Dopo tre giorni dalla pubblicazione della mia intervista su LifeSiteNews a cura del direttore John-Henry Westen, lo stesso sito ha pubblicato giovedì 27 novembre, un intervento di Mons. Athanasius Schneider, eminente Vescovo di grande rilievo internazionale.
La breve dissertazione di Sua Eccellenza tenta di confutare le tesi sull’invalidità della rinuncia di Papa Benedetto XVI, sulla sua sede impedita e sull’invalidità del conclave che ha portato all’elezione del card. Bergoglio.
Prima di entrare nel merito delle considerazioni di Mons. Schneider, desidero sottolineare che la redazione di Life Site News dimostra lodevolmente di non temere nel dare spazio a tutte le posizioni in campo sulla crisi attuale della Chiesa, compresa la posizione che dimostra l’invalida rinuncia di Benedetto e la conseguente invalida elezione di Francesco, un’apertura culturale che, purtroppo, non si respira in tutti i Paesi.
La seconda cosa che desidero sottolineare è che la presenza di un vero e proprio dibattito getta luce sul momento presente: nell’occidente cattolico, la questione sulla illegittimità del Pontificato di Francesco si stia diffondendo in modo rilevante, tanto da stimolare uno dei più famosi Vescovi conservatori ad intervenire nuovamente sulla questione.
Desidero chiarire fin da subito che non intendo attaccare la persona di Mons. Schneider, al quale mi lega un sincero affetto filiale. Ho avuto l’onore di conoscerlo personalmente e di accoglierlo più volte quando ero priore di un convento carmelitano in provincia di Milano: lì ha presieduto la Santa Messa e ha tenuto importanti catechesi. Sono certo della sua buona fede, così come del suo sincero desiderio di santità, che lo guida e lo motiva nella sua opera pastorale. Tuttavia, non posso esimermi dal rilevare, alla luce di evidenze oggettive, che Mons. Schneider, ponendosi in una posizione nettamente legittimista rispetto al papato di Bergoglio, si espone a una contraddizione che andrò a evidenziare.
Vorrei ora analizzare alcuni passaggi salienti dell’articolo, cercando di evidenziare le problematiche presenti nel discorso del Vescovo, pur mantenendo il rispetto dovuto alla sua persona e al suo ministero episcopale.
Leggiamo l’incipit dell’intervento:
The safest guiding principle in the crucial question regarding the validity of the papacy of Pope Francis is the prevailing practice in the history of the Church, with which were resolved cases of presumed invalid papal renunciations or elections. In this prevailing practice was shown the sensus perennis ecclesiae.
Il principio guida più sicuro in tale questione cruciale per la vita della Chiesa dovrebbe essere la prassi prevalente con cui erano risolti i casi di una rinuncia o rispettivamente di una elezione pontificia presumibilmente invalida. In ciò si mostrava il sensus perennis ecclesiae.
Già devo intervenire perplesso: come può la semplice comparazione fra avvenimenti storici essere il metodo dirimente per comprendere come oggi deve agire la Chiesa? Tanto più che le irregolarità passate riguardavano soprattutto pressioni politiche o compravendite, mentre qui si tratta di una questione legata alla natura stessa del ministero petrino.
Innanzi tutto, andrebbe consultata la Norma vigente, e non la pratica prevalente, infatti la prima potrebbe contraddire la seconda, ed è questo il caso che approfondiremo a breve.
Fin da queste prime righe si inizia a notare come Mons. Schneider eviti di prendere in considerazione i dati oggettivi rinvenibili nel Codice di Diritto canonico e nella Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis e preferisca sostenere la propria tesi con considerazioni basate sul senso comune.
Continuiamo:
Il principio della legalità applicato ad litteram o del positivismo giuridico non era considerato nella grande prassi della Chiesa un principio assoluto, poiché nel caso della legislazione dell’elezione papale si trattava di legge umana, e non divina.
The principle of legality applied ad litteram (to the letter) or that of juridical positivism was not considered an absolute principle in the great practice of the Church, since the legislation of the papal election is only a human (positive) law, and not a Divine (revealed) law.
La legge umana che regolarizza l’assunzione dell’ufficio papale o la dimissione dall’ufficio papale deve essere subordinata al bene maggiore di tutta la Chiesa, che in questo caso è l’esistenza reale del capo visibile della Chiesa e la certezza su tale esistenza per tutto il corpo della Chiesa, clero e fedeli, poiché tale esistenza visibile del capo e la sua certezza sono richieste dalla natura stessa della Chiesa.
