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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 56

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Sabato 11 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

PRIMA LETTURA (Mic 7, 14-15. 18-20)

Pasci il tuo popolo con la tua verga,
il gregge della tua eredità,
che sta solitario nella foresta
tra fertili campagne;
pascolino in Basan e in Gàlaad
come nei tempi antichi.
Come quando sei uscito dalla terra d’Egitto,
mostraci cose prodigiose.
Quale dio è come te,
che toglie l’iniquità e perdona il peccato
al resto della sua eredità?
Egli non serba per sempre la sua ira,
ma si compiace di manifestare il suo amore.
Egli tornerà ad avere pietà di noi,
calpesterà le nostre colpe.
Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati.
Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà,
ad Abramo il tuo amore,
come hai giurato ai nostri padri
fin dai tempi antichi.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 11 marzo 2023. Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo settimo del profeta Michea, versetti 14 e seguenti.

Leggiamo il testo del diario della beata Edvige Carboni.

23 maggio 1941. Gesù, lagnandosi, mi disse: di al tuo confessore che preghi per tanti sacerdoti che mi offendono anche sopra l’altare.

Ecco, allora, anche noi, oggi, che è il giorno dedicato alla Vergine Maria essendo sabato, uniamoci a questa richiesta di Gesù, impariamo a pregare per tutti i sacerdoti. Perché nessun sacerdote abbia mai ad offendere Gesù, soprattutto all’altare.

Continuiamo quindi la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Vita comune.

Cita Marco 10, 43.

«Colui che vorrà diventar grande tra di voi, sia il vostro servo».

Gesù ha collegato ogni autorità nella comunità al servizio fraterno. — Adesso stiamo bene attenti perché dice delle cose importantissime — C’è vera autorità spirituale solo dove si adempie al servizio dell’ascolto, dell’aiuto, del sostegno e dell’annuncio.

Quindi c’è autorità spirituale, perché ci sono tanti tipi, tante forme di autorità. C’è anche l’autorità umana. Ho davanti a me il sindaco: è un’autorità umana. Ci sono tanti tipi di autorità, c’è l’autorità sportiva, tanti tipi…

Quella spirituale mi sembra che sia quella fondamentale, perché è quella che poi le lega tutte, quella che sta alla base di ogni altra autorità. Questa autorità c’è dove si adempie il servizio dell’ascolto, il servizio dell’aiuto, il servizio del sostegno, il servizio dell’annuncio, dove si serve, dove si serve l’altro.

Ma, se voi notate, Bonhoeffer non parla mai di quella forma della carità alla quale noi siamo tanto abituati, che è quella dell’assistenza. Forse potremmo vederla nella parola sostegno, però sostegno vuol dire tante cose, non c’è solamente il sostegno economico, c’è anche un sostegno spirituale. Però, mettiamola pure dentro al sostegno, di quattro tipi di servizio che cita, solo una è quella carità più immediata che intendiamo noi. Tutte le altre sono ascolto, aiuto e annuncio. Anche l’aiuto non è da intendersi unicamente nell’assistenza materiale. Però vedete quanto è presente questo tema dell’ascoltare, dell’annunciare, dell’aiutare… io credo che lui intenda proprio questo aiuto interiore, dato alla persona, questo incoraggiamento, questa consolazione… Perché? Perché se io riempio la pancia di qualcuno, ma il suo cuore è vuoto di senso, che servizio gli ho fatto? Di riempirgli la pancia. Ma dopo tre ore, quella persona è esattamente come prima, peggio di prima. Se io invece riesco a riempirgli il cuore, o quantomeno ad aiutarlo a fare piazza pulita di tante cose, quello dopo tre ore non è come prima o peggio di prima. È molto probabile che raggiunga un livello di pace, di armonia e di serenità interiore importante e perdurante.

Il culto della persona, che abbia per oggetto le grandi qualità personali, le capacità fuori del comune, l’energia o le doti di qualcuno, anche se di tipo spirituale, è sempre un culto profano e non trova spazio nella comunità cristiana, anzi l’avvelena.

Il culto della persona… anche questo a me sembra che ci sia tra di noi. Quando noi abbiamo a che fare con le persone, che cosa risalta immediatamente? Risaltano immediatamente le loro doti, le loro qualità, le loro capacità, le loro energie. Però, vedete, questo culto della persona, di fatto è vero che avvelena la comunità, è vero che è un culto profano, perché il Signore non ci chiama ad avere questa esagerata attenzione alle doti della persona, alle sue qualità, alle sue capacità. No, perché sono un servizio, quindi il culto è solamente a Dio. Non bisogna idolatrare nessuno.

Oggi si sente spesso esprimere il desiderio di «figure vescovili», di «uomini con carisma sacerdotale», di «personalità autorevoli»: molto spesso questo desiderio deriva da un bisogno patologico di ammirare degli uomini, di riferirsi stabilmente ad un’autorità umana visibile, perché sembra troppo modesta l’autentica autorità del servizio. Niente si oppone a tale desiderio più nettamente di quanto non faccia il Nuovo Testamento stesso nel modo in cui delinea la funzione del vescovo (1 Tm 3,1ss.). Qui non è dato trovare alcuna traccia di doti umane affascinanti, di brillanti qualità di una personalità spiritualmente notevole. Il vescovo — secondo San Paolo — è un semplice uomo, integro e fedele nel credere e nel vivere, che presta correttamente il proprio servizio alla comunità.

