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Le omelie del S. Curato d’Ars: l’Umiltà

Germoglio

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato»
(Luca 18,14)

Il nostro divin Salvatore, fratelli miei, poteva mostrarci in una maniera più chiara e più evidente, la necessità di umiliarci, ossia di nutrire bassi sentimenti di noi stessi, sia nei pensieri, sia nelle parole, sia nelle nostre azioni, se vogliamo sperare di andare a cantare le lodi di Dio, per l’eternità?

Trovandosi un giorno in compagnia di molte persone, e vedendo, dico, che parecchi di loro sembravano glorificare se stessi per il bene che avevano compiuto, mentre disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola che, secondo ogni probabilità, era una storia vera.
«Due uomini, Egli disse, salirono al tempio per farvi la loro preghiera; uno di essi era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo restando in piedi parlava a Dio così: Ti ringrazio, mio Dio, perchè non sono come il resto degli uomini, che sono ladri, ingiusti, adulteri, e nemmeno come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, dono la decima di tutto ciò che possiedo».

Ecco la sua preghiera, ci dice sant’Agostino.
Vedete bene che questa preghiera non è altro che un’affettazione piena di vanità e di orgoglio; egli non viene per pregare Dio, nè per rendergli grazie, ma per lodare se stesso e per insultare colui che sta pregando dall’altra parte.

Il pubblicano, al contrario, si manteneva lontano dall’altare, non osava neppure sollevare gli occhi al cielo; percuoteva il suo petto dicendo: «Mio Dio, abbi pietà di me, che sono un peccatore».
«Io vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che costui se ne è tornato a casa sua giustificato, mentre l’altro, no».

I peccati del pubblicano gli sono perdonati; mentre il fariseo, con tutte le sue virtù, rientra a casa sua più criminale di come ne era uscito.
Se volete conoscerne la ragione, eccola: è perchè l’umiltà del pubblicano, sebbene peccatore, fu più gradita a Dio di tutte le pretese buone opere del fariseo, col suo orgoglio.
E Gesù Cristo conclude da ciò che «colui che vorrà esaltarsi sarà umiliato, e colui che si umilierà sarò esaltato».

Ecco la regola, fratelli miei; non inganniamoci, è una legge generale; è il nostro divin Maestro che ce la manifesta.
«Quando avrete alzato la testa fino al cielo, dice il Signore, io ve la strapperò».

Sì, fratelli miei, l’unico sentiero che conduce all’esaltazione nell’altra vita, è l’umiltà.
Senza umiltà, questa bella e preziosa virtù, voi non entrerete in Cielo, come succede senza il Battesimo.

Comprendiamo dunque oggi, fratelli miei, l’obbligo che abbiamo di umiliarci, e i motivi che devono spingerci.
Io vi mostrerò dunque, fratelli miei:
1°- che l’umiltà è una virtù che ci è assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano gradite a Dio e ricompensate nell’altra vita;
2°- che tutti noi abbiamo motivo di praticarla, sia da parte di Dio, sia da parte di noi stessi.

Prima, fratelli miei, di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, che ci è tanto necessaria quanto il Battesimo, dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo, del sacramento della Penitenza, dopo il peccato mortale, è necessario che vi dica in cosa consista questa amabile virtù, che conferisce un merito così grande a tutte le nostre buone azioni, e adorna così riccamente tutte le nostre buone opere.

San Bernardo, questo grande santo che l’ha praticata in una maniera così straordinara, che ha lasciato i suoi beni, i suoi piaceri, i suoi genitori e amici, per andare a trascorrere la sua vita nelle foreste, tra le bestie selvatiche, per piangervi i suoi peccati, ci dice che l’umiltà è una virtù per mezzo della quale noi conosciamo noi stessi; e questo ci porta a nutrire solo disprezzo verso noi stessi, e a non provare per nulla piacere nel vederci lodati.

Io affermo che questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano ricompensate nel Cielo; poichè Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza l’umiltà, come senza il Battesimo.

Sant’Agostino ci dice: «Se mi domandate quale sia la prima virtù di un cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi chiedete qual è la seconda, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate ancora qual è la terza, io vi risponderò ancora che è l’umiltà; e, per quante altre volte mi farete questa domanda, io vi darò la stessa risposta».