The human law that regulates the assumption of the papal office or the dismissal from the papal office must be subordinated to the greater good of the whole Church, which in this case is the real existence of the visible head of the Church and the certainty of this existence for all the body of the Church, clergy and faithful.
Mons. Schneider ci sta dicendo che le leggi della Chiesa che regolano le valide dimissioni e la valida elezione e di un Papa sarebbero “solo delle leggi umane”, pertanto non si dovrebbe insistere affinché venga ristabilita una valida elezione del Papa tramite l’applicazione delle norme vigenti oggi, contenute nella Universi Dominici Gregis e nel vigente Diritto Canonico. Questo perché ci sarebbe un bene ancora maggiore del rispetto delle leggi, che sarebbe la “the real existence of the visible head of the Church”.
Quindi a cosa servirebbe la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, emanata da San Giovanni Paolo II nel 1996, che regolamenta in modo scrupoloso ogni aspetto della elezione del Papa? A cosa servono queste leggi vigenti e vincolanti, se si possono trascurare per perseguire un presunto bene maggiore?
Quindi tutte le volte che Cardinali, Vescovi, Santi, imperatori e regnanti si sono adoperati per ristabilire la Sede petrina occupata da un antipapa, non avrebbero perseguito la ricerca del bene maggiore per la Chiesa, cioè quello della “real existence of the visible head of the Church”? Ma è chiaro che questo capo debba essere eletto validamente, secondo le leggi vigenti al momento della elezione, questo è dirimente perché si operi il bene maggiore per la Chiesa.
Il bene maggiore della Chiesa è espresso nella legge vigente della Chiesa che è il Diritto Canonico, legge da seguire e rispettare per intero, senza distinzioni fra “leggi umane” e “leggi divine” come invece fa Sua Eccellenza ” equiparando così il Diritto Canonico al giuspositivismo, come se la forma potesse essere slegata dalla sostanza, come se del Diritto Canonico si potesse ritenere solo ciò che aggrada.
Cito a questo proposito alcuni importanti interventi dei Papi recenti sull’importanza del Diritto Canonico.
Così disse Paolo VI nell’Allocuzione ai partecipanti al Il Congresso internazionale di diritto canonico, 17 settembre 1973: «Come voi sapete, opinioni non benevole hanno gettato un’ombra di sospetto sul Diritto della Chiesa: certuni pensano che, come società visibile, la Chiesa non debba avere a che fare con un Diritto proprio, e possa attenersi a regolamenti o ad ordinamenti interni; altri invece non hanno visto, alla luce del Concilio Vaticano Il, che questo Diritto è profondamente radicato nel mistero stesso della Chiesa»[1].
E Giovanni Paolo II, presentando il nuovo Codice di Diritto Canonico, il 3 febbraio 1983: “Il diritto, pertanto, non va concepito come un corpo estraneo, né come una superstruttura ormai inutile, né come un residuo di presunte pretese temporalistiche. Connaturale è il diritto alla vita della Chiesa, cui anche di fatto è assai utile: esso è un mezzo, è un ausilio, è anche – in delicate questioni di giustizia – un presidio.”[2]
Il testo di Mons. Schnieider continua dicendo
tale esistenza visibile del capo e la sua certezza sono richieste dalla natura stessa della Chiesa. La Chiesa universale non può esistere per un tempo considerevole senza capo visibile, senza il successore di Pietro, giacché da esso dipende l’attività vitale della Chiesa universale
This visible existence of the head and the certainty about it are required by the very nature of the Church. The universal Church cannot exist for a considerable time without a visible Supreme Shepherd, without the successor of Peter, since the vital activity of the universal Church depends on its visible head […].
Per Sua Eccellenza sarebbero quindi troppo gravi le conseguenze dell’invalidità dell’elezione del 2013, perché questo possa essere vero. Questa posizione confonde le conseguenze pratiche del fatto con la sua verità ontologica. Sarebbe come die: “siccome è gravissimo che un padre di famiglia muoia perché in quel caso lascerebbe soli moglie e figli, non potrebbe più curare i genitori anziani, non pagherebbe più il mutuo, lascerebbe un posto vuoto al lavoro e nella società, ecc. Allora è impossibile che un padre muoia”.
Il fatto che un evento abbia conseguenze negative, dannose o perfino disastrose, non lo rende impossibile e negare la realtà dei fatti non aiuta a risolvere la situazione.
