Risposta al professor Roberto de Mattei in merito alla questione della Declaratio
Il presente intervento nasce come risposta ad un articolo pubblicato dal professor Roberto de Mattei sul sito Corrispondenzaromana.it. L’articolo, intitolato Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI, è uscito in due parti, pubblicate rispettivamente il 18 e il 27 dicembre 2024[1].
- De minimis non curat praetor
Lo scritto del professor de Mattei rivela, anche ad una prima lettura, tratti di retorica demagogica e occasionali toni irriverenti. Infatti, se la sua intenzione fosse quella di discutere seriamente, in modo scientifico, sopra una questione così controversa e delicata com’è quella della Declaratio, non avrebbe bisogno di scrivere affermazioni di questo tipo[2]:
- «Il Papa è “impedito” come nell’universo di Matrix, l’umanità è prigioniera di una simulazione virtuale».
- «fanta-complotto» in riferimento alle tesi di chi sostiene la Sede impedita (oggi vacante).
- «I fautori della cosiddetta “Sede impedita” di Benedetto XVI fondano la loro tesi su di un’ampia e articolata narrazione di fatti, senza portare prove sufficienti a giustificarla».
- «La loro narrazione è stata già confutata da autori di diverso orientamento. Ricordiamo gli studi della professoressa Geraldina Boni, del prof. Manuel Ganarin […]».
- «loro “tesi”» in riferimento alle tesi della Sede impedita.
Queste affermazioni del prof. de Mattei mostrano bene il metamessaggio dei suoi interventi: delegittimare in ogni modo la tesi della “Sede impedita”, oggi Sede vacante[3].
Per de Mattei, le argomentazioni di chi propone una lettura alternativa alla Declaratio non possono nemmeno essere considerate vere “tesi”, se non tra virgolette. Non solo, queste “tesi” troverebbero sede più opportuna nelle sale cinematografiche. Tutto ciò è molto strano però, perché tra ciò che scrive e ciò che fa il prof. de Mattei, vige una certa contraddizione. Personalmente, se avessi di fronte tesi fanta-complottiste, non credo che sprecherei un minuto della mia esistenza per discuterne… e, sicuramente, se questa narrazione fantastica fosse già stata confutata da autori di diverso orientamento, userei il mio tempo in altro modo. Invece il professore ci degna di una serie di articoli, tutti dedicati alla questione della sede impedita! Se è vero che de minimis non curat praetor, l’ampia attenzione dedicata da alcuni professori al tema della Sede impedita lascia supporre che non si tratti proprio di argomenti di scarso rilievo.
Ma ora cerchiamo di tornare alla realtà. Sulla Declaratio (e quindi sulla legittimità del pontificato bergogliano) si discute ormai da alcuni anni e la bibliografia che si è sviluppata attorno a questo argomento (monografie e articoli) è davvero amplia. Riporto di seguito alcuni titoli monografici:
- Codice Ratzinger (Andrea Cionci)
- Habemus antipapam? (Fernando Maria Cornet)
- Non c’è un vero papa dalla morte di Benedetto XVI (Carlo Maria Pace)
- Il vero papa è ancora Benedetto XVI (Carlo Maria Pace)
- Il segreto di Benedetto XVI, perché è ancora Papa (Antonio Socci)
- Non è Francesco (Antonio Socci)
- Benedetto XVI: Papa “Emerito”? (Estefanìa Acosta)
- Non era più lui (Federico Michielan)
- Sopra una rinuncia (Geraldina Boni[4])
- L’Antipapa (Corrado Galimberti)
- La tiara deposta (Valerio Gigliotti)
Ho scelto di riportare solo monografie perché sono produzioni di maggior peso, in termini di approfondimento e sistematicità, rispetto agli articoli. La pubblicistica, come si può ben immaginare, è ancora più numerosa. In ogni caso, i titoli riportati non sono tutti critici verso la validità della rinuncia di Benedetto XVI, a dimostrazione del fatto che, su entrambi i fronti, la dinamica dimissoria del Papa ha fatto discutere. E questo è un fatto, di cui semplicemente bisogna prendere atto. Ho inserito anche alcune opere scritte appositamente a confutazione delle posizioni che sostengono l’illegittimità di papa Francesco, ad esempio i testi della Boni o di Michielan. Detto ciò, possiamo trarre almeno due conseguenze:
- Bisognerebbe pacificamente concedere che se il problema della Declaratio quale valida rinuncia permette una tale produzione monografica, è perché ci sono (almeno) sufficienti elementi per discuterne. A maggior ragione quando a scrivere sono avvocati, giornalisti professionisti o sacerdoti.
- Sarebbe altrettanto onesto concedere che se una prof.ssa canonista come la Boni si è, a più riprese, impegnata nella confutazione degli argomenti in questione, è perché probabilmente tali argomenti meritavano di essere presi in considerazione.
Pertanto, quando de Mattei scrive che i “fautori della Sede impedita” non portano «prove sufficienti a giustificarla»[5], viene da chiedersi se abbia davvero letto una parte della bibliografia esistente, o se perlomeno ne sia a conoscenza. Mi sembra piuttosto, quella di de Mattei, una banalizzazione, una retorica utile a minimizzare le voci del dissenso, ma che tuttavia non rende giustizia alla realtà dei fatti. Il confronto e il dibattito sono esercizi di onestà intellettuale; pertanto, finché persiste un pregiudizio denigratorio nei confronti delle tesi altrui, sarebbe preferibile astenersene. La realtà è che la tesi della Sede vacante si sta sempre più diffondendo, come de Mattei stesso ha rilevato.