Se l’orgoglio genera tutti i peccati, possiamo dire, allo stesso modo, che l’umiltà genera tutte le virtù.
Con l’umiltà voi avete tutto ciò che vi occorre per piacere a Dio, e per salvare la vostra anima; mentre, senza l’umiltà, ma con tutte le altre virtù, voi non avete niente.

Leggiamo nel santo Vangelo, che alcune mamme presentarono i loro bambini a Gesù Cristo, per farglieli benedire.
Gli apostoli li volevano scacciare.
Ma, Nostro Signore, non condividendo tale comportamento, disse: «Lasciate venire a me questi piccoli fanciulli, perchè il regno del Cielo appartiene ad essi, e a coloro che gli rassomigliano» (Matteo 19, 13-14).
Li abbracciò e diede loro la sua santa benedizione.

Perchè questa accoglienza da parte di questo divin Salvatore?
E’ perchè i bambini sono semplici, umili e senza malizia. Allo stesso modo, fratelli miei, se vogliamo essere accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici e umili, in tutto ciò che facciamo.

«Fu, ci dice san Bernardo, fu proprio questa bella virtù la causa per cui il Padre Eterno guardò la santa Vergine con compiacenza; e se, ci dice, la verginità attirò gli sguardi di Dio, la sua umiltà fu la causa per cui concepì il Figlio di Dio.
Se la santa Vergine è la Regina delle vergini, ella è anche la Regina degli umili».

Santa Teresa domandò un giorno a Nostro Signore, perchè in altri tempi lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, sia ai patriarchi che ai profeti, e manifestava loro i suoi segreti, mentre al presente non lo faceva più.
Nostro Signore le rispose: perchè quelli erano più semplici e più umili, mentre adesso gli uomini hanno il cuore doppio e sono ricolmi di orgoglio e di vanità.
Dio non si comunica ad essi, Egli non li ama come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici e umili.

Sant’Agostino ci dice: «Se vi umiliate profondamente, e se riconoscete il vostro nulla, e che non meritate nulla, il buon Dio vi donerà grazie in abbondanza; ma se vorrete esaltarvi e se vi riterrete qualcosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà alla vostra povertà».

Nostro Signore, per farci comprendere bene che l’umiltà è la più bella e la più preziosa fra tutte le virtù, inizia le Beatitudini con l’umiltà, dicendo: «Beati i poveri di spirito, perchè il Regno dei Cieli appartiene a loro».

Sant’Agostino ci dice che questi poveri di spirito, sono coloro che hanno l’umiltà come loro porzione.

Il profeta Isaia dice a Dio: «Signore, su chi discende il tuo Spirito Santo? Forse su coloro che godono di grande reputazione nel mondo o sugli orgogliosi?».
«No, risponde il Signore, ma su colui che ha il cuore umile».

Questa virtù non ci rende graditi solo a Dio, ma anche agli uomini. Tutti amano una persona che sia umile, e ci si compiace della sua compagnia.
Da cosa deriva che generalmente i bambini sono amati, se non dal fatto che essi sono semplici e sono umili?

Una persona umile cede su tutto, non contraria mai nessuno, non infastidisce nessuno, si accontenta di tutto; ella cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo.
Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di sant’Ilarione.

San Girolamo racconta che questo grande santo era ricercato dagli imperatori, dai re e dai principi, e dalla moltitudine del popolo, attirata nel deserto dall’odore della sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli.
Ma lui, al contrario, fuggiva il mondo più che potesse. Cambiava spesso cella, per poter vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza sosta alla vista di quella moltitudine di religiosi e di mondani che venivano da lui per essere guariti dai loro mali.
Rimpiangendo la sua antica solitudine: «Io sono, diceva piangendo, io sono ritornato nel mondo, riceverò una ricompensa in questa vita, dal momento che mi si considera una persona ragguardevole».
«E niente, diceva san Girolamo, vi era di più ammirevole che vederlo così umile, tra tanti onori che gli venivano resi.
La sua fama si era così estesa, che egli andò a ritirarsi nel deserto più profondo, per non essere più visto, ma posero molti uomini per custodirlo; allora il santo disse loro che non avrebbe preso più cibo, se non lo avessero lasciato libero. Lo si custodì per sette giorni, ma poi, visto che non mangiava nulla, gli permisero di fuggire nel deserto più recondito, dove potè dedicarsi a tutto quello che il suo amore per Dio potè ispirargli.
Fu soltanto allora che egli credette di iniziare a servire il buon Dio».