Le considerazioni di Mons. Schneider sembrano ignorare il diritto vigente nella Chiesa. Il Codice di Diritto Canonico contempla la possibilità di una elezione invalida (dal CIC cann. 153 §1; 189 §3; 332 §2; da UDG artt. 33; 76-77; 79-82). Anche la situazione di sede vacante è contemplata e il Codice non dice nulla sul tempo massimo della sua durata. A Sua Eccellenza, come a tutti noi, sembra un tempo interminabile quello che stiamo vivendo, e a ragione. Sembrano conseguenze gravissime e irreparabili quelle che la situazione sta causando, è vero, ma la gravità della situazione non può far mutare la natura della sua causa.
Inoltre, non si può definire in senso stretto la condizione in cui ci troviamo: “Chiesa in stato di sede vacante”, perché a norma del Diritto Canonico questo stato particolare della Sede deve essere dichiarato dal Collegio cardinalizio, e come sappiamo tutti, ciò non è ancora avvenuto. Infatti, dalla morte di Papa Benedetto XVI il Collegio cardinalizio non ha ancora compiuto il suo dovere di annunciare la sede vacante, a norma degli artt. 37 e 84 di Universi Dominici Gregis, come modificata da Normas Nonnullas.
Faccio ora un inciso importante: tra coloro che difendono la validità del pontificato di Francesco, e coloro che lo attaccano, vi sono molti che assumono lo stesso atteggiamento in merito alla legge della Chiesa: “Universi Dominici Gregis è una legge umana, non può risolvere questa crisi”.
Mons. Schneider, lo abbiamo appena sentito, sostiene che il principio non giuridico della accettazione pacifica universale sia sufficiente e più dirimente delle leggi della Chiesa per giustificare la validità di Bergoglio.
Allo stesso modo, abbiamo sentito dire da altri che le leggi sull’elezione del Papa sono solo leggi umane, che i Cardinali non interverranno e quindi occorre muoversi su strade diverse da quelle contemplate dal diritto.
I primi credono di sanare il problema attaccandosi all’APU, o a un presupposto bene maggiore da perseguire, diversamente da come indicato dal Magistero, gli altri, invece, fuggendo nello scisma.
Queste due fazioni, opposte fra loro, cadono però nello stesso errore: sminuiscono e in sostanza rifiutano il vincolo di fede e obbedienza che dobbiamo alla Chiesa, che è mistero umano e divino insieme, che si manifesta anche nell’unione fra diritto di discendenza divina e diritto riformabile, poiché è diritto divino e umano insieme, senza dicotomie e dualismi, espresso nel Magistero della Chiesa e anche nel Diritto Canonico, che è espressione dello stesso Magistero nella potestà di governo della Chiesa.
Ma Paolo VI, nella già citata Allocuzione ai partecipanti al Il Congresso internazionale di diritto canonico disse: «Tutti gli elementi istituzionali e giuridici sono sacri e spirituali, perché vivificati dallo Spirito. In realtà, lo “Spirito” e il “Diritto” nella loro stessa fonte formano un’unione, in cui l’elemento spirituale è determinante; la Chiesa del “Diritto” e la Chiesa della “carità” sono una sola realtà, della cui vita interna è segno esteriore la forma giuridica. È perciò evidente che questa unione deve essere conservata nell’adempimento di ogni “ufficio” e potestà nella Chiesa, perché qualsiasi attività della Chiesa deve essere tale da manifestare e da promuovere la vita spirituale. E tanto si dica della legislazione canonica, come di ogni altra attività esterna della Chiesa, che, pur essendo attività umana, deve essere informata dallo Spirito»[3].
Solo il Collegio Cardinalizio è tenuto a provvedere alla Sede Apostolica, a intervenire per difenderla come dice l’art. 33 di Universi Dominici Gregis. Questa è ora la legge della Chiesa, l’unica che può essere applicata per permettere che venga eletto validamente il futuro Pontefice.
Il testo di Sua Eccellenza continua:
L’accettazione della possibilità di un prolungato tempo della sedisvacantia papalis conduce facilmente allo spirito del sedevacantismo, un fenomeno settario e quasi-eretico apparso negli ultimi sessant’anni a causa dei problemi legati al Concilio Vaticano II e ai papi conciliari e post-conciliari.
The acceptance of the possibility of a prolonged time of a vacancy of the Holy See (sedisvacantia papalis) easily leads to the spirit of sedevacantism, which ultimately constitutes a kind of a sectarian and quasi-heretical phenomenon that has appeared in the past sixty years due to the problems with Vatican II and the conciliar and post-conciliar popes.
