«Nessuno può servire a due padroni»
(Matteo 6,24)
Gesù Cristo ci dice, fratelli miei, che noi non possiamo servire due padroni, e cioè Dio e il mondo.
Voi non potete piacere a Dio e al mondo, Egli ci dice. Qualunque cosa facciate, voi non potrete mai accontentare entrambi, nello stesso tempo.
Eccovene la ragione, fratelli miei: essi sono estremamente opposti nel loro modo di pensare, nei loro desideri e nelle loro azioni: uno promette una cosa totalmente opposta a quella che promette l’altro; l’uno proibisce ciò che l’altro permette o comanda; l’uno vi fa lavorare per il tempo presente, mentre l’altro per il tempo futuro, cioè per il Cielo; l’uno vi offre i piaceri, gli onori, e le ricchezze, mentre l’altro non vi offre che lacrime, penitenza e rinuncia a voi stessi; l’uno vi chiama a camminare in un sentiero fiorito, almeno in apparenza, mentre l’altro in un sentiero pieno di spine.
Ognuno dei due, fratelli miei, richiede il nostro cuore; sta a noi scegliere quale di questi due maestri vogliamo seguire.
L’uno, cioè il mondo, ci promette di farci gustare tutto ciò che possiamo desiderare durante la nostra vita, sebbene prometta sempre molto più di quello che poi dia effettivamente; ma, nello stesso tempo, ci nasconde i mali che ci sono riservati per tutta l’eternità.
L’altro, cioè Gesù Cristo, non ci promette affatto tutte queste cose, ma ci dice, per consolarci, che egli ci aiuterà, e che, perfino, addolcirà grandemente le nostre pene: «Venite a me, e Io vi consolerò; e alla mia sequela voi troverete la pace dell’anima e la gioia del cuore».
Ecco, fratelli miei, i due maestri che richiedono il nostro cuore; a quale dei due volete appartenere? (questo significa parlar chiaro, non come tanti impostori e venditori ambulanti o in cattedra, di illusioni accattivanti, per attrarre proseliti, e poi “renderli figli della Geenna il doppio di loro”: Matteo 23,15!; n.d.a).
Tutto ciò che il mondo vi offre è solo per il tempo presente. I beni, i piaceri e gli onori finiranno con questa vita, e una volta finita questa vita, inizierà per noi un’eternità di tormenti.
Ma se vogliamo seguire Gesù Cristo, che ci invita, carico della sua croce, ci accorgeremo ben presto che le pene del suo servizio non sono così grandi come potremmo pensare: Egli stesso camminerà davanti a noi, ci aiuterà, ci consolerà; inoltre ci promette, dopo qualche piccolo istante di dolore, una felicità che durerà quanto Lui stesso.
Ma per farvelo meglio comprendere, fratelli miei, vi mostrerò che è impossibile piacere a Dio e al mondo.
O tutto a Dio, o tutto al mondo: nessuna divisione.
E’ certo, fartelli miei, che se è vero che Gesù Cristo sapeva bene che molti avrebbero abbandonato il mondo, per donarsi a Lui, che avrebbero abbracciato le follie della sua croce, e, sul suo esempio, avrebbero trascorso la vita tra le lacrime, i gemiti e la penitenza, per rendersi degni della ricompensa che Egli ci ha meritato; se ciò è vero, dunque, è vero però anche che Egli già sapeva che molti lo avrebbero abbandonato, per donarsi al mondo, che non promette loro nient’altro che ciò che ad essi non donerà mai, nascondendo loro le disgrazie che li attendono per l’eternità.
Per questo Egli ci ha voluto dare un solo cuore, in modo che non potessimo dedicarci che a un solo maestro.
Egli ci dice formalmente che è impossibile appartenere a Dio e al mondo, perchè, nel momento stesso in cui volessimo piacere all’uno, diverremo nemici dell’altro.
Il buon Dio, fratelli miei, per mostrarci quanto sia difficile che ci salviamo per mezzo del mondo, ha maledetto questo mondo dicendo: «Guai al mondo» (Matteo 18,7).
Ma consideriamo questa cosa più da vicino.
Voi sapete, fratelli miei, che lo spirito di Gesù Cristo è uno spirito di umiltà e di disprezzo di se stesso, uno spirito di carità e di bontà verso tutti.
Ebbene! come potreste mai conservare questo spirito, se vi andaste a mescolare con un orgoglioso, che non vi parlerà d’altro che di piaceri e di onori, che si loderà e si vanterà per tutte le sue presunte buone qualità, di tutto il bene che ha fatto e perfino di quello che non ha fatto?
Se lo frequentate per qualche tempo, necessariamente, senza accorgervene, diventerete orgogliosi come lui.
Voi sentite continuamente qualcuno parlare male del suo prossimo; allo stesso modo, senza saperlo, diventerete anche voi una mala lingua, che porterà dovunque vada solo turbamento.
Voi sapete che Gesù Cristo, che avete preso come vostro Maestro, vuole che gli conserviamo il nostro cuore e il nostro corpo puri, per quanto è possibile; ma se voi cominciate a frequentare quel libertino, che non si occupa d’altro che di pensare e dire le cose più sconce e più infami, come potreste conservare quella purezza che Dio esige da voi?
A forza di vederlo, voi diventerete altrettanto sconci e infami quanto lui.
Voi sapete che il vostro Maestro vuole che amiate e rispettiate la religione, e tutto ciò che è in rapporto con essa; ma se frequentate un empio, che si prende gioco di tutto, dosprezza ciò che vi è di più santo, e mette in ridicolo tutti, come potreste amare la religione e praticare ciò che essa vi comanda, ascoltando tutte quelle empietà? (molti impostori trovano una via d’uscita da queste chiare contraddizioni, con la scusa dibolica che occorre “incarnarsi” nel mondo e assumere il profumo delle pecore, interpretando a loro comodo certe verità sacrosante; n.d.a.).