Ditemi, fratelli miei, non è questa, vera umiltà e disprezzo di se stessi?
Ahimè! come sono rare queste virtù! ma come sono rari, di conseguenza, anche i santi!

Quanto si ha in odio un orgoglioso, tanto si ama una persona umile, perchè si mette sempre all’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti; è questo che fa sì che si ami la compagnia di queste persone che hanno queste belle qualità.

Io affermo anche che l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù.
Colui che desidera servire il buon Dio e salvare la sua anima, deve cominciare a praticare questa virtù in tutta la sua estensione.
In caso contrario, la nostra devozione sarà simile a qualche filo di paglia che avete piantato e che, al primo colpo di vento sarà spazzato via.

Sì, fratelli miei, il demonio teme molto poco quelle devozioni prive di umiltà, quale loro fondamento, perchè sa bene che potrà scalzarle quando vuole.

E’ ciò che accadde a quel solitario che arrivò a camminare sui carboni ardenti, senza bruciarsi, ma che, mancando di umiltà, cadde qualche tempo dopo negli eccessi più deplorevoli (si noti che il curato accenna a diversi episodi già raccontati nella sua omelia sull’orgoglio, da dove prende anche diversi altri concetti; n.d.a.).

Se non possedete l’umiltà, siate certi che non possedete nulla, e che alla prima tentazione sarete travolti (“umiltà” deriva da “humus” = terreno, e perciò, chi sta già a terra, non può cadere, cade solo chi sale in alto; n.d.a.).

Si racconta nella vita di sant’Antonio, che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto pieno di lacci, che il demonio aveva teso per far cadere gli uomini nel peccato.
Ne rimase così sorpreso che il suo corpo tremava come una foglia della foresta; allora, rivolgendosi a Dio disse: «Ahimè! Signore, chi mai potrà evitare tante trappole?».
E intese una voce che gli disse: «Antonio, solo colui che sarà umile; perchè Dio dona la sua grazia agli umili, per resistere alle tentazioni, mentre permette che il demonio si prenda gioco degli orgogliosi, i quali, non appena si troveranno nell’occasione, cadranno nel peccato.
Il demonio, invece, non osa attaccare le persone umili».

Una volta che sant’Antonio incorse in una caduta, non faceva altro che umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, dicendo: «Ahimè! Signore, Tu sai che non sono altro che un miserabile peccatore!».
E subito il demonio prese la fuga.

Allorchè siamo tentati, fratelli miei, teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi.

Leggiamo nella vita di san Macario, che andando un giorno nella sua cella, carico di foglie di palma, il demonio gli si parò davanti con una furia spaventosa; nel tentativo di colpirlo, ma senza riuscirci, si accorse che il buon Dio non gliene aveva dato il potere, e allora gridò: «Macario, quanto mi fai soffrire; non ho la forza di maltrattarti, sebbene io compia più perfettamente di te tutto ciò che tu fai: infatti, tu digiuni qualche volta, mentre io non mangio mai; tu vegli qualche volta, mentre io non dormo mai.
Non c’è che una sola cosa, nella quale devo ammettere che tu mi superi».
San Macario gli domandò quale fosse.
«E’ la tua umiltà!».
Allora il santo si gettò con la faccia a terra, e chiese al buon Dio di non farlo soccombere nella tentazione; e subito il demonio prese la fuga.

Oh! fratelli miei, come questa virtù ci rende graditi a Dio, e com’è potente per scacciare il demonio!
Ma com’è rara! cosa molto facile da comprendere, dal momento che ci sono così pochi cristiani che resistano al demonio, quando vengono tentati.

Ma affinchè non vi imganniate e riconosciate di non averla mai avuta, esaminiamo un dettaglio molto semplice.

No, fratelli miei, non sono affatto tutte le pearole e tutte le belle manifestazioni esterne di disprezzo di sè, che possono dimostrare che possediamo l’umiltà.
Prima di iniziare, voglio citarvi un esempio che vi dimostrerà che le parole significano ben poca cosa.