Penso che si possa tenere lontano questo spirito sedevacantista battendosi per far valere i diritti di Pietro tramite il rispetto del Magistero ufficiale vigente rappresentato da Universi Dominici Gregis, con la benedizione di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, che rispettivamente hanno pubblicato e aggiornato questa Costituzione. Aggiungo che, personalmente, non ho mai denigrato il Concilio Vaticano II, al contrario, l’ho sempre difeso sia dalle interpretazioni moderniste, sia dagli strali disfattisti di chi vuole vedervi il male che non c’è.
Inoltre, custodisce dall’errore sedevacantista la scorta illustre dei Santi del passato. È già successo molte volte, ad esempio durante il Grande Scisma d’Occidente, che i Cardinali, i Vescovi, il clero e il popolo di Dio si siano adoperati per ristabilire la Sede petrina.
Oggi indico il Codice di Diritto Canonico e richiamo i Cardinali a intervenire, senza che alcuna infondata tesi teologica scismatica mi animi.
Proseguo con la lettura del testo di Sua Eccellenza:
Il bene spirituale e la salvezza eterna dei fedeli è la legge suprema nel sistema normativo della Chiesa. Per questa ragione esiste il principio del “supplet ecclesia” ossia della “sanatio in radice”: cioè la Chiesa completa ciò che era contro la legge, nel caso dei sacramenti, per esempio confessione, matrimonio, cresima, o gli oneri delle intenzioni delle Messe. Guidato da questo principio veramente pastorale, l’istinto della Chiesa ha applicato il “supplet ecclesia” o la “sanatio in radice” anche nel caso dei dubbi di una rinuncia o di una elezione pontificia. Concretamente la “sanatio in radice” di una elezione pontificia invalida si esprimeva nell’accettazione pacifica e moralmente universale del nuovo Pontefice da parte dell’episcopato e del popolo cattolico, per lo stesso fatto che tale Pontefice eletto (presumibilmente invalido) era nominato nel Canone della Messa praticamente da tutto il clero cattolico.
The spiritual good and eternal salvation of the faithful is the supreme law in the normative system of the Church. For this reason, there is the principle of supplet ecclesia (“the Church supplies”) or of sanatio in radice (“healing at the root”), that is, the Church completes what was against the human positive law, in the case of the sacraments, which demand jurisdictional faculties, e.g. confession, marriage, confirmation, the burdens of the intentions of the Masses.
Guided by this truly pastoral principle, the instinct of the Church has also applied the principle of supplet ecclesia or sanatio in radice in cases of doubts about a renunciation or a pontifical election. Concretely, the sanatio in radice of an invalid pontifical election was expressed in the peaceful and morally universal acceptance of the new Pontiff by the episcopate and the Catholic people, and in the fact that this elected, supposedly invalid, Pontiff was named in the Canon of the Mass by practically the entire Catholic clergy.
L’Accettazione Pacifica Universale (APU), invocata da mons. Schneider come concretizzazione del principio del Supplet Ecclesia nel caso di una dubbia elezione papale o di dubbia rinuncia, è solo una opinione teologica e non ha una codificazione nel diritto canonico, né è definita nei documenti ufficiali del Magistero. Pertanto, non ne esiste nemmeno una unica definizione.
Per assurgere la APU a verità necessaria e infallibile, alcuni invocano la “Nota Dottrinale illustrativa della Professio Fidei” del 1998, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Si tratta di un documento che tratta dell’assenso dovuto ai pronunciamenti del Magistero. Vi si specifica che alcuni pronunciamenti di natura dottrinale, sebbene non dichiarati infallibili, devono ricevere un assenso per il loro legame con la Rivelazione.
L’unico punto della Nota che menziona l’elezione del Papa è questo:
“Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi: la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.”
Nel documento non c’è alcun riferimento all’APU, la quale è un argomento di per sé totalmente diverso rispetto a quello indicato nella Nota Dottrinale. Non vi si trova esplicito riferimento all’APU, né indicazioni che la Chiesa intenda includere automaticamente l’APU tra le verità di assenso infallibile. Il fatto dogmatico è la legittimità dell’elezione del Papa, non la APU. Mentre è indubbio che l’APU rappresenti un punto importante per la teologia cattolica, e che sia strettamente legata al tema della legittimità dell’elezione del Papa, non risulta dalle fonti che si tratti di un fatto dogmatico nel senso stretto come descritto dalla teologia, e né la Nota del 1998 né altri documenti magisteriali sostengono questa lettura.
Non si può confondere la dottrina dell’infallibilità della Chiesa nel dichiarare un Papa legittimo con quella dell’eventuale sanazione prodotta dell’APU.
Perché mi riferisco solo al caso della sanazione?
