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Le omelie del S. Curato d’Ars: il pensiero della morte

labuonamorte

«Quando Gesù si trovava presso la porta della città di Nain, vide che veniva portato alla tomba il figlio unico di una madre che era vedova»
(Luca 7,12)

No, fratelli miei, non c’è nulla che sia più capace di distaccarci dalla vita e dai piaceri del mondo, e indurci ad occuparci di quel momento terribile, che deve decidere per tutta l’eternità, della vista di un cadavere che viene condotto nella tomba.

E’ per questo che la Chiesa, che è sempre attenta e preoccupata di fornirci tutti i mezzi più capaci di farci lavorare alla nostra salvezza, ci mette sotto gli occhi, tre volte l’anno, il ricordo di quei morti che Gesù Cristo risuscitò (la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro; n.d.a.).
In tal modo ci costringe, in certo senso, ad occuparcene, per prepararci a quel viaggio.

In un punto del Vangelo, ci viene presentata una giovane, di soli dodici anni, e cioè di un’età in cui si comincia appena a gioire di qualche piacere.
Sebbene fosse figlia unica, molto ricca, e teneramente amata dai suoi genitori, malgrado ciò, tuttavia la morte la coglie e la fa sparire per sempre dagli occhi dei vivi (Marco 5, la figlia di Giairo; n.d.a.).

In un altro passo, vediamo un giovane di circa venticinque anni, che era nel fiore dell’età, il solo appoggio e la sola consolazione di una madre vedova; tuttavia, nè le lacrime, nè la tenerazza di questa madre desolata, possono impedire che la morte, quest’impietosa morte, ne faccia la sua preda (il figlio della vedova di Nain; n.d.a.).

In un’altra parte del Vangelo, vediamo un altro giovane, di nome Lazzaro (Giovanni 11).
Egli fungeva da padre alle sue due sorelle, Marta e la Maddalena (Maria di Betania, erroneamente confusa con Maria di Magdala; n.d.a.); a noi sembra che la morte avrebbe dovuto avere riguardo almeno a quest’ultimo; ma no, questa morte crudele lo falcia, e lo conduce alla tomba, per farne la pastura dei vermi.

Ci fu bisogno che Gesù Cristo facesse tre miracoli per rendere loro la vita.
Apriamo gli occhi, fratelli miei, e contempliamo un istante questo spettacolo commovente, che ci mostrterà, nella maniera più forte, la caducità della vita, e la necessità di distaccarcene, prima che questa morte inesorabile, ci rapisca, nostro malgrado.

«Giovane o vecchio, diceva il santo re Davide, io penserò spesso che dovrò morire un giorno, e mi ci preparerò di buonora».
Per stimolarvi a fare lo stesso, vi mostrerò come il pensiero della morte sia necessario per farci distaccare dalla vita e per farci attaccare a Dio solo.

Noi vediamo, fratelli miei, che malgrado il livello di empietà e d’incredulità a cui gli uomini sono pervenuti, nel secolo sciagurato nel quale viviamo, essi tuttavia non hanno ancora osato negare la certezza della morte; ma solo fanno tutto ciò che possono per bandirne il pensiero, come un vicino che potesse inquietarli nei loro piaceri, e turbarli nei loro bagordi.
Ma al contrario, vediamo nel Vangelo, che Nostro Signore Gesù Cristo non vuole che perdiamo mai di vista il pensiero della nostra dipartita da questo mondo, per l’eternità.

Per farci meglio comprendere che possiamo morire a ogni età, vediamo che Egli non risuscita nè bambini, che sono ancora insensibili ai piaceri della vita, nè vecchi decrepiti che, malgrado il loro attaccamento alla terra, non possono dubitare che la lor partenza non è molto lontana.
Ma egli risuscita coloro che si trovano in una età nella quale noi dimentichiamo più ordinariamente questo pensiero salutare: e cioè, dai dodici ai quarant’anni circa.
Infatti, dopo i quarant’anni, la morte sembra seguirci rapidamente (l’aspettativa media di vita, fino agli albori del novecento, erano proprio i quarant’anni; n.d.a.); perdiamo ogni giorno qualcosa, che ci annuncia che dobbiamo ben presto uscire da questo mondo; sentiamo ogni giorno diminuire le nostre forze, vediamo i nostri capelli imbiancarsi, la nostra testa divenire calva, i nostri denti cadere, la nostra vista indebolirsi: tutte queste cose ci dicono addio per sempre, e noi stessi confessiamo di non essere più quelli di una volta.

No, fratelli miei, nessuno ha il minimo dubbio su questo.
Sì, fratelli miei, è certo che verrà un giorno in cui non saremo più nel numero dei viventi, e che non si penserà più a noi, come se non fossimo mai esistiti.

Guardate dunque questa giovane mondana, che si è presa tanta cura e tanta pena per apparire agli occhi del mondo: eccola ridotta a un po’ di polvere, calpestata dai piedi dei passanti.

Guardate quest’orgoglioso, che faceva tanto caso al suo spirito, alle sue ricchezze, alle sue credenziali e alla sua carica, eccolo condotto in una tomba, divorato dai vermi, e posto nell’oblio fino alla fine del mondo, e cioè fino alla risurrezione generale, allorchè lo rivedremo insieme a tutto ciò che avrà combinato durante la sua vita disgraziata.

