Meditazione
Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 7 luglio 2021
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
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La carestia e il grido della coscienza
Eccoci giunti a mercoledì 7 luglio 2021. Oggi inizia la novena alla Madonna del Carmelo, mi raccomando, facciamo tutti questa bellissima e importantissima novena, perché ci collega tanto a Fatima, in quanto sapete che nell’ultima Apparizione del 13 ottobre 1917 a Fatima la Madonna apparve vestita con l’Abito del Carmelo.
Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo XLI della Genesi. Un testo, anche questo, bellissimo. Cerco di concentrarmi un po’ sui testi dell’Antico Testamento perché ultimamente vedo che è molto bistrattato: l’Antico Testamento, il Dio vendicativo… tutto per Gesù, quindi non ha valore… non lo sappiamo spiegare… non lo capiamo… ma a cosa serve… cosa vuol dire… si ma ci vuole tutta una lettura…
Quindi ho pensato di concentrarmi un po’ sull’Antico Testamento, per vedere di sfatare un po’ questi miti, perché invece l’Antico Testamento è un testo bellissimo, dove emerge il volto di un Dio meravigliosamente buono, Misericordioso, Paterno, un Dio tanto vicino all’uomo, che ha cura dell’uomo, che è prossimissimo all’uomo. Posso dire di essere un innamorato dell’Antico Testamento. Certo poi qualcuno dirà che sono un prete dell’Antico Testamento, proprio nel vero senso del termine, un prete del mesozoico, ma va bene anche questo. Sono tutte gemme, come disse un ragazzo un giorno che era stato un po’ rimproverato, sorrise, io immaginavo che ci rimanesse male, invece sorrise e disse: “Padre Giorgio, non ti preoccupare, sono tutte meravigliose gemme che mi stanno mettendo sulla corona con la quale mi presenterò un giorno davanti al Padre”. Questo è uno che ha capito cosa vuol dire essere miti e umili di cuore.
Che cosa emerge da questo testo che abbiamo letto, della prima lettura della Messa di oggi?
Innanzitutto c’è un concetto che ritorna praticamente ad ogni frase: c’è una carestia. La parola carestia ritorna 4 volte nel giro di tre frasi. “C’è fame, non c’è il pane, non c’è più niente…” L’unico che ne ha è Giuseppe. Chi ha è colui che è stato previdente, neanche gli egiziani erano stati così previdenti.
La storia di Giuseppe dovete saperla tutti benissimo, perché è una storia affascinante oltre ogni misura, assomiglia molto alla storia della casta Susanna, nel senso che, in entrambe le storie, due innocenti vengono perseguitati e condannati. Giuseppe addirittura venduto come schiavo, rinnegato, tradito, e Dio in entrambe le due storie bellissime, della casta Susanna e di Giuseppe, interviene, li salva, li difende, li riabilita e distrugge gli empi. Due storie affascinanti e stupende, da perderci la notte. Giuseppe, uomo giusto, ha fatto il suo deposito di grano, e quindi adesso può vendere. È l’unico che ha il grano, non c’è nessun altro perché questa carestia ha bruciato tutto. Ed essere nel deserto senza grano è un problema, vuol dire morte. Giuseppe apre i suoi depositi e vende, addirittura il faraone dice agli egiziani di andare da Giuseppe, che era un suo subalterno, dopo il Faraone c’era Giuseppe. Lui vende perché era un tempo di fame terribile. Questa fame aveva colpito anche la terra di Canaan, quindi la grande Terra Promessa, quella dove scorre latte e miele. Era una carestia terribile che si era estesa e aveva investito tutti. Giuseppe risulta essere la nuova Canaan, la nuova terra di delizie, perché è l’unico che ha da mangiare, l’unico che ha il grano da vendere. C’è questo tema della carestia, il tema del grano, che è stato messo da parte da Giuseppe perché è un uomo saggio, e un uomo che ha capito come funziona la vita, che non vive bruciando gli attimi e i momenti, non vive come le cicale, ma sa accumulare il giusto in previsione del fatto che noi del domani non sappiamo nulla.
