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Le Litanie Lauretane: Turris davidica e Turris eburnea

Litanie Lauretane

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di giovedì 19 maggio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

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Le Litanie Lauretane: Turris davidica e Turris eburnea

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 19 maggio 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XV di San Giovanni, versetti 9-11.

Il Signore ci parla, il Signore ci incontra, perché ci vuole donare la Sua gioia e perché questa gioia in noi sia piena… bellissimo.

Tutti abbiamo bisogno e tutti siamo alla ricerca della gioia, ma abbiamo ormai sperimentato e capito che la possiamo trovare solo in Gesù, e basta.

Quest’oggi proseguiamo la lettura delle Litanie nel commento alle Litanie Lauretane, attraverso il testo di Don Giorgio Basadonna, e vedremo “Turris davidica”, “Torre della santa città di Davide”. Vedremo se poi riusciremo a fare anche “Turris eburnea”.

Torre della santa città di Davide

“Con questo titolo, «Torre di Davide», veniamo condotti a guardare a Maria come alla donna ebrea che nel suo popolo, nella sua storia, ha svolto un compito unico, ma anche come alla donna ebrea fedele alla sua identità, custode della scelta particolare di Dio, la donna che ricorda e ripresenta oggi al mondo il regno di Davide, il grande Re che ha illustrato la storia di Israele.

Forse non si pensa abbastanza a questo aspetto (come purtroppo non si pensa a Gesù come a un ebreo figlio del suo popolo anche se Figlio di Dio!) e la figura di Maria appare piuttosto sfumata, quasi senza linee caratteristiche, «una» donna, e non «la» donna ebrea scelta da Dio nel popolo della Alleanza perché diventasse lo strumento della salvezza aperta a tutta l’umanità. Si può tornare col pensiero e col ricordo al monte Sion dove Davide costruì la sua cittadella, si può restare colpiti da quella «torre» che dice ancora la storia di ieri e annuncia i grandi momenti della salvezza.

Davide resterà sempre nella memoria e nel cuore del popolo eletto come la figura garante, potenza di Dio che accompagna il suo popolo e rinnova le «grandi gesta» di un tempo.

Quando Gesù si presenterà alla gente di Gerusalemme, quasi d’improvviso scaturirà il canto di lode: «Osanna al figlio di Davide», nel quale vedere un segno del Messia che deve venire.

Maria è la torre di Davide: così si vuol dire che in lei si avvera l’attesa di secoli e secoli, si rinnova la presenza consolante di Dio che vuole farsi riconoscere come l’unico Dio, «il Dio di Israele»”.

In Lei avviene tutto il compimento, ecco perché è la Torre della città di Davide.

“In Maria si avverano molte delle profezie disseminate nella esperienza gioiosa e luttuosa del popolo eletto, si realizza quel piano già accennato all’inizio dell’umanità dopo la ribellione dell’uomo al suo creatore. La perfezione della devozione di Maria sta in questo, nel suo lasciarsi guidare da Dio, nel seguirlo con tutta se stessa, senza mai pretendere di vedere risultati straordinari misurati sul criterio della gloria umana”.

La Vergine Maria segue Dio, punto. E poi seguirà Gesù, certo, ma senza stare lì sempre con il cronometro in mano, con il cronometro che misura il tempo e con il termometro per vedere quanto ci siano risultati e quanto i risultati siano effettivamente sperimentabili.

“Invocare Maria così non è una semplice affermazione di principio, una dichiarazione teologica fredda e schematica: è, come sempre un lasciarsi coinvolgere da ciò che si afferma, entrare nel gioco misterioso di Dio che agisce nelle sue creature e le invita a rispondere alla sua iniziativa.

Invocare Maria è dire a se stessi che l’onore più grande non è la fama e la stima da parte della gente…”

Che per noi, invece, è fondamentale.

“… ma l’appartenere a Dio, essere pieni di lui, uniti a lui in modo totale, è misurare la propria devozione, la propria vita di fede, non su una maggioranza anonima di battezzati seguaci più della mentalità del mondo che non dell’invito di Cristo, ma sulla proposta evangelica vissuta pienamente da Maria”.