Ma voi forse mi domanderete che cosa sia questo momento della morte, che dovrebbe tanto tenerci occupati, e che è tanto capace di convertirci.

E’, fratelli miei, un istante che, poco sensibile nella sua durata, ci è poco conosciuto, e che, tuttavia, è sufficiente a farci operare il garnde passaggio da questo mondo all’eternità.

Momento meraviglioso, di per se stesso, fratelli miei, in cui tutto ciò che è nel mondo, muore per l’uomo e in cui l’uomo, nello stesso tempo, muore per tutto ciò che gli appartiene sulla terra.

Momento terribile, fratelli miei, in cui l’anima, malgrado l’unione così intima che ella ha con il suo corpo, ne è distaccata per la violenza della malattia; dopo di che, l’uomo, essendo spogliato di tutto, non lascia agli occhi del mondo che una figura orrenda di se stesso: degli occhi spenti, una bocca muta, delle mani inattive, dei piedi senza movimento, un volto sfigurato, un corpo che comincia a corrompersi e che non è più altro che oggetto di orrore.

Momento impietoso, fratelli miei, in cui i più potenti e i più ricchi perdono tutte le loro ricchezze e la loro gloria, e non possiedono nient’altro, come loro eredità, se non la polvere della tomba.

Momento molto umiliante, fratelli miei, in cui il più grande viene confuso con il più miserabole della terra. Tutto è confuso ormai: niente più onori, niente più distinzioni, tutti sono posti allo stesso livello ( la “livella” di Totò; n.d.a.).

Ma è un momento più terribile ancora, fratelli miei, per ciò che gli seguirà, più che per la sua presenza attuale, poichè gli si prospettano delle perdite irreparabili.
«L’uomo, ci dice lo Spirito Santo, parlando del morente, andrà nella casa della sua eternità».

Momento breve, è vero, fratelli miei, ma molto decisivo; dopo di esso il peccatore non può più sperare misericordia, nè il giusto ha più dei meriti da acquisire.

Momento il cui il pensiero ha riempito i monasteri di tanti grandi del mondo, che hanno lasciato tutto per non pensare ad altro che a quel terribile passaggio da questo mondo all’altro.
Momento, fratelli miei, il cui pensiero ha popolato i deserti di tanti santi, che non hanno smesso di dedicarsi a tutti i rigori della penitenza, che il loro amore verso il buon Dio ha potuto ispirare loro.
Momento terribile, fratelli miei, ma molto breve, che, tuttavia, deciderà per una intera eternità.

Come conseguenza di ciò che abbiamo detto, com’è possibile che noi non ci pensiamo mai, o, perlomeno, che ci pensiamo in una maniera così flebile?
Ahimè! fratelli miei, quante anime bruciano attualmente all’inferno, per aver ignorato questo pensiero salutare!

Lasciamo, fratelli miei, lasciamo da parte un po’ il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri, per occuparci di questo terribile momento.
Imitiamo i santi, fratelli miei, che ne facevano la loro principale occupazione; lasciamo che perisca ciò che perisce col tempo, dedichiamo le nostre cure a ciò che è eterno e permanente.
Sì, fratelli miei, nulla è più capace di distaccarci da una vita di peccato, e di far tremare i re sui loro troni, i giudici, e i libertini nel mezzo dei loro piaceri, come il pensiero della morte.
Eccovi un esempio, fratelli miei, che vi mostrerà che niente può resistere a questo pensiero ben meditato.

San Gregorio ci racconta che un giovane, alla cui salvezza dell’anima egli si interessava molto, aveva concepito una tale passione per una giovane, che, quando quella morì, non riusciva più a consolarsi.
San Gregorio, papa, dopo molte preghiere e penitenze, andò a trovare quel giovane: «Amico mio, gli disse, vieni con me, e vedrai ancora una volta colei che ti fa emettere tanti sospiri, e versare tante lacrime».

Prendendolo per mano, lo condusse alla tomba di quella giovane. Dopo che ebbe fatta sollevare la lastra che copriva il suo corpo, quel giovane, vedendo un corpo così orribile, così puzzolente, così pieno di vermi, che non era altro, ormai, che un ammasso di corruzione, fu colmo di orrore: «No, no, amico mio, gli dice san Gregorio, avanza, e sostieni per un istante la vista di questo spettacolo che la morte ti presenta. Guarda, amico mio, considera che cosa sia divenuta quella bellezza peritura, alla quale tu eri perdutamente attaccato.
Vedi questa testa tutta scarnita, questi occhi spenti, queste ossa livide, quest’ammasso orribile di cenere, di marciume e di vermi?
Ecco, amico mio, l’oggetto della tua passione, per il quale hai emesso tanti sospiri, e hai sacrificato la tua anima, la tua salute, il tuo Dio e la tua eternità».

Queste parole così toccanti, questo spettacolo così orribile, fecero un’impressione così viva sul cuore di quel giovane, che egli, riconoscendo da quel momento il nulla di questo mondo, e la fragilità di ogni bellezza peritura, rinunciò subito a tutte le vanità della terra, e non pensò più ad altro se non a prepararsi a ben morire, ritirandosi dal mondo, per andare a trascorrere la sua vita in monastero, piangervi per il resto dei suoi giorni gli errori della sua giovinezza, e morire come un santo.
Quale fortuna, fratelli miei, per quest’uomo! Facciamo anche noi così, fratelli miei, poichè non c’è nulla che sia più capace di farci distaccare dalla vita terrena, e farci decidere di abbandonare il peccato, di questo felice pensiero della morte.

