Catechesi di lunedì 15 gennaio 2018
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
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Brani commentati durante la catechesi:
Primo libro dei Maccabei, Capitolo 2
29 Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto 30 con i loro figli, le loro mogli e i greggi, perché si erano addensati i mali sopra di essi. 31 Fu riferito agli uomini del re e alle milizie che stavano in Gerusalemme, nella città di Davide, che si erano raccolti laggiù in luoghi nascosti del deserto uomini che avevano stracciato l`editto del re. 32 Molti corsero ad inseguirli, li raggiunsero, si accamparono di fronte a loro e si prepararono a dar battaglia in giorno di sabato. 33 Dicevano loro: “Basta ormai; uscite, obbedite ai comandi del re e avrete salva la vita”. 34 Ma quelli risposero: “Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato”. 35 Quelli si precipitarono all`assalto contro di loro. 36 Ma essi non risposero, né lanciarono pietra, né ostruirono i nascondigli, 37 protestando: “Moriamo tutti nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente”. 38 Così quelli mossero contro di loro a battaglia di sabato: essi morirono con le mogli e i figli e i loro greggi, in numero di circa mille persone. 39 Quando Mattatia e i suoi amici lo seppero, ne fecero gran pianto. 40 Poi dissero tra di loro: “Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra”. 41 Presero in quel giorno questa decisione: “Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei nascondigli”.
Libro dell’Esodo, Capitolo 1
15 Poi il re d`Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l`altra Pua: 16 Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”. 17 Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d`Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18 Il re d`Egitto chiamò le levatrici e disse loro: “Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?”. 19 Le levatrici risposero al faraone: “Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno già partorito!”. 20 Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21 E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia.
Testo della catechesi
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Questa sera tratteremo un argomento molto delicato e anche molto difficile. Quindi, a meno che Dio non mi faccia la grazia di una grande parresia, credo che sarà difficile che ci intenderemo su tutto, perché io magari do per scontato cose che scontate non sono, e perché voi siete più di cento persone, con cento vite, cento anime e cento teste diverse. Allora, la cosa che vi chiedo è, se non capite, o se qualcosa vi suona strano, di chiedere a me, perché io parlo e a me lo chiedete, questo è fondamentale. L’importante è che abbiate chiari i concetti che esporrò, sennò viene fuori un pasticcio.
Siamo al primo libro dei Maccabei, capitolo due. Nel primo capitolo c’è questo nuovo re, che costringe il popolo a tradire la legge di Dio, sacrificando agli idoli e stracciando i libri della legge; inoltre, se qualcuno viene preso a circoncidere i bambini (che era pratica di Israele) o a fare qualsiasi cosa inerente alla legge, viene ucciso. Era proprio un uomo empio. Leggiamo dal versetto 29 del secondo capitolo e vediamo cosa accade.
29Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto 30con i loro figli, le loro mogli e i greggi, perché si erano addensati i mali sopra di essi. – Quindi, per paura di essere ammazzati, perché non volevano tradire la legge, scappano – 31Fu riferito agli uomini del re e alle milizie che stavano in Gerusalemme, nella città di Davide, che si erano raccolti laggiù in luoghi nascosti del deserto uomini che avevano stracciato l’editto del re. – Quindi, vengono scoperti e si sa dove si rifugiano – 32Molti corsero ad inseguirli, li raggiunsero, si accamparono di fronte a loro e si prepararono a dar battaglia in giorno di sabato.
Voi sapete che il giorno di sabato è il giorno sacro al Signore, nel giorno di sabato non si può fare niente. Non è come noi adesso, che diciamo che il terzo comandamento ci impone di non comprare, non vendere, cioè di rispettare la legge di Dio. Per quel tempo, all’interno di questa visione (ma anche adesso è così per gli ebrei) il giorno di sabato non si fa niente. Allora, cosa succede:
33Dicevano loro: «Basta ormai; uscite, obbedite ai comandi del re e avrete salva la vita». – Quindi, li invitano a tradire – 34Ma quelli risposero: «Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato». – Perché, se loro fossero usciti, si fossero mossi e avessero combattuto, avrebbero profanato il giorno; questa è una cosa seria, perché per questa cosa si moriva – 35Quelli si precipitarono all’assalto contro di loro. 36Ma essi non risposero, né lanciarono pietra, né ostruirono i nascondigli, 37protestando: «Moriamo tutti nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente». 38Così quelli mossero contro di loro a battaglia di sabato: essi morirono con le mogli e i figli e i loro greggi, in numero di circa mille persone.