Questo è importante.

Quando noi invochiamo la Vergine Maria come “Turris davidica”, noi stiamo dicendo che il nostro onore più grande non è la fama, non è la stima della gente (lo abbiamo già visto milioni di volte), non è preoccuparsi di cosa pensa la gente e cosa dice la gente, ma è l’appartenenza a Dio, l’essere uniti a Lui, in modo totale.

Io non devo fare così, perché tutti fanno così… no!

Io devo fare così, perché questo è quello che emerge dal Vangelo e questo è ciò che la Vergine Maria mi media, ciò che la Vergine Maria mi ha insegnato, per esempio attraverso le apparizioni.

Quindi, non ha importanza quello che fanno tutti, o molti, ha importanza quello che è giusto fare: se tutti fanno in un modo, ma se dal Vangelo e dalla Vergine Maria ho imparato che bisogna fare in un’altra maniera, si fa in un’altra maniera, anche se rimango l’unico, pazienza.

Anche a Nazareth non c’erano molte famiglie uguali a quella di Giuseppe e di Maria, la vita che facevano loro non credo che la facessero in molti, eppure… eppure…

Dobbiamo uscire da questa logica un po’ da tribù, un po’ da gang, dove dobbiamo tutti fare un po’ le stesse cose, ma no! Dobbiamo fare quello che è giusto, poi, se lo fanno in tanti, bene; se lo fanno in pochi, bene; se non lo fa nessuno, bene; non cambia niente!

Quindi, non ci si basa su una maggioranza anonima di battezzati, che seguono di più la logica del mondo, che non quella di Gesù.

Cosa interessa a noi seguire la maggioranza anonima di battezzati che seguono la logica del mondo?

Per l’amor del cielo!

“Se i cristiani cercassero almeno questa direzione, se si impegnassero pur con le debolezze quotidiane a cercare sempre il rapporto più vero con Dio…”

Questo dobbiamo fare!

Cercare il rapporto più vero con Dio e non andare a chiedere: «Sono stato bravo? Sono riuscito bene? Voi cosa ne pensate?»

Sì, metti che tutti ti dicano: «Bravissimo, stupendo, meraviglioso, perfetto. Sì, meglio di così non è possibile», va bene, ma poi rimane un unico giudizio che conta, ed è il giudizio di Dio.

Lui cosa pensa?

Se anche tutti pensassero che tu sei meraviglioso, e Dio pensa il contrario, è questo che conta eh…

“… certo l’onore della chiesa sarebbe più luminoso, e la vita umana avrebbe oasi di giustizia, lievito di novità!”

Certo, se noi fossimo più uniti a Dio.

“Il mondo sarebbe meno disumano, e il regno di Dio che Gesù ha affidato a noi, i discepoli, potrebbe entrare nella storia del mondo in modo più efficace”.

Quindi, invece di pensare a chissà quali strategie, per ogni cosa, pensiamo ad essere tutti singolarmente, e insieme, più uniti a Gesù, e le cose cambierebbero da sole.

“Bisogna continuare a rapportare la nostra devozione alla perfezione di quella di Maria, a volere non cedere e rassegnarsi alla mediocrità, nello spirito di una perenne conversione umile e coraggiosa”.

La mediocrità ci uccide tutti, tutti. È un brodo tiepido che cuoce quintali di rane. Capite?

La mediocrità è il peggior male, è la tiepidezza, è il dire: «Ma sì, va bene, non ho fatto niente di male, non ho fatto niente di bene, io non disturbo nessuno, a me va bene tutto. Io cerco la pace».

No, no, tu devi cercare Dio, non la pace. La cosa più importante è Dio, non tutto il resto, tutto il resto è una conseguenza.

Ora vediamo “Turris eburnea”, che lui traduce con “Fortezza inespugnabile”. A me piace di più tradurlo con “Torre d’avorio”, che, appunto, essendo d’avorio, è durissima, inespugnabile, appunto, ma è molto bella questa Litania “Turris eburnea”, “Torre d’avorio”.