Questi sono i tratti caratteristici che deve avere un vescovo secondo San Paolo. Pensate…

Fermiamoci un secondo, prima di andare avanti su questa cosa. Quindi stiamo attenti a questo desiderio, a questo bisogno, che purtroppo è patologico, di dover ammirare qualcuno. Sembra strano ma noi abbiamo bisogno di ammirare qualcuno per poterci riferire stabilmente a un’autorità umana visibile. È vero. Ecco quando vi facevo il discorso del papà Superman, mamma Wonder Woman, sacerdote Batman? Noi abbiamo bisogno di questo, ed è vero che è un po’ patologico. Va bene finché hai 15 anni: la ragazzina, il ragazzino, che mette sul muro il poster del suo idolo, cantante, calciatore che sia, va bene, è un passaggio che più o meno tutti hanno affrontato e va bene. Poi a un certo punto si renderà conto che, non lo so, Simon Le Bon (ai miei tempi) non sa neanche che esisti. Poi capisci che è tutta una fantasia assurda, che non ha nessun senso e quel poster lo stacchi, lo togli, lo butti, va bene; è un percorso normale nella vita. Ma se tu a trent’anni sei ancora lì che ti guardi il poster di Simon Le Bon, ecco, magari una domanda è bene farsela. E al posto del poster dell’idolo adolescenziale possiamo mettere tutto quello che volete, è un esempio banale che faccio. Perché vuol dire che io ho bisogno, ma è un bisogno non sano, di ammirare un uomo. Perché? Perché ho bisogno di un’autorità umana visibile.

Vi ricordate quando il popolo d’Israele dice: “Noi vogliamo un re?” È questa cosa. Ricordate che Dio dice al profeta Samuele: “Guarda, lascia perdere. Va bene, vogliono un re”. Glielo dice perché Samuele un po’ se la prende e dice: “Ma come volete un re, ma cosa state dicendo? C’è Dio, c’è il profeta, ma cosa volete? Ringraziate il Signore. C’è il Signore che direttamente vi parla attraverso il profeta. Perché avete bisogno del re?” — “No, noi vogliamo essere come gli altri popoli; anche noi vogliamo un re” e Dio a un certo punto interviene con Samuele — andate a leggere questa storia che è narrata, andate a leggere il libro di Samuele, primo e secondo libro di Samuele, bellissimo — e Dio ad un certo punto interviene e dice: “Guarda, lascia perdere, loro non stanno rigettando te, ma stanno rigettando me. Va bene, vogliono un re, che sia, gli porterà via le figlie, gli porterà via i campi, dovranno pagare i tributi, va bene, lo vogliono… Questo sarà il prezzo, perché i re si comportano così” e loro dicono “Sì, sì, va benissimo, benissimo, faremo, daremo…”.

L’importante è essere come tutti gli altri,  avere una figura umana, che sia un’autorità visibile, di riferimento e non questo Dio che parla nei tuoni, nei fuochi del Sinai, nelle nubi, nei lampi, in tutte queste cose, ma no, noi vogliamo il vitello. A noi non interessa questo Dio che scrive sulla roccia col suo dito di fuoco, che si mette lì a parlare con Mosè, che ci fa vincere le battaglie. No, no, noi vogliamo un Dio bello cicciotto. Capite? Un bel vitellone d’oro da toccare, bel ciccioso, che mi dica che c’è carne, che mi dica che sta occupando spazio, che è una presenza che io vedo. Uno dice: “No, ma è falso” — “Ma non mi interessa che sia falso: lo vedo, lo tocco, bello ciccio, e faccio riferimento a lui”. Io ho bisogno di questa autorità umana — capite? – umana, visibile. Quindi è tutto ricadere in questa cosa.

Ancora prima, il popolo d’Israele lo fa con l’Egitto. Escono dall’Egitto, c’è la colonna di fuoco che poi diventa di nube che li fa camminare di giorno e di notte, che poi li ripara dagli egiziani, e gli israeliti cominciano: “Ecco, quando noi eravamo in Egitto… ecco, noi eravamo là, attorno ai pentoloni…” — li sentite. Li sentite con questa voce. E prima di andare a lamentarsi da Mosè, prima fanno da soli, perché la mormorazione deve sempre aleggiare: “Quando noi eravamo là attorno ai pentoloni dell’Egitto, con la carne che bolliva, i cipollotti, e le cipolle buone dell’Egitto. Ecco, quando noi eravamo in Egitto, avevamo le nostre case e poi avevamo i cocomeri, quelle belle angurie giganti, belle sugose, rosse, non come in questo deserto che non c’è mangiare, non c’è da bere, non c’è frutta, non c’è niente. Siamo qui che scappiamo come dei ladri di giorno, di notte, ma che vita è questa? Non come quando eravamo in Egitto che almeno là avevamo i sepolcri, dove essere seppelliti, qui, invece non c’è niente, che vita è questa?”.

