogo d’orrore nel quale è precipitata per le sue turpitudini.
Ah! la sentireste urlare da in mezzo alle fiamme che la divorano: «Ahimè! come soffro! Addio bel Cielo, io non ti vedrò mai, tutto è finito per me. Ah! maledetto peccato d’impurità, le fiamme della giustizia di Dio mi fanno pagare ben cari i piaceri che ho gustato! Se avessi ancora la fortuna di trovarmi sulla terra, come mi sarebbe molto più preziosa la virtù della purezza, di quanto non lo sia stata prima».

Andiamo ancora oltre, fratelli miei, e così, forse, sentirete un po’ meglio l’orrore per questo maledetto peccato.
Non sto parlando di un pagano, che non ha la fortuna di conoscere il buon Dio; ma di un cristiano, che conosce quanto questo vizio sia opposto alla santità della sua condizione di figlio di Dio, di un cristiano che è stato tutto bagnato da quel Sangue adorabile, che per tante volte gli è servito di dimora e di tabernacolo.
Come potrebbe, un tale cristiano, abbandonarsi a un tale peccato?
O mio Dio! ci si può mai pensare e non morire di orrore?
Ascoltate che cosa dice lo Spirito Santo: «Colui che è così disgraziato da abbandonarsi a questo maledetto peccato, merita di essere calpestato sotto i piedi del demonio, come il letame sotto i piedi degli uomini».

Gesù Cristo disse un giorno a santa Brigida che si sentiva costretto a preparare tormenti orribili per punire gli impudichi, e che quasi tutti gli uomini erano raggiunti da questo vizio infame.

Se ci prendiamo la briga di ripercorrere la Sacra Scrittura, vediamo che, dall’inizio del mondo, il buon Dio ha perseguito gli impudichi nella maniera più severa.
Guardate tutti gli uomini, prima del diluvio, come si abbandonassero a questo vizio infame; il Signore non potè più sopportarlo; Egli si pente di avere creato gli uomini, e si vede costretto a punirli nella maniera più spaventosa; e infatti apre sopra di essi le cateratte del cielo, e li fa perire tutti col diluvio universale (Genesi 6).
Bisognava che questa terra, insozzata per tanti crimini, e per giunta così orribili agli occhi di Dio, fosse purificata con il diluvio, e cioè con le acque che scaturivano dalla collera del Signore.

Se procedete oltre, vedrete gli abitanti di Sodoma e Gomorra, come pure delle altre città vicine: i loro abitanti si abbandonavano a dei crimini così spaventosi d’impurità (si tratta di omosessualità; n.d.a.) che il Signore, nella sua giusta collera, fece cadere su quei luoghi maledetti, una pioggia di fuoco e di zolfo, che le bruciò, insieme ai loro abitanti; gli uomini, le bestie, le terre e le pietre, furono come annientate; quel luogo fu così maledetto da Dio, che a tutt’oggi non è altro che un mare maledetto.
Lo si chiama Mar Morto, perchè non nutre nessun pesce, e, sulle sue rive, si trovano alcuni frutti che hanno un bell’aspetto, ma che non racchiudono che un pugno di cenere.
In un altro punto, vediamo che il Signore ordinò a Mosè di mettere a morte ventiquattromila uomini, perchè si erano abbandonati all’impurità (Numeri 25,4-9).

Sì, fratelli miei, possiamo dire che questo maledetto peccato d’impurità è stato, fin dall’inizio del mondo, fino alla venuta del Messia, la causa di quasi tutte le disgrazie dei Giudei.
Guardate Davide, guardate Salomone, e tanti altri.
Chi ha attirato tanti castighi sulle loro persone e sui loro sudditi, se non questo maledetto peccato? (è l’omelia nella quale il termine “maledetto” viene adoperato un maggior numero di volte; n.d.a.).
O mio Dio! quante anime ti ha rapito questo peccato; oh! quante ne conduce all’inferno!

Se passiamo dall’Antico Testamento al Nuovo, i castighi non sono di meno (come principio generale: se nell’A.T. Dio puniva con la perdita della vita e dei beni temporali, nel N.T. punisce con la dannazione eterna e con la perdizione dell’anima; n.d.a.).
San Giovanni ci dice che Gesù Cristo gli fece vedere, in una rivelazione, il peccato d’impurità, sotto la figura di una donna seduta su una bestia che aveva sette teste e dieci corna (Apocalisse 17,3), per mostrarci che questo peccato attenta ai dieci comandamenti di Dio, e racchiude in sè i sette vizi capitali.
Se volete convincervene, non dovete fare altro che esaminare la condotta di un impudico; vedrete che non vi è nemmeno un solo comandamento che egli non trasgredisca, e nessuno dei peccati capitali di cui non si renda colpevole, appagando i desideri del suo corpo (vuol dire che, essendo la “libido” la molla più potente nella vita, non vi è nulla che non si sia disposti a fare pur di appagarla; a volte, si arriverà perfino a uccidere, a rubare, ecc.).