Abbiamo tutti in mente l’avorio…

Fortezza inespugnabile

“La vita dell’uomo di sempre trascorre in alternanze di bene e di male, di gioia e di dolore, di successi e insuccessi, e anche di santità e di peccato. Nessuno è capace di una continuità senza fratture, di una coerenza senza sbavature, di una totalità perenne: siamo tutti fragili e ogni giorno sperimentiamo la nostra debolezza, quella instabilità e confusione che ci porta a «fare ciò che non si vuole e a non fare ciò che si desidera» (cf Rm 7,15-17). Non c’è da scandalizzarsi, come non c’è nemmeno da rassegnarsi come se tutto fosse per sempre definito e concluso. Anzi, nei cuori più sensibili, nelle persone che sono più attente e coscienti, c’è sempre un tormento che non lascia requie, c’è un rimorso che continuamente riporta ai progetti e ai propositi più generosi nati nelle situazioni più positive”.

Questo ci evita, appunto, la mediocrità. Più noi portiamo nel cuore questi progetti e questi propositi generosi, forti, più facciamo esami di coscienza serrati, costanti, e meno avremo sbavature.

Guardate, oramai sapete come la penso, io non sono molto di questo parere, però vi leggo anche i testi coi quali magari non sempre mi ritrovo totalmente, dei quali non sempre condivido il pensiero teologico, però ci fa bene. Fa bene a me, fa bene a voi, anche sentire e risentire qualche parere diverso, qualche sfumatura diversa che sta dentro alla grande autostrada della teologia, praticabile, corretta, giusta. Io, però, vi dico sempre dove non sono d’accordo.

Ve lo leggo, ma vi dico anche che, in alcuni punti, posso avere un pensiero diverso, che vi espongo e che oramai già conoscete.

Su questo tema della fragilità, su questo tema dell’essere tutti fragili, dello sperimentare ogni giorno la nostra debolezza, la nostra instabilità, la confusione, quello che a me sembra di notare, è che noi sperimentiamo tutto questo nella misura in cui facciamo fatica ad entrare dentro al Castello, come direbbe Santa Teresa, cioè ad entrare nella stanza centrale, nel talamo nuziale del rapporto con Dio, perché, a quel punto, cosa interessa a me se sono debole, se sono fragile? Qual è il problema?

Provate a ragionare: se Gesù è il mio migliore amico, se Dio è il mio unico, meraviglioso Padre, se lo Spirito Santo è l’Amore puro, unico, verissimo, se Gesù è lo Sposo della mia anima… scusate un momento, fatemi capire, davanti a quale Padre, davanti a quale vero Amico, davanti a quale meraviglioso, stupendo, innamorato Sposo, può essere un problema, posso avvertire come problema, può diventare un ostacolo, il mio essere fragile, debole, malato? L’esperienza di ciascuno di noi dice il contrario.

Mi verrebbe da dire che neanche te ne accorgi, nel senso che lo vedi se sei malato che sei malato, se ti fa male la schiena che ti fa male la schiena, se sei anziano che sei anziano, se sei debole che sei debole, lo vedi, non c’è bisogno che uno te lo dica, lo vedi, no?

Ma quando sei con queste persone che io ho citato, il Padre, l’Amico, lo Sposo, l’Amore, non è neanche tema, non è neanche da dire, neanche lo senti, neanche quasi te ne avvedi, perché non te lo fanno pesare, cioè non è un problema. Il problema è il peccato, il problema è il tradimento, il problema è la cattiveria, il problema è l’egoismo, il problema è l’orgoglio, il problema è la superbia, la ribellione, questo è il problema dentro ad un rapporto d’amore, ma non il fatto che sono debole e fragile.

Che problema è? Quando mai è stato un problema?

Il tuo sposo ti prenderà in braccio, ti amerà ancora di più, ti abbraccerà, ti bacerà e ti stringerà a sé; la tua sposa ti servirà ancora di più, ti amerà ancora di più, si spenderà ancora di più, si immolerà ancora di più per te.