Troviamo nella vita dei Padri , che un solitario, essendo venuto a visitare san Serapione, non voleva pregare insieme a lui perchè, diceva «ho commeso tanti peccati che ne sono indegno; anzi, aggiungeva, non oso nemmeno respirare la tua stessa aria».

Standosene seduto per terra, non osava nemmeno sedersi sullo stesso sgabello di san Serapione.
Poichè san Serapione voleva lavargli i piedi, secondo l’usanza, quello gli faceva ancora più resistenza.
Ecco un’umiltà che, secondo noi, ha tutta l’apparenza di essere molto sincera, ma adesso vedrete dove va a finire tutta questa umiltà.
San Serapione si limitò a dirgli che avrebbe fatto molto meglio a restare nella sua solitudine, piuttosto che correre di cella in cella, vivendo come un vagabondo, e di lavorare per mantenersi.
Allora il solitario non potè impedire a se stesso di mostrare che la sua umiltà non era altro che una falsa umiltà; egli si adirò contro il santo e decise di lasciarlo.
Allora il santo gli disse: «Eh! figlio mio, tu mi dicevi poco fa di aver compiuto tutti i crimini immaginabili, che non osavi pregare nè mangiare con me, e poi, per un semplice avvertimento, che non aveva nulla di offensivo, ti abbandoni alla collera!
Vai via, amico mio, la tua virtù e tutte le tue buone opere sono denudate della più bella qualità, che è l’umiltà».

Vediamo da questo esempio, che esiste ben poca umiltà sincera.
Ahimé! quanti ce n’è che, fino a che li aduli o li lodi, o, almeno, che sembra che li lodi, sono tutti infuocati nella pratica della pietà; essi darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma un piccolo rimprovero, un’aria di indifferenza, getta l’amarezza nel loro cuore, li tormenta, strappa loro le lacrime, li mette di cattivo umore, fa fare loro mille giuramenti temerari, pensando che li si tratta indegnamente, come non si farebbe ad altri.

Ahimè! com’è rara questa bella virtù fra i cristiani dei nostri giorni! quante virtù che lo sono solo in apparenza e che, al primo colpo, vengono scoperchiate!

Ma, in cosa consiste l’umiltà? Ecco: vi dirò dapprima che vi sono due specie di umiltà, una interiore e l’altra esteriore.

L’umiltà esteriore consiste nel non compiacersi con se stessi per aver avuto successo in qualche opera che si sia compiuta, e nel non ripeterla a tutti; nel non raccontare i nostri colpi di testa, i viaggi che si sono fatti, il nostro saper fare e la nostra abilità, e nel non raccontare ciò che ci sia stato detto, magari a nostro vantaggio.

Inoltre, in secondo luogo, l’umiltà consiste nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come sono le nostre elemosine, le preghiere, le penitenze, i servizi che abbiamo reso al prossimo, le grazie interiori che il buon Dio ci abbia fatto.

In terzo luogo, nel non provare piacere quando siamo lodati; nel cercare di distoglierne l’attenzione, attribuendo a Dio il buon successo per il quale siamo lodati; o nel far sapere che ciò (i complimenti)ci risulta penoso, e nell’andarcene, se lo possiamo.

In quarto luogo, l’umiltà consiste nel non dire mai nè bene nè male di se stessi.
Vi sono alcuni che parlano spesso male di se stessi, per attirarsi le lodi: questa è una falsa umiltà, che viene chiamata: “umiltà a uncino” (che diventa, cioè, un’esca per attirarsi le lodi; uno dei classici trucchetti dei falsi umili; n.d.a.).
La cosa migliore è non parlare affatto di voi stessi, ma accontentatevi di pensare che siete dei miserabili, e che occorre tutta la carità di un Dio, per tollerarvi sulla terra.

In quinto luogo, l’umiltà consiste nel non disputare mai con i propri simili; occorre cedere loro in tutto ciò che non sia contrario alla coscienza; non credere di avere sempre ragione; anche se la si ha, bisogna subito pensare che ci si potrebbe sbagliare, come è successo tante altre volte; e soprattutto, non ostinarsi ad avere l’ultima parola, cosa che denota uno spirito orgoglioso.