Non voglio entrare in tutti questi dettagli, guardateli voi stessi, e ammetterete che ciò è vero.
Ma io aggiungerei che non esiste peccato, nel mondo, che induca a compiere tanti sacrilegi: gli uni non conoscono nemmeno la metà dei peccati che commettono in tale campo, e di conseguenza non li confessano; gli altri, sebbene li conoscano, non li vogliono dire; di modo che arriveremo al giorno del Giudizio, e vedremo che nessun altro peccato ha gettato tante anime nell’inferno.

Sì, fratelli miei, questo peccato è così spaventoso, che non soltanto ci nascondiamo per commetterlo, ma vorremmo anche nasconderlo a noi stessi, tanto è infame, perfino agli occhi di coloro che se ne rendono colpevoli!

Ma, per farvi comprendere meglio come questo peccato, sebbene così orribile, sia comune tra i cristiani, e come sia facile commetterlo, vi mostrerò in quante maniere si pecca contro il sesto comandamento di Dio.

Si pecca in sei maniere: con i pensieri, con i desideri, con gli sguardi, con le parole, con le azioni, e con le occasioni.

Ho detto, anzitutto, con i pensieri: ci sono molti che non sanno distinguere un pensiero da un desiderio, e ciò può far fare delle confessioni sacrileghe.
Ascoltatemi bene e ve lo farò vedere: un cattivo pensiero lo si ha allorchè il nostro spirito si ferma volontariamente a pensare a una cosa impura, sia in rapporto a noi stessi, sia in rapporto ad altri, senza desiderare di compiere ciò che si pensa; si lascia soltanto imputridire il proprio spirito su delle cose sconce e disoneste.
Quando vi accuserete di ciò, dovrete dire per quanto tempo vi avete lasciato sostare il vostro pensiero, senza distogliervene, o, anche, se avete pensato a delle cose che potevano indurvi a quel pensiero, per il ricordo di qualche conversazione che avete avuto, o di qualche familiarità che vi siete permessa, o di qualche oggetto che avete visto.
Il demonio non vi riporterà tutto ciò sotto gli occhi, se non con la speranza di indurvi al peccato, almeno col pensiero (alcune distinzioni un po’ eccessive, risentono della casistica morale del tempo, ma noi, oggi, abbiamo diluito e mescolato ogni cosa, buttando l’acqua sporca col bambino dentro; n.d.a.).

Poi ho detto che pecchiamo con i desideri.
Ecco, fratelli miei, la differenza che c’è tra pensiero e desiderio; il desiderio, è voler compiere ciò che si è pensato; ma, per parlarvi più chiaramente, è voler commettere un peccato d’impurità, dopo averci pensato per qualche tempo, non appena ne avremo avuto l’occasione, oppure l’avremo cercata di proposito.
Bisognerà specificare (in confessione; n.d.a.), se questo desiderio ha sostato nel nostro cuore, se abbiamo tentato qualche passo per compiere ciò che avevamo desiderato, se abbiamo sollecitato qualche persona a fare il male insieme a noi; in seguito, occorre chiarire di quali persone si tatta, se di un fratello, di una sorella, di un bambino, di una madre, di una cognata, di un cognato, di un cugino.
Dovrete specificare tutto ciò, altrimenti la vostra confessione non varrà nulla (perchè cambia la specie del peccato, se lo si considera mortale; n.d.a.).
Tuttavia, non bisogna indicare le persone, se non per quel tanto che sia necessario per far conoscere di che peccato si tratta.
E’ certo che se avete agito male con un fratello o una sorella (incesto), e vi accontentate di dire che avete fatto un peccato contro la santa virtù della purezza, questo non sarà sufficiente.

Si pecca anche con gli sguardi, quando si portano i propri occhi su degli oggetti impuri, o su qualcosa che si riconduca ad essi.
Non vi è porta attraverso la quale il peccato entri così facilmente e così spesso nel nostro spirito, che attraverso gli occhi; tanto che il sant’uomo Giobbe dice: «Ho fatto un patto con i miei occhi, per non fissare mai una vergine» (Giobbe 31,1).

In quarto luogo, noi pecchiamo con le parole.
Noi parliamo, fratelli miei, per manifestare all’esterno ciò che pensiamo dentro noi stessi, ossia, ciò che passa nel nostro cuore.
Dovete accusarvi di tutte le parole impure che avete detto, e quanto è durata la vostra conversazione; quale motivo vi ha indotto a dirle, a quali persone e a quante persone avete potuto dirle.
Ahimè! fratelli miei, ci sono dei poveri bambini, per i quali sarebbe meglio incontrare sulla loro strada una tigre o un leone, piuttosto che certi impudichi!
Se, come si dice, «la bocca parla dall’abbondanza del cuore» (Matteo 12,34), giudicate voi quale debba essere la corruzione del cuore di quegli infami che si rotolano, si trascinanao e annegano, per così dire, nel fango della loro impurità!
O mio Dio! se Tu ci dici che si conosce l’albero dai suoi frutti, quale abisso di corruzione è mai questo!