Arrivano anche i suoi fratelli, improvvisamente appaiono perché hanno fame. Quando si ha fame cadono tutti i distinguo, tutti i se, tutti i ma e i però, quando si ha fame improvvisamente vanno bene anche gli egiziani. Loro sanno che lì c’è qualcuno che vende il grano, così prendono e si dirigono per poter avere anche loro il loro grano da mangiare. Giuseppe che cosa fa? Giuseppe li prende e li mette in galera. “Cominciamo a fargli fare 3 giorni di galera, visto che io ne ho fatti molti di più.”
Tre giorni di galera dicono tanto, sono almeno tre mesi, nel senso dell’impatto simbolico ed esistenziale che hanno sulla persona, è come se fossero tre mesi. Senza dirgli né perché, né per come, né per quanto, loro non lo sapevano, lo sapeva Giuseppe. Dopo tre giorni li fa uscire ma non si fa riconoscere come loro fratello e loro non lo riconoscono neanche più perché era un ragazzo quando l’hanno buttato nella cisterna e venduto come schiavo.
“Voi andate a portare il grano per la fame delle vostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello più giovane.”
Li mette davanti alla loro losca, colpevole, criminale coscienza, li costringe adesso a fare i conti. E loro devono accettare perché o muoiono tutti di fame o devono accettare, ma c’è un problema, il fratello minore non c’è perché è lui, ma loro non sapevano che era lui.
“Chissà dov’è questo qui ormai. Sarà vivo? Sarà morto? Chi lo sa. L’hanno portato via, noi cosa ne sappiamo! L’hanno preso i commercianti di schiavi, chissà dov’è finito! Magari sarà anche già morto.”
Improvvisamente ecco che fanno un esame di coscienza, che non è l’esame di colui che raggiunge il pentimento, diceva Mons. Fulton Sheen, ma l’esame di colui che semplicemente si vede colpevole.
“Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello”
Qui viene fuori tutta la responsabilità che loro hanno:
“perché abbiamo visto con quale angoscia ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpiti quest’angoscia”
Quando si ha la coscienza sporca, quando uno sa di aver fatto un male enorme, capisce bene il senso di certe angosce che lo vanno a colpire e quelle angosce portano ancora di più alla Verità.
Poi succede che Ruben dice: “Ah ma io ve l’avevo detto!”
Ma se l’avevi detto dovevi anche dissociarti, perché non l’hai tirato fuori? Ci sono sempre queste persone che dicono: “Ah ma io l’avevo detto, ma questo era sbagliato, non dovevamo farlo”
E tu perché l’hai fatto? Dovevi prenderlo a tirarlo fuori. Vi ricordate quando, giorni fa, vi dissi che non si deve stare a guardare l’ingiustizia, se no si è come Ruben ed è inutile dire dopo: “Ma io l’avevo visto, lo sapevo, l’avevo detto”.
Se lo sapevi e l’avevi visto perché non sei andato a tirarlo fuori? Perché non ti sei dissociato?
Quindi, caro Ruben, sei più colpevole degli altri, perché tu in più l’avevi anche detto, avevi avuto un’evidenza di coscienza ancora più forte ma non hai fatto niente. L’hai lasciato lì a morire, a supplicarti, a piangere disperato, a vedere i suoi sogni andare in frantumi, a vedersi strappato dall’amore di suo padre, a vedersi strappato dall’amore dei fratelli, dalla sua famiglia, dal suo contesto, dalle sue amicizie, dalla sua cultura, portato via giovane, strappato dalla sua tunica dalle lunghe maniche perché quella tunica sarà stata sicuramente distrutta, spogliato, nudo di tutto, fatto schiavo. Per che cosa? Perché lui faceva dei sogni? E voi eravate divorati dall’invidia e dalla gelosia. Tutti sono colpevoli, Ruben più degli altri.
Tu vedi il male? Non puoi semplicemente denunciarlo e dire: “Ho visto il male, l’avevo detto”. No, devi intervenire se lo vedi. Se non intervieni diventi complice, questa è la verità.