- Risposta alle critiche
Nonostante tutto, de Mattei entra nel merito e cerca di confutare alcune fondamentali tesi dell’argomentazione che io sostengo. Mi sembra perciò opportuno rispondere a de Mattei e chiarire, data l’occasione propizia, alcuni delicati punti inerenti alla Declaratio e alle conseguenze della sua invalidità quale rinuncia.
2.1. Plenitudo potestatis legislativae
De Mattei invoca il Primato di giurisdizione del Papa sulla Chiesa (DH, nn. 3053-3064), cioè il suo «potere di governo supremo, plenario, universale, ordinario, immediato e libero»[6], al fine di spiegare come Egli «sia superiore al diritto canonico, sia pure nel rispetto della legge divina e naturale, che costituisce il limite del suo potere»[7]. Per comprovare questa posizione de Mattei sottolinea come il Papa possa «modificare o abrogare le leggi ed altre disposizioni in vigore, anche se emanate da suoi predecessori o da Concili e a fortiori da suoi subordinati»[8].
A questa critica ho già replicato nell’articolo di risposta alla prof.ssa Boni[9], tuttavia, può essere utile ritornare su alcuni punti.
È vero che il Papa ha la pienezza della potestà legislativa, ma questo non vuol dire che possa esimersi dal rispettarla. In breve, la superiorità del Papa sul diritto positivo si esplicita nella sua possibilità di modificarlo, non di sottrarvisi. Perciò, se il canone 332 par.2 – unico canone a normare la renuntiatio papae – la definisce esplicitamente come rinuncia al munus, sarebbe opportuno che il Papa utilizzasse proprio quel termine. Diversamente, data la necessità di garantire la certezza sulla validità di un evento di portata storica come la rinuncia al papato, dovrebbe quanto meno esprimersi in modo esplicito per riformare tale canone, palesando la possibilità di utilizzare definizioni diverse per tale rinuncia. Anche una semplice valutazione sulla base del buon senso dovrebbe interrogarci sulle reali intenzioni di Benedetto. Se esiste un solo canone del Codice di Diritto Canonico che norma la rinuncia all’ufficio petrino, è assai probabile – per non dire certo – che Benedetto lo abbia consultato prima di scrivere la sua Declaratio. Oltre a ciò, considerando che nella Declaratio il Papa usa e distingue il termine munus da ministerium: per quale motivo, nel momento decisivo dove nel documento “esplicita” la rinuncia, dichiara di rinunciare al ministerium invece che al munus? Non sono state date risposte adeguate a questo scambio di termini.
Inoltre, per rispondere a chi avesse ancora qualche dubbio sulla portata della potestà primaziale, è utile leggere ciò che scrive Fernando Puig[10], il quale stigmatizza l’interpretazione assolutistica dell’ufficio primaziale. L’ufficio petrino, spiega Puig, non va letto riduttivamente in termini di potere, come se la persona del Papa ottenesse un’autoreferenzialità che lo obbliga solo alla propria coscienza e a Dio.
«Bisogna premettere che l’analisi della rinuncia all’ufficio petrino deve essere liberata dal riduzionismo secondo il quale la dimensione giuridica della rinuncia all’ufficio primaziale sarebbe legata solo al fatto che il papa è titolare della potestà suprema della Chiesa.[…] A nostro avviso, la dimensione giuridica della rinuncia all’ufficio petrino è in stretto rapporto con tutti i beni ecclesiali, con tutti i soggetti titolari di diritti e di doveri nei confronti dei beni ecclesiali, e con tutte le funzioni pubbliche (che comportano eventualmente l’esercizio della potestà) legate all’ufficio di Pietro. Quindi, piuttosto che nello spossessarsi di una situazione di potere, la rinuncia va letta anche giuridicamente in chiave di venir meno della posizione di garanzia (suprema, certamente) dell’ufficio petrino nei confronti dei beni e dei soggetti ecclesiali (anche in alcuni casi non appartenenti alla Chiesa) dal punto di vista della giustizia nei rapporti che riguardano la Chiesa stessa. La necessità di tener conto di questa collocazione giuridica dell’ufficio primaziale esclude le semplicistiche interpretazioni di taglio assolutistico che scaturiscono dalla riduzione del diritto al potere; infatti, se diritto è potere, chi ha ricevuto tutto il potere ne può fare a meno, e non deve renderne ragione a nessuno, neanche a sé stesso. Le affermazioni secondo cui “il papa risponde solo davanti a Dio”, o che “l’unico superiore del papa è Dio”, pur rispondendo a principi veri, sono in questo contesto fuorvianti, persino superficiali. Ragionare così è in parte una regressione»[11].
Puig, va precisato, ritiene la Declaratio di Benedetto XVI una valida rinuncia. Ciononostante, è utile citarlo perché fa ben comprendere come il primato di giurisdizione del Papa non è uno strumento adatto ad analizzare la questione della Declaratio. In buona sostanza, Puig ci sta dicendo che il potere del Papa non può essere considerato in modo isolato, senza considerare anche i doveri che implica nei confronti di tutti i beni e i soggetti ecclesiali.
2.2 Rinuncia o dichiarazione di rinuncia?
De Mattei contesta la distinzione tra atto dichiarativo ed effettiva rinuncia, applicata alla Declaratio di Benedetto XVI. Anzi, la definisce «cavillo linguistico, che ripugna al buon senso prima che alla dottrina»[12].