Come potreste voi fidarvi dei preti, dopo che gli empi vi avranno affibbiato qualche calunnia, e vi avranno persuasi che ciò che dicono è vero, e che tutti i preti sono uguali?
Ah! fratelli miei, maledetto colui che segue il mondo! Ormai è perduto!
Ditemi, come potreste nutrire rispetto per le leggi della Chiesa, se frequentaste degli empi che deridono e disprezzano il digiuno e l’astinenza, dicendovi che tutto ciò non è altro che invenzione degli uomini?
Lo Spirito di Dio, voi lo sapete bene, consiste nel disprezzare le cose create, attaccandosi solo ai beni dell’eternità:
Eh! ma come potreste farvene un’idea giusta, se frequentate quell’uomo che è un incredulo, che crede, sebbene non lo creda seriamente, che tutto finisca con questa vita terrena?
Amico mio, se vuoi salvarti, devi necessariamente fuggire il mondo, altrimenti comincerai a pensare e ad agire come il mondo, e ti troverai anche tu nel numero di coloro che sono maledetti da Dio! (cfr. 1 Giovanni 2,15-17!; Giacomo 4,4!: il pensiero del curato, che qualche ipocrita “pastoralista” potrebbe tacciare di oscurantismo o di misantropia, è in perfetta linea col pensiero delle Sacre Scritture; n.d.a.).
Guardate, fratelli miei, quando qualche grande peccatore non vuole convertirsi, la chiesa lo scomunica, e cioè, lo rigetta dal suo seno; essa non lo considera più un suo figlio, e non lo rende più partecipe delle grazie che il buon Dio ci distribuisce per i meriti della sua morte e della sua passione; essa non vuole che si mangi o si beva con lui, nè che lo si saluti; ci proibisce di avere alcuna comunione con lui, se non vogliamo anche noi prendere parte alla sua maledizione (anche qui siamo in perfetta linea con la Bibbia: Matteo 18,17; 2 Giovanni 1,10-11!; n.d.a.).
Se tali persone muoiono, esse devono essere sepolte in un luogo profano, e non hanno diritto alle preghiere, perchè muoioni come dannati.
Ebbene! fratelli miei, se vogliamo seguire il mondo, ci coglierà la stessa disgrazia.
D’altronde , fratelli miei, se ne dubitate, vedete ciò che hanno fatto tutti i santi: essi hano considerato il mondo, i suoi piaceri e tutti i suoi beni, come una peste, per la salvezza della loro anima, e tutti coloro che hanno potuto lo hanno abbandonato.
Qual è la causa per cui i deserti si sono riempiti di tante persone che, in altri tempi, abitavano nelle città e nelle campagne, se non il fatto che hanno temuto il mondo, e lo hanno lasciato, per timore che il contagio del mondo li inducesse alla perdizione, facendo nascere in loro gli stessi sentimenti, e facendoli agire con lo stesso spirito?
Sì, fratelli miei, fuggiamo il mondo, dove siamo sicuri di perderci, come il mondo stesso.
No, fratelli miei, non dobbiamo essere mai d’accordo col mondo, se vogliamo salvarci.
Dobbiamo giurargli eterna battaglia: è ciò che hanno fatto tutti i santi.
O rinunciare al Cielo, o rinunciare al mondo!… (chi pensasse di obiettare che “Dio ha tanto amato il mondo, ecc.” denoterebbe di non aver capito proprio nulla della dialettica evangelica che contrappone senza mezzi termini i discepoli di Gesù al mondo, secondo l’assioma “nel mondo, ma non delmondo”; è evidente che qui si intende non il mondo fisico, ma la mentalità mondana, che è l’esatto opposto del Vangelo; n.d.a.).
Vedete, fratelli miei: volete sapere come noi siamo nemici del mondo, e come il mondo ci abbia in odio?
Ascoltatemi un istante, e vedrete ciò che dobbiamo fare, se vogliamo sperare di possedere un giorno il Cielo.
Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di Gennaro, che fu vescovo di Benevento.
Egli fu denunciato al governatore Timoteo, perchè faceva tutto ciò che poteva per fortificare i cristiani e per condurre i pagani alla conversione.
Egli diceva che i pagani erano del numero di coloro che Gesù Cristo aveva maledetto con queste parole: «Guai al mondo!».
Il governatore, trasportato dalla collera per questa denuncia, ordinò di andare all’istante, a prendere il santo, e trascinarlo, piedi e mani legate, davanti al suo tribunale.
Fece piazzare un idolo davanti al santo, e gli ordinò di adorare subito gli dei, oppure doveva aspettarsi di morire tra i tormenti più atroci che si potessero inventare. Il santo gli rispose, senza scomporsi, che egli non era nato nè era stato battezzato per seguire il mondo, ma per seguire Gesù Cristo, mentre porta la sua croce e muore sul Calvario; e che tutti quei tormenti con cui era minacciato, non lo impressionavano affatto: erano la sua porzione, e avrebbero costituito un giorno tutta la sua felicità.
«Tu, disse al governatore, appartieni a questo mondo che Gesù Cristo ha maledetto».
Questa risposta mise il governatore in un tale stato di furore, che ordinò che il santo fosse subito gettato in una fornace ardente.
Ma il buon Dio, che non abbandona mai coloro che appartengono a Lui e non al mondo, fece in modo che san Gennaro, invece di essere divorato dalle fiamme, sembrasse entrare in un bagno tonificante.
Il santo ne uscì, senza che nè i suoi abiti, nè i suoi stessi capelli, ne fossero minimamente danneggiati, la qual cosa meravigliò tutta quella folla di pagani che era presente.