In quinto luogo, noi pecchiamo con le azioni: tali sono le licenziosità colpevoli, su se stessi o sugli altri, i baci impuri, e non oso dire altro: capite bene cosa intendo.
Mio Dio! dove sono quelli che nelle loro confessioni si accusano di tutto ciò?
Quanti sacrilegi questo maledetto peccato d’impurità ci fa commettere!
Non lo conosceremo che nel grande giorno della vendetta!
Quante giovani resteranno due o tre ore con dei libertini, e non ci sarà nessun genere d’impurità che la loro bocca infernale non vomiterà continuamente!
Ahimè! mio Dio! come si potrà evitare di bruciare in un braciere così ardente?

In sesto luogo, si pecca per occasione, sia fornendola, sia cogliendola.
Dico “fornendola” riferendomi a una persona di sesso femminile, che vesta in una maniera indecente, lasciando il velo troppo allentato,avendo il collo o le spalle troppo scoperte, indossando vestiti troppo aderenti alle forme del corpo, o non portando affatto il velo sulla testa, oppure abbigliandosi in una maniera troppo appariscente.
No, queste disgraziate sapranno solo davanti al tribunale di Dio il numero dei crimini che esse hanno fatto commettere!
Quante persone maritate, che sono meno riservate dei pagani!
Una ragazza è responsabile del numero dei peccati impuri, che sono quasi tutti peccati mortali, che ella ha fatto commettere tutte le volte che si sia mostrata troppo disponibile e troppo familiare con i ragazzi.
Si è anche colpevoli allorchè ci si accompagna con persone che, si sa già, che avranno sulla bocca solo parole oscene.
Anche se non ne avete provato piacere, avete avuto, comunque, il torto di esporvi al pericolo.

Spesso ci si illude, si pensa di non fare alcun male, mentre si pecca spaventosamente.
Così le coppie che si incontrano, sotto il pretesto del matrimonio, pensano che non ci sia nulla di male a passare un tempo considerevole insieme, da soli, di giorno e di notte.
Non dimenticate, fratelli miei, che tutti quegli abbracci che si fanno in quei momenti, sono quasi tutti peccati mortali, poichè generalmente è solo un’amicizia carnale che li fa compiere.
Quanti giovani fidanzati non hanno alcuna riserva; si caricano dei crimini più spaventosi, e sembrano forzare la giustizia di Dio a maledirli, nel momento in cui entreranno nello stato matrimoniale (si ricordi che all’atto del matrimonio, ci si aspetterebbe, invece, la benedizione degli sposi; n.d.a.).

Dovete essere così riservati durante quel tempo (del fidanzamento), come lo siete con le vostre sorelle; tutto ciò che si fa di più è un peccato!
(verrebbe da restare allibiti, pensando a ciò che avviene oggi; da che parte sta la ragione? dai frutti si dovrebbe conoscere la bontà dell’albero…e i frutti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti noi; n.d.a.).

Ahimè! mio Dio! dove sono quelli che se ne accusano in confessione? quasi nessuno.
Ma, anche, dove sono quelli che entrano santamente nello stato matrimoniale?
Ahimè! quasi nessuno.
E’ da qui che vengono fuori tanti mali nel matrimonio, sia per l’anima che per il corpo.
Eh! mio Dio! quei genitori che fanno finta di non saperlo, dormano pure! Ahimè! quante anime che si trascinano nell’inferno!

Si pecca ancora contro la santa virtù della purezza, quando ci si alza di notte, senza essersi ben vestiti, per uscire, per andare a servire un malato, o per andare ad aprire la porta.
Una madre deve fare attenzione a non avere mai sguardi disonesti, nè toccamenti non necessari, con i suoi figli.
I padri e le madri, e i padroni, sono responsabili di tutte le familiarità che permettono tra i loro figli e i loro domestici, potendo impedirli.
Ci si rende ancora più colpevoli, leggendo e prestando libri cattivi o canzoni licenziose; scrivendosi lettere tra persone di diverso sesso.
Ci si rende complici di peccato favorendo incontri di giovani, anche sotto pretesto di matrimonio (è ovvio che tutto questo ci possa sembrare eccessivo e quasi assurdo; ma, come già detto, si esaminino con attenzione i frutti delle nostre moderne usanze sociali e strategie pastorali, per vedere se, per caso, non vi siano anche ora degli eccessi, in senso opposto; n.d.a.).

Siete obbligati, fratelli miei, a dichiarare tutte le circostanze aggravanti, se volete che le vostre confessioni siano valide.
Ascoltatemi, e lo capirete meglio.