L’affermazione: «la Chiesa non potrebbe sbagliare nel considerare Papa uno che Papa non è» significa anche che, se sul soglio di Pietro sedesse un non-Papa, non potrebbe ricevere la pacifica accettazione universale, e questo sarebbe la prova che la sua elezione è stata portatrice di vizi tali da non poter essere sanati dalla APU. Questa è l’unica applicazione pratica dell’APU coerente con la dottrina della Chiesa.
La APU non può mai essere considerata come “ratifica” di una valida elezione, né “requisito” ulteriore di validità in aggiunta al rispetto delle leggi che regolano lo svolgimento del Conclave.
La sottomissione (e quindi l’accettazione) al Sommo Pontefice validamente eletto è una necessità di fede, per un battezzato. L’accettazione universale, da parte di tutti i fedeli, del Papa è dunque la conseguenza necessaria di una valida elezione.
Lo si comprende se si risale al fatto storico al quale i teologi fanno riferimento per elaborare questa teoria. Il contesto storico è quello del Grande Scisma d’Occidente, durante il quale tre papi rivendicavano simultaneamente il titolo. Il Concilio di Costanza depose due di loro, (mentre il terzo abdicò volontariamente), ed elesse Martino V, ristabilendo l’unità della Chiesa. In questo clima di confusione ecclesiale si diffusero le dottrine eretiche di John Wyclif e Jan Hus, che, tra le altre cose, criticarono l’autorità e la legittimità morale del papato. Martino V, con la bolla Inter cunctas (22 febbraio 1418), propose una lista di domande da porre ai sospetti eretici. La numero 24 recitava: «se crede che il papa canonicamente eletto, per tutto il tempo in cui è in carica, una volta scelto il proprio nome, è il successore del beato Pietro e possiede la suprema autorità nella chiesa di Dio» (Denz. 1264).
Quindi, in realtà, Martino V legiferò esattamente in direzione opposta all’interpretazione secondo la quale la APU sarebbe una sorta di “ratifica” della validità di un’elezione. Il fedele, per non essere considerato eretico, doveva riconoscere l’autorità del papa canonicamente eletto.
Ci sono sicuramente dei casi in cui l’APU può sanare un’elezione illegittima. In questo senso Mons. Schneider cita dei casi di dubbia elezione o di dubbia rinuncia del passato in cui è stato applicato questo principio. Ma attenzione: non facciamo un uso improprio di analogie storiche per giustificare una situazione presente, non si può applicare l’APU in assoluto, su tutti i casi possibili. Sarebbe come dire che, siccome alcuni accusati di assassinio sono stati prosciolti, allora non si debbano più processare gli assassini. È una fallacia logica ricorrere ad un argomento per precedenti (argumentum ad exemplum), infatti, se è pur vero che storicamente papi eletti in circostanze dubbie o irregolari (es. Gregorio VI, Urbano VI, Bonifacio VIII) sono stati riconosciuti come validi, si deve tuttavia osservare che ogni circostanza è un caso a sé. Il fatto che vi siano stati altri casi storici, avvenuti in contesti sicuramente diversi, non ha alcuna rilevanza col caso attuale di Papa Francesco. Mons. Schneider dimostra di sottovalutare le differenze dottrinali e giuridiche contemporanee. L’argomento storico può essere utile come riferimento generale, ma non risolve la specificità del caso attuale. Per sostenere la validità del papato di Francesco, è necessario affrontare direttamente i dubbi canonici e teologici, senza fare affidamento su analogie storiche che rischiano di banalizzare la questione.
Ci sono casi in cui l’elezione, o la rinuncia, risultano così gravemente viziate, che l’APU non potrebbe in alcun modo sanarle. Facciamo alcuni esempi.
Un primo caso si configura se la sede non è vacante. È il caso da me esaminato nella mia dimostrazione circa l’invalidità della rinuncia di Benedetto XVI. Se, come ho scritto, la sede papale non fosse stata realmente vacante al momento del conclave del 2013, l’APU non potrebbe sanare l’elezione di Papa Francesco. Senza una sede vacante, qualsiasi elezione papale è nulla ab origine e la Chiesa non riconosce alcuna possibilità di sanazione a questa che non sarebbe un’irregolarità elettorale, bensì una vera e propria invalidità. L’APU ha sempre operato nella storia della Chiesa come sanatoria per irregolarità procedurali minori, non per legittimare l’elezione di un nuovo Papa in presenza di un Papa regnante.