Lo stesso governatore ne rimase totalmente stupito, ma pensando che fosse opera del demonio, divenne ancora più furioso, e fece mettere il santo alla tortura, per fargli soffrire un supplizio tale, che solo l’inferno gli aveva potuto ispirare.
Ordinò che gli fossero strappati tutti i nervi del corpo, uno dopo l’altro; in seguito, vedendo che quello non poteva più camminare se non per miracolo, ordinò di condurlo in prigione, nella speranza di farlo soffrire ancora di più.
I fedeli della sua diocesi, avendo appreso ciò che avevano fatto soffrire al proprio vescovo, partirono subito per andarlo a visitare e confortare, se avessero potuto.
Il governatore, avendolo saputo, inviò subito dei soldati per fermarli tutti e portarli davanti al suo tribunale.
Quando furono giunti davanti a lui, li interrogò sulla loro religione, e sul motivo del loro viaggio.
Quelli gli risposero coraggiosamente che erano tutti cristiani, e che erano venuti a visitare il loro vescovo, nella speranza di avere la fortuna di potergli tenere compagnia nei suoi supplizi.
Quello allora si rivolse a san Gennaro, per chiedergli se dicessero la verità.
Il santo rispose che così era, che erano cristiani come lui, e che avevano rinunciato al mondo per donarsi a Gesù Cristo.
Su questa dichiarazione, il governatore ordinò di mettere loro i ceppi ai piedi e alle mani, e di farli marciare davanti al suo carro fino a Pozzuoli, per esservi divorati dalle belve.
La gioia che tutti questi santi facevano trasparire, recandosi al martirio, stupiva i pagani.
Non appena i nostri santi furono arrivati, li si pose nell’arena.
Allora san Gennaro, che era il capo, essendo il loro vescovo, rivolgendosi a tutti suoi compagni: «Figli miei, disse, coraggio! ecco il giorno del nostro trionfo. Combattiamo genersamente per Gesù Cristo nostro Maestro, poichè lo abbiamo preso come nostro Dio; andiamo con coraggio incontro alla morte, come vi è andato Lui stesso, per amor nostro. Doniamo, figli miei, doniamo arditamente il nostro sangue per Gesù Cristo, come Lui lo ha donato per noi.
Sì, figli miei, poichè abbiamo rinunciato al mondo che è maledetto da Dio, disprezziamolo, insieme a coloro che seguono il suo partito; che nè le promesse, nè le minacce, ci inducano a ritornare dalla parte del mondo maledetto; poniamo tutta la nostra fiducia in Dio, e col suo aiuto, non temiamo nè i tormenti, nè la morte.
Guardate, figli miei, guardate il vostro pastore a cui hanno strappato tutti i nervi del corpo. Io dono volentieri tutto il resto del mio corpo alle bestie feroci che verranno a divorarmi.
Guardiamo il Cielo, figli miei, il nostro Dio ci attende per ricompensarci; ancora un momento di sofferenza, e avremo un’eternità di felicità».
Non appena il santo ebbe finito di parlare, furono lanciate tutte le bestie feroci contro di essi, alla presenza di una moltitudine straordinaria di popolo, che era venuto a veder lo spettacolo.
I leoni, le tigri e i leopardi, che avevano lasciato a digiuno da parecchi giorni, corsero con lo stesso furore di un torrente d’acqua che cade dall’alto di una roccia, in un precipizio; ma, invece di divorarli, come tutti credevano, si videro all’improvviso queste bestie perdere completamente la loro ferocia naturale, gettarsi ai loro piedi, leccarli con rispetto, accarezzandoli con la coda, senza che nessuna di esse osasse toccarli.
Questo miracolo colpì talmente tutte quella moltitudine, che li si sentì gridare: «Sì, sì, solo il Dio dei cristiani è il vero Dio, e tutti i nostri dei non sono altro che divinità ingannevoli, che ci portano alla perdizione; mai i sacerdoti dei nostri idoli hanno fatto niente del genere».
Il governatore, sentendo questo mormorio, temette per se stesso, e ordinò di portare i martiri nella pubblica piazza, per tagliare loro la testa; ma, mentre li si conduceva, san Gennaro, passando davanti al governatore disse: «Signore, ascolta, ti prego, togli la vista a questo tiranno, affinchè egli non abbia il barbaro piacere di veder morire i vostri figli».
All’istante, il governatore perdette la vista.
Questo castigo così miracoloso gli fece riconoscere il potere di questo servo di Dio.
Subito, comandò di fermare l’esecuzione della sentenza che aveva emesso contro i santi martiri, ed essendosi fatto condurre il santo, gli disse con tono supplichevole: «Tu che adori il Dio Onnipotente, pregalo dunque per me, affinchè mi renda la vista di cui mi ha privato, in punizione dei miei peccati».
Poichè i santi non nutrono nè amarezza nè odio, per mostrare con un duplice miracolo, la potenza del vero Dio, quello fece una seconda preghiera a favore del governatore.
Essa fu così efficace come la prima.
Timoteo, recuperò la vista all’istante.
Questa meraviglia non fu inutile per la gloria di Dio, e per la salvezza delle anime; infatti, quasi cinquemila pagani, che ne furono testimoni, si convertirono lo stesso giorno; ma il governatore, che aveva ricevuto il miracolo, era così indurito, che lui stesso non si convertì.
Temendo che, se avesse risparmiato i martiri, sarebbe caduto in disgrazia presso l’imperatore, ordinò, segretamente, ai suoi ufficiali, di far morire il santo vescovo.
Mentre veniva condotto in piazza, per essere giustiziato, un buon vecchio gli chiese, dopo essersi gettato ai suoi piedi, qualcosa di lui, che gli sarebbe servita per conservarla molto rispettosamente.
Il santo, toccato dalla sua fede, gli disse: «Amico mio, non ho altro che il mio fazzoletto, che mi servirà per bendarmi gli occhi; stai certo che dopo l’avrai».