In sesto luogo, non bisogna mai mostrare tristezza, quando sembra che ci stiano disprezzando, nè andare a lamentarsene con altri; ciò dimostrerebbe che non abbiamo nessuna umiltà, poichè, se ne avessimo, non ci sembrerebbe mai che gli altri ci disprezzino, poichè nessuno potrebbe mai trattarci così come meriteremmo, a causa dei nostri peccati; ma, al contrario, bisogna ringraziarne il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male, pensando a come egli stesso avesse disprezzato il Signore, con i suoi peccati.

In settimo luogo, bisogna essere molto contenti quando ci si disprezza, sull’esempio di Gesù Cristo, di cui è detto che «si dissetava di obbrobri», e sull’esempio degli apostoli, che «provavano grande gioia per essere stati trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia, per amore di Gesù Cristo»; ciò che costituirà tutta la nostra felicità e la nostra speranza, nel momento della morte.

In ottavo luogo, non dobbiamo trovare scuse per le nostre colpe, quando abbiamo fatto qualcosa che possa farci biasimare; non dobbiamo far pensare che non sia così, sia con menzogne che con raggiri, o con la nostra espressione che voglia insinuare che non sia così.
Quandanche fossimo accusati falsamente, purchè la gloria di Dio non ne sia interessata, non dobbiamo dire nulla.
Vedete cosa successe a quella giovane alla quale avevano dato il nome di fra Marino… (ne ha parlato nell’omelia della 11ª domenica dopo Pentecoste; n.d.a.).
Ahimè! chi di noi, se fosse stato messo in una simile prova, avrebbe potuto non giustificarsi, pur potendolo fare così facilmente?

In nono luogo, l’umiltà consiste nel fare tutto ciò che vi sia di più disgustoso, quello che gli altri non vorrebbero fare, e nell’aver piacere nel vestirsi con semplicità (sembra una vera e propria “scala dell’umiltà”, del santo curato, simile a quella di altri autori spirituali, come ad esempio san Benedetto, nella sua Regola monastica; n.d.a.).
Ecco, fratelli miei, in cosa consiste l’umiltà esteriore.

Ma in cosa consiste l’umiltà interiore? Ecco.
Essa consiste anzitutto nell’avere un basso sentimento di se stessi, nel non applaudirsi mai nel proprio cuore, quando si è fatto qualcosa che sia ben riuscita, ma credersi indegni e incapaci di fare alcuna azione buona, basandoci sulle parole di Gesù Cristo stesso che ci dice che «senza di Lui, non possiamo fare nulla di buono»; non potremmo neppure pronunciare una parola, come, ad esempio, dire il Nome di Gesù, senza l’aiuto dello Spirito Santo.

In secondo luogo, l’umiltà interiore consiste nell’essere a proprio agio, pur sapendo che gli altri conoscono i nostri difetti, per avere così l’occasione di restare raccolti nel nostro nulla.

In terzo luogo, nell’essere molto contenti che gli altri ci superino nel bene, nello spirito, nella virtù o in qualunque altra cosa; nel sottomettersi alla volontà e al giudizio altrui, tutte le volte che ciò non sia contro la coscienza (è costante l’affermazione solenne del curato che la coscienza è il criterio supremo per un cristiano, al di sopra di qualunque regola e di qualsiasi obbedienza ai superiori; n.d.a.).
Sì, fratelli miei, una persona veramente umile deve essere simile a un morto che, nè si infastidisce per le ingiurie che gli si rivolgono, nè si rallegra per le lodi che gli vengono fatte.

Ecco, fratelli miei, che cosa significa possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così graditi a Dio, e così amabili al prossimo.
Ora guardate se ce l’avete oppure no; e, se non l’avete, non vi resta altro da fare, per potervi salvare, che domandarla a Dio, fino a che non l’avrete ottenuta, perchè, senza di essa non entreremo mai in Cielo.

Leggiamo nella vita di sant’Elzearo, che essendo nel pericolo di perire in mare, con tutti quelli che erano sul suo vascello, quando il pericolo fu passato, santa Delfina, sua sposa, gli chiese se avesse avuto paura.
Quello rispose: «Quando mi trovo in simile pericolo, io raccomando a Dio me stesso, e tutti quelli che sono con me,e gli dico che, se c’è uno che deve morire, quello sono io, perchè sono il più miserabile e il più indegno di vivere».
Quale umiltà!…

San Bernardo, era così penetrato dal suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio per pregare il buon Dio di non punire quella città, a causa dei suoi peccati; egli era convinto che, in qualunque luogo si recasse, fosse capace solo di attirare la maledizione su quel posto.
Quale umiltà, fratelli miei! un santo così grande, la cui vita non era altro che una catena di miracoli!