Ammettiamo che abbiate peccato con una persona già abbandonata al vizio, che anzi, ne faccia professione: in questo caso vi rendete volontariamente schiavi di Satana, e incorrete nella dannazione eterna.

Ma, nel caso che aveste insegnato a peccare ad una persona giovane, che l’aveste indotta al male per la prima volta, che le aveste rapito l’innocenza, che aveste colto il fiore della sua verginità, che aveste aperto la porta del suo cuore al demonio, e l’aveste chiusa al Cielo; a un’anima, che era l’oggetto dell’amore delle Tre Persone della Santa Trinità; e ammettiamo che l’aveste resa degna dell’esecrazione del cielo e della terra: questo secondo peccato è ancora infinitamente più grave del primo, e siete obbligati ad accusarvene.

Peccare con una persona libera, nè maritata, nè parente, è, secondo san Paolo, un crimine che ci chiude le porte del Cielo, e ci spalanca quelle dell’abisso; ma, peccare con una persona vincolata coi vincoli del matrimonio, è un crimine che ne racchiude un gran numero di altri.
E’ una orribile infedeltà, che annienta e che profana tutte le grazie del sacramento del Matrimonio; è anche un esecrabile spergiuro che mette sotto i piedi una fedeltà giurata ai piedi dell’altare, in presenza non solo degli angeli, ma di Gesù Cristo in persona; questo crimine è capace di attirare ogni sorta di maledizioni, non solo su una casa, ma anche su tutta la parrocchia (che è “famiglia di famiglie”; il “contagio” di cui parla il curato, non è altro che il risvolto negativo della “comunione dei santi”, per una sorta di principio dei vasi comunicanti; n.d.a.).

Peccare con una persona che non sia nè parente nè imparentata, è un groso peccato, poichè ci fa perdere per sempre; ma peccare con una parente o con una persona imparentata, cioè, un padre con la figlia, una madre con suo figlio, un fratello con una sorella, un cognato con una cognata, un cugino con una cugina, è il crimine più grande che si possa immaginare; significa infischiarsene delle regole più inviolabili del pudore; significa mettersi sotto i piedi i diritti più sacri della religione e della natura.

Infine, peccare con una persona consacrata a Dio, è il colmo di tutte le disgrazie, perchè si tratta di un sacrilegio spaventoso.
O mio Dio! possono esistere dei cristiani che si abbandonino a tutte queste turpitudini?
Ahimè! se almeno, dopo aver commesso tali orrori, si facesse ricorso al buon Dio, per domandargli di tirarci fuori da questo abisso!
Ma no, si vive tranquilli, e la maggior parte non aprirà gli occhi se non quando si vedrà precipitato all’inferno!

Vi siete fatta, fratelli miei, un’idea della gravità di questo peccato d’impurità?
No, senza dubbio, perchè, se no, ne provereste un orrore ben maggiore, e avreste preso tutte le precauzioni per non caderci mai più (si noterà, dall’elenco fatto sopra, che al curato, di certe altre usanze oggi di gran moda… non gli passava neanche lontanamente per la testa…; n.d.a.).

Se ora voi mi domandate che cosa possa indurci a cadere in un tale crimine, amico mio, non devo fare altro che aprire il mio catechimo e chiedere a un fanciullo «Che cosa ci induce, ordinariamente, in questo peccato vergognoso?», egli mi risponderà semplicemente: «Signor curato, sono le danze, i balli, le frequentazioni troppo familiari con persone di differente sesso, le canzoni, le parole a vanvera, l’immodestia nel vestire, gli eccessi nel bere e nel mangiare».

Ho detto: gli eccessi nel bere e nel mangiare.
Se mi chiedete perchè, ecco, fratelli miei: è perchè il nostro corpo tende sempre a far perdere la nostra anima; occorre necessariamente farlo soffrire in qualche maniera, altrimenti, prima o poi, getterà la nostra anima nell’inferno.
Una persona che abbia a cuore la salvezza delle propria anima, non trascorrerà mai un giorno senza mortificarsi in qualche cosa, nel bere, nel mangiare, e nel sonno.
Per l’eccesso del vino, sant’Agostino ci dice chiaramente che l’ubriaco diventa un impudico, cosa molto facile da provare.
Entrate in un cabaret, e se vi troverete in compagnia di un ubriaco, questi non avrà sulla bocca nient’altro che le parole più sconce; gli vedrete fare le azioni più vergognose, che, sicuramente, non farebbe se non fosse immerso nel vino.
Vedete dunque da ciò, fratelli miei, che se vogliamo conservare la purezza, nella nostra anima, bisogna necessariamente rifiutare qualcosa al nostro corpo, altrimenti ci porterà alla perdizione.