Un altro caso si pone quando per l’elezione vengono utilizzate procedure che, dai Papi precedenti, sono state dichiarate tali da invalidare l’elezione stessa e questa dichiarazione è stata fatta in modo chiaro, perentorio e assoluto. Anche in questo caso l’eventuale presenza dell’APU non potrebbe sanare l’elezione, in quando tale sanazione andrebbe contro il volere e le leggi del Papa, rendendo vano e nullo il suo potere divino di “legare in Terra ed in Cielo”. Sarebbe questo il caso di un’elezione in contrasto con le norme di Universi Dominici Gregis.
Un terzo esempio è quando i membri della Chiesa sono stati ingannati e male informati, e pertanto non hanno tutte le informazioni essenziali per fare la scelta dell’accettazione del Papa neoeletto in modo realmente consapevole. In questo caso l’APU implicherebbe un’accettazione falsa e completamente inefficace. Sarebbe contrario al buon senso e alla stessa giustizia divina considerare vera “l’accettazione pacifica” di una o più persone, nel caso in cui queste fossero state ingannate e private delle vere conoscenze. Se io mettessi del veleno in un bicchiere d’acqua e lo offrissi a qualcuno ignaro, non potrei certo difendermi dicendo “ma lui ha accettato di berlo!”. Bisogna notare poi che nella filosofia e teologia cattolica, la conoscenza è un elemento fondamentale per determinare la responsabilità e l’efficacia di certe azioni.[4]
Usciamo ora dalla teoria e veniamo al caso pratico in esame: C’è una vera adesione universale a Papa Francesco?
Sua Eccellenza Mons. Schneider spesso e con grande dolore riconosce gli errori dottrinali di “Papa Francesco”, ma allo stesso tempo, vuole a tutti i costi salvarne il papato. Il risultato è una posizione incoerente con la dottrina dell’obbedienza alla Chiesa che lui stesso sembrerebbe voler difendere.
Ricordo cosa prescrive il Codice di Diritto Canonico circa l’obbedienza al Papa:
Can. 752 – Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli, perciò, procurino di evitare quello che con essa non concorda[5].
Mons. Schneider si è posto fin da subito in posizione critica verso Papa Francesco e spesso in questi anni ha messo in evidenza le sue divergenze dalla sana e retta dottrina, anche in materia di magistero autentico. Come si concilia questo comportamento con il fatto che al Magistero autentico del Santo Padre si deve il “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà”?
Leggiamo cosa scrive il Card. Billot in merito alle ragioni della dottrina dell’APU:
«È certo che, se la Chiesa aderisse a un falso pontefice, sarebbe come se aderisse a una falsa regola di fede, poiché il Papa è la regola vivente che la Chiesa deve seguire nella fede e che segue sempre di fatto, come sarà ancora più chiaro in ciò che verrà detto in seguito.»[6]
La Chiesa non può aderire universalmente e pacificamente a un falso pontefice perché ciò equivarrebbe a una defezione della Chiesa dalla fede cattolica, vale a dire a un venir meno del dogma dell’indefettibilità della Chiesa. Aderire a un uomo come Papa è inseparabile dall’aderire a lui come regola della fede. Pertanto, quando la Chiesa si sottomette a un uomo come “regola vivente della fede,” quell’uomo deve necessariamente essere il Papa.
Ma la Chiesa offre effettivamente a Papa Francesco una tale adesione universale e pacifica? La Chiesa Cattolica aderisce universalmente a Francesco come “regola vivente della fede”? I Cardinali, i Vescovi e lo stesso Mons. Schneider aderiscono a Francesco come “regola vivente della fede”?
Ripercorro qui l’ottima trattazione di Matthew McCusker nei suoi articoli per LifesiteNews a proposito della “regola prossima della fede” e la “regola remota della fede.”[7]
La regola prossima della fede è rappresentata dal Magistero della Chiesa, ossia dall’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica, che si esprime attraverso il Papa e i vescovi uniti a lui. La regola remota è costituita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione Apostolica. La Chiesa cattolica, per la sua fede nelle promesse di Gesù Cristo, ritiene che il Magistero (regola prossima) non possa mai contraddire la Scrittura e la Tradizione (regola remota), poiché il suo compito è interpretarle fedelmente e preservarle da errori.
Quando parliamo di sottometterci al Papa come “regola vivente della fede,” intendiamo che consideriamo lui e i vescovi che insegnano in unione con lui, come la “regola prossima” di ciò che dobbiamo credere.