In realtà, la distinzione dei suddetti atti linguistici è nozione condivisa dalla maggior parte dei linguisti, filosofi, antropologi ecc.
Ma credo che l’elemento che più renda ragione di questa differenza sia rinvenibile all’interno della stessa Declaratio. Dopo aver dichiarato di rinunciare al ministerium, il Papa specifica che le conseguenze del suo atto avranno luogo a partire dall’ora vigesima del 28 febbraio. Questo cosa ci dice circa la natura del documento letto dal Papa? Ci dice che se anche, come de Mattei, lo ritenessimo atto di valida rinuncia, questa non sarebbe entrata in vigore al momento della sua proclamazione. La Sede di Pietro, al termine della Declaratio dell’11 febbraio di fronte ai Signori Cardinali, non si è trovata in stato Sede Vacante. Il Papa nei i giorni successivi ha continuato ad esercitare il suo ufficio e il 22 febbraio ha pure emanato un motu proprio (Normas nonnullas).
Dunque, se uno dichiara di rinunciare e allo stesso tempo però non rende effettiva la rinuncia – e questo “differimento” non può essere contestato da nessuno, dato che Benedetto continua a fare il papa fino al 28 febbraio – è pacifico che mostra di conoscere e utilizzare la differenza tra un atto dichiarativo e la sua conferma.
- L’intervallo fra l’atto di rinuncia e la sua entrata in vigore invalida la rinuncia?
De Mattei sostiene che l’intervallo posto da Benedetto XVI non ha alcuna ripercussione sulla validità della rinuncia. Inoltre, sostiene che «il Papa ha la facoltà di decidere la modalità della rinuncia al pontificato, tanto più che, come si è detto, il diritto canonico non prescrive particolari procedure per l’abdicazione»[13].
De Mattei cade in errore quando afferma l’inesistenza di norme per la rinuncia. Innanzitutto, il ministero petrino è un ufficio ecclesiastico[14] – certamente unico nel suo genere – e, in quanto tale, la sua rinuncia è un atto giuridico normato dal can. 189 par. 3. Questo canone afferma che la rinuncia che non ha bisogno di accettazione – e il ministero petrino rientra in questo caso – «sortisce l’effetto con la comunicazione del rinunciante fatta a norma del diritto». C’è poi naturalmente il can. 332 par.2 che norma la rinuncia del pontefice. Dati questi presupposti, de Mattei sbaglia quando afferma che non ci sono procedure particolare per l’abdicazione al papato. Inoltre, come ho mostrato nel testo della mia omelia, la rinuncia è un atto giuridico puro che non può dotarsi di condizioni o differimenti temporali. Infatti, come prescrive il can. 189 par.3, la rinuncia che non ha bisogno di accettazione sortisce effetto immediato. La nozione di atto giuridico puro e il can. 189 par.3 si completano reciprocamente e ci mostrano come la Declaratio, in quanto atto di rinuncia, non solo sia nulla ma anche inesistente.
- Sulla differenza tra munus e ministerium
Su questo punto è stato scritto abbondantemente. Nella mia risposta alla prof.ssa Boni ho dedicato quattro pagine a questa questione[15]; Don Fernando Maria Cornet, invece, ha dedicato un intero studio (Alla ricerca del munus perduto) all’analisi dell’utilizzo di munus e ministerium all’interno della tradizione latina, di quella cristiana e soprattutto del Magistero, mostrando in definitiva come i due termini non possano essere intesi come sinonimi[16]. Due documenti che fra tutti che mostrano nitidamente la diversa applicazione dei due termini sono l’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici e l’enciclica Redemptoris missio, entrambe di Giovanni Paolo II. Nel primo documento Cornet rileva ben nove ricorrenze in cui munus e ministerium vengono nominati all’interno dello stesso discorso, a dimostrazione del senso differente che viene loro attribuito[17]. Anche nel secondo documento Giovanni Paolo II «distingue benissimo Ministerium da Munus, e nel contempo l’essere dal fare»[18]. D’altronde, l’impossibilità di confondere i due termini, intesi in senso tecnico, era già stata evidenziata da Péter Erdő, oggi cardinale e primate d’Ungheria[19].
Non sarebbe perciò necessario riprendere la questione e scrivere ulteriormente. Tuttavia, nel tentativo di obiettare alla nostra posizione, de Mattei inanella una serie di inesattezze che lasciano alquanto straniti, conoscendo la serietà del professore.
Prima di tutto – non si capisce secondo quale convenienza – de Mattei citi il professor Juan Ignacio Arrieta, il quale sostiene che «l’impiego delle nozioni di “munus”, “ministerium” e “ufficium” sia in dottrina che nei testi ufficiali della Chiesa è “fluttuante”, a causa del loro uso non univoco»[20]. Questa posizione però non fa altro che confermare che i termini non sono sinonimi: fluttuante, infatti, indica che in qualche caso lo possono essere e in altri no, proprio come ammesso da Erdő e Cornet.
In secondo luogo, de Mattei si lancia in una deduzione priva di ogni fondamento logico quando afferma che: «se l’uso della parola “ministero”, invece di munus, rendesse nulla la rinuncia, anche l’elezione papale di Josef Ratzinger sarebbe nulla, perché il neo-eletto Benedetto XVI, nel suo primo discorso del 20 aprile 2005, usa per ben cinque volte il termine “ministero”, e non quello di munus, o “ufficio” per indicare “il servizio della Chiesa universale» che gli è stato affidato”»[21].