Fu una strage!
E ora interviene Mattatia; io vi invito a leggere la sua storia, perché è una bellissima storia: un uomo che arde di zelo per il Signore. Mattatia era un grandissimo guerriero e fedelissimo alla legge di Dio, però vediamo cosa dice:
39Quando Mattatia e i suoi amici lo seppero, ne fecero gran pianto. 40Poi dissero tra di loro: «Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra». 41Presero in quel giorno questa decisione: «Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei nascondigli».
Adesso andiamo a prendere il testo di Esodo, capitolo 1, perché, anche lì, c’è qualcosa di interessante.
Esodo1, versetto 15 e seguenti.
15Poi il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: 16“Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”. 17Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. 18Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: “Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?”. 19Le levatrici risposero al faraone: “Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno già partorito!”. 20Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. 21E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia.
Questi due testi sono molto importanti, perché ci aiutano a distinguere tra una fede vera, intelligente – potremmo dire “metabolizzata”, una fede capita, veramente accolta – e una fede stupida. C’è un modo di avere fede che è stupido, che è il rinnegamento dell’intelligenza e che non va bene.
Vediamo prima la fede che va bene; avrete notato che Sifra e Pua, le due levatrici, mentono spudoratamente. Proprio hanno mentito al faraone. Alla domanda: “Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?”, noi cosa avremmo risposto? Già a questa domanda, tantissimi di noi – col fatto di sapere che siamo andati lì e abbiamo deciso di non ammazzarli – risponderebbero dicendo la verità. Si sentirebbero dei martiri e risponderebbero: “Ah, perché non è giusto ammazzare i bambini. Perché io non posso compiere un omicidio. Perché io non me la sono sentita”. Non si va da nessuna parte, facendo così. Se noi ci comportiamo così, questo vuol dire avere una fede stupida, che non tiene minimamente in considerazione chi ho davanti; proprio zero, neanche lo guardo, neanche lo capisco, lo comprendo. Ma, pur di non cadere in un senso di colpa e rispettare le regole che abbiamo nella testa, noi andiamo al macello.
Il problema è che Dio – dice la Scrittura – ha benedetto queste due bugiarde. Dio che è la verità, Dio che è Dio, non ha detto: voi avete peccato, perché siete due bugiarde; non siete morte martiri, non avete detto la verità. No, Dio benedice, perché lo hanno temuto!
Ecco, questa cosa vi fa capire che distanza c’è tra noi e Dio. Stiamo attenti a non impostare una religiosità stupida. Chi corre questo rischio più di tutti? Questo rischio più di tutti lo corrono i convertiti, coloro che, dopo una vita o anni di peccato, dopo aver avuto sulla coscienza magari peccati molto gravi, si avvicinano a Dio. Allora, prima facevano di tutto e di più, poi si avvicinano a Dio, ed è come se perdessero il lume della ragione. Loro trovano la loro pace nell’ossequio scrupoloso di tutta una serie di regole che si sono dati, che hanno capito che sono importanti, non nell’assimilazione dello spirito della legge, ma nella legge stessa.
Ma la legge che ha dato Dio non è un fine, è un mezzo, e sbagliamo di grosso se noi la facciamo diventare un fine. La fede non è mai razionale. Essere discepoli di Gesù non è la firma sul TSO, non divento pazzo seguendo il Signore, divento più uomo.
Ma voi direte: ma perché uno si comporta così? Ah, semplicissimo! Perché, se io osservo delle regole, ho delle certezze, se io invece mi baso su una relazione, certezze non ne ho tante. Se io osservo delle regole, posso dire: ho osservato le regole, quindi sono a posto, non ho peccato. Se io invece uso l’intelligenza, dico: no, il Signore non mi chiede questo! E questo lo potete applicare su tutto.