Scrive McCusker su Lifesitenews:
“Ma oggi molti cattolici non si rivolgono a Francesco in questo modo, al contrario, confrontano continuamente la sua dottrina con quella contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, la “regola remota di fede,” per giudicare autonomamente se essa sia ortodossa. Essi lo fanno perché hanno capito che Francesco non è un legittimo maestro della fede […] Questa è una chiara inversione del corretto rapporto tra il Papa e i fedeli, tra il maestro e i discepoli, e manifesta chiaramente che i cattolici non considerano Francesco come loro regola vivente della fede”.
“But today, faithful Catholics do not approach Francis in this way. Instead, they continually compare his doctrine to that contained in Scripture and Tradition, the “remote rule of faith,” to judge for themselves whether it is orthodox. They do this because they know, as a result of his public departure from the Catholic faith, that he is not a legitimate teacher of the faith. […] “this is a clear inversion of the proper relationship between the pope and the faithful, between the teacher and the taught, and it clearly manifests that Catholics do not take Francis as their living rule of faith”.
Questo non riguarda solo i semplici fedeli laici. Sono numerosi gli esempi di cardinali e vescovi che si sono pubblicamente posti in maniera critica rispetto all’insegnamento di Francesco. E credo di non sbagliare se dico che un fatto del genere non si era mai verificato con i pontefici precedenti che ho conosciuto.
- Amoris Laetitia ha diviso i vescovi riguardo l’interpretazione del permesso di ricevere la Santa Comunione per i “divorziati risposati.” I vescovi polacchi hanno emesso una dichiarazione a sostegno della dottrina ortodossa. Il 19 settembre 2016 i Card. Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner hanno inviato al Papa dei dubia in merito all’interpretazione dell’enciclica.
- Il 2 agosto 2018, Francesco ha formalmente emendato il “Catechismo della Chiesa Cattolica” per escludere interamente la legittimità della pena capitale. Ma la Chiesa Cattolica ha sempre insegnato che l’uso della pena capitale da parte dello stato è legittimo in determinate circostanze. Il 31 maggio 2019, una dichiarazione firmata dal Card. Burke, dal Card. Pujats, dall’Arcivescovo Peta, dall’Arcivescovo Lenga e da mons. Schneider ha pubblicamente respinto l’insegnamento di Francesco, facendo appello alla “regola remota” della fede.
- Nel luglio 2023 i cardinali Brandmüller, Burke, Sandoval Íñiguez, Sarah e Zen Ze-kiun hanno presentato al Papa 5 domande con la richiesta di un chiarimento su alcune questioni relative alla interpretazione della Divina Rivelazione, sulla benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, sulla sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, sull’ordinazione sacerdotale delle donne e sul pentimento come condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale.
- Dopo la pubblicazione di Fiducia Supplicans decine di Conferenze Episcopali hanno dichiarato che non applicheranno il documento nei loro territori.
Qui vediamo due punti con grande chiarezza:
- Francesco si discosta pubblicamente dalla regola di fede proposta dal Magistero della Chiesa Cattolica e
- una parte significativa dell’episcopato si rifiuta di seguirlo come “regola vivente della fede.”
Un tale stato di cose non può, con alcuna convinzione o credibilità, essere descritto come “adesione universale e pacifica” della Chiesa Cattolica a Francesco come “regola vivente della fede”. Di conseguenza, l’argomento dell’adesione universale e pacifica non può essere utilizzato per giungere alla conclusione che Francesco sia il Papa come sostiene mons. Schneider.
Prima di arrivare alle conclusioni di Sua Eccellenza riporto ancora due brevi citazioni del suo intervento. Nella prima citazione Mons. Schneider assume per ipotesi la veridicità della tesi che io difendo.
Può anche capitare che tutti i cardinali nominati da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI muoiano; il collegio cardinalizio della Chiesa Cattolica sarebbe allora composto solamente da cardinali nominati da Papa Francesco, quindi da non-cardinali (secondo i fautori del pontificato invalido di Francesco); di conseguenza non ci sarebbe più un collegio cardinalizio, e nemmeno elettori validi, che potrebbero procedere ad una nuova elezione pontificia. […] La Chiesa si troverebbe in un vicolo cieco, senza uscita.
Another hypothetical situation: were all the cardinals nominated by John Paul II and Benedict XVI to die, the College of Cardinals would be composed only of cardinals appointed by Pope Francis. But according to the theory of the invalid pontificate of Francis, they would all be non-cardinals, and therefore there would no longer be a College of Cardinals. It would follow that there were no valid electors who could proceed to a new pontifical election. […] The Church would be in a dead end, a cul-de-sac.