È inammissibile paragonare il primo discorso pubblico di Benedetto XVI con la Declaratio, il contesto e la funzione dei due interventi sono radicalmente diversi. Soprattutto stupisce come si possa far dipendere la validità del pontificato di Benedetto XVI da quel primo discorso letto ai Cardiali nella Cappella sistina. La validità dell’elezione del Papa, dando per scontate la correttezza delle norme procedurali, si ottiene con la consacrazione episcopale dell’eletto e con la sua libera accettazione[22].
Inoltre, per non cedere al pensiero suggerito da de Mattei che Benedetto XVI, in quel primo discorso ai cardinali, abbia utilizzato i termini munus e ministerium in modo confusionario, rimandiamo allo studio Alla ricerca del munus perduto[23]. Cornet mostra come i termini officio, munus (onus) e ministerium siano utilizzati con estrema pertinenza da parte del Pontefice, il quale li adopera per significare cose distinte.
- La rinuncia a motivo dell’età
A proposito dell’ingravescentae aetate, nel suo articolo de Mattei riporta le cose a metà e in maniera inesatta. Probabilmente fraintende quanto ho scritto nel testo nell’omelia, afferma infatti di non capire perché dalla sproporzione esistente tra la rinuncia e la sua motivazione «si debba dedurre l’invalidità dell’atto»[24].
In realtà, non ho mai affermato che da tale sproporzione si deduca l’invalidità della rinuncia. Nell’omelia del 13 ottobre 2024 ho detto solo che l’ingravescentae aetate risulta essere un «ulteriore elemento anomalo della motivazione alla base della presunta rinuncia»[25].
Inoltre, che l’anzianità non sia motivazione accettabile per una rinuncia papale lo ha affermato il Card. Fagiolo, non è una mia opinione.
«Nel 1994 Card. Vincenzo Fagiolo, in qualità di presidente del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, fu incaricato da Giovanni Paolo II di “effettuare uno studio sulle implicazioni giuridiche ed ecclesiologiche della renuntiatio papae”. Egli concluse il suo lavoro affermando che “in maniera tassativa e assoluta il Papa non potrà mai dimettersi a motivo della sola età”»[26].
De Mattei avrebbe dovuto almeno riportare, per onestà, questa fonte così importante. La sua preziosità è evidente, dato che proviene direttamente da uno studio commissionato da Giovanni Paolo II al preciso scopo di valutare alcune implicazioni della rinuncia papale.
- Sulla libertà della rinuncia
Anche su questo punto de Mattei confonde le carte in tavola. Egli sostiene che, a mio parere, la pressione dei poteri globalisti avrebbe invalidato l’abdicazione di Benedetto XVI. Questa idea nel testo della mia omelia non è presente. Sostengo invece, supportato da almeno quattro autori che hanno fatto ricerche in merito[27], che le pressioni che il Papa riceveva erano tali da impedirgli, di fatto, il regolare governo della Chiesa. Il tema della massoneria è qui di grande importanza, ma de Mattei lo tralascia: le pressioni, infatti, potevano essere esercitate con efficacia proprio perché i poteri forti globalisti potevano contare su degli appoggi interni al Vaticano.
Vi è un’altra obiezione, molto comune in effetti, che de Mattei muove alla nostra tesi: «se Benedetto XVI avesse subito pressioni avrebbe dovuto dirlo, invece ha sempre confermato che la sua decisione è stata presa liberamente e con piena consapevolezza»[28].
Prima di entrare in questo tema dobbiamo premettere che ci stiamo spostando dal terreno dell’oggettività canonico-magisteriale a quello della soggettività del Pontefice, il che significa che possiamo avanzare solo supposizioni fondate su prove, logica e buon senso. L’obiezione di de Mattei mostra un ostinato rifiuto anche solo della comprensione di quanto stiamo dicendo. Mi spiego. Discutere onestamente di “Sede impedita” significa prestare credito, almeno per un momento, alla possibilità che la realtà non è semplicemente quell’apparenza che si manifesta sotto i nostri occhi. Questo non significa vivere in Matrix, né congetturare dietrologie, significa piuttosto non essere ingenui e non vivere “sulla superficie delle cose”. Vi ricordate la storia del profeta Michea, quando viene convocato da Acab, re d’Israele, per dare un oracolo sull’esito della guerra contro Ramot di Gálaad? (cfr. 2Cr 18, 12-16). La prima risposta di Michea è: vittoria per Israele; esattamente come avevano detto gli altri profeti che già erano stati ascoltati dal re. Eppure, quella risposta non è veritiera. Michea era un profeta scomodo perché non prediceva mai nulla di buono, così il re e i profeti di corte lo avevano emarginato. Tuttavia, richiamato dal re un’ultima volta per profetare, viene minacciato dai suoi messaggeri e obbligato a dare un responso positivo, nonostante la verità fosse un’altra. Questo significa che Michea era propriamente impedito nel suo ministero. Non solo, in questo brano emerge anche un altro elemento assai importante: lo spirito di inganno. Com’è possibile che Michea, interrogato a dare una risposta in nome di Dio, abbia mentito? Aveva paura delle conseguenze? Non si tratta certamente di questo, un profeta è chiamato a gridare la verità costi quel che costi. In questo caso però, fu proprio Dio ad autorizzare l’inganno come castigo per la superbia del re Acab:
«Si fece avanti uno spirito che – presentatosi al Signore – disse: Io lo ingannerò. Il Signore gli domandò: Come? Rispose: Andrò e diventerò uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti. Quegli disse: Lo ingannerai; certo riuscirai; và e fà così. Ecco, dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna nella bocca di tutti questi tuoi profeti, ma il Signore a tuo riguardo preannunzia una sciagura» (2Cr 18, 20-22).