Ah! fratelli miei, al momento della morte, come si vedono le cose ben diversamente, che durante la vita! Eccovene un bell’esempio.
Si racconta nella storia, che una signora possedeva tutte le qualità capaci di piacere al mondo, del quale ella gustava tutti i piaceri.
Ahimè! fratelli miei, questo non le impedì di arrivare, come tutti gli altri, ai suoi ultimi momenti, e molto più presto di come avrebbe voluto.

All’inizio della sua malattia, le si nascose il pericolo in cui si trovava, come sì fa fin troppo spesso con i poveri malati.
Tuttavia il male faceva ogni giorno nuovi progressi; allora bisognò avvertirla che doveva cominciare a pensare alla sua partenza per l’eternità.
Allora le toccò fare ciò che ella non aveva mai fatto, e pensare ciò che non aveva mai pensato; ella ne rimase estremamente inorridita.
«Io non credo, disse a coloro che le davano quella notizia, che la mia malattia sia pericolosa; ho ancora del tempo»; ma le si dava fretta, dicendo che il medico la trovava in forte pericolo.
Ma ella piange, si lamenta di dover lasciare la vita, in un tempo in cui poteva ancora gioire dei suoi piaceri.
Ma, mentre piange, le si fa presente che nessuno è immortale, e che se fosse sfuggita a questa malattia, un’altra l’avrebbe potuta colpire, e che tutto ciò che le restava da fare, era di mettere ordine nella sua coscienza, affinchè potesse comparire con fiducia davanti al tribunale di Dio.
Poco alla volta ella rientrò in se stessa, ed essendo molto istruita, fu ben presto convinta di ciò; le sue lacrime si rivolsero verso i suoi peccati; ella domandò un confessore per fargli la confessione delle sue colpe, che avrebbe voluto non aver mai commesso.
Ella stessa fa il sacrificio della sua vita; confessa le sue colpe con grande dolore, e con abbondanza di lacrime; prega le sue compagne o le sue amiche, di venire a visitarla, prima di uscire da questo mondo, cosa che esse fecero con molta sollecitudine.
Quando esse furono attorno al suo letto, ella disse piangendo: «Mie care amiche, voi vedete in quale stato mi trovo; dovrò andare a comparire davanti a Gesù Cristo, per rendergli conto di tutte le azioni della mia vita; voi stesse sapete come io abbia servito male il buon Dio, e quanto io debba temere; tuttavia mi abbandono alla sua Misericordia. L’unico consiglio che vi voglio dare, mie buone amiche è di non aspettare, per fare il bene, questo momento nel quale non si può più fare nulla, e in cui, malgrado le lacrime e il pentimento, si è in un pericolo così grande di essere perduti per l’eternità.
E’ l’ultima volta che vi vedo; vi scongiuro, non perdete nemmeno un istante del tempo che il buon Dio vi dà, e che ora io non ho più.
Addio, amiche mie! io parto per l’eternità; non mi dimenticate nelle vostre preghiere, affinchè, se avrò la fortuna di essere perdonata, voi mi aiutiate a uscire dal purgatorio».
Tutte le sue compagne, che non si aspettavano affatto un tale discorso, si ritirarono versando lacrime, e ricolme di un grande desiderio di non aspettare quel momento in cui avremo tanti rimpianti, per aver perduto un tempo così prezioso.

Oh! fratelli miei, come saremmo felici se il pensiero della morte e la presenza di un cadavere, ci facessero la stessa impressione, e operassero in noi lo stesso cambiamento!
Tuttavia, abbiamo anche noi un’anima da salvare, come quelle persone, che si convertirono alla vista di quella giovane signora che stava morendo; e, in più, noi potremo avere le stesse grazie, se vorremo approfittarne.

Ahimè! mio Dio, perchè attaccarsi così fortemente alla vita, dal momento che non esistiamo che per un istante, dopo il quale, lasciamo tutto, per non portare con noi nient’altro se non il bene o il male che abbiamo fatto?…

Perchè, fratelli miei, ci attacchiamo così poco al buon Dio, che costituisce, già da questo mondo, la nostra felicità, per poi continuare per tutta l’eternità?

Come potremmo attaccarci ai beni e ai piaceri di questo mondo, se avessimo queste parole ben impresse nei nostri cuori: «Veniamo al mondo nudi, e nudi ne usciremo»? (Giobbe 1,21).

Infatti noi sappiamo e vediamo tutti i giorni che il più ricco non porta con sè più del più povero.
Il grande Saladino lo riconobbe bene, prima di morire, lui che aveva fatto tremare l’universo per la grandezza delle sue vittorie.
Vdendosi prossimo alla morte, riconoscendo allora, più che mai, la nullità delle grandezze umane, comandò a colui che marciava di solito davanti a lui, portando il suo stendardo, di prendere un pezzo del drappo in cui doveva essere avvolto, di metterlo sulla punta di un paletto, e di camminare per la città gridando più forte che potesse: «Ecco ciò che il grande Saladino, vincitore dell’oriente e padrone dell’occidente, porta via con sè, di tutti i suoi tesori e di tutte le sue vittorie: un sudario».