Sua Eccellenza, facendo riferimento alle norme di Universi Dominici Gregis, pur non nominandole esplicitamente, conclude che si arriverebbe ad un vicolo cieco nel caso in cui morissero tutti i Cardinali nominati prima del 2013.
Ritorniamo allo stesso vizio argomentativo che ho denunciato in partenza: sarebbero troppo gravi le conseguenze, perché questo possa essere vero.
Invece dobbiamo guardare in faccia la realtà e renderci conto che abbiamo ancora la possibilità di sperare nell’intervento della Provvidenza per mezzo del Collegio Cardinalizio, a norma del Magistero della Chiesa, anche se per troppi anni la Chiesa è stata infiltrata e avvelenata dalla massoneria. Noi confidiamo nel Dogma della indefettibilità della Chiesa e nell’intervento di Dio, non negli uomini, o nei calcoli e nelle logiche umane.
La conclusione di Mons. Schneider è sorprendente:
Il modo per reagire al comportamento confuso di Papa Francesco è quello di ammonirlo pubblicamente riguardo ai suoi errori. Detto questo, è necessario farlo con tutto il dovuto rispetto. Successivamente, si deve fare una professione di fede specificando quelle verità che Papa Francesco ha contraddetto o indebolito con le sue ambiguità. Poi si devono compiere atti di riparazione. Inoltre, bisogna chiedere a Dio la grazia della conversione di Papa Francesco e l’intervento divino per risolvere questa crisi senza precedenti. Tuttavia, Papa Francesco è certamente il Papa valido.
The way to react to the confusing behavior of Pope Francis is to admonish him publicly regarding his errors. That said, one must do this with all due respect. Then one must make a profession of faith by specifying those truths which Pope Francis has contradicted or undermined by his ambiguities. Then one must do acts of reparation. One must also ask God for the grace of Pope Francis’ conversion and for the Divine intervention to resolve this unprecedented crisis. Nevertheless, Pope Francis is certainly the valid Pope.
Siamo arrivati a questa situazione paradossale: un Vescovo conosciuto e seguito in tutto il mondo per la sua difesa della Retta Dottrina, sostiene la tesi che un legittimo Pontefice possa insegnare errori che contraddicano la professione di fede e che possa essere la causa di una crisi senza precedenti all’interno della Chiesa.
Questo, sostanzialmente, significa ammettere la possibilità del papa devius a fide. Si aprirebbe qui la trattazione di un altro ampio tema che per necessità di spazio devo rimandare. Sono, tuttavia, convinto, sulla scia di illustri canonisti, tra i quali spicca S. Bellarmino, che non si possa dare un papa eretico e, se ciò avvenisse, questi perderebbe ipso facto la carica.
[1] Paolo VI, Allocuzione ai partecipanti al Il Congresso internazionale di diritto canonico, 17 settembre 1973, in «Communicationes» V [1973], p. 123-124
[2] Giovanni Paolo II, Presentazione del nuovo Codice di Diritto Canonico (3 febbraio 1983).
[3] Paolo VI, Allocuzione ai partecipanti al Il Congresso internazionale di diritto canonico, 17 settembre 1973, cit., p. 130.
[4] Alcuni esempi: 1) uno dei tre elementi necessari a commettere peccato mortale è la “piena consapevolezza”; 2) se un sacerdote dà un sacramento senza la consapevolezza di quello che sta facendo (intenzione), allora il sacramento è invalido; 3) se anche solo una di due persone che intendono sposarsi non avesse idea di cosa sia il matrimonio, esso sarebbe nullo.
[5] 3 Per ulteriore approfondimento: «Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi. “Il magistero del Romano Pontefice e del Collegio dei Vescovi in materia di fede o di costumi o di verità intimamente connesse, anche se non intende enunziare una dottrina con atto definitivo, obbliga i fedeli a prestare a tale dottrina un religioso ossequio, evitando con cura quello che con essa non sia concorde. Non basta una semplice adesione esterna: è necessaria anche e soprattutto quella interna, dell’intelletto e della volontà. Questo non impedisce che la verità enunziata venga opportunamente approfondita, ai sensi dei cann. 218 e 386, § 2. L’approfondimento comprende anche lo “sviluppo”, ma eodem sensu eademque sententia» (Luigi Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico, Commento giuridico-pastorale II, Dehoniane, Roma 19962 , 3117).
[6] (De Ecclesia Christi, II, 1909).
[7] Disclaimer: non voglio con questo dire che condivido ogni opinione di Matthew McCusker, ma la sua esposizione su questo specifico argomento è e molto chiara, perciò lo cito volentieri.