Cito questo episodio biblico per mostrare come sia troppo ingenua la visione di chi tende a dare alla realtà la lettura più semplice (semplicistica?) possibile. Dio è capace di nascondersi e di sottrarsi, attraverso il comportamento dei suoi inviati, se vede cuori ostinati che disprezzano la verità. Un simile esempio dovrebbe anche farci prendere una doverosa distanza dalla formulazione di giudizi contro Benedetto XVI; invece, con troppa facilità, de Mattei tende a dubitare della moralità del Sommo Pontefice: «il fatto che questi motivi [per la rinuncia] manchino solleva interrogativi sul comportamento di Benedetto XVI»[29]. Se il professore fosse vissuto al tempo di Michea e gli avesse sentito dare quel responso al re Acab, avrebbe forse dubitato anche della moralità del profeta? Lascio questa domanda nella speranza che possa provocare una riflessione più profonda.
Fatto questo excursus biblico, forse comprendiamo meglio come Benedetto XVI, trovandosi senza sufficiente spazio per governare e comunicare come avrebbe voluto, perché troppo scomodo all’ideologia mainstream, abbia previsto e preparato la strategia della Sede impedita[30].
De Mattei sostiene poi che la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis (1996), anche se minaccia di scomunica latae sententiae chi si rende protagonista di accordi previ all’elezione del Papa, «non considera invalida l’elezione che a queste manovre dovesse seguire»[31].
Le cose, in realtà, non stanno così. Riporto una parte del mio articolo di risposta alla Boni che chiarisce proprio questo aspetto:
«Su questo cito solo un parere contrario, quello del Card. Reymond Leo Burke, ex Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il massimo organo giudiziario della Chiesa Cattolica. In un’intervista rilasciata nel 2019 all’analista e conduttore mediatico statunitense Patrick Coffin, affermava: “L’unico motivo che potrebbe essere sollevato per mettere in dubbio la validità dell’elezione sarebbe se questa fosse stata organizzata da una campagna preventiva, cosa che è strettamente vietata”. (Patrick Coffin, 141: Dubia Cardinal Goes On the Record—Raymond Cardinal Burke, 13 agosto 2019). Da questo comprendiamo che secondo il Card. Burke quei punti di UDG sono irritanti. Salvo il punto sulla simonia, per il quale il CIC dice chiaramente che non invalida l’elezione, il silenzio dei successivi articoli lascia intendere, e il card. Burke conferma, che si tratti di norme irritanti»[32].
La conclusione del Card. Burke è pacifica e si basa sulla seguente argomentazione canonica:
- Se «gli articoli dal 79 al 82 di Universi Dominici Gregis proibiscono ai Cardinali elettori di promettere voti, prendere decisioni sul successore in conventicole private»[33]
- e l’articolo 76 afferma che «se l’elezione fosse avvenuta, altrimenti da come è prescritto nella presente costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è perciò stesso nulla invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta»[34].
- Ne deriva che se il Conclave del 2013 ha violato le proibizioni di UDG pianificando l’elezione “dietro le quinte”, fatto che ho dettagliatamente mostrato nella mia omelia[35], allora l’elezione è nulla e invalida.
- Benedetto XVI ha dissimulato il suo pensiero?
De Mattei è critico circa l’adozione della restrizione mentale larga da parte di Benedetto XVI, non crede verosimile un tale stile comunicativo; non solo, il Pontefice, agendo in questo modo, avrebbe reso la verità una cosa per pochi “iniziati”, introducendo così lo gnosticismo all’interno della Chiesa.
Mi sia permessa una breve nota a margine. Resto perplesso di fronte a certi intellettuali, come de Mattei, i quali, pur essendo profondamente informati sulla progressiva infiltrazione massonica nella Chiesa negli ultimi settant’anni, si stracciano le vesti al pensiero che un Papa possa agire astutamente e adottare le stesse sottigliezze strategiche del nemico. Domando loro: quale pensate sia la ragione per cui i Papi più recenti – diciamo, dal periodo post-conciliare in poi – non abbiano mai denunciato esplicitamente la presenza di infiltrazioni massoniche in Vaticano? Eppure sappiamo bene che tali infiltrazioni ci sono state e ci sono tuttora. Come mai anche un Papa dallo spirito vigoroso e combattivo come Giovanni Paolo II non hai mai praticato questa strada?
Il problema, evidentemente, non è affrontabile in modo diretto né pubblico, altrimenti i Pontefici l’avrebbero già fatto; inoltre, le ragioni di questa scelta, seppur non si possano affermare con certezza, sono intuibili. È un’ingenuità grande credere che la soluzione possa essere la pubblica denuncia. E poi, a chi potrebbe rivolgersi un Papa, Lui che è sovrano in Vaticano e ha la potestà primaziale sulla Chiesa universale? Denunciare pubblicamente significa ammettere di non essere in grado di risolvere il problema, equivale quindi a una richiesta di aiuto verso l’esterno. Ma sorge un problema teologico insormontabile: quale organizzazione sovranazionale o paese dovrebbe intervenire in soccorso della Chiesa, così da divenire il garante della sua libertà e purezza? Nessuno potrebbe. Solo Gesù Cristo può essere il garante della Sua Chiesa, nessun altro.