Un padre? Per l’amor del Cielo, un padre morirà per te… un padre (un padre vero, immaginiamoci Dio) che vede suo figlio fragile, debole, malato, non vive più, non vive più… non avrà mai riposo fino a quando non vedrà suo figlio risanato, ristabilito, e mai gli farà pesare che è malato, o che è fragile o che è debole, neanche se lo sogna! Lo prende in braccio, lo mette sulle spalle, lo coccola, lo bacia, lo ama, si addormenta con lui…

Scusate, ma questa è l’esperienza umana di tutti i giorni! Chiunque di noi, nella vita, almeno una volta, ha provato questo.

L’amico? Non parliamo dell’amico… Stai male? L’amico è già lì. Hai un problema? L’amico è lì. L’amico si dimentica di mangiare, si dimentica di riposare, si dimentica di tutto. Non se ne andrà mai da te se sei ammalato, se sei debole, se sei fragile o tutto quello che vuoi.

Quando e che cosa diventa un problema?

Il tradimento, questo diventa un problema. La ribellione, lo sputarti in faccia diventa un problema, è lì che iniziano i problemi. Questo è il peccato però, non è la fragilità, ve l’ho già detto mille volte.

Non confondiamo la fragilità, la debolezza, le ferite, con il peccato, non c’entra niente! Io non posso chiedere perdono a Dio perché sono debole, non posso chiedere perdono a Dio perché sono ferito, non posso chiedere perdono a Dio perché sono fragile. Che male è? Dov’è il male in queste cose? Voi pensate che Dio mi rinfacci la mia debolezza, la mia fragilità, le mie ferite, ma che Padre sarebbe?

Io su queste cose non finirei mai di parlare, perché vedo che c’è una confusione, ma una confusione, ma una confusione… che basta la metà. Ma è anche una confusione comoda, perché ci fa comodo confondere le ferite, la debolezza, la fragilità, col peccato.

Certo, perché alla fine cosa diciamo?

Diciamo: «Non dipende da me», e ci lasciamo cullare da questo male.

No, invece no, non funziona così! Il peccato è una cosa dalla quale bisogna stare lontani, perché dipende dalla nostra volontà.

Non c’è da scandalizzarsi, non c’è nemmeno da rassegnarsi”, dice il testo, ma io non mi scandalizzo e non mi rassegno un fico di un bel niente!

Se sono debole, sono debole, cosa devo fare? Non posso dire: «No, adesso reagisco!» A che cosa?

Se sono debole, sono debole; se sono fragile, sono fragile; se le mie ossa sono fragili, sono fragili; se ho una ferita, devo reagire? E cosa faccio? Non è che, se la guardo e dico: «Om», mi guarisce la ferita.

Non sono nella tribù degli Indiani, che si mettono su impacchi di erbe, radici e terra per farla guarire prima, o come gli Egizi, che mettevano su le ragnatele, non funziona così, ci vuole il suo tempo, punto.

Infatti, vedete che poi lui dice: “Nei cuori più sensibili, nelle persone che sono più attente e coscienti, c’è sempre un tormento che non lascia requie, c’è un rimorso che continuamente riporta…”

Vedete che poi alla fine i piani li sovrappongono, alla fine si sovrappone il piano delle ferite, della debolezza e della fragilità, con il peccato, va sempre a finire così; perciò, poi, il discorso come si conclude?

Si conclude così: “C’è un rimorso…”

Ma io non posso avere rimorso di una mia debolezza!

Non c’entrano niente i propositi o i progetti! Non c’entrano niente.

Questo fa riferimento al peccato, che è un altro ambito!

È per questo che bisogna distinguere, perché se no alla fine uno si sovrappone all’altro, e parliamo usando categorie di uno per l’altro, ma è sbagliato, perché se sto parlando delle mele, non posso parlare delle pere, bisogna tenere distinte le cose.

Purtroppo, questo è un difetto che ormai è quasi incorreggibile. Dobbiamo stare molto attenti, dobbiamo distinguere con grande precisione, proprio con grande precisione.