Coloro che lo sentivano parlare in tal modo, si misero a ridere, e, dopo aver messo a morte il santo, misero i piedi sul fazzoletto dicendo: «Vediamo se adesso darà il suo fazzoletto a quel vecchio a cui lo ha promesso».
Ma rimasero alquanto stupiti, allorchè, passando, videro quel vegliardo che teneva il fazzoletto tra le sue mani.
Nel momento in cui gli stavano per tagliare la testa, il santo aveva gridato: «Mio Dio, rimetto la mia anima nelle tue mani».
Ebbene, fratelli miei, ecco il mondo ed ecco Gesù Cristo; e cioè, coloro che hanno disprezzato il mondo per seguire unicamente Gesù Cristo con la sua croce; coloro che hanno veramente abbandonato il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri, per non ceracre nient’altro che il Cielo e la salvezza della loro anima!
Considerate bene, da quale parte vi volgereste, se il buon Dio vi ponesse in una prova simile a quella di san Gennaro e dei suoi compagni martiri?
Ahimè! mio Dio! come ce ne sarebbero pochi…poichè ce n’è ben pochi che non siano del mondo, e cioè che non amino affatto il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri.
E’ mai possibile che, sebbene il mondo non generi che degli infelici, sebbene prometta molto, senza mai dare ciò che promette, e sebbene siamo così infelici seguendolo, nonostante ciò, continuiamo ad amarlo?
Tutti si lamentano della sua perfidia, ma, malgrado ciò, cerchiamo ancora di piacergli, e, se non possiamo accontentarlo, vogliamo almeno donargli i nostri anni più belli, la nostra giovinezza e spesso la nostra salute, la nostra reputazione e perfino la nostra vita!
Ah! mondo sciagurato! fino a quando ci ingannerai, chiamandoci al tuo seguito, per sommergerci con tanti mali, per essere sempre infelici e mai felici?
O mio Dio! aprici tu, per favore, gli occhi dell’anima e conosceremo il nostro accecamento nel voler amare colui che non cerca altro che la nostra perdizione eterna!
Ma, per farvi comprendere ancora meglio quale dei due partiti vi convenga seguire, consideriamo questo mondo, come se fosse suddiviso in tre società: gli uni sono tutti del mondo, gli altri sono tutti del buon Dio, e questi altri vorrebbero appartenere al mondo, senza cessare di appartenere a Dio, cosa del tutto impossibile, come ora vi mostrerò.
Abbiamo detto, fratelli miei, che una parte, forse la più grande, appartiene completamente al mondo, e di questo numero fanno parte tutti coloro che sono contenti di aver soffocato ogni sentimento religioso, ogni pensiero dell’altra vita, che hanno fatto tutto ciò che hanno potuto, per cancellare il terribile pensiero del Giudizio che dovranno subire un giorno.
Essi impiegano tutta la loro scienza e spesso le loro ricchezze, per attirare quante più persone possono, sulla loro strada; essi non credono più a nulla, essi perfino si gloriano di essere più empi e più increduli di quanto non lo siano in realtà, per meglio convincere gli altri, e far loro credere, non dico le verità, ma le falsità che vorrebbero far nascere nel loro cuore.
Come Voltaire, il quale un giorno, durante una cena preparata per i suoi amici, e cioè per degli empi, si rallegrava perchè, fra tutti coloro che si trovavano là, nemmeno uno credeva nella religione.
Tuttavia egli stesso ci credeva, come dimostrò poi, nell’ora della morte.
Fu allora, infatti, che egli chiese con molta fretta un sacerdote per potersi riconciliare col buon Dio; ma fu troppo tardi per lui; il buon Dio, contro cui si era scatenato con tanto furore, aveva agito con lui come con Antioco: lo aveva abbandonato al furore dei demoni (Antioco, che spesso il curato cita, è il re seleucida di cui parlano i libri dei Maccabei; n.d.a..
Voltaire non ebbe altro, in quel terribile momento, che la disperazione dell’inferno, come sua porzione.
«L’empio, ci dice lo Spirito Santo, dice dentro di sè che non esiste alcun Dio», ma non è altro che la corruzione del suo cuore che lo porta a un tale eccesso, ma egli stesso non lo crede, nel fondo della sua anima.
Quella frase: «Dio c’è!», non potrà mai essere cancellata. Il più grande peccatore la pronuncerà spesso, anche senza pensarci; ma ora lasciamo da parte questi empi.
Fortunatamente, sebbene voi non siate così buoni cristiani, come dovreste essere, ringraziando Dio, non fate ancora parte di questo numero.
«Ma, mi direte voi, chi sono quelli che appartengono sia a Dio, sia al mondo?».
Fratelli miei, ecco. Io li paragono, se mi è permesso usare questo termine, a quei cani che corrono verso il primo che li chiama.
Seguiteli, fratelli miei, dalla mattina fino alla sera, dall’inizio dell’anno sino alla fine: queste persone non considerano la domenica che come un giorno di riposo e di divertimento; restano a letto più a lungo degli altri giorni della settimana, e, invece di donare i loro cuori al buon Dio, non lo pensano neppure.
Essi penseranno, gli uni ai loro piaceri, e alle persone che incontreranno; gli altri, al mercato che faranno o al denaro che dovranno dare o ricevere.
Si fanno appena un segno di croce, bene o male; sotto il pretesto che andranno in chiesa, non faranno alcuna preghiera, dicendo a se stessi: «Oh! avrò di certo il tempo per farla, prima della Messa».
Prima di partire per la Messa, hanno sempre da fare; avevano pensato di avere del tempo in più, per fare le loro preghiere, ma poi non si trovano neppure all’inizio della santa Messa.
Se incontrano un amico per strada, non fanno nessuna difficoltà a portarselo a casa, e a rimandare la Messa a un’altra volta.