Bisogna, fratelli miei, che tutto quello che facciamo, sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che sia ricompensato nel Cielo.

Quando fate le vostre preghiere, sforzatevi di avere questa umiltà, che vi fa considerare come dei miserabili, indegni di stare alla santa Presenza di Dio?
Ah! se così fosse, non vi permettereste di farla mentre vi vestite o mentre lavorate (si riferisce alla preghiera “rituale” del mattino o della sera, non alle varie giaculatorie, compatibili con le diverse attività quotidiane, che lui stesso consiglia vivamente in altre omelie; n.d.a.).
No, voi non ce l’avete affatto.
Se ce l’aveste, quando vi trovate a Messa, con quale rispetto, con quale modestia, con quale tremore vi comportereste?
Ah! no, no, non vi si vedrebbe ridere, chiacchierare, girare la testa, passeggiare con gli sguardi lungo la chiesa, dormirvi, fare delle preghiere senza devozione, senza amore di Dio.
Ben lungi dal trovare troppo lunghe le celebrazioni, non vorreste uscirne più, pensando a quanto grande sia la Misericordia di Dio per sopportarvi tra i fedeli, voi che meritereste, per i vostri peccati, di essere ora tra i riprovati.
Se possedeste questa virtù, allorchè domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la donna cananea, che si gettò in ginocchio ai piedi del Salvatore, davanti a tutti; o come la Maddalena che baciò i piedi del Salvatore, davanti a una numerosa assemblea.
Se ce l’aveste, fareste come quella donna che, da dodici anni era afflitta da una perdita di sangue, e che andò con tanta umiltà, a gettarsi davanti al Salvatore, per toccare umilmente il suo mantello.
Se aveste l’umiltà, fareste come san Paolo, che era stato elevato fino al terzo cielo, ma che si considerava come un aborto, l’ultimo degli apostoli, indegno del nome che portava!…

O mio Dio! com’è bella questa virtù, ma com’è rara!…
Se possedeste questa virtù, fratelli miei, quando vi confessate, ah! quanto sareste lontani dal nascondere i vostri peccati, o dal raccontarli, come una storia piacevole, e, soprattutto non raccontereste i peccati degli altri!
Ah! da quale tremore non sareste colti, vedendo la grandezza delle vostre colpe, gli oltraggi che hanno arrecato a Dio, e vedendo, dall’altro lato, la carità che Egli vi dimostra nel perdonarvi?
Mio Dio! non morireste di dolore e di riconoscenza?…
Ah! se dopo aver confessato i vostri peccati, voi aveste quella umiltà di cui parla san Giovanni Climaco, il quale, trovandosi in un monastero, ci dice di aver visto con i suoi occhi dei religiosi così umili, così umiliati e mortificati, che sentivano a tal punto il peso dei loro peccati, che il rumore delle loro grida, e le preghiere che indirizzavano a Dio, erano capaci di commuovere dei cuori duri come pietre!
Vi erano alcuni, tutti ricoperti di ulcere, dalle quali usciva un odore insopportabile; essi avevano così poca cura del loro corpo, che avevano ormai solo la pelle attaccata alle ossa.
Li si sentiva riempire il monastero con le grida più strazianti.
«Ah! sciagurati noi, come siamo miserabili! Con quanta giustizia, Dio nostro, potresti farci precipitare all’inferno!».
Altri gridavano: «Ah! Signore, perdonaci, se le nostre anime possono ancora meritare un qualche perdono!».
Essi avevano tutti l’immagine della morte davanti agli occhi, e si dicevano gli uni gli altri: «Che ne sarà di noi, dopo aver avuto la disgrazia di offendere un Dio tanto buono? Potremo nutrire una qualche speranza, per il giorno della vendetta?».
Altri domandavano di essere gettati in riva al fiume, per essere divorati dalle belve.
Il superiore, vedendo san Giovanni Climaco, gli disse: Ebbene! padre mio, hai visto i nostri soldati?
San Giovanni Climaco ci dice che egli non riuscì nè a parlare, nè a pregare, perchè le grida di quei penitenti, così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lacrime e singhiozzi.