“Il nostro essere figli di Dio si manifesta anche nell’intimo di ciascuno che si rimette in cammino, che vuole correggere l’errore, che cerca di avvicinarsi a quel sogno di bontà e di virtù che sempre lo rincorre.

La vita cristiana è contrassegnata da questo ritmo, dal susseguirsi di conversioni…”

Vedete?

Si parla dalla fragilità e della debolezza e poi si arriva alla conversione, ma non c’entra niente, non c’entra niente, perché io non mi posso convertire della mia debolezza, non posso. È dal peccato che mi converto.

“… e la liturgia nelle sue varie forme invita sempre alla «penitenza» (appunto, del peccato) al chiedere perdono (del peccato), al ricominciare affidandosi alla misericordia di Dio (per il peccato) che non smette mai di chinarsi sulle miserie dell’uomo”.

Dio si china dui peccati dell’uomo, perché, se io sono debole, fragile e ferito non posso fare niente. Capite?

Invece, la Misericordia Dio si china su di me, proprio in quanto Misericordia, lì dove c’è il peccato, perché il nostro essere finiti, creature, Dio lo conosce bene, l’ha fatto Lui. Se no saremmo Dio.

Quando alcune volte io faccio qualche pasticcio, ad esempio mi dimentico una cosa, la prima cosa che mi domando è: «Giorgio, hai fatto tutto il possibile perché questa cosa non accadesse, sì o no?»

Per esempio, risposta: «Sì, ho fatto tutto il possibile, però è successo lo stesso…»

Fa niente, nessun errore.

«Eh ma ho sbagliato…»

Sì, ma è legato al fatto che non sei Dio. Se tu fossi Dio, avresti l’onniscienza, l’onnipotenza, e non avresti questi problemi, ma siccome non sei Dio, grazie al Cielo, allora ti fa bene, sperimenti il tuo essere creatura.

Poi, il giorno dopo non lo vado a confessare, ma neanche per sogno!

Cosa confesso, di essere una creatura? Mi ha fatto così Dio…

Dico: «Chiedo perdono a Dio per come Lui mi ha fatto».

E uno dice: «Ma tu sei normale? Non puoi chiedere perdono a Dio per come Lui ti ha fatto».

Questo vorrebbe dire che Dio ha una colpa! Non diciamo sciocchezze!

“La mediocrità che così spesso pesa sulla vita di tutti, e peggio viene spesso accettata come insuperabile…”

Tutto questo ha a che fare con il peccato.

“… come segno del limite umano, non può essere accettata da chi crede nel Dio fatto uomo e presente nella vita di tutti”.

Questa mediocrità non ha a che fare con la mia finitezza, questa mediocrità ha a che fare con il mio peccato, è lì che si instaura la mediocrità. È quando io accetto, è quando io entro in compromesso, non con il mio limite, ma col mio peccato; lì inizia la mediocrità, perché il mio limite è insuperabile, io non posso superare il mio limite.

Sono una creatura limitata, fatta così da Dio, non posso superare il mio corredo genetico, spirituale, umano, non lo posso superare, se no porteremmo avanti il mito del superuomo che, per l’amor del Cielo, è l’ultima cosa che dobbiamo fare. Noi non siamo chiamati a diventare superuomini.

Qualcuno dice: «Padre, lei avrebbe dovuto fare e non ha fatto…»

Rispondo: «È vero, abbiamo scoperto in due che non sono Dio. Ha visto? Ecco, bene. Abbiamo guadagnato qualcosa».

Più di questo non potevo fare, perché una giornata è fatta di ventiquattr’ore, io sono un essere umano, respiro, mangio, dormo.

Sapete che, credo durante il primo o secondo anno di Sacerdozio (non me lo dimenticherò mai), ero andato a confessare in un convento, mi avevano chiamato per aiutare durante il tempo di Pasqua.