I papi, dopo S. Pio X, hanno ben compreso di non poter ricercare una soluzione temporale e immediata a un problema la cui radice è innanzitutto spirituale. Pensiamo a quella prima propaggine massonica che è il modernismo. S. Pio X, nei suoi undici anni di pontificato, tentò in tutti i modi di estirpare in modo diretto (pubblico) quella piaga ma non vi riuscì[36]. Questo ci fa capire come la strategia dello scontro diretto con le infiltrazioni di stampo massonico-modernista sia, in definitiva, non risolutiva. De Mattei, da storico qual è, ha scritto un ottimo volume in cui tratta proprio questo tema[37] ed è perciò ben consapevole dell’inefficacia di quei mezzi.
Si potrebbe poi pensare che almeno i fedeli dovrebbero essere resi consapevoli dell’infiltrazione massonica. Ma, chiediamo noi, come potrebbe intervenire un fedele o anche un semplice sacerdote, per rimediare a tale piaga? E a che scopo addossare un tale fardello ai cattolici di tutto il mondo, con il rischio concretissimo di un irreparabile disorientamento e di molteplici divisioni, maggiori di quelle che già oggi vigono?
Questi sono alcuni dei presumibili motivi per cui i Papi hanno scelto di non gestire il problema dell’infiltrazione massonica attraverso una strategia pubblica e diretta. Detto ciò, accusare Benedetto XVI di gnosticismo o di «assenza di spirito soprannaturale»[38] perché ha scelto di intraprendere una strategia sottile e intelligente è semplicemente incommentabile.
- Eresie di Francesco e accettazione pacifica universale
De Mattei afferma che l’esistenza di eresie sostenute da Francesco «non è provata in termini teologici e canonici adeguati»[39] e che, se anche lo fosse, le eventuali eresie non dimostrerebbero retroattivamente l’invalidità della sua elezione ma piuttosto «potrebbero forse causare la perdita del pontificato»[40].
La questione è meritevole di maggiore approfondimento e per questo rimando al mio articolo, in prossima uscita, dedicato al problema del “Papa eretico”. Accenno qui solamente ad alcuni elementi in risposta al prof. de Mattei:
- Mi sono permesso di parlare di «eresie» solo perché prima di me l’hanno fatto Cardinali e Vescovi assai più autorevoli di me. Se il card. Müller ha affermato che alcune dichiarazioni di Francesco «sono formulate in modo tale da poter essere ragionevolmente interpretate come eresia materiale»[41] credo che né io né il prof. de Mattei possiamo pensare di saperne di più.
- Se è vero che l’infallibilità papale entra in causa solo quando il Papa definisce ex cathedra, e che l’eresia di un Papa potrebbe portarne la decadenza ipso facto, è importante notare che tutti gli autori che si sono occupati della questione hanno ritenuto come opinione più probabile che l’assistenza dello Spirito Santo protegga un vero Papa dall’errore, anche quando non si pronuncia infallibilmente. Notano inoltre che non si è mai avuto nella storia della Chiesa il caso di un Papa che perdesse il papato per eresia. Pertanto, il fatto che chi siede sul soglio di Pietro pronunci eresie (e ripeto, non lo dico io ma prelati ben più autorevoli di me), pone almeno qualche dubbio sul fatto che questi possa non essere stato eletto validamente Papa. Mi sembra scorretto usare un’espressione pseudo-giuridica come «dimostrare retroattivamente l’invalidità dell’elezione»[42]. Non ho mai detto di usare questa cosa come argomento probante, ma solo come “prova del nove”. Come quando, in matematica, si utilizza la suddetta prova per verificare la correttezza del risultato di un’operazione. Non è tanto una “dimostrazione” quanto un elemento che si accorda con l’ipotesi.
Infine, circa l’adesione pacifica universale, invocata da de Mattei come l’estrema soluzione di «ogni dubbio o incertezza sulla validità dell’elezione pontificia»[43] (cfr. papa dubius, papa nullus), rimando alle nove pagine che ho scritto in risposta alle critiche della dott.ssa Luisella Scrosati[44]. Non ritengo perciò necessario tornare sull’argomento.
- Come agire in questo tempo di Sede vacante?
De Mattei considera illogico e contraddittorio il tentativo di perseguire la soluzione canonica al problema della Sede vacante. Se, sostiene il professore, oggi la Chiesa è occupata da un antipapa e da una gerarchia in maggioranza deviata, che senso ha sperare che qualche cardinale intervenga? Se poi pensiamo che la maggioranza dei cardinali sono di creazione bergogliana, che senso ha sperare nel prossimo Conclave?
Il senso dello sperare è direttamente proporzionale all’approssimazione delle critiche di cui sopra. Non c’è nessuna contraddizione nella scelta della via canonica perché – come ha riferito lo stesso de Mattei ricostruendo la posizione mia, di Don Cornet e del dott. Cionci – non tutta la gerarchia è di orientamento neomodernista e questo rappresenta un motivo più che valido per attendere l’intervento di coloro a cui compete[45].
Per concludere, l’obiezione secondo cui l’attuale gerarchia ecclesiastica sarebbe incapace di riportare la Chiesa ad uno stato di normalità, riflette una visione distorta della Divina Provvidenza e della indefettibilità della Chiesa. La storia dimostra che, anche nelle crisi più gravi, Dio ha guidato la Chiesa attraverso vie canoniche e strumenti istituiti da Cristo stesso. Qualunque soluzione deve rispettare l’autorità della Chiesa visibile – inscindibile dalla sua parte invisibile – che non può essere abbandonata senza cadere nello scisma. Le soluzioni al di fuori dei canali canonici contraddicono l’unità voluta da Cristo e negano la promessa che «le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16,18). La risposta, dunque, è ancora e sempre nella fedeltà alla Chiesa, nella preghiera, in una vita santa e nella fiducia nella Provvidenza divina.