Oh! mio Dio! come saremmo saggi, se questo pensiero non ci abbandonasse mai!

Infatti, fratelli miei, se quell’avaro, nel momeno in cui non risparmia nè ingiustizie, nè inganni, per ammassare dei beni, pensasse che, fra un po’ di tempo, dovrà lasciare tutto, potrebbe mai attaccarsi così fortemente a degli oggetti, che lo porteranno a perdersi per tutta l’eternità?

Ma no, fratelli miei, vedendo la maniera in cui viviamo, si crederebbe che non dovremo mai abbandonare la vita.
Ahimè! c’è da credere che, se viviamo da ciechi, moriremo da ciechi!
Eccovene un esempio molto incisivo.

Leggiamo nella storia, che il cardinale Bellarmino, della compagnia di Gesù, fu chiamato da un malato che era stato procuratore, e che, disgraziatamente, aveva preferito il denaro alla salvezza della sua anima.

Pensando che lo mandasse a chiamare per sistemare gli affari della sua coscienza, corse da lui prontamente.
Entrato, egli comincia a fargli domande sullo stato della sua anima; ma aveva appena cominciato a parlare che quello gli dice: «Padre mio, non è per questo che ti ho chiamato; ma soltanto per consolare mia moglie che è desolata per il timore di perdermi; quanto a me, me ne vado dritto all’inferno».
Il cardinale racconta che quell’uomo era così indurito e così cieco, che pronunciò quelle parole con tanta tranquillità e con la stessa freddezza che se avesse detto che andava a prendersi un momento di svago con i suoi amici.
«Amico mio, gli dice il cardinale, che era desolato nel veder precipitare la sua anima nell’inferno, pensa piuttosto a domandare perdono al buon Dio dei tuoi peccati, e confessati; il buon Dio ti perdonerà».
Quel povero disgraziato gli disse che non doveva perdere il suo tempo, che non conosceva i suoi peccati, nè voleva conoscerli; che avrebbe avuto il tempo di conoscerli bene all’inferno.
Il cardinale aveva un bel da fare a pregarlo, a scongiurarlo, per favore, di evitare di perdersi per l’eternità, poichè aveva ancora tutte le possibilità per guadagnarsi il Cielo, promettendogli di aiutarlo a soddisfare alla giustizia di Dio, aggiungendo che era sicuro che il buon Dio averebbe avuto ancora pietà di lui.
Ma no, niente fu capace di toccarlo; morì senza dare alcun segno di pentimento.

Ahimè! fratelli miei, colui che non pensa alla morte durante la sua vita, si pone in un grande pericolo di non pensarci mai, o di non voler riparare il male fatto, quando non ci sarà più alcun rimedio.

O mio Dio! come invece coloro che non perdono mai di vista il pensiero della morte, sono in grado di evitare i peccati, durante la vita, e i rimpianti, nell’eternità!

Lo stesso cardinale racconta che, essendo andato a trovare uno dei suoi amici, che era ammalato per un eccesso di bagordi, volle esortarlo al pentimento e a confessarsi dei suoi peccati, o, almeno, a fare un atto di contrizione.
Il malato gli rispose: «Padre mio, che significa “un atto di contrizione”? non ne ho mai sentito parlare».
Il cardinale ebbe un bel da fare per fargli comprendere che cosa significasse biasimare i peccati che aveva commessi, al fine di ottenere il perdono del buon Dio.
«Padre mio, lasciami in pace, mi stai turbando, lasciami tranquillo».
Egli morì senza voler proferire un atto di contrizione, tanto era cieco e indurito.

O mio Dio! quale disgrazia per un uomo che ha perso la fede! ahimè! non c’è più rimedio! Ah! fratelli miei, si ha ben ragione di dire: «Tale la vita, tale la morte». Ahimè! fratelli miei, se quell’ubriacone pensasse un poco al momento della morte, che porrà termine a tutte le sue dissolutezze e alle sue crapule, quando il suo corpo sarà dato in pasto ai vermi, mentre la sua povera anima brucerà all’inferno; ah! fratelli miei, avrebbe ancora il coraggio di continuare nei suoi eccessi?
Ma no, se si prova a parlargliene, egli se ne prende gioco, non pensa ad altro che a divertirsi, ad appagare il suo corpo, come se tutto dovesse finire con esso, ci dice il profeta Isaia».

Ah! fratelli miei, il demonio si prende grande cura di farcene perdere il ricordo (della morte), perchè egli sa molto meglio di noi quanto ci sarebbe salutare, per tirarci fuori dal peccato, e per ricondurci al buon Dio.

I santi, fratelli miei, che avevano tanto a cuore la salvezza della loro anima, avevano cura di non perderne mai il ricordo.

San Guglielmo, vescovo di Bourges, assisteva alle sepolture, più che poteva, per incidere meglio in se stesso il ricordo della morte
Egli si rappresentava interiormente, come siamo miserabili nell’attaccarci alla vita che è così disgraziata, così piena del pericolo di perderci per l’eternità.

Vi fu un altro santo che andò a trascorerre un anno intero in un bosco, per avere il tempo di prepararsi per bene alla morte: «perchè, diceva, quando arriva, non c’è più tempo».
Questi santi avevano senza dubbio ragione, fratelli miei, perchè da quell’ora dipende tutto, e spesso, se aspettiamo, per pensarci, il momento in cui la morte ci coglierà, a volte non servirà più a nulla (l’insistenza del curato, potrebbe sembrare eccessiva e petulante: se per qualcuno è così, stia certo che non ha alcuna vera fede nell’aldilà biblico e cristiano, che è qualcosa di immensamente, estremamente, serio, perchè si tratta di “eternità”; n.d.a.).