Come mai, fratelli miei, noi non abbiamo nessuna umiltà, pur essendo molto più colpevoli?
Ahimè! è perchè non ci conosciamo affatto!
(al di là degli eccessi evidenti nella descrizione precedente, il messaggio del curato è molto attuale, ed è un correttivo all’altro eccesso, che va di moda ai nostri giorni, anche a causa delle assicurazioni bonarie di tanti impostori e falsi maestri: l’eccesso, cioè, di una leggerezza e di una confidenza estreme e gratuite, nel nostro atteggiamento verso l’Altissimo, con la spavalderia di chi abusa sistematicamente della divina Misericordia; n.d.a.).

Sì, fratelli miei, per un cristiano che si conosce bene, tutto lo dovrebbe indurre a umiliarsi; ossia, tre cose: la considerazione della grandezza di Dio, l’abbassamento di Gesù Cristo, e la nostra personale miseria.

Anzitutto, chi è mai colui che potrebbe considerare la grandezza di Dio, senza annientarsi alla sua Presenza, pensando che, dal nulla, Egli ha creato la terra, con una sola parola, e che con un solo sguardo potrebbe annientare tutto ciò che esiste?
Un Dio così grande, e la cui potenza non ha limiti, un Dio ricolmo di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, con la sua giustizia così grande, con la sua Provvidenza che governa tutto con grande saggezza, e che provvede ai nostri bisogni con tanta cura! mentre noi non siamo altro che un vile nulla!

O mio Dio! non dovremmo anche noi temere, e a maggior ragione, come san Martino, che la terra si apra sotto i nostri piedi, per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere?
A tale considerazione, fratelli miei, non fareste anche voi come quel grande penitente, di cui si parla nella vita di san Pafnuzio?
Questo buon vegliardo, dice l’autore della sua vita, essendo andato a trovare una peccatrice, fu molto sorpreso di sentirla parlare di Dio.
Il santo abate le disse: «Dunque, tu sai bene che esiste un Dio!».
«Sì, gli rispose, e, ancor più, so che vi è un regno, per coloro che vivono secondo i comandamenti, e un inferno, dove i malvagi saranno gettati per essere bruciati».
«Se conosci tutte queste cose, perchè mai, facendo perdere tante anime, esponi te stessa al pericolo di ardere?».
La peccatrice, conoscendo da queste parole che era un uomo di Dio, si gettò ai suoi piedi effondendosi in lacrime.
«Padre mio, gli disse, dammi la penitenza che vorrai, e io la farò».
Egli allora la chiuse in una cella, dicendole: «Essendo una criminale, non meriti di pronunciare il Nome del buon Dio; ma ti accontenterai di volgerti verso oriente, e, come preghiera dirai: “O Tu che mi hai creata, abbi pietà di me!”».
Questa fu tutta la sua preghiera.
Santa Taide (era questo il nome della peccatrice) trascorse tre anni facendo questa preghiera, versando lacrime ed emettendo singhiozzi giorno e notte.
O mio Dio! come l’umiltà ci fa conoscere bene chi siamo veramente!

Abbiamo detto, in secondo luogo, che l’annientamento di Gesù Cristo ci deve umilare ancora di più.
«Quando considero, ci dice sant’Agostino, un Dio che, dalla sua Incarnazione fino alla croce, non ha condotto che una vita di umiliazioni e di ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, come posso temere di umiliarmi?
Un Dio ricerca le umiliazioni, mentre io, verme di terra, vorrei esaltarmi?».
Mio Dio! per favore, distruggi quest’orgoglio che ci allonatana tanto da Te!