Ho detto anche che i balli e le danze ci portano in questo vizio infame.
Sono i mezzi dei quali il demonio si serve per rubare l’innocenza almeno a tre quarti di giovani.
Non c’è bisogno che ve lo provi, voi stessi lo sapete, disgraziatamente, per vostra stessa esperienza (è il pensiero di molti santi, come ad esempio padre Pio, del tutto intransigente su questo argomento; chi sostiene l’innocenza di tali situazioni, o ha qualche grosso problema, oppure mente a se stesso; n.d.a.).
Ahimè! quanti cattivi pensieri, quanti cattivi desideri e quante azioni vergognose, sono causati dalle danze!
Mi basterebbe dirvi che otto concili tenutisi in Francia, proibivano le danze perfino nel giorno delle nozze, sotto pena di scomunica.
«Ma, mi direte voi, perchè dunque ci sono tanti preti che danno l’assoluzione a queste persone, senza metterle prima alla prova?».
Riguardo a questo non so che dirvi, ciascuno renderà conto delle sue azioni.
Ahimè! fratelli miei, da dove deriva, secondo voi, la perdita di tanti giovani? Perchè non frequentano più i sacramenti? Perchè hanno abbandonato perfino le loro preghiere?
Non cercate altro motivo se non la danza.
Da dove può derivare la grande disgrazia che parecchi non fanno più il loro precetto pasquale, oppure lo fanno male? Ahimè! dalla danza.
Quante ragazze, in seguito alle danze, hanno perso la loro reputazione, la loro povera anima, il Cielo, e il loro Dio!

Sant’Agostino ci dice che non è tanto male lavorare di domenica, per tutta la giornata, quanto danzare.
Sì, fratelli miei, vedremo, nel gran giorno del Giudizio, che queste ragazze mondane hanno fatto commettere più peccati di quanti capelli abbiano in testa!
Ahimè! quanti sguardi cattivi, quanti cattivi desideri, quanti toccamenti disonesti, quante parole sporche, quanti abbracci cattivi, quante gelosie, quante dispute, quante baruffe si commettono durante le danze, o all’uscita da esse! (è cronaca di ogni sabato sera; n.d.a.).

Per convincervene meglio, fratelli miei, ascoltate che cosa ci dice il Signore, per bocca del profeta Isaia: «I mondani danzano al suono dei flauti e dei tamburi, e, subito dopo discendono all’inferno» (come al solito il curato sbaglia citazione: non si tratta del profeta Isaia ma di Giobbe 21,12-13; n.d.a.).
Lo Spirito Santo ci dice, per bocca del profeta Ezechiele: «Vai a dire ai “figli d’amore”, (sic!) che poichè si sono dati alle danze, io li punirò rigorosamente, affinchè tutto Israele sia colto da timore».
San Giovanni Crisostomo ci dice che i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, non vollero mai permettere che si danzasse al loro matrimonio, nel timore di attirarsi le maledizioni del cielo (tutte le esagerazioni del curato scaturiscono, sempre, dalla sua passione ardente e inestinguibile per la salvezza delle anime affidategli da Dio; è come quel buon pastore che non fugge, quando vede venire il lupo infernale, ma è pronto a rimetterci non solo la reputazione, ma la sua stessa vita: Giovanni 10, 11-13!; n.d.a.).

Ma non ho bisogno di andare a cercare altre prove, oltre a voi stessi.
Parlatemi sinceramente: non è forse vero che voi non vorreste morire, al ritorno da una danza?
No, senza dubbio, perchè non vi sentireste affatto pronti ad andare a comparire davanti al tribunale di Dio.
Ditemi, perchè non vorreste morire in questo stato, e perchè non mancate di confessarvene?
Eccovi dimostrato molto bene che sentite voi stessi di aver fatto male, altrimenti non sentireste il bisogno di accusarvene in confessione, e non temereste di comparire davanti al tribunale di Gesù Cristo (la prova inconfutabile della voce della coscienza, quando ancora funzione come dovrebbe…; n.d.a).

Ascoltate che cosa ci dice san Carlo Borromeo, parlando della danza: ai suoi tempi (1538-1584) una persona che andava a ballare, veniva condannata a tre anni di penitenza pubblica, e, se non si emendava, la si minacciava di scomunica.
Ma non andiamo oltre, fratelli miei, la morte vi darà le prove di ciò che oggi stiamo dicendo, ma per molti sarà troppo tardi.
Bisogna davvero essere ciechi per credere che non vi sia nulla di male nella danza, dal momento che vediamo che tutte le persone desiderose di assicurarsi il Cielo l’hanno abbandonata, e piangono ancora la disgrazia di esserci andate, al tempo delle loro follie.
Ma tiriamo giù le tende, fino al giorno della vendetta, quando vedremo tutto ciò molto chiaramente, allorchè la corruzione del nostro cuore non potrà più trovare nessuna scusante.