Sifra e Pua hanno mentito perché era giusto mentire, perché era doveroso mentire. Non è stata una menzogna, tra l’altro, che ha inventato una cosa per un’altra. È una menzogna “che dice una parte di verità”: è vero che le donne ebree erano robuste; è vero che spesse volte partorivano prima, non è vero che, nel loro caso, succedeva così, o sempre così. Loro hanno detto in parte la verità e in parte no. E con tanta intelligenza e libertà, sono uscite da quest’impasse.
C’è una grande differenza tra la moralità e il moralismo. Chi si converte al Signore dopo una vita di peccato, rischia di diventare un moralista, di moralizzare tutto, tutto deve entrare in una scatola e tutto deve essere timbrato da una regola. Prima non ha mai pregato, poi fa il pellegrinaggio non so dove, e dopo: dodici rosari al giorno, digiuno due volte alla settimana, dorme per terra, doccia ghiacciata. Capite che non va bene? Perché poi tu, a un certo punto, ti giri e trovi te stesso lontano dodici chilometri indietro, perché corpo e anima non si è andati avanti insieme, si è creata una spaccatura. Solo che il bisogno che noi abbiamo di sentirci a posto è talmente grande, che siamo disposti a qualunque sacrificio, per cui: “Eh, io non sapevo cosa rispondere e quindi ho detto le cose come stavano”. Se loro avessero detto le cose come stavano, cosa sarebbe successo? Sicuramente sarebbero morte, non avrebbero mai avuto una famiglia numerosa e Dio non le avrebbe benedette. Stiamo attenti a non fare sacrifici inutili, sacrifici stupidi, frutto solo della nostra presunta tranquillità. È un po’ come quando si dicono le preghiere, dove il concetto è spuntare un elenco: “detta, detta, detta, detta, detta, detta, detta; okay, posso andare al letto”.
Ma ti sei accorto, in ventiquattro ore, a chi l’hai dette? Ti ricordi una sola frase di quello che hai detto? Sennò, cosa l’hai detto a fare? C’è qualcosa che non va! Tu pensi che Dio abbia bisogno di questo? No, Dio non ha bisogno di questo. Dio ha bisogno di creare una relazione, non di fare la spunta della spesa. Vuoi dire delle preghiere? Bene. Però le dici coi sacri crismi!
Dobbiamo stare molto attenti e, su questa cosa, dobbiamo fare un esame di coscienza serrato, perché gli esempi, da questo punto di vista, si sprecano. Devo sempre aver ben davanti, quando rispondo a una domanda, se quella domanda è pertinente oppure no, se è giusta oppure no; se Dio davanti mi sta ponendo una domanda vera, oppure no. Perché sennò, altrimenti, capite, è un po’ come dice Gesù nel Vangelo: “Voi gettate le vostre perle davanti ai porci, i quali calpestandole si girano e vi sbranano”. Anche Gesù, durante la passione, non risponde a delle domande. A Erode, Gesù non risponde niente. Noi invece, ancora prima che l’altro abbia finito di parlare, abbiamo già risposto dodicimila parole. Abbiamo talmente fretta di dire: “Io sono a posto; io ho detto la verità!” che fa niente se distruggiamo la vita delle persone, questo non ha importanza; però io ho detto la verità. Domanda: ma tu sei proprio certo che Dio ti chiede questo? Tu lo fai per amore o per egoismo?
E allora, dopo aver visto due donne intelligenti, vediamo invece cosa succede quando la fede diventa una pura osservanza delle norme. Torniamo al primo libro dei Maccabei dove, per rispettare il sabato, mille persone, tra donne, bambini e uomini, vengono uccisi tutti, così, stando fermi, tutti massacrati.
