Condividiamo con i lettori l’articolo di p. Giorgio Maria Faré pubblicato il 2 ottobre 2019, da Nuova Bussola Quotidiana.
Santa Teresina sapeva quale impedimento fossero per il progresso spirituale gli scrupoli eccessivi. Al tempo stesso conosceva il valore della sofferenza e del sacrificio che alimenta «l’abbandono e la fiducia in Dio». Grazie a questa fiducia, dava una lettura originale della giustizia divina, simile al racconto del coniglio che, sentendosi perduto, si getta tra le braccia del cacciatore…
“Se per debolezza qualche volta cado, all’istante il tuo Sguardo Divino purifichi la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma tutto in se stesso”
La via dell’infanzia spirituale si fonda su una fiducia incrollabile nella bontà del Padre divino: le imperfezioni dell’anima, le cadute veramente involontarie, sono come pagliuzze che vengono travolte e consumate dall’amore ardente di Dio per le anime, non occorre affliggersene o indugiarvi troppo. È necessario riconoscerle, fare di tutto per evitarle, ma senza farsi prendere da eccessivi scrupoli che impedirebbero all’anima di svilupparsi. A questo proposito è utile ricordare che la Santa, da bambina, aveva attraversato per un lungo periodo la “malattia degli scrupoli” e sapeva quanto una tale tentazione fosse soffocante per il progresso spirituale.
“Ti ringrazio, mio Dio, per tutte le grazie che mi hai accordato, in particolare per avermi fatta passare per il crogiolo della sofferenza”
La vita di Santa Teresina era stata costellata di gravi sofferenze fin dall’infanzia e, a confermare che la “piccola via” non è una scorciatoia per evitare l’ascesi, ecco che qui viene ribadito il valore della sofferenza. Durante gli ultimi tempi della sua malattia, alla sorella Celina diceva: «Non è assolutamente per il godimento che io desidero andarmene, la sofferenza mi attira troppo per preferirle il cielo, solo la certezza di fare la volontà di Dio mi fa desiderare la morte; diversamente preferirei vivere e soffrire il martirio»[1]. E ancora: «L’abbandono e la fiducia in Dio si alimentano con il sacrificio».[2]
“… non voglio ammassare meriti per il Cielo […]. Alla sera di questa vita, mi presenterò davanti a Te a mani vuote, non ti chiedo infatti, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie sono imperfette ai tuoi occhi. Voglio quindi rivestirmi della tua stessa Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio altro trono e altra corona che Te, mio Amato!”
Teresina desidera solo fare la Volontà di Dio, il suo unico desiderio e la sua unica preoccupazione sono di “far piacere a Gesù”, lasciando che sia Egli a decidere i modi e i tempi. Non punta a diventare grande nella virtù perché ritiene che tutti i nostri sforzi siano comunque “ben poca cosa” di fronte a Dio. «Nella sua umiltà, riteneva che le opere che aveva realizzato fossero niente e non dava importanza se non all’amore che le aveva ispirate».[3]
È veramente originale la lettura della giustizia divina che dà la Santa: «Quale gioia pensare che il buon Dio è giusto, cioè che tiene conto delle nostre debolezze, che conosce perfettamente la fragilità della nostra natura. Di che cosa dunque avrei paura? Ah, il Dio infinitamente giusto che si degnò perdonare con tanta bontà le colpe del figliuol prodigo, non deve essere giusto anche verso me che “sto sempre con lui”?»[4]
Teresina, al contrario del fratello maggiore del “figliol prodigo”, non è in grado di provare sentimenti di invidia perché nella sua umiltà – che è verità – sa di “stare sempre con lui” e quindi sa di essere già partecipe delle ricchezze del Padre.
Ma che ne sarà di coloro che hanno peccato? Fin da piccola Teresina, quando commetteva qualche azione meritevole di rimprovero, correva ad accusarsene spontaneamente. Di lei scriveva la madre: «Rimane lì come un criminale in attesa della sentenza, ma ha nella sua testolina l’idea che le sarà perdonato più facilmente se lei stessa si accusa».[5] Da adulta conserva questa convinzione, che estende anche alle anime che si fossero macchiate delle più gravi colpe.
Scrive infatti la sorella Celina: «Mi diceva: “Un padre rimprovera forse il suo bambino che si accusa da sé, infliggendogli una penitenza? Certamente no! Se lo stringe anzi al proprio cuore”. A conferma di questo pensiero, mi ricordò una storia che avevamo letto durante la nostra infanzia: un re, partito per la caccia, inseguiva un coniglio bianco che i suoi cani stavano lì lì per raggiungere, quando il coniglio, sentendosi perduto, invertì rapidamente la corsa e si gettò tra le braccia del cacciatore. Questi, commosso da tanta fiducia, non volle più separarsi dal suo coniglio bianco e non permise ad alcuno di toccarlo, riservandosi il compito di nutrirlo. “Il buon Dio farà lo stesso con noi – mi disse – se ricercati dalla giustizia, figurata dai cani, cerchiamo rifugio tra le stesse braccia del nostro Giudice…”.».[6]
Spiega Teresina: «Sì, lo sento, quand’anche avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché so come Egli predilige il Figlio prodigo che a Lui ritorna. E non è tanto perché Dio, nella Sua preveniente misericordia, ha preservato la mia anima dal peccato mortale che mi rivolgo a Lui con confidenza e amore».[7]
Alla base della sua fiducia ci sono dunque confidenza e amore non disgiunte dalla necessità di riconoscere le proprie colpe e accusarsene sinceramente. Non si tratta di una mentalità “dell’indulto” che prescinde dall’impegno personale.
“Ai tuoi occhi il tempo è nulla, un giorno solo è come mille anni, tu puoi quindi, in un istante, prepararmi a comparire dinanzi a Te”.
[1] Consigli e ricordi, cit., p. 62.
[2] Consigli e ricordi, cit., p. 52.
[3] Consigli e ricordi, cit., pp. 59-60.
[4] Opere complete, cit., Manoscritto A, f. 84v°, f. 84r°.
[5] Opere complete, cit., Manoscritto A, f. 5v°.
[6] Consigli e ricordi, cit., pp. 53-54.
[7] Consigli e ricordi, cit., pp. 54.
Vedi anche:
1. Santa Teresa di Lisieux, l’Amore sgorga dalla contemplazione – Parte prima