Il terzo motivo che deve umiliarci, è la nostra personale miseria.
Non dobbiamo fare altro che guardarla un po’ più da vicino, e vi troveremo un’infinità di motivi per umiliarci.
Il profeta Michea ci dice che noi portiamo in noi stessi il principio e i motivi della nostra umiliazione.
«Non sappiamo forse, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che una infinità di secoli sono trascorsi, prima che noi esistessimo, e che, da noi stessi, non saremmo mai potuti uscire da questo orribile e impenetrabile abisso?
Possiamo forse ignorare che, essendo stati creati, abbiamo una violenta inclinazione verso il nulla, e che occorre che la mano potente di Colui che ce ne ha tratti, ci impedisca di ricadervi, e che, se il buon Dio cessasse di guardarci e di sostenerci, noi verremmo cancellati dalla faccia della terra, con la stessa rapidità di un filo di paglia, travolto dalla tempesta?» (questa citazione non ha nulla a che fare col profeta Michea; tuttavia è di una modernità e profondità notevoli; n.d.a.).

«Ahimè! ci dice il santo Giobbe, che cosa siamo noi, dunque?
Lordura, prima di nascere, miseria, mentre viviamo nel mondo, infezione, quando ne usciamo.
Nasciamo da una donna, ci dice, e viviamo un po’ di tempo; durante la nostra vita, sebbene sia molto corta, piangiamo tanto; e poi la morte non tarda a colpirci».

«Ecco la nostra porzione, ci dice san Gregorio papa; giudicate da ciò, se noi possaimo trovare spazio per esaltarci al di sopra della più bassa cosa del mondo!
Perciò, colui che osa avere la temerarietà di credere di essere qualcosa, è un insensato, che non si è mai conosciuto, poichè, se ci conoscessimo per quello che siamo realmente, non potremmo far altro che nutrire orrore per noi stessi».

Ma non abbiamo minore motivo di umiliarci, nell’ordine della grazia.
Qualunque dono e qualunque talento che possediamo, noi abbiamo ricevuto tutto dalla mano generosa del Signore, che li dona a chi gli piace, e, di conseguenza, non possiamo gloriarcene.
Un concilio ci ha dichiarato che l’uomo, ben lungi dall’essere l’autore della propria salvezza, non è capace di fare altro che perdersi, e che, da se stessi, non si possiede altro che peccato e menzogna.

Sant’Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che siamo niente, e che tutto ciò che abbiamo, lo riceviamo da Dio.

Infine, io dico che dobbiamo umiliarci, in rapporto alla gloria e alla felicità che ci attendiamo nell’altra vita, poichè, da noi stessi, non possiamo meritarle.
Se il buon Dio è tanto buono da donarcele, noi non possiamo fare altro che contare sulla Misericordia di Dio e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figlio.
Come figli di Adamo, non meritiamo altro che l’inferno.
Oh! com’è caritatevole il buon Dio, per donarci la speranza di tanti beni, a noi che non abbiamo fatto nulla per meritarceli!

Che cosa dobbiamo concludere da ciò?
Fratelli miei, ecco.
Dobbiamo domandare a Dio, ogni giorno, l’umiltà, e cioè, che Egli ci faccia la grazia di conoscere che noi non siamo nulla da noi stessi, e che i beni, sia del corpo che dell’anima, ci vengono da Lui…
Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che lo possiamo; siamo ben persuasi che non vi è nessuna virtù più gradita a Dio dell’umiltà, e che insieme ad essa, noi possederemo tutte le altre.
Per quanto potessimo essere peccatori, siamo certi che se saremo umili, il buon Dio ci perdonerà.
Sì, fratelli miei, restiamo attaccati a questa bella virtù; è essa che ci unirà a Dio, che ci farà vivere in pace col nostro prossimo, che renderà la nostra croce meno pesante, che ci donerà la grande speranza che un giorno vedremo Dio.
Egli stesso ci dice: «Beati i poveri in spirito, perchè vedranno Dio!»
E’ quello che vi auguro.
(Sembrerebbe che il curato assegni all’umiltà il posto che, di norma, spetterebbe alla carità; ma la carità, come la fede e la speranza, e come tutte le altre virtù cardinali e morali, sono doni di Dio, anzitutto, e per poter essere esercitate, necessitano della sua grazia preveniente, concomitante, e susseguente; ed è soltanto l’umiltà, quale polo negativo prorio della creatura, che attira la Grazia di Dio, unico polo positivo; inoltre, senza l’umiltà, che, come dice il suo stesso nome è l’ “humus” della vita spirituale, nessuna pianta di virtù potrebbe mai nascere, crescere, fiorire e portare frutto; n.d.a.).

 

fonte: https://jean-marievianney.blogspot.com

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