È importante osservare la legge del sabato, il terzo comandamento è fondamentale, e voi sapete quanto io l’ho difeso e lo difendo e ci sono sempre tanti problemi quando si difende questo comandamento. Sì, però ci vuole la testa! Ora, la domanda è: se tu, per osservare il sabato, porti alla distruzione un popolo, chi è che osserverà la legge di Dio, dopo? Questa osservanza della legge di Dio a cosa è servita? C’è una legge di Dio, ma questa legge avrà un’intelligenza o è obbedienza bovina? Cioè, ci sarà un perché! E il perché qual è? Il perché è che Dio venga messo al primo posto in quel giorno, perché Lui si è riposato e ti riposi anche tu, e ti dedichi a Lui; questa è l’intelligenza del terzo comandamento.
L’hai sempre osservato, sei scappato per non incorrere dentro questa battaglia, vengono e ti dichiarano guerra; ma, secondo te, Dio ti chiede di essere massacrato, te e altre mille persone? A nessuno è venuto il pensiero di dire: «Ma cosa stiamo facendo? Secondo voi, Dio ci sta chiedendo di morire tutti così?»
Infatti, Mattatia che, come Sifra e Pua, è un uomo intelligente, dice esattamente così: «Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra». Cioè, c’è un modo di obbedire a Dio che è stando fermi, e c’è un modo di obbedire a Dio che è combattere. L’uomo di fede è colui che sa discernere questi momenti, che li sa capire.
Voi direte: “Eh, ma io come faccio? Io non è che capisco, così chiaramente, se è una cosa o è quell’altra!”, vero, è difficile, ci vuole tempo e tanta preghiera e tanto allenamento e tanta vita cristiana. Ma ci sarà un prete, un confessore, a cui tu farai riferimento! Prova a parlargliene. Però, non con quel modo di fare di chi va lì convinto di ciò che vuole fare, pone la questione al sacerdote e questo deve confermare la sua idea, perché sennò va a casa col broncio, perché sennò fa i capricci, perché sennò mette giù la luna, perché sennò fa le polemiche. Se questo ragionamento sembra razionale, capite anche voi che un sacerdote non può fare niente, si deve arrendere e ritirare, perché è veramente difficile. Quando noi ci mettiamo in testa una cosa inerente a Dio, non ce la toglie nessuno.
Mattatia dice: “No. La legge di Dio è giusta, ma la legge di Dio ha uno scopo: la vita. E noi la dobbiamo difendere, questa vita. Noi non andremo a combattere, non facciamo noi la guerra, rispettiamo il sabato, ma se vengono loro, noi rispondiamo, sennò moriremo tutti. E che fine fa il popolo eletto? Dio ci ha chiamati per farci morire tutti così?”.
Il dono del martirio tu devi fare di tutto per non averlo, devi fare di tutto per scansarlo, per essere proprio certo che è Dio che te lo chiede. Perché, sennò, sei tu che te lo dai! Andate a vedere quel bellissimo film delle martiri di Compiegne; è un film in bianco e nero, che tratta il martirio di questo monastero di clausura durante la Rivoluzione francese. Nel film voi vedrete due personaggi che sono esattamente uno il contrario dell’altro: una novizia, terrorizzata all’idea di morire martire e che fa di tutto per ribellarsi a quest’idea, e una suora che invece fa di tutto per morire martire. Sapete la storia come finisce? Che muoiono martiri tutte, tranne quest’ultima. Il sacerdote la ferma, e le dice: “No, il tuo compito non è di andare sul patibolo e morire con le tue sorelle, ma di raccontare tutto quello che hai visto”. Quella novizia, che aveva tanta paura, è salita sul carro; lei, che voleva andarci, non è riuscita a salire, non è stata presa.
Il dono del martirio, io devo essere certo di aver fatto tutto quello che potevo per evitarlo. Non devo buttarmi col petto in fuori, davanti a qualcuno, e dire: colpiscimi. No, io devo essere sicuro, e dire: “Signore, io veramente ho fatto di tutto per evitare di morire martire (non è una mia volontà, morire martire, non me lo sono cercato perché mi piace) e sei tu che mi chiedi questo. E sono certo che sei tu che me lo chiedi, proprio perché io ho fatto di tutto per evitarlo. Ma, se tu me lo chiedi, allora va bene”.