Vedete? L’Egitto, che poi li rincorre per ammazzarli, l’Egitto che li ha fatti schiavi, l’Egitto che li vuole riportare indietro e farli diventare ancora schiavi, che li massacrava con questa storia dei mattoni, l’Egitto, che era la schiavitù per eccellenza… diventa la nostalgia, perché? Perché l’Egitto è un’autorità umana visibile. Mi dà sicurezza, fa niente se mi rende schiavo, perché tutte le autorità umane visibili, quando diventano l’oggetto del mio bisogno, diventano una schiavitù.

Se non sono oggetto del mio bisogno, del mio desiderio patologico, allora io entro in relazione libera con queste autorità umane e siamo uno a servizio dell’altro, ma se diventano un bisogno, un bisogno radicale, senza il quale io non riesco a vivere, allora diventano una schiavitù, sono una schiavitù.

Notate … la stessa cosa si ripresenterà con Gesù. Perché Gesù finisce ammazzato sulla croce in quel modo infame, massacrato di botte, di schiaffi, di sputi, scarnificato vivo con la flagellazione di quei bruti dei romani, che gli scavano via la carne, dalle ossa, fino a vedere quasi il midollo? Ma perché succede tutto questo? Provate a pensare. Uno dice: “No, ma il peccato, il demonio …” — Sì, sì, va bene, ok, ma qual è la ragione umana, spirituale, che è sotto a questa macelleria? Qual è il motore pulsante che sta sotto? Questo! Noi aspettavamo un Messia secondo il nostro bisogno patologico, che doveva venire e liberarci dai romani.

E se fosse stato così come lo volevano loro, poi sarebbe finita come con l’Egitto: perché ci deve liberare come vogliamo noi, nel modo che vogliamo noi, nel tempo che vogliamo noi, perché sennò altrimenti dopo tre giorni: “Ecco i pentoloni… ecco, quando c’erano i romani potevamo mangiare… Ecco, quando…” — Va sempre a finire così.

Quindi, prima “Osanna al figlio di Davide” e poi: “Tu non hai fatto quello che volevamo? Benissimo, questo è quello che ti meriti, adesso devi morire nella macelleria, adesso di te facciamo un agnello sgozzato. E ti abbandoniamo lì, da solo”.

Gesù a San Pietro dice di mettere via la spada per dirgli: “Guarda che io proprio non sono quella persona, hai sbagliato idea di Messia. E non sono venuto qui per questo, ti chiarisco le idee”. Pietro rimane talmente stravolto da questa cosa di Gesù, talmente deluso, talmente frustrato da questa risposta di Gesù, ci rimane talmente male, talmente probabilmente risentito, che prende, se ne va e lo pianta lì. Ma ti ha detto di buttare giù la spada, di non colpire con la spada, va bene, ma non ti ha detto: “Lasciami solo”, non ti ha detto: “Vattene via”, non ti ha detto: “Io faccio il supereroe, la passione la affronto da solo”, no, t’ha solamente detto: “Questa non è la via, non è il modo”. Ma chi ti ha detto che dovevi scappare? Chi ti ha detto che dovevi abbandonarlo? Perché uno l’ha tradito, San Pietro quando succede questa cosa se ne va, se ne vanno via tutti, Giovanni rimane a latere. Tra quelli che scappano e quelli che lo osservano da lontano e quelli che lo tradiscono, c’è da chiedersi: “Ma scusami, uno che sta lì con lui? Dopo tutto quello che ha fatto per voi…”.

Io, guardate, avrei veramente voluto vedere se la storia fosse andata un po’ diversamente. Se uno dei Dodici avesse detto: “Ok, va bene, quindi: la spada no, la guerra no, i pugni, le botte, no, il compromesso no, un accordo no, va bene, senti, allora Gesù, facciamo così: io muoio con te. Va bene. L’unica strada che rimane è che vengo a morire con te”. Io avrei voluto vedere cosa faceva Gesù, sapendo che un suo discepolo era lì a morire con lui. Per me, non l’avrebbe mai permesso. Si sarebbe inventato qualcosa, ma chi doveva morire era lui, non i suoi. Non avrebbe mai permesso una cosa del genere.

Chissà, adesso sto dicendo delle fantasie, prendetele per quello che sono. Chissà, magari un atto del genere avrebbe rimandato un po’ la sua passione. Chi lo sa? Sarebbe stata una di quelle occasioni in cui Gesù avrebbe detto: “Vabbè dai, scappiamo via. Stavolta no, così no, non si può”. Poi sarebbe successo, ma chissà cosa sarebbe accaduto. Se uno si fosse messo lì a dire: “Va bene, allora le botte le prendo io al posto tuo o comunque le prendiamo insieme”. Invece loro dicono: “No, io le botte le prendo se tu rappresenti quell’autorità umana che io voglio, non se tu ti metti lì coperto di sangue, di sputi, di botte, di schiaffi, di spine ed “ecce homo”. No, non voglio, io non voglio quell’uomo lì. Io voglio quello che mi conduce alla guerra, quello