Tuttavia, siccome ci tengono ancora ad apparire cristiani agli occhi del mondo, ci andranno ancora qualche volta, ma con un disgusto e una noia mortali.
Ecco il pensiero che li tiene occupati: «Mio Dio! quand’è che finirà?».
Li vedrete in chiesa, soprattutto durante l’istruzione, girare la testa da una parte e all’altra, chiedere al loro vicino che ora sia; altri sbadigliano e si stendono, girano le pagine del loro libro, come per esaminare se l’editore abbia commesso qualche errore; altri poi, li vedrete dormire come su un buon letto.
Il primo pensiero che viene loro in mente, non è di aver profanato un luogo così santo, ma: «Mio Dio, non finisce più!… Non ci ritorno più!…».
Altri infine, ai quali la Parola di Dio, che ha convertito tanti peccatori, fa venire il mal di cuore, si sentono obbligati ad uscire, dicono loro, per respirare un po’ d’aria, per non rischiare di morire; li vedrete tristi, infastiditi, durante gli uffici sacri; ma, non appena l’ufficio è terminato, e perfino mentre ancora il sacerdote non è sceso dall’altare, si accalcano alla porta per vedere chi uscirà per primo; allora vedrete rinascere in loro quella gioia che durante l’ufficio avevano perso completamente.
Sono così stanchi che, spesso, essi non hanno più il coraggo di ritornare per i Vespri.
Se si domanda loro perchè non vadano ai Vespri: «Ah! rispondono, non possiamo stare tutto il giorno in chiesa; abbiamo altro da fare!».
Queste persone non badano affatto nè al catechismo, nè al rosario, nè alla preghiera della sera: tutto ciò è considerato un nulla da essi.
Se gli si domanda che cosa si sia detto all’istruzione: «Ah! vi risponderanno, si è urlato molto!… (segno che l’esile e minuto curato d’Ars, quando era il caso, sapeva anche urlare; n.d.a.). Ci ha molto annoiati!… non mi ricordo proprio nulla!… Se non fosse così lungo, ci si ricorderebbe meglio; Ecco perchè “il mondo” è disgustato dall’andare agli uffici sacri: è perchè è troppo lungo!…» (ecco come veniva giudicato il curato da molti suoi parrocchiani; ma, purtroppo il vero problema non è la lunghezza delle omelie, che nel suo caso, occorre ammetterlo, duravano parecchio, molto più di un’ora; ma in realtà, anche oggi, quando tutta la celebrazione si riduce a un’ora al massimo, o poco più, la fenomenologia dei cosiddetti praticanti è, nella maggior parte dei casi, dello stesso tipo; n.d.a.).
Avete ragione di dire “il mondo”, poichè queste persone sono del numero di coloro che appartengono al mondo, senza neppure saperlo.
Ma, avanti, cerchiamo di far comprendere loro meglio come stiano le cose, ammesso che vogliano capire; ma siccome sono tanto sordi e ciechi, è molto difficile far loro comprendere le Parole di vita, ed essendo ciechi, sarà anche molto disagevole fargli comprendere lo stato disgraziato in cui si trovano.
Anzitutto, nella loro casa, non se ne parla nemmeno di dire il “Benedicite”, prima dei pasti, nè l’azione di grazie dopo, nè il loro “Angelus”.
Se, per un’antica abitudine, lo fanno, e se vi capita di esserne testimoni, vi faranno venire il mal di cuore: le donne lo dicono mentre lavorano, urlando dietro ai loro figli o ai loro domestici; gli uomini lo dicono, girando e rigirando il loro cappello o il loro berretto tra le mani, come per esaminare se ci sono dei fori; essi si preoccupano tanto del buon Dio, come se credessero che in realtà non esista nessun Dio, e che fanno ciò che stanno facendo, tanto per ridere.
Essi non si fanno nessuno scrupolo di vendere o di comprare, nel santo giorno di Domenica, sebbene sappiano molto bene, o almeno dovrebbero sapere che una compravendita notevole, fatta di domenica, senza una vera necessità, è un peccato mortale.
Ma questa gente considera tutte queste cose come se fossero niente. Essi andranno, in questo santo giorno, in una parrocchia, per prendere in prestito dei domestici; e, se gli si dice che fanno male: «Ah! vi rispondono, bisogna andare quando li si può trovare».
Essi non hanno nessuna difficoltà ad andare a pagare le loro imposte di domenica, perchè, in settimana, bisognerebbe andare un po’ più lontano, e spendere qualche minuto in più.
«Ah! mi direte voi, noi non facciamo attenzione a tutto questo».
Non fai attenzione a tutto questo, amico mio? Non ne sono affatto stupito, perchè tu appartieni al mondo.
Sapete, fratelli miei, che cosa sono queste persone?
Sono persone che non hanno ancora perso la fede, e alle quali resta ancora qualche attaccamento al servizio di Dio, che non vorrebbero mollare tutto, poichè esse stesse biasimano coloro che non frequentano gli uffici; tuttavia non hanno abbastanza coraggio per rompere con il mondo, e per schierarsi decisamente dalla parte del buon Dio.
Tali persone non vorrebbero dannarsi, ma non vorrebbero neppure avere troppi fastidi; sperano di potersi salvare, senza doversi fare troppa violenza; pensano che, essendo il buon Dio tanto buono, non li ha certo creati per farli perdere, e che li perdonerà ugualmente; dicono che arriverà il tempo in cui si doneranno al buon Dio, che si correggeranno, che abbandoneranno le loro cattive abitudini.
Se, in qualche momento di riflessione, si mettono, appena un po’, la loro povera vita davanti agli occhi, ne gemono, e qualche volta perfino verseranno delle lacrime.
Ahimè! fratelli miei, quale triste vita conducono coloro che vorrebbero appartenere al mondo, senza cessare di appartenere a Dio!