Loro non avevano il dono del martirio; sono morti, va bene, piangiamo. Ma Mattatia, uomo molto pratico, dice: sì, sì, va bene, fermi tutti, adesso si va in guerra. Quelli rimangono lì e ce li ricorderemo come persone che, per un’osservanza di quel tipo, della legge, sono morti, va bene, ma noi non possiamo fare la stessa fine. Noi dobbiamo reagire. Perché, ripeto, la legge di Dio è per la vita, non è mai per la morte.
Il rischio, vi ripeto, è quello di pensare, avvicinandosi a Dio, che io mi metto Dio in tasca osservando delle norme, facendo delle preghiere. “Tu devi morire” non è la logica di Dio, la logica di Dio è condurci alla vita, alla perfezione e alla libertà. Vuoi fare il digiuno; ma ti puoi anche fustigare, se vuoi, ma il problema di fondo è: perché lo stai facendo? Lo stai facendo come atto di libertà? Lo stai facendo come atto d’amore? Perché lo stai facendo?
Nel bellissimo film di Sant’Antonio di Padova, c’è un momento in cui, di notte, viene tentato dal diavolo in un sogno sulla vanità. Sapete che di S. Antonio si è conservata la lingua, perché era un predicatore incredibile; era discepolo di S. Francesco, ed il primo che si mette a insegnare teologia. Allora arriva il diavolo e lo tenta, dicendo: “Vedi, tu sei salito sul pulpito, con i tuoi abiti laceri, dando così più forza ancora alla tua predica, e quindi ti sei compiaciuto”. E gli fa vedere un pavone. Sant’Antonio si sveglia di colpo, si alza, esce fuori a torso nudo e avanti, frustate su frustate su frustate. Arriva il confratello più semplice e gli dice: “Ma che stai facendo?” e lui risponde: “Il demonio è venuto a tentarmi, e quindi io ho peccato di superbia”; e quello gli dice: “Ma scusa un momento, tu hai fatto un’omelia; è la prima volta che io capisco qualcosa. Ti sei fatto capire da tutti, tutti sono stati contenti, ma cosa c’entra questo con la vanità?”; e io aggiungo: ma se tu fossi vanitoso, secondo te, il demonio te lo viene a dire? Prova a pensare: cosa ci guadagna il demonio a mostrarti il tuo peccato? Se tu sei vanitoso, il demonio farà di tutto perché il tuo peccato rimanga nascosto, non perché tu te ne accorga. E, casualmente, è proprio il demonio a dirti che tu sei vanitoso. Allora Sant’Antonio dice: “Basta, io vado da Francesco, gli voglio parlare per dirgli questa situazione, perché non è più gestibile”. Perché lui non voleva più predicare, voleva solo zappare. Ma questo, cosa avrebbe voluto dire per la Chiesa? Avrebbe voluto dire perdere tutte le sue omelie; perché non ci sarebbero mai state, se lui zappava le patate! Ma lui, per vincere la vanità – perché era un convertito – dice: “Io non posso più predicare, perché il demonio mi ha detto che sono un pavone”.
Vedete, il rischio di confondere la volontà di Dio con la mia fantasia, o con la mia volontà, o con la tentazione del diavolo, è altissimo. Bisogna imparare a confrontarsi e a fidarsi, perché, sennò, altrimenti, succedono pasticci grossi.
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Domande:
Come capire quando sono nell’obbedienza oppure quando, in realtà, mi voglio sentire a posto? Se si è convertiti da poco, è un dubbio che viene perché, mentre prima, nel mondo, si è scaltri, si sa come muoversi – perché, bene o male, si risponde sempre a sé stessi, e non a Dio – quando si è davanti a Dio, ovviamente, si rischia di offenderlo, si ha paura di sbagliare, ci si sente un po’ come i bambini che camminano, e che hanno sempre bisogno di domandare: ma sto facendo bene?
Contro domanda: e se cadi e sbagli, cosa succede?
Senti che non hai obbedito e quindi non hai fatto la volontà del Signore e ti dispiace.