Ho detto anche che la mancanza di modestia nel vestire, ci induce in questo vizio vergognoso.
Sì, fratelli miei, una persona ch non si veste con decenza, diventa la causa di molti peccati: di cattivi sguardi, di cattivi pensieri, di parole disoneste.
Volete conoscere, almeno in parte, tutto il male di cui siete la causa?
Mettetevi un istante ai piedi del vostro Crocifisso, come se doveste essere giudicati.
Si deve affermare che le persone vestite in maniera mondana, sono una sorgente d’impurità, e un veleno che dà la morte a tutti coloro che non hanno la forza di fuggire (oggi le nostre strade, specie d’estate, si trasformerebbero tutte in piste da corsa…; n.d.a).

Osservate in quelle ragazze, quell’aria effemminata o sorridente, quei gesti vergognosi che, come tanti dardi immersi nel veleno della loro impudicizia, feriscono quasi tutti gli occhi, così sciagurati da guardarle.
Ahimè! quanti peccati fa commettere un cuore, una volta che si sia imbevuto di questo fango impuro!
Ahimè! ci sono tanti poveri cuori che sono così riarsi da questo vizio impuro, come un pugno di paglia nel fuoco.

Non so se avete cominciato a farvi un’idea della gravità di questo peccato, e in quanti modi si possa rendersene colpevoli; pregate il buon Dio, fratelli miei, che ve lo faccia conoscere, e che ve ne faccia concepire un tale orrore, da non commetterlo mai più.

Ma vediamo adesso cosa bisogna fare per esimersi da questo peccato, che è così orribile agli occhi di Dio, e che trascina tante povere anime all’inferno.
Per mostrarvelo in una maniera chiara e semplice, non devo fare altro che aprire, ancora una volta, il mio catechismo.

Se domandassi a un fanciullo, quali sono i mezzi che dobbiamo usare per non cadere in questo maledetto peccato, egli mi risponderebbe, con la sua solita semplicità:
«Ce ne sono molti, ma i principali sono: starsene ritirati, la preghiera, la frequenza dei sacramenti, una grande devozione verso la santa Vergine, la fuga dalle occasioni, e, infine, rigettare prontamente tutti i cattivi pensieri che il demonio ci presenta».

Ho detto, che bisogna amare il ritiro: non voglio dire che bisogna nascondersi in un bosco, nè in un monastero, anche se questo sarebbe per voi una grande fortuna (era stato il sogno costante del curato, fin da bambino, ma rimasto inappagato; n.d.a.).
Ma voglio dire soltanto che bisogna fuggire la compagnia di quelle persone che non parlano d’altro che di cose che possono insozzare la vostra immaginazione, oppure che si occupano solo di affari temporali, e mai del buon Dio.
Ecco, fratelli miei, che cosa voglio dire.
La domenica, soprattutto, invece di andare a far visita ai vostri vicini o vicine, prendete un libro, come l’Imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo, oppure la Vita dei santi; vi troverete il modo in cui essi hanno combattuto le tentazioni che il demonio ha cercato di far nascere nel loro spirito; vedrete quanti sacrifici hanno fatto, per piacere al buon Dio e per salvare le loro anime: questo vi incoraggerà.
Farete come sant’Ignazio (di Loyola) il quale, essendo ferito, si mise a leggere le vite dei santi; vedendo le lotte che essi avevano sperimentato, e il coraggio col quale avevano combattuto per il buon Dio, disse a se stesso: «Perchè non posso fare anch’io ciò che hanno fatto questi santi? Non ho forse anch’io lo stesso Dio che mi aiuterà a combattere, lo stesso Cielo da sperare, e lo stesso inferno da temere?…». Fate anche voi lo stesso.
Sì, fratelli miei, è necessario fuggire la compagnia delle persone che non amano il buon Dio.
Restiamo in mezzo al mondo soltanto per necessità, quando il nostro dovere lo richieda.

Abbiamo detto che bisogna amare la preghiera, se vogliamo conservare la purezza della nostra anima.
Se mi domandate perchè bisogna pregare, ve ne dirò la ragione: è perchè questa bella virtù della purezza viene dal Cielo; quindi è per mezzo della preghiera che dobbiamo chiederla e conservarla.
E’ certo che una persona che non faccia ricorso alla preghiera, non conserverà mai la sua anima pura agli occhi di Dio.
Per mezzo della preghiera, noi conversiamo con il buon Dio, con gli angeli e i santi, e per mezzo di questo intrattenimento celeste, diventiamo, necessariamente, spirituali; il nostro spirito e il nostro corpo si distaccano poco a poco dalle cose create, per non considerare e per non amare che i beni del Cielo.