Procediamo un po’ di più, e potrete comprenderlo ancora meglio, vedrete come la loro vita è perfino ridicola.
Un momento, li sentirete pregare il buon Dio, o fare un atto di contrizione, e in un altro momento li sentirete bestemmiare, forse anche il santo Nome di Dio, se le cose non vanno come essi vorrebbero.
Questa mattina li avete visti, alla santa Messa, cantare o ascoltare le lodi di Dio, e, nello stesso giorno, li vedrete nutrire i propositi più infami.
Le stesse mani che hanno preso dell’acqua benedetta, chiedendo a Dio di purificarli dai loro peccati, un istante dopo le stesse mani sono adoperate per fare dei toccamenti osceni su se stessi o, forse, perfino sugli altri.
Gli stessi occhi che, questa mattina, hanno avuto la grande fortuna di contemplare Gesù Cristo stesso nella santa Ostia, nel corso del giorno si porteranno volontariamente sugli oggetti più disonesti, e ciò faranno con grande piacere.
Ieri avete visto quest’uomo fare la carità al suo prossimo, o rendergli un servizio, oggi, egli cercherà di ingannarlo, se può ricavarne un profitto.
Appena un minuto fa, questa madre augurava ogni sorta di benedizioni ai suoi figli, e adesso che l’hanno contrariata, li sommerge con ogni sorta di maledizioni: vorrebbe non averli mai visti, vorrebbe esserne tanto lontana quanto ne è vicina (un modo di dire del gergo popolare dell’epoca; n.d.a.); ella finisce per mandarli al diavolo, pur di sbarazzarsene.
In un momento, ella manda i suoi figli alla santa Messa o a confessarsi; in un altro momento, li manderà a danzare, o, almeno, farà finta di non accorgersene, oppure glielo proibirà ridendo, che equivale a dire: «Vai pure».
Una volta raccomanderà a sua figlia di essere molto riservata, di non frequentare le cattive compagnie, e un’altra volta, accetterà che quella trascorra le ore intere con dei giovani, senza dirle nulla.
Ma vattene, mia povera madre, tu appartieni al mondo; tu ti illudi di appartenere a Dio, per qualche pratica esteriore di religione che fai. Ma ti sbagli: tu sei nel numero di coloro ai quali Gesù Cristo dice: «Guai al mondo!».
Guardatele, queste persone che credono di appartenere a Dio, ma che invece sono del mondo: esse non si fanno scrupolo di rubare al loro vicino, ora la legna, ora qualche frutto e mille altre cose; finchè sono lodate nelle loro azioni, che compiono per riguardo alla religione, allora hanno piacere a farle, mostrano molta premura, sono pronte a dare dei consigli agli altri; ma, non appena sono calunniate, allora le vedrete scoraggiarsi, tormentarsi perchè le si tratta in tal modo; ieri esse volevano solo bene, a coloro che fanno loro del male, ma oggi non possono più sopportarli, e spesso, nemmeno vederli o parlargli.
Povero mondo! quanto sei disgraziato! ma vai per la tua strada, vai via; tu non puoi sperare altro che l’inferno!
Vi sono altri, poi, che vorrebbero anche frequentare i sacramenti, almeno una volta all’anno; ma, per fare ciò, ci vorrenne un confessore di manica larga, essi vorrebbero unicamente… ed ecco tutto.
Se il confessore non li vede abbastanza ben disposti, e rifiuta loro l’assoluzione, ecco che si scatenano contro di lui, dicendo tutto ciò che possa giustificarli per il fatto che non abbiano completato la loro confessione; ne parleranno male; essi sanno bene perchè restano non assolti, ma poichè sanno anche che il confessore non può accordare loro nulla, allora si accontentano dicendo tutto ciò che vogliono (il pensiero non è molto chiaro; n.d.a.).
Ma vai via, mondo! Vai per la tua strada, giorno verrà che vedrai ciò che non hai voluto mai vedere!…
«Bisognerebbe che potessimo dividere in due il nostro cuore!».
Ma no, amico mio, o tutto di Dio o tutto del mondo.
Vuoi frequentare i sacramenti? Ebbene, abbandona i giochi, le danze e i cabarets.
Invece tu avresti il coraggio di venire oggi a presentarti al tribunale della Penitenza, o a sederti alla santa Tavola, per mangiare il pane degli angeli, e, fra tre o quattro settimane, o forse anche meno, ti si vedrà passare la notte fra gli ubriachi che rigurgitano di vino, e, ancor più, compiere gli atti più infami contro la purezza.
Vai via, mondo, vai via! ben presto ti ritroverai all’inferno, dove ti verrà insegnato che cosa avresti dovuto fare per andare in quel Cielo, che hai perduto per colpa tua!
No, fratelli miei, non inganniamo noi stessi: bisogna, per assoluta necessità, sacrificare il mondo a Gesù Cristo, ossia fare a Gesù Cristo il sacrificio di tutto ciò che abbiamo di più caro su questa terra.
Ma che cosa può mai darvi il mondo, che possa reggere il paragone con quello che Gesù Cristo ci promette nel Cielo?
D’altronde, fratelli miei, fra tutti coloro che si sono attaccati al mondo, che non hanno fatto altro che appagare la loro inclinazione brutale e corrotta, non ce n’è uno solo che non si senta raggirato come uno stupido, e che, nell’ora della morte non si penta di averlo amato.
Sì, fratelli miei, è allora che sentiremo la vanità e la fragilità di queste cose, e la sentiremmo anche da questo momento, se volessimo gettare un colpo d’occhio sulla nostra vita passata.
Allora vedremmo che la vita è ben poca cosa.