Va bene, mi dispiace; allora guardo il Signore e dico: Gesù, tu mi hai chiamato qui da te, ma io ho iniziato da poco a camminare (penso che Gesù lo sappia, questo!).
Ho nella mia anima il desiderio sincero di seguire il Signore? – Sì – Dio lo vede? – Si – Chi mi dice che il Signore non permetta le mie cadute per farmi crescere nell’umiltà? Oppure: chi mi dice che il Signore non permetta le mie cadute per farmi capire esattamente Lui che Dio è? Oppure: magari il Signore permette le mie cadute, si nasconde un pochino, perché vuole dirmi di provare a confrontarmi, qualche volta. Prova, quindi, a fare questo confronto per dieci volte; dici a te stessa: io farei così; poi ti confronti e ascolti l’altra persona. Se, su dieci volte, ne ho beccata una, vuol dire proprio che ho bisogno di crescere ancora. Se, su dieci volte, ne ho beccate otto, beh, siccome errare humanum est, allora uno dice: va bene!
Ma nella vita succederà sempre, che sbaglierò. Ma il problema non è che io in quel momento non ho fatto la volontà di Dio; il problema è: io sono alla ricerca della volontà di Dio? Se la risposta è sì, basta. Mi impegno, prego, ci medito, nel caso chiedo un consiglio. Sbaglio? Pazienza. La prossima volta, edotto da questo errore, starò più attento. Ma se invece, dentro di me, c’è la superbia di dire: “Io non voglio sbagliare”, la prossima volta, non solo rifarò lo stesso errore, ma ne farò di più grossi. Perché io non ho capito il perché mi è stata detta quella cosa! Ma siccome questa roba a me neanche mi interessa e a me interessa solamente lavare la coscienza, tra due mesi io ne farò una ancora più grossa.
Se vado per giustificare la mia coscienza, per sentirmi timbrato, per sentirmi riconosciuto, a posto e apprezzato, se a me di quello che succede a Dio non interessa, ma mi interessa solo che l’altra persona mi dia il suo consenso, vuol dire che non ho capito cosa sta dietro esattamente.
L’amore esige la maturazione, esige la crescita, esige lo sviluppo, esige la presa di consapevolezza e di responsabilità dell’altra persona. Non che l’altra persona abdica alla sua capacità di giudizio. Tu devi ragionare, tu devi pensare; se poi sei umile, confronterai il tuo ragionamento con qualcuno. E sentirai se hai ragionato bene o non hai ragionato bene nelle cose di Dio. E, se sbagli, se cadi, pazienza, ti rialzerai.
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Io aggiungerei questo: il discorso fatto questa sera, essendo voi in tanti, ha dei rischi; io l’ho fatto soprattutto per combattere gli scrupoli, che sono una malattia dell’anima molto grave, perché tolgono la pace e non fanno andare avanti. Chi deve stare attento al discorso che ho fatto stasera? Deve stare attento, soprattutto, chi ha una coscienza spessa, una coscienza superficiale, perché potrebbe usare la mia riflessione per dire: “Adesso me la sbrigo io”; ma questo non è quello che ho detto. Io ho detto che, nella vita di fede, bisogna avere molto equilibrio e non bisogna debordare né nello scrupolo, né nella superficialità, nella grettezza, nell’usare Dio, nell’essere qualunquisti. Siccome non capita sempre che devo prendere decisioni all’istante, allora ci prego sopra, se poi ho qualcuno, mi confronto, e dico: “Questo è il fatto, questo è quello che io farei. Lei cosa ci vede? Va bene o no? Lei farebbe così?”
Su tutto quello che fate, la domanda che voi dovete sempre porvi è questa: “Gesù, al mio posto, cosa farebbe? Gesù, al mio posto, cosa direbbe?”. Questo è fondamentale. Però, il punto è che io mi devo chiedere, per prima cosa: quello che io faccio, l’ho capito? Cioè, lo faccio perché? Questa domanda ve la dovete porre sempre. Perché vai a Messa tutti i giorni? Perché vai a Messa la domenica? Perché fai quest’opera di carità? Hai capito il senso di quello che hai fatto?
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.