Tuttavia non bisogna pensare che, tutte le volte che siamo tentati, offendiamo il buon Dio; il peccato nasce solo dal consenso e dal piacere che vi proviamo.
Quand’anche fossimo tentati per otto o quindici giorni di seguito, se questo ci provoca orrore, noi saremo come i fanciulli nella fornace di Babilonia, che ne uscirono illesi e molto più belli.
Dobbiamo subito fare ricorso al buon Dio, dicendogli: «Dio mio, vieni in mio aiuto; Tu sai che senza di te non posso fare altro che perdermi; ma, aiutato dalla tua grazia, sono sicuro di uscire vittorioso dal combattimento.
Ah! Vergine santa, dobbiamo aggiungere, non permettere che il demonio rapisca la mia anima, che è costata tante sofferenze al tuo divin Figlio».

Per conservare la purezza, dobbiamo anche fare ricorso ai sacramenti, e riceverli con le buone disposizioni.
Sì, fratelli miei, una persona che abbia la fortuna di frequentare i sacramenti, spesso e santamente, potrà molto facilmente conservare questa bella virtù.
Una prova lampante che i sacramenti ci sono di grande aiuto, l’abbiamo nel fatto che il demonio fa tanti sforzi per allontanarcene, o per farceli profanare.
Guardate come, quando vogliamo accostarci ad essi, il demonio suscita in noi delle paure, dei turbamenti, dei disgusti.
A volte ci dirà che agiamo sempre male, altre volte che il sacerdote non ci conosce, oppure che non ci facciamo conoscere abbastanza, o che so io.
Ma, per prenderci gioco di lui, dobbiamo raddoppiare le attenzioni, accostarci ai sacramenti ancora più spesso, e, in seguito seppellirci nella Misericordia di Dio, dicendogli: «Tu sai, Dio mio, che non cerco che te e la salvezza della mia povera anima».
No, fratelli miei, non c’è nulla che ci renda così temibili al demonio, quanto la frequenza dei sacramenti; eccovene la prova.

Guardate santa Teresa. Il demonio confessò, per bocca di un posseduto, che santa Teresa gli era divenuta così temibile, per la santità attinta nella santa Comunione,, che lui non poteva nemmeno respirare l’aria, dove essa fosse passata.
Se ne cercate la ragione, questa è molto facile da comprendere: il sacramento adorabile dell’Eucaristia, non è forse quel vino che fa germogliare la verginità? (Zaccaria 9,17 secondo la Volgata; n.d.a.).
Come non essere vergine, ricevendo il Re della purezza?
Volete conservare o acquistare questa bella virtù, che rende simili agli angeli? frequentate spesso e santamente i sacramenti, e sarete sicuri che, malgrado tutti gli sforzi del demonio, avrete la grande felicità di conservare la purezza della vostra anima.

Se vogliamo conservare puro questo tempio dello Spirito Santo, dobbiamo avere una grande devozione alla santissima Vergine, perchè ella è la Regina delle vergini.
E’ lei che, per prima, ha alzato lo stendardo di questa incomparabile virtù.
Guardate come il buon Dio l’abbia stimata: Egli non ha disdegnato di nascere da una madre povera, sconosciuta al mondo, di avere come padre adottivo un padre povero; ma gli serviva una madre pura e senza macchia, e un padre di una tale purezza che soltanto la santa Vergine lo potesse superare.

San Giovanni Damasceno ci incoraggia grandemente ad avere una tenera devozione verso la purezza della santa Vergine; egli ci dice che tutto ciò che si chiede al buon Dio, in onore della purezza della santa Vergine, lo si ottiene sempre.
Egli ci dice che questa virtù è così gradita agli angeli, che cantano senza sosta nel Cielo: «O Vergine delle vergini, noi ti lodiamo, ti benediciamo, o Madre del bell’amore» (espressione biblica: Siracide 24,24, anche se da molti, il testo viene omesso, perchè considerato non certo; n.d.a.).
San Bernardo, questo grande servo di Maria, ci dice che egli ha convertito più anime con un’Ave Maria, che con tutti i suoi sermoni.

«Siete tentati? ci dice, invocate Maria in vostro soccorso, e state certi di non soccombere alla tentazione.
Quando recitiamo l’Ave Maria, aggiunge, tutto il cielo si rallegra e trasalisce di gioia, e tutto l’inferno freme, ricordandosi che Maria è stato lo strumento di cui Dio si è servito per incatenarlo».
E’ per questo che questo grande santo ci raccomanda tanto la devozione alla Madre di Dio, affinchè Maria ci consideri come suoi figli.
Se siete prediletti di Maria, siate certi che sarete anche i prediletti di suo Figlio.

Molti santi Padri ci raccomandano di avere una grande devozione verso Maria, e di fare, di tanto in tanto, qualche comunione in suo onore, e soprattutto in onore della sua santa purezza; questo le è così gradito, che ella non mancherà mai di farci sperimentare la sua intercessione presso suo Figlio.

Per conservare questa virtù angelica, dobbiamo combattere le tentazioni e fuggire le occasioni, come hanno fatto i santi, che hanno preferito meglio morire, che perdere questa bella virtù.