[1] Qui i link alla Prima e alla Seconda parte.
[2] Tutte le citazioni che seguono provengono dall’articolo di Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (I-IIa parte).
[3] Per chi, come me, sostiene questa posizione, la Sede è rimasta impedita dalla convocazione del conclave che ha eletto il card. Bergoglio fino alla morte di Benedetto XVI. Quindi dal 31 dicembre 2022 ci troviamo in stato di Sede vacante.
[4] La prof.ssa Boni ha inoltre scritto un articolo appositamente per confutare le mie tesi: Ancora sulla pretesa invalidità della Declaratio di Benedetto XVI. Et de hoc satis. Pubblicato sul sito del La Nuova Bussola Quotidiana.
[5] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Giorgio Maria Faré, In risposta all’articolo “Ancora sulla pretesa invalidità della Declaratio di Benedetto XVI. Et de hoc satis” di Geraldina Boni e Manuel Ganarin pubblicato da La Nuova Bussola Quotidiana in data 31 ottobre 2024, p. 7.
[10] Professore di diritto canonico e attuale rettore della Pontificia Università della Santa Croce.
[11] Fernando Puig, La rinuncia di Benedetto XVI all’ufficio primaziale come atto giuridico, in «Ius Ecclesiae» v. 25, n.3 (2013).
[12] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[13] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[14] «Secondo il can. 145 §1 del Codice di Diritto Canonico (CIC), “per ufficio ecclesiastico si intende un incarico costituito stabilmente per il conseguimento di un fine spirituale”. Il papato soddisfa questa definizione, in quanto è un incarico stabile, istituito per il governo della Chiesa universale e per il conseguimento del fine spirituale supremo: guidare i fedeli verso la salvezza» (Giorgio Maria Faré, «In risposta all’articolo “Ancora sulla pretesa invalidità della Declaratio di
Benedetto XVI. Et de hoc satis” di Geraldina Boni e Manuel Ganarin pubblicato da La Nuova Bussola Quotidiana in data 31 ottobre 2024», p. 4.
[15] Ivi, pp. 8-12.
[16] La conclusione che Cornet trae è la seguente: «Crediamo che, sia dal punto di vista morale che intellettuale, non si possa più sostenere onestamente l’assoluta sinonimia fra Munus e Ministerium: se in qualche caso e circostanza i significati si intrecciano, entrambi i termini hanno però campi semantici diversi, che nella storia letteraria classica e in quella magisteriale ecclesiastica li hanno resi, e non a caso, termini diversi proprio perché il loro significato è diverso e perché la loro res è diversa» (Fernando Maria Cornet, «Alla ricerca del munus perduto», Arca Edizioni, Milano 2024, p. 141).
[17] Giovanni Paolo II, «Christifideles laici», nn. 2,20,21,23(x4) ,61,64. (cfr. Fernando Maria Cornet, «Alla ricerca del munus perduto», pp. 95-97).
[18] Tale distinzione emerge molto chiaramente ai numeri 72,73 dell’Enciclica. (cfr. Ivi, pp. 98-99)
[19] «Sebbene in diverse accezioni questi tre termini [munus, ministerium e officium] possano indicare la stessa cosa, come termini tecnici non si possono confondere» (Péter Erdő, «Ministerium, munus et officium in Codex Iuris canonici», in Periodica de re canonica, 78 (1989), p. 414, traduzione propria dal latino).
[20] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[21] Ibidem.
[22] Cfr. «Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l’eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell’accettazione. Che se l’eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo» (can. 332 § 1). «Avvenuta canonicamente l’elezione, l’ultimo dei Cardinali Diaconi chiama nell’aula dell’elezione il Segretario del Collegio dei Cardinali e il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie; quindi, il Cardinale Decano, o il primo dei Cardinali per Ordine e anzianità, a nome di tutto il Collegio degli elettori chiede il consenso dell’eletto con le seguenti parole: Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice? E appena ricevuto il consenso, gli chiede: Come vuoi essere chiamato? Allora il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, con funzione di notaio e avendo per testimoni due Cerimonieri che saranno chiamati in quel momento, redige un documento circa l’accettazione del nuovo Pontefice e il nome da lui assunto. Dopo l’accettazione, l’eletto che abbia già ricevuto l’ordinazione episcopale, è immediatamente Vescovo della Chiesa Romana, vero Papa e Capo del Collegio Episcopale; lo stesso acquista di fatto la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale, e può esercitarla» (Giovanni Paolo II, «Universi Dominici Gregis», nn. 87-88).
[23] Fernando Maria Cornet, «Alla ricerca del munus perduto», pp. 116-119.
[24] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[25] Giorgio Maria Faré, «Non consegnerò il Leone», p. 8.
[26] Ibidem. (cfr. Valerio Gigliotti, La tiara deposta, pp. 399.401).
[27] Cfr. Antonio Socci, «Balla coi lupi» in «Non è Francesco», pp. 54-63; Antonio Socci, «PRIMA PARTE L’origine mistica, economica e politica del dramma» in «Il segreto di Benedetto XVI»; Estefanía Acosta «La dichiarazione di Benedetto XVI fu libera?» in «Benedetto XVI: Papa “Emerito”?», pp. 88-100; Andrea Cionci, «Parte I – I nemici di Benedetto XVI» in «Codice Ratzinger».