Giuseppe, allora, esce e piange. Perché? Perché, per prima cosa, c’è il ricordo di tutto quel male, in secondo luogo perché i suoi fratelli non riconoscono niente, non dicono: “Ma cosa abbiamo fatto?” Sono ancora lì a nascondersi, a scaricarsi la responsabilità a vicenda e sono assolutamente coscienti del male che hanno fatto.
Ma che vita è questa? Si può vivere una vita così?
Sì. Si può vivere una vita così, con una coscienza così terribilmente colpevole, ma stiamo tranquilli perché la vita, cioè la Divina Provvidenza, non è oggi, o domani, ci mette davanti al naso tutte le nostre scelte, nel bene e nel male. Il detto dice: “Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine”, e “Dio paga anche di sabato”. Quindi stiamo tranquilli, prima o poi tutti dobbiamo fare i conti con la nostra coscienza, ben prima di morire.
Traggo la speranza dal tuo Sangue
Io mi rifugio nel tuo Tabernacolo, mi prostro a’ piè della tua Croce.
Deh! per lo strazio delle tue carni immacolate, per il martirio del tuo cuore ferito, per le angosce de’ tuoi spasimi, abbi pietà di me.
Suor Maria Antonietta Prevedello.
La passione di Gesù deve sempre starci davanti agli occhi.
San Gaspare del Bufalo:
Vedo talvolta nella mia mente una moltitudine di operai evangelici che vanno gradatamente per tutta la terra col calice santo di Redenzione, offrendo al Divin Padre il Divin Sangue… ed insieme applicandolo alle anime…e mentre tanti abusano del prezzo di Redenzione vi sia uno stuolo di anime che cerchino di compensare i torti che riceve Gesù.
Qualcuno potrebbe dire: “Padre ma non ha paura di parlare in questi termini del mesozoico?”
No, non ho paura, perché, guardate, io mi sento molto confortato dalla Madonna di Fatima. La Madonna a Fatima nel 1917 ha usato termini uguali e anche l’Angelo del Portogallo che presumibilmente è San Michele Arcangelo, apparendo ai tre fanciulli, ai tre pastorelli. Usano questi termini e io mi sento in compagnia della Madonna, di San Michele, di San Gaspare del Bufalo e li uso, non ritengo che siano vetusti, anacronistici, incomprensibili, teologicamente superati, no, non lo penso.
La giaculatoria di oggi:
Sangue Prezioso di Gesù, prezzo infinito del nostro riscatto, sii sempre amato da tutti gli uomini
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Mercoledì della XIV settimana Tempo Ordinario – Anno B
PRIMA LETTURA (Gn 41, 55-57; 42, 5-7. 17-24)
In quei giorni, tutta la terra d’Egitto cominciò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli Egiziani: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà». La carestia imperversava su tutta la terra. Allora Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e lo vendette agli Egiziani. La carestia si aggravava in Egitto, ma da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perché la carestia infieriva su tutta la terra. Arrivarono i figli d’Israele per acquistare il grano, in mezzo ad altri che pure erano venuti, perché nella terra di Canaan c’era la carestia.
Giuseppe aveva autorità su quella terra e vendeva il grano a tutta la sua popolazione. Perciò i fratelli di Giuseppe vennero da lui e gli si prostrarono davanti con la faccia a terra. Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l’estraneo verso di loro e li tenne in carcere per tre giorni.
Il terzo giorno Giuseppe disse loro: «Fate questo e avrete salva la vita; io temo Dio! Se voi siete sinceri, uno di voi fratelli resti prigioniero nel vostro carcere e voi andate a portare il grano per la fame delle vostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello più giovane. Così le vostre parole si dimostreranno vere e non morirete». Essi annuirono.
Si dissero allora l’un l’altro: «Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello, perché abbiamo visto con quale angoscia ci supplicava e non lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpiti quest’angoscia».
Ruben prese a dir loro: «Non vi avevo detto io: “Non peccate contro il ragazzo”? Ma non mi avete dato ascolto. Ecco, ora ci viene domandato conto del suo sangue». Non si accorgevano che Giuseppe li capiva, dato che tra lui e loro vi era l’interprete.
Allora egli andò in disparte e pianse.