Ditemi, fratelli miei, voi ai quali gli anni cominciano a far curvare la testa sulle spalle; durante la vostra giovinezza correvate dietro ai piaceri del mondo, e vi sembrava di non potervene mai saziare; avete trascorso molti anni a non cercare altro che i vostri piaceri; le danze, i giochi, i cabarets, e la vanità, costituivano tutta la vostra occupazione; avete rimandato sempre più in là il vostro ritorno a Dio.
Quando avete raggiunto un’età più avanzata, avete pensato di ammucchiare dei beni.
E ora eccovi giunti alla vecchiaia, senza che abbiate fatto ancora nulla per la vostra salvezza.
Ora che vi siete disillusi delle follie della giovinezza; ora che avete lavorato per ammassare qualcosa, pensate che adesso starete meglio.
Ma non lo credo proprio, amico mio. Le infermità della vecchiaia che stanno per abbattersi su di te, i tuoi figli che, forse, ti disprezzeranno; tutto ciò sarà un nuovo ostacolo per la tua salvezza.
Avevi creduto di appartenere a Dio, e ti ritrovi ad appartenere al mondo, e cioè a far parte di quelli che sono sia di Dio che del mondo, e che finiscono per ricevere solo la ricompensa del mondo.
«Guai al mondo!»
Vai via, mondo, segui il tuo padrone, come lo hai seguito finora. Tu vedi bene che ti sei ingannato seguendo il mondo; ebbene, fratelli miei, forse che diventerete più saggi?
No, fratelli miei, no.
Se una persona ci inganna una volta, noi diciamo: non ci fidiamo più di lei; e abbiamo ben ragione; ma se il mondo ci inganna continuamente, noi tuttavia continuiamo ad amarlo.
«Guardatevi bene, ci dice san Giovanni, dall’amare il mondo e dall’attaccarvi a qualunque cosa del mondo» (1 Giovanni 2,15).
«E’ invano, ci dice il profeta, che porteremo la luce a questa gente; sono stati ingannati, e lo saranno ancora; non apriranno gli occhi, se non quando non avranno più speranza di ritornare a Dio».
Ah! fratelli miei, se riflettessimo bene su che cosa sia il mondo, trascorreremmo la nostra vita a ricevere il suo addio, e a rivolgergli il nostro.
All’età di quindici anni abbiamo detto addio ai divertimenti dell’infanzia, li abbiamo considerato come delle baggianate, un correre dietro alle mosche, come fanno i fanciulli che costruiscono per loro delle case di carta o di legno.
A trent’anni, avete cominciato a dire addio ai piaceri ardenti di una giovinezza focosa; ciò che vi piaceva tanto a quel tempo, comincia già ad annoiarvi.
Per meglio dire, fratelli miei, ogni giorno diciamo addio al mondo; facciamo come un viaggiatore che gioisce della bellezza dei paesi per dove passa, e che, non appena li vede, già li deve abbandonare; accade lo stesso con i beni e i piaceri ai quali siamo tanto attaccati.
Infine, arriviamo sulla soglia dell’eternità, che inghiottisce tutto nei suoi abissi.
Ah! è allora, fratelli miei, che il mondo scomparirà per sempre dai nostri occhi, e che noi riconosceremo la nostra follia per esserci attaccati ad esso.
E tutto quello che ci è stato detto sul peccato!…
Tutto ciò era dunque del tutto vero, diremo allora.
Ahimè! io non sono vissuto che per il mondo; non ho cercato altro che il mondo, in tutto ciò che ho fatto, e ora i beni e i piaceri del mondo non sono più nulla per me! tutto mi sfugge di mano! quel mondo che ho tanto amato, quei beni e quei piaceri, che hanno occupato tanto il mio cuore e il mio spirito!…
Bisogna adesso che io ritorni al mio Dio!…
Ah! fratelli miei, com’è consolante questo pensiero per colui che non ha cercato altro che Dio solo durante la vita! ma com’è disperante per colui che ha perso di vista il suo Dio e la salvezza della propria anima!
No, no, fratelli miei, non inganniamo noi stessi, fuggiamo, oppure ci metteremo in un grande pericolo di perderci.
Tutti i santi hanno fuggito, disprezzato e abbandonato il mondo, per tutta la loro vita.
Quelli di loro che sono stati obbligati a restarci, sono vissuti come se non vi fossero affatto.
Quanti grandi del mondo lo hanno abbandonato, per andare a vivere nella solitudine! guardate un sant’Arsenio. Colpito da questo pensiero: che è molto difficile salvarsi restando nel mondo, egli abbandona la corte dell’imperatore, e va a passare la vita nelle foreste, per piangervi i suoi peccati e per farvi penitenza.
Sì, fratelli miei, se non fuggiamo il mondo, almeno per quanto ci sarà possibile, non potremo far altro che perderci con il mondo, a meno di un grande miracolo.
Eccovi un bell’esempio, molto idoneo per farcelo comprendere.
Leggiamo nella Sacra Scrittura che Giosafat, re di Giuda, fece alleanza con Acab, re d’Israele.
Lo Spirito Santo ci dice che il primo, cioè Giosafat, era un santo re; ma ci dice anche che il secondo, cioè Acab, era un empio.
Tuttavia Giosafat acconsentì ad andare con Acab per combattere contro i siriani.
Prima di partire volle vedere un profeta del Signore, per chiedergli come sarebbe andato il combattimento.
Acab gli disse: «Abbiamo qui un certo profeta del Signore, ma non ci predice che disgrazie».
«Ebbene, gli risponde Giosafat, fallo venire, e lo consulteremo».
Quando il profeta fu davanti al re, Giosafat gli chiese se bisognasse andare a combattere contro i nemici, oppure no.
Il profeta Acab si affretta a dirgli che tutti gli altri profeti lo hanno assicurato sulla vittoria.
«Sì, gli dice il profeta del Signore, andate principi, attaccherete i vostri nemici, li batterete e ritornerete vittoriosi e carichi delle loro ricchezze».