[28] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[29] Ibidem.
[30] «“La Sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani” (Codice di Diritto Canonico, can. 412) Si noterà che il canone si riferisce al Vescovo Diocesano e non al Papa. Che anche la Sede romana possa essere totalmente impedita è tuttavia previsto (cfr. can. 335), pertanto è opinione diffusa tra i canonisti che, in mancanza di una legge specifica, si applichi per via analogica il can. 412 anche alla Sede pontificia. Del resto, il Papa è Vescovo di Roma» (Giorgio Maria Faré, «Non consegnerò il Leone», p. 16).
[31] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[32] Giorgio Maria Faré, In risposta all’articolo “Ancora sulla pretesa invalidità della Declaratio di Benedetto XVI. Et de hoc satis” di Geraldina Boni e Manuel Ganarin pubblicato da La Nuova Bussola Quotidiana in data 31 ottobre 2024, p. 12.
[33] Giorgio Maria Faré, «Non consegnerò il Leone», p. 10.
[34] Giovanni Paolo II, «Universi Dominici Gregis», n. 76
[35] «Il giornalista statunitense Jonathan Last ha scritto: “Il pontificato di Francesco può, forse, essere meglio inteso come un progetto politico. La sua elezione al Conclave nel 2013 era – all’insaputa del mondo dell’epoca – il risultato di una campagna pianificata in anticipo da quattro cardinali radicali che vedevano il cardinale Jorge Mario Bergoglio come il veicolo perfetto per la rivoluzione che volevano lanciare all’interno della Chiesa. (La storia di come i cardinali Cormac Murphy-O’Connor, Walter Kasper, Godfried Danneels e Karl Lehmann formarono il “Team Bergoglio” è dettagliata nell’agiografica biografia di Francesco di Austen Ivereigh)”. Questi Cardinali avevano fatto parte del cosiddetto gruppo di San Gallo e lavoravano a questo scopo già dal Conclave del 2005» (Giorgio Maria Faré, «Non consegnerò il Leone», p. 10).
[36] Così il Pontefice dichiara desolatamente nel 1910, a un anno dalla sua morte: «Nessuno tra i Vescovi ignora, riteniamo, che una genia perniciosissima di persone, i modernisti, anche dopo che con l’Enciclica Pascendi dominici gregis fu tolta loro la maschera di cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro piani di turbare la pace della Chiesa. Difatti non hanno cessato di ricercare nuovi adepti raggruppandoli in una società segreta, e per mezzo di costoro inoculare il veleno delle loro opinioni nelle vene della società cristiana con la pubblicazione di libri e scritti anonimi o sotto falso nome» (Pio X, «Sacrorum Antistitum»).
[37] Roberto de Mattei, «Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta», Lindau, Torino 2010.
[38] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] «Cardinal Müller: Some statements by Pope Francis could be understood as material heresy», LifeSiteNews, 9 novembre 2023, intervista condotta da Maike Hickson e Andreas Wailzer in tedesco, traduzione propria dalla versione inglese dell’articolo.
[42] Roberto de Mattei, «Una narrazione senza prove: la “sede impedita” di Benedetto XVI (IIa parte).
[43] Ibidem.
[44] Giorgio Maria Faré, «La pacifica universalis ecclesiae adhaesio: risposta alle critiche di Luisella Scrosati». Qui ne ripropongo un breve estratto: «Ma la Chiesa offre effettivamente a Papa Francesco una tale adesione universale e pacifica? La Chiesa Cattolica aderisce universalmente a Francesco come “regola vivente della fede”? I Cardinali, i Vescovi, la redazione della Nuova Bussola Quotidiana e la dott.ssa Scrosati aderiscono a Francesco come “regola vivente della fede”? […] La regola prossima della fede è rappresentata dal Magistero della Chiesa, ossia dall’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica, che si esprime attraverso il Papa e i vescovi uniti a lui. La regola remota è costituita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione Apostolica. La Chiesa cattolica, per la sua fede nelle promesse di Gesù Cristo, ritiene che il Magistero (regola prossima) non possa mai contraddire la Scrittura e la Tradizione (regola remota), poiché il suo compito è interpretarle fedelmente e preservarle da errori. Quando parliamo di sottometterci al Papa come “regola vivente della fede,” intendiamo che consideriamo lui e i vescovi che insegnano in unione con lui, come la “regola prossima” di ciò che dobbiamo credere. Cito e traduco liberamente dall’articolo di McCusker: “Ma oggi molti cattolici non si rivolgono a Francesco in questo modo, al contrario, confrontano continuamente la sua dottrina con quella contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, la “regola remota di fede,” per giudicare autonomamente se essa sia ortodossa. Essi lo fanno perché hanno capito che Francesco non è un legittimo maestro della fede. Questa è una chiara inversione del corretto rapporto tra il Papa e i fedeli, tra il maestro e i discepoli, e manifesta chiaramente che i cattolici non considerano Francesco come loro regola vivente della fede”. Questo non riguarda solo i semplici fedeli laici. Sono numerosi gli esempi di cardinali e vescovi che si sono pubblicamente posti in maniera critica rispetto all’insegnamento di Francesco. E credo di non sbagliare se dico che un fatto del genere non si era mai verificato con i pontefici precedenti che ho conosciuto».
[45] Attualmente esistono 62 (validi) cardinali nominati da Benedetto XVI, di cui 23 elettori: non è un numero irrilevanti e non è improvvido sperare e pregare per un loro intervento.