Guardate ciò che fece il santo patriarca Giuseppe, allorchè la moglie di Putifar volle sollecitarlo al peccato: lasciò metà del suo mantello nelle sue mani.
Guardate la casta Susanna, che preferì meglio perdere la sua reputazione, quella della sua famiglia e la sua stessa vita, piuttosto che perdere questa virtù che è così gradita a Dio.
Guardate ancora cosa successe a san Martiniano, che si era ritirato in un bosco, per non pensare ad altro che piacere a Dio.
Una donna di malavita venne a trovarlo, fingendo di essersi persa nella foresta, e pregandolo di avere pietà di lei.
Il santo la accolse nella sua solitudine e la lasciò sola.
L’indomani, essendo tornato per veder cosa ne fosse stato di lei, la trovò ben abbigliata.
Allora ella disse che il buon Dio l’aveva inviata per assisterlo; che aveva molti beni in città, e che avrebbe potuto fare molte elemosine.
Il santo volle sapere se ciò venisse da Dio o dal demonio; le disse di attendere, perchè ogni giorno veniva gente per raccomandarsi alle sue preghiere, e non voleva che facessero un viaggio inutile; andò sulla montagna, per vedere se arrivasse qualcuno.
Ma, quando fu sulla montagna, sentì una voce che gli disse: «Martiniano, Martiniano, che cosa fai? vuoi ascoltare la voce di Satana?».
Ne rimase così scosso che ritornò nella sua solitudine, accese un grande fuoco e vi si pose dentro; il dolore del peccato al quale si era esposto, e il dolore per le fiamme, gli fecero emettere delle forti grida.
Quella disgraziata, essendo accorsa a quel rumore, gli chiese che cosa lo avesse indotto in quello stato.
«Ah! le rispose il santo, se non posso sopportare il fuoco di questo mondo, come potrei sopportare quello dell’inferno, se dovessi avere la disgrazia di peccare, come tu vorresti?».
Questo fatto colpì talmente la donna che ella rimase nella cella del santo, e fece penitenza per tutta la vita, mentre Martiniano si allontanò di lì, per continuare le sue austerità.

Si racconta nella vita di san Tommaso d’Aquino, che una volta gli fu mandata una donna di malavita per indurlo al peccato.
La si fece entrare nella sua stanza, mentre era assente.
Quando egli scorse questa creatura, afferrò un tizzone ardente e la scacciò in malo modo.
Guardate ancora san Benedetto, il quale, per liberarsi dai suoi cattivi pensieri, si rotolò fra i rovi, ricoprendosi tutto di sangue.
Un’altra volta si immerse fino al collo nell’acqua ghiacciata, per spegnere quel fuoco impuro.
Ma non ho trovato nulla nella vita dei santi, che sia paragonabile al racconto di san Girolamo.
Dal profondo del suo deserto, egli scrisse a un suo amico, e gli dipinse il quadro dei combattimenti che sperimentava e delle penitenze alle quali sottoponeva il suo corpo; non lo si può leggere, senza piangere di compassione: «In queste vaste solitudini, che gli ardori del sole rendono insopportabile, racconta, nutrendomi soltanto di un pezzo di pane nero, e di erbe crude, coricato sulla nuda terra, e non bevendo che acqua, anche nelle mie malattie, io non cesso di piangere ai piedi del mio Crocifisso.
Quando le mie lacrime si sono prosciugate, prendo una pietra, e mi colpisco il petto, fino a che il sangue non mi esca dalla bocca; ma, malgrado tutti questi espedienti, il demonio non mi lascia nessun momento di riposo; bisogna, ogni giorno, impugnare le armi».

Cosa concludere, fratelli miei, da tutto ciò che abbiamo detto?
Non c’è virtù che ci renda più graditi al buon Dio, della virtù della purezza, e nessun vizio che piaccia tanto al demonio, del peccato d’impurità.
Questo nemico non può tollerare che una persona che appartiene a Dio possieda questa virtù; ed è questo che deve impegnarvi a non trascurare nessun accorgimento, pur di conservarla.
Perciò, vigilate con cura sui vostri sguardi, sui vostri pensieri e su tutti i movimenti del vostro cuore; fate frequentemente ricorso alla preghiera; fuggite le cattive compagnie, le danze, e i giochi; praticate la mortificazione; riccorrete alla santissima Vergine; frequentate spesso i sacramenti.
Quale felicità, se fossimo così fortunati da non lasciare insozzare il nostro cuore da questo maledetto peccato, poichè Gesù Cristo ci dice che soltanto coloro che hanno il cuore puro vedranno Dio!

Chiediamo, fratelli miei, ogni mattina, al buon Dio, di purificare i nostri occhi, le nostre mani e, complessivamente, tutti i nostri sensi, affinchè possiamo comparire con fiducia davanti a Gesù Cristo, che è l’eredità delle anime pure.
E’ questa tutta la felicità che vi auguro.

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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