Ero un giovane Prete, tutto pieno di zelo, e quindi sono entrato a confessare in modo eroico: non avevo neanche fatto colazione, ma, appena finita la Messa, sono subito entrato in confessionale e ho incominciato a confessare come se fossi il Santo Curato d’Ars. Ad un certo punto mi scappava la pipì, perché non sono Dio, e non sono neanche un Angelo; quindi, dovevo andare a fare la pipì (si può dire, perché tanto non è un peccato e poi anche perché è reale, è un bisogno umano, che ha fatto Dio. Mi ha fatto così, sono nato così).

Allora, finito di confessare un penitente, mi alzo, vado alla porta del confessionale, esco, e dico proprio così, con una ingenuità da bambino: «Scusate un attimo, ma devo andare a fare la pipì. Abbiate pazienza, adesso torno».

Uno si alza e dice, davanti a tutti: «Sì, va bene, però faccia in fretta!»

Io mi ricordo che stavo camminando e mi sono fermato, proprio mi sono come paralizzato, ho aspettato due secondi, mi sono girato e gli ho detto davanti a tutti: «Ah sì?! Benissimo, allora adesso io vado a fare la pipì, poi vado a fare la colazione (ma non avevo fame), poi mi lavo i denti, e poi, quando me la sento, ritorno. Va bene? Arrivederci».

Ho fatto così, perché bisogna imparare ad avere rispetto del limite delle persone. Noi non siamo Dio, e quando qualcuno pretende che noi siamo Dio, bisogna metterlo al suo posto.

Ecco perché io tante volte vi dico: «Non mandate messaggi lunghi, quando avete da dire qualcosa. Non mandate i vocali, che portano via tanto tempo, e non mandate vocali di dodici minuti, per dire quello che dovete dire in tre secondi, perché io non sono Dio».

 Ho a disposizione non l’eternità, ma ventiquattro ore, in cui un tot di ore devo anche dedicarle a dormire perché non sono Dio e, se non dormo, dopo tre giorni crepo. Capite? Un tot di ore devo dedicarle anche a mangiare perché, se non mangio, muoio. Un tot di ore devo anche dedicarle ai miei studi perché, se non studio, voi capite che… Un tot di ore devo dedicarle a pregare perché, se non prego, che cosa vi comunico?

Quindi, quando io mi rapporto con quel Sacerdote, chiunque esso sia, non posso pensare che io sia l’unica realtà che ha bisogno nella vita dell’uomo, devo pensare che, come me, ce ne sono tanti altri, e allora magari non gli mando un vocale di dodici minuti per raccontargli la mia storia da Adamo ed Eva, ma in modo puntuale scrivo, perché scrivendo siamo più sintetici. Scrivo e mi dico: «Io devo dire quello che devo dire in sette righe». Uno pensa: «Ma io ho tante cose da dire…» No, sette righe, non una di più. E lo devi dire in sette righe!

Guardate, a me l’Università ha fatto tanto bene: dovevamo fare dei seminari e ci venne detto di dire quello che dovevamo dire in un certo numero di battute.

Qualcuno disse: «Oh… impossibile!»

Ci fu detto: «Non mi interessa. Tutto ciò che esce da quelle battute io non lo correggo e non lo valuto».

Qualcuno disse: «Ma dai, Prof., almeno me ne dia qualcuna in più».

«No, sono quele, fine del discorso. Quello che devi dire lo devi dire in otto cartelle».

«Prof., posso fare otto e mezzo?»

«No, neanche otto e una riga. Solo otto cartelle, punto».

«Eh… ma devo dire questa cosa…»

«Non la dirai. Devi scegliere. Non ne dirai un’altra. Stringerai su una cosa e metterai anche questa, se la vorrai mettere. Otto cartelle sono e otto cartelle rimangono. Tot battute sono e tot rimangono».

Perché?

Perché il professore non è Dio. Se il professore ha trenta studenti e trenta studenti gli consegnano un lavoro di cinquanta pagine… moltiplicate trenta per cinquanta!

Quell’uomo, quanto tempo deve dedicare per correggere il tuo lavoro?

Non è Dio, ci vuole tempo… quindi, non deve avere altro da fare, perché ci sei tu, che hai tante cose geniali da dire?