Ma il re Giosafat si accorse che non era ciò che il profeta pensava veramente, e gli chiese di dire solo ciò che il Signore gli ispirava.
Allora il profeta, assumendo il tono del profeta del Signore, disse: «Viva il Signore, alla cui Presenza io sto! Ecco ciò che il Signore, il Dio d’Israele, mi ha comandato di dirvi: Attaccherete battaglia, ma sarete vinti. Il re Acab morirà, e la sua armata sarà messa in fuga, e ciascuno ritornerà a casa sua senza un capo».
Il re Acab disse all’altro: «Te l’avevo detto che questo profeta non annuncia altro che disgrazie». E lo fece mettere in prigione, per punirlo al suo ritorno.
Ma il profeta si sconvolse ben poco per questa minaccia, perchè sapeva bene che il re non sarebbe ritornato, ma che sarebbe perito.
Avendo attaccato battaglia, Acab, vedendo che il grosso dell’armata si scagliava su di lui, si cambiò d’abito. Così scambiarono il re Giosafat per Acab, al quale soltanto volevano nuocere.
Vedendosi (Giosafat) sul punto di essere trafitto dai nemici: «Ah! Signore , Dio d’Israele, gridò, abbi pietà di me!». Allora il Signore lo soccorse e allontanò da lui i suoi nemici.
Ma gli inviò il suo profeta per rimproverarlo perchè aveva voluto essere complice di quel re empio: «Avresti meritato di morire con lui, ma poichè il Signore ha guardato alle tue buone opere, ti ha conservato in vita, e avrai la fortuna di ritornare nelle tua città».
Acab, invece, morì nel combattimento, come il profeta gli aveva predetto, prima della sua partenza (l’intero racconto è in 1 Re,22).
Ecco, fratelli miei, cosa significa frequentare il mondo; questo ci dimostra che dobbiamo necessariamente fuggire il mondo, se vogliamo evitare di perire insieme a lui (nell’esempio biblico di Giosafat e di Acab, il curato vede rappresentato il rapporto del giusto con il mondo; n.d.a.).
Frequentando la gente del mondo, noi assorbiamo lo spirito del mondo, e perdiamo lo Spirito di Dio: e facendo ciò, siamo trascinati in un abisso di peccato, quasi senza accorgercene, come ci mostra il bell’esempio della storia (altro che “assorbire l’odore delle pecore”: quella è un’operazione pastorale giustissima ma delicatissima; solo uomini veramente e totalmente di Dio, possono riuscire a gestirla senza combinare disastri sia per sè che per gli altri; ma questo ci si dimentica di sottolinearlo; n.d.a.).
Sant’Agostino ci racconta che aveva per amico un giovane, che viveva perfettamente bene. Egli seguiva il suo percorso, nel modo migliore possibile per un giovane.
Un giorno, che alcuni dei suoi compagni di studi erano usciti con lui dopo cena, questi ultimi, seccati per il fatto che quello non si comportava come loro, provarono a trascinarlo nell’anfiteatro. Era un giono in cui si facevano sgozzare alcuni uomini da altri uomini.
Poichè quel giovane aveva un orrore estremo per certe curiosità, dapprima resistette con tutte le sue forze; ma i suoi compagni usarono tante lusinghe e tante violenze, che, questa volta lo trascinarono, per così dire, suo malgrado.
Egli disse loro: «Voi potete pure trascinare il mio corpo e piazzarlo tra voi nell’anfiteatro, ma non potete disporre del mio spirito, nè dei miei occhi, che, sicuramente, non parteciperanno mai a uno spettacolo così orribile. Perciò vi assisterò, come se non ci fossi, e così vi accontenterò, ma senza prendervi parte».
Ma Alipo, aveva un bel dire, essi lo trascinarono, e, mentre tutto l’anfiteatro era in balia di quei barbari piaceri, il giovane impediva al suo cuore di prendervi parte, e ai suoi occhi di guardare, tenendoli chiusi.
Ah! piacesse a Dio che egli si fosse anche tappate le orecchie, poichè, rimasto colpito da un forte grido che si era fatto sentire, la curiosità lo vinse: volendo vedere cosa fosse stato, aprì gli occhi, e questo bastò per perderlo.
Più guardava, più il suo cuore provava piacere; in seguito arrivò al punto che, ben lungi dal farsi pregare per andarvi, era lui stesso che trascinava gli altri.
«Ahimè! mio Dio! grida sant’Agostino, chi potrebbe sottrarlo a questo abisso? Nient’altro che un miracolo della grazia di Dio».
Concludo, fratelli miei, dicendo che, se non fuggiamo il mondo con i suoi piaceri, se non viviamo nel nascondimento, quanto meglio possiamo, noi ci perderemo e saremo dannati.
Ma, purtroppo, la via più comoda sembra essere quella di appartenere sia al mondo che a Dio, e cioè, fare qualche pratica di pietà, e seguire l’andazzo del mondo: i giochi, le danze, i cabarets; lavorare di domenica, coltivare quell’odio, quelle vendette, quei risentimenti, sottolineare quei piccoli torti.
Ma, per appartenere del tutto a Dio, dovete aspettarvi di venire disprezzati e rifiutati dal mondo.
Felice, fratelli miei, colui che apparterrà a questo numero, e che camminerà con coraggio alla sequela del suo Maestro, portando la sua croce; poichè non vi è altro modo che questo, per poter ottenere la grande felicità di arrivare in Cielo!
E’ quello che vi auguro…
(quanto bisogno avrebbe il mondo e la Chiesa di oggi, di un curato d’Ars, o, almeno, di ascoltare il suo messaggio, profuso con abbondanza nelle sue omelie; solo così potremmo evitare di lasciarci abbindolare da tanti “falsi maestri falsi cristi” – Marco 13,21-23 – ad ogni livello della famosa scala…; n.d.a.).
fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com