Oh! com’è potente il pensiero della morte, per distoglierci dal peccato, e farci comportare bene! Ahimè! fratelli miei, se quei disgraziati che si trascinano nelle lordure delle loro impurità, pensassero un po’ al momento della morte, allorchè il loro corpo, che si prendono tanta cura di accontentare, sarà imputridito nella terra; ah! se facessero una minima riflessione su quelle ossa secche e aride, ammucchiate nei cimiteri; se si prendessero la briga di andare su quelle tombe, a contemplare quei cadaveri puzzolenti e imputriditi, quei crani mezzi rosicchiati dai vermi, non resterebbero scossi da un tale spettacolo?
Avrebbero altro pensiero che quello di piangere i propri peccati e il proprio accecamento, se pensassero al rammarico che proveranno, nell’ora della morte, per aver profanato un corpo che è il tempio dello Spirito Santo, e un membro del Corpo di Cristo?

Volete conoscere, fratelli miei, la fine scagurata di un impudico. che non abbia voluto pensare alla morte, durante la sua vita?
San Pier Damiani racconta che un inglese, per aver modo di soddisfare la sua passione vergognosa, si donò al demonio, a condizione che lo avesse avvertito tre giorni prima della sua morte, nella speranza che avrebbe avuto il tempo di convertirsi.
Ahimè! com’è cieco l’uomo, una volta che è caduto nel peccato!
Ma, dopo che egli si fu trascinato, rotolato e bagnato nel succo delle sue impurità, arrivò il momento della sua dipartita.
Il demonio, pur essendo menzognero, mantenne la parola data a quello scellerato.
Ma l’inglese fu ingannato nella sua aspettativa, poichè, tra lo stupore grande dei presenti, non appena gli si parlava della sua salvezza, quello sembrava addormentarsi e non dava nessuna risposta; ma, se gli si parlava di affari temporali, riprendeva perfettamente conoscenza; in tal modo morì nelle sue impurità, così come aveva vissuto (è un auto-inganno alquanto diffuso, almeno a livello di subconscio, quello di rimandare la conversione a tarda età, riducendo le chiese all’anticamera del cimitero: la vera conversione non arriverà mai e poi mai; n.d.a.).

Per mostrarci che si era sicuramente dannato, il buon Dio permise che dei grossi cani neri sembrassero circondare il suo letto, come se fossero pronti a lanciarsi sulla preda; li si vide di nuovo sulla sua tomba, come se facessero la guardia a quel mucchio abominevole.
Ahimè! fratelli miei, quanti altri esempi tanto orribili, come questo!…

Ditemi, fratelli miei, se quell’ambizioso pensasse al momento della morte, che gli farebbe vedere il nulla delle grandezze umane, potrebbe mai non riflettere sul fatto che egli, a breve, sarà ricoperto di terra e caplpestato dai piedi dei passanti, non avendo altro, come segno di grandezza, che queste due parole: «Qui riposa un tale…»?
O mio Dio! com’è cieco l’uomo!

Leggiamo nella storia che un uomo, per tutta la sua vita, non aveva mai pensato alla sua salvezza, ma soltanto a divertirsi e ad ammassare dei beni.
Essendo prossimo alla morte, riconobbe il suo accecamento, per non aver lavorato a fare una buona morte.
Allora raccomandò di mettere sulla sua tomba: «Qui riposa un insensato, che è uscito dal mondo, senza sapere perchè il buon Dio ce lo avesse messo».

Sì, fratelli miei, se tutti quei peccatori che si prendono gioco di tutte le grazie che il buon Dio fa loro, per uscire dal peccato, e che le disprezzano, se pensassero che, nel momento in cui usciranno da questo mondo, quelle grazie saranno rifiutate ad essi, e che il buon Dio, che hanno fuggito, li fuggirà a sua volta, e li lascerà morire nei loro peccati, ditemi, avrebbero mai il coraggio di disprezzare tutte queste grazie che il buon Dio offre loro, adesso, per salvare la loro povera anima?

Ah! fratelli miei, quanti peccati non si commetterebbero più, se si avesse la fortuna di pensare spesso alla morte.
Per questo lo Spirito Santo ci raccomanda con forza di non perdere mai il ricordo del nostro fine ultimo, perchè in tal caso non peccheremo mai.

Fu anche questo pensiero, fratelli miei, che completò la conversione di san Francesco Borgia.
Mentre era ancora nel mondo, si trovò alla corte di Spagna, allorchè l’imperatrice Elisabetta, moglie di Carlo V, morì.
Poichè bisognava interrarla nella tomba dei suoi predecessori, che era a Granada, si affidò il trasporto del corpo a Francesco Borgia.
All’arrivo a Granada, si volle fare la cerimonia, e fu aperto il feretro dove era rinchiuso il corpo.
Francesco Borgia doveva attestare che fosse lo stesso che era stoto deposto nel feretro.
Quando si scoprì quel volto che era stato così bello, lo si trovò tutto nero e per metà putrefatto; gli occhi erano tutti fusi; ne usciva un odore insopportabile.
Allora egli disse: «Sì, giuro che è il corpo che è stato deposto nel feretro, e che è quello della principessa; ma non lo riconosco più».
Da quel momento egli cominciò a riflettere sul nulla delle grandezze umane e su come esse siano ben poca cosa. Allora prese la risoluzione di abbandonare il mondo, per non pensare più ad altro, che a salvare la propria anima.
«Ah! diceva, che cosa ne è stato della bellezza di questa principessa, che era la più bella creatura del mondo? O mio Dio! com’è cieco l’uomo per attaccarsi a creature così vili, perdendo la sua anima!».
Felice pensiero, fratelli niei, che gli è valso il Cielo!

Ma perchè mai succede, fratelli miei, che noi ci dimentichiamo della morte, il cui pensiero ci terrebbe sempre pronti a ben morire?
Ahimè! non ci si vuole pensare, si muore senza averci pensato, e consideriamo la morte come se fosse molto lontana da noi.
Il demonio non ci dice, come fece con i nostri progenitori: «Voi non morirete», perchè una tale tentazione sarebbe troppo grossolana, e non ingannerebbe nessuno; «ma, ci dice, voi non morirete così presto», e con questa illusione, noi rinviamo il pensiero di convertirci alla nostra estrema malattia, quando non saremo più in grado di fare nulla.
E’ così, fratelli miei, che la morte ne ha sorpresi tanti, e tanti altri ne sorprenderà, fino alla fine del mondo.

E, tuttavia, è questo pensiero che ne ha tirati tanti altri fuori dal peccato; eccovene un esempio molto incisivo.

Si racconta nella storia che un giovane e una giovane avevano avuto insieme un infame commercio.
Accadde che questo giovane, mentre attraversava un bosco fu sgozzato.
Un piccolo cane che lo seguiva, vedendo il suo padrone ucciso, va a trovare quella ragazza, la prende per il grembiule, tirandola, come per indicarle di seguirlo.
Stupita per questo fatto, ella seguì il piccolo cane, che la conduce su luogo dov’era il suo padrone. Poi si fermò presso un mucchio di foglie.
Avendo guardato che cosa ci fosse là sotto, ella vide quel povero giovane tutto insanguinato: alcuni ladri lo avevano pugnalato.
Rientrata in se stessa, si mise a piangere dicendo: «Ah! disgraziata, se fosse successa a te la stessa cosa, dove saresti adesso? ahimè! bruceresti all’inferno. Forse questo giovane brucia ora negli abissi, per colpa tua!… Ah! disgraziata, come hai potuto condurre una vita così criminale? Ah! in quale stato si trova la tua povera anima!… Mio Dio! ti ringrazio per non avermi fatto servire da esempio agli altri!» (della serie: “mors tua, vita aeterna mea”(?)…n.d.a.).
Ella, allora, abbandonò il mondo, andò a seppellirsi in un monastero per tutta la sua vita, e morì da santa.

Ah! fratelli miei, quanti peccatori hanno convertito simili esempi!
O mio Dio! bisogna che i nostri cuori siano duri e insensibili, per non essere scossi da nulla, e vivere nel peccato, forse, senza neppure pensare di uscirne! (con questo criterio, come dall’esempio, quanti giovani che muoiono accidentalmente, alla fine di una notte di baldoria in discoteca, e che vengono considerati angeli che ci sorridono dal cielo, non potrebbero, invece, aver fatto la stessa fine di quel giovane? forse sì, forse no, ma è sempre meglio mettersi al sicuro e pensarci prima, sia genitori che figli, perchè non si sa mai: sia la vita che la morte, ancora di più, possono riservare brutte sorprese…; n.d.a.).

Ahimè! fratelli miei, c’è da temere che, nel momento in cui decideremo di ritornare al buon Dio, non lo potremo più fare; il buon Dio, in punizione dei nostri peccati, potrebbe averci abbandonati.
Ve lo mostrerò con un esempio.

Leggiamo nella storia che un uomo aveva vissuto per lungo tempo nel disordine morale.
Essendosi convertito, dopo qualche tempo, ritornò ai suoi vecchi peccati.
I suoi amici, che ne erano molto afflitti, fecero tutto quello che poterono, per riportarlo al buon Dio; quello glielo prometteva ogni giorno, ma poi non se ne faceva nulla.
Gli dissero che vi era un ritiro nella parrocchia vicina, che lo avrebbero condotto con loro, e che perciò si doveva preparare.
L’altro, che da molto tempo, ormai, si prendeva gioco di Dio e di tutti i loro consigli, rispose loro di sì, sorridendo; non dovevano fare altro che venirlo a prendere la mattina del giorno in cui il ritiro sarebbe dovuto cominciare, per poi partire tutti insieme.
Quegli altri, non mancarono di andarlo a prendere, nella speranza di condurlo al buon Dio; ma, entrati, lo videro steso in mezzo alla casa: era morto durante la notte, di morte repentina, senza aver avuto il tempo nè di confessarsi, nè di dare il minimo segno di pentimento.
Ahimè! fratelli miei, dove andò a finire quella povera anima che aveva tanto disprezzato le grazie del buon Dio?

Abbiamo detto che è molto utile pensare spesso alla morte.
Anzitutto, per farci evitare il peccato, e per farci espiare quelli che abbiamo avuto la disgrazia di commettere.

In secondo luogo, per distaccarci dalla vita terrena.
Sant’Agostino ci dice che non dobbiamo pensare soltanto alla morte dei martiri, presso i quali, per una grazia ammirevole, la pena del peccato è diventata occasione di merito, ma alla morte in generale, di tutti gli uomini.
Tale pensiero della morte, diverrebbe per noi uno dei più potenti mezzi di salvezza, e uno dei più grandi rimedi ai nostri mali, se sapremo tirarne i vantaggi che la Misericordia divina vuole procurarci, al posto del castigo che la sua Giustizia esige da noi.
Noi siamo condannati a morire, per nessun altro motivo, se non perchè abbiamo peccato; ma ci basterebbe, per non peccare più, pensare bene alla morte; come ci dice lo Spirito Santo.

Noi diciamo, fratelli miei, che il pensiero della morte produce in noi tre effetti:
1°- ci distacca dal mondo;
2°- arresta le nostre pasioni;
3°- ci impegna a condurre una vita più santa.

Se il mondo, fratelli miei, può ingannarci per qualche tempo, di certo ciò non durerà per sempre, perchè è sicuro che tutte le cose del mondo non hanno una grande forza, contro il pensiero della morte, se penseremo che, tra qualche momento, avremo detto addio alla vita, per non ricomparire mai più!

L’uomo che ha sempre la morte presente al suo spirito, non può che considerarsi come un viaggiatore sulla terra, che non fa altro che passarvi, e che abbandona, senza pena, tutto ciò che incontra, perchè egli tende a un altro scopo, e avanza verso un’altra patria.

Tale fu, fratelli miei, la disposizione di san Girolamo: poichè sapeva che, una volta morto, non avrebbe potuto più animare i suoi discepoli con i suoi esempi di segrete virtù, volle, morendo, lasciare loro della sante istruzioni: «Figli miei, disse loro, se volete, come me, non rimpiangere nulla nell’ora della morte, abituatevi a distaccarvi da tutto, durante la vita.
Volete, ancora, non temere nulla in quel terribile momento? Non amate nulla di tutto ciò che dovrete abbandonare.
Quando si è ben disillusi del mondo e di tutti i suoi inganni, e si sono disprezzati i suoi beni, le sue false dolcezze, e le sue folli promesse; quando non si è posta la propria felicità nel gioire delle creature, non si avrà nessuna pena a lasciare tutto e a separarsene per sempre.
O felice stato, gridava quel grande santo, quello di un uomo che, ricolmo di una giusta fiducia in Dio, non si trova trattenuto da nessun attaccamento al mondo e ai beni della terra!».
Ecco, fratelli miei, le disposizioni alla quali ci conduce il pensiero della morte.

Il secondo effetto che il pensiero della morte produce in noi, è quello di fermare le nostre passioni.
Sì, fratelli miei, se siamo tentati, non dobbiamo fare altro che pensare subito alla morte, e immediatamente sentiremo cedere la passione: era questa la pratica dei santi.
San Paolo ci dice che egli muore ogni giorno.
Nostro Signore, quando era ancora sulla terra, parlava spesso della sua passione.
Santa Maria Egizia, quando era tentata, pensava subito alla morte, e immediatamente la tentazione la abbandonava.
San Girolamo, non perdeva questo pensiero, più del suo stesso respiro.
Si racconta nella vita dei Padri del deserto, che un solitario che era vissuto per qualche tempo nel gran mondo, essendo stato toccato dalla grazia, andò a seppellirsi nel deserto.
Il demonio non cessava di ricordargli la giovane per la quale aveva nutrito un amore criminale (quello che oggi si chiama semplicemente “mettersi insieme”…(?); n.d.a.).
Un momento prima che quella morisse, Dio glielo fece conoscere. Egli allora esce dalla sua solitudine, e va a vederla: quella era pronta per essere interrata; egli si avvicina al feretro, le scopre il viso, raccoglie col suo fazzoletto un ascesso che le usciva dalla bocca.
Dopo di ciò, egli ritorna nel suo deserto, e tutte le volte che era tentato, prendeva quel suo fazzoletto e diceva a se stesso, rappresentandosi nella memoria le lordure di quella povera creatura: «Insensato che non sei altro, ecco il dolce piacere dell’oggetto che hai tanto amato, a spese della tua anima; se ora non puoi sopportare questa terribile puzza, che è uscita dal corpo di quella creatura, qual è stata dunque la tua follia, per averla amata durante la sua vita, pregiudicando la tua stessa salvezza?
Ma, di più, quale sarebbe il tuo accecamento, per pensarla ancora dopo la sua morte?».

Sant’Agostino ci dice che, quando si sentiva violentemente attratto dal male, la sola cosa che lo tratteneva, era pensare che un giorno sarebbe morto, e che, dopo la morte, sarebbe stato giudicato.
«Dicevo spesso al mio amico Alipo, afferma, allorchè mi intrettenevo con lui su quello che doveva esssere il diverso trattamento dei buoni e dei cattivi, gli confessavo, dunque, che, malgrado tutto quello che gli empi potevano avermi detto in altri tempi, io ho sempre creduto che, nell’ora della nostra morte, il buon Dio ci farà rendere conto di tutto il male che abbiamo fatto durante la nostra vita».

Si racconta nella storia dei Padri del deserto, che un giovane solitario diceva al suo anziano: «Padre mio, che devo fare quando sono tentato, soprattutto contro la santa virtù della purezza?».
«Figlio mio, gli rispondeva il santo, pensa subito alla morte e ai tormenti riservati agli impudichi nell’inferno, e sarai certo che questo pensiero scaccerà il demonio».

San Giovanni Climaco ci dice che un solitario, che aveva sempre il pensiero della morte inciso nel suo spirito, quando il demonio voleva tentarlo, per farlo rilassare, gridava, rivolto a se stesso: «Ah! disgraziato, ecco che stai per morire, e non hai ancora fatto nulla per essere presentato al buon Dio».
Sì, fratelli miei, una persona che voglia salvare la sua anima, non deve perdere mai il ricordo della morte.

Il pensiero della morte ci fornisce anche delle pie riflessioni: esso ci mette tutta la nostra vita sotto gli occhi; allora pensiamo che tutto ciò che ci arreca gioia, secondo il mondo, durante la nostra vita, ci farà versare lacrime nell’ora della morte; tutti i nostri peccati, che non devono mai cancellarsi dalla memoria, sono come altrettanti serpenti che ci divorano; il tempo che avremo perduto, le grazie che avremo disprezzate: tutto ciò ci sarà mostrato nell’ora della morte.

In conseguenza di ciò, è impossibile non lavorare a migliorare la nostra vita, e a cessare di fare il male.

Si racconta nella storia, che un moribondo, prima di rendere il suo ultimo respiro, fece chiamare il suo principe, al quale era rimasto fedele per lunghi anni.
Il principe vi si recò in fretta: «Domandami, gli disse, tutto ciò che vorresti, e stai certo che l’otterrai».
«Principe, gli disse quel povero morente, ho da chiederti solo una cosa, e cioè un quarto d’ora di vita».
«Ahimè! amico mio, gli rispose il principe, questo non è in mio potere; chiedimei qualunque altra cosa, e te la accorderò».
«Ahimè! gridò il malato, se io avessi servito il buon Dio così bene come ho servito te, non avrei solo un altro quarto d’ora di vita, ma una eternità» (come se dicesse: ho servito te, che non mi potevi dare nulla di veramente essenziale, più e meglio di Dio, che poteva darmi immensamente più di te).

Lo stesso rimpianto provò un uomo di legge, allorchè fu prossimo a uscire dalla vita, senza aver pensato a salvare la sua anima: «Ah! insensato che non sono altro, io che ho scritto tanto per il mondo, ma niente per la mia anima; ora devo morire, non ho fatto nulla che possa rassicurarmi, e non c’è più rimedio; non vedo nulla nella mia vita, che io possa presentare al buon Dio».
Felice, fratelli miei, fu quello, se trasse profitto lui stesso di ciò, ossia dei suoi buoni sentimenti (pensiero non molto chiaro; n.d.a.).

Ecco le riflessioni che il pensiero della morte ci deve indurre a fare: se omettiamo di prepararci, saremo separati per tutta l’eternità dalla compagnia di Gesù Cristo, della santa Vergine, degli angeli e dei santi, e saremo costretti ad andare a trascorrere la nostra eternità con i demoni, per bruciare con loro.

Leggiamo nella vita di san Girolamo, che una lunga esperienza lo aveva reso così saggio nella scienza della salvezza, che, essendo sul letto di morte, fu pregato dai discepoli di lasciare loro, come testamento, quella che, fra tutte le verità della morale cristiana, era la verità della quale fosse maggiormente persuaso.
Cosa pensate, fratelli miei, che rispose loro questo grande dottore?
«Sto per morire, disse loro, la mia anima è sull’orlo delle mie labbra; e io vi dichiaro che fra tutte le verità della morale cristiana, quella di cui sono più persuaso, è che appena appena, su centomila persone che saranno vissute male, se ne troverà una sola che si sia salvata facendo una buona morte, poichè, per ben morire, occorre pensarvi tutti i giorni della propria vita. E non pensate che questo che ho detto sia frutto della mia malattia; ma ve ne parlo con l’esperienza di più di sessant’anni.
Sì, figli miei, fra centomila persone che saranno vissute male, ce ne sarà una sola che faccia una buona morte!
No, figli miei, niente ci induce di più a vivere bene, che il pensiero della morte».

Cosa concludere da tutto ciò, fratelli miei?
Ecco: se penseremo spesso alla morte, ci prenderemo una grande cura di conservare la grazia del buon Dio; e, anche nel caso che avessimo la sfortuna di perdere tale grazia, ci affretteremo a recuperarla, ci distaccheremo dai beni e dai piaceri del mondo, sopporteremo le miserie della vita in spirito di penitenza, e riconosceremo che è il buon Dio che ce le manda, per farci espiare i nostri peccati.

Ahimè! dobbiamo dire in noi stessi, io corro a grandi passi verso la mia eternità, e tra un po’, non sarò più in questo mondo…
Dopo questo mondo, dove andrò a trascorrere la mia eternità?…
Sarò in Cielo, o all’inferno?…
Dipende da come ho scelto di vivere la mia vita.
Sì, che io sia giovane o vecchio, penserò spesso alla morte, per prepararmi ad essa di buonora.
Felice, fratelli miei, colui che sarà sempre pronto! (Luca 12, 35).
E’ questa la felicità che vi auguro!…

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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