No, non funziona così.

Nessuno può pretendere da una persona che superi il suo limite, è disumano, non è nel progetto di Dio.

Nel progetto di Dio è che tu non pecchi, questo è nel progetto! Non che tu diventi un superuomo, non che tu esci dal limite, assolutamente… e non lo si può certamente pretendere.

Quella persona mi disse: «Mi raccomando, faccia presto!»

«Cosa?! Stiamo scherzando? Sono dentro lì da più di tre ore! Ma oh?!»

Questo vale per le mamme, vale per i papà, vale per un Sacerdote, vale per tutti. Nessuno può pretendere l’impossibile e noi non ci dobbiamo sentire nel dovere di dare l’impossibile, assolutamente.

Noi dobbiamo dare tutto quello che possiamo dare, certo, ma non l’impossibile, non il superamento del limite, perché se no cadremmo nella presunzione di essere Dio, e questo è un brutto peccato.

“Così, la fede richiede lo spirito di fortezza, e quei «doni dello Spirito» garanzia di una capacità e di una tenacia che non nascono dall’uomo e di cui l’uomo ha un bisogno immenso”.

Certo, per vincere il peccato.

“È qui che la figura di Maria diventa quasi una «dimostrazione» della forza che viene data a chi la chiede, e la possibilità di una coerenza totale, di una fedeltà senza cedimenti.

Maria è la «fortezza inespugnabile», è la cittadella dello Spirito, è la donna forte che nell’amore di Dio ha trovato la propria grandezza, la propria libertà, la possibilità di non restare vittima di quegli ingranaggi che così spesso dominano le nostre scelte”.

Che sono i peccati.

“La liturgia usa immagini eloquenti per indicare la coerenza forte e invincibile di Maria: viene paragonata a un esercito schierato in battaglia…”

C’è una immagine della Vergine Maria… beh non ve la dico, voglio vedere se riesco a dirvela in questo mese, vediamo, non lo so. È una immagine che sicuramente non conoscete, un titolo dato alla Vergine Maria, che uno, quando lo sente, dice: «Cosa?!»

Anche io, quando l’ho sentito la prima volta, ho detto: «Non è possibile!», mi sembrava un’offesa, invece poi ho capito cosa volesse dire.

Se riesco, prima della fine di questo mese, ve ne parlo; se riesco e se me lo ricordo, perché non sono Dio. Ecco… vedete? Affidiamo anche questo al Signore.

“… e si loda la sua obbedienza lungo tutta la sua vita, anche nei momenti più difficili e drammatici”.

Questo non vuol dire cedere alla pigrizia e dire: «Siccome non sono Dio, quindi me ne sto nel letto dodici ore».

No, non è questo! Adesso questo non deve diventare la scusa per poltrire: «Siccome non sono Dio, allora sto qui a giocare alla Playstation».

No, vuol dire fare il massimo, ma con la coscienza del limite.

“La sua forza viene dalla sua continua unione con Dio, dal suo essere totalmente consacrata a lui, avendo accettato la sua proposta con una fedeltà perenne.

Invocare Maria come «fortezza inespugnabile» porta il cristiano a trovare dentro di sé quella forza che viene da Dio (perché l’avorio è fortissimo, durissimo) e lo rende capace di lottare, di opporsi ai propri istinti e alla pressione del mondo. Il cristiano, così, può impegnarsi a una vita coerente e coraggiosa, per essere fedele alla propria fede e per offrire al mondo un segno di speranza”.

Sì, certo, tutti abbiamo bisogno della fortezza dell’avorio, e allora dobbiamo invocare la Vergine Maria “Turris eburnea”, perché ci dia la grazia di essere forti nell’essere Prete, nell’essere mamma, nell’essere papà, nell’essere suora, nell’essere qualsiasi cosa.

“Il cristiano invocando Maria può diventare una «fortezza», proprio perché trova in Maria l’aiuto necessario per resistere a ogni suggestione e tentazione”.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

VANGELO (Gv 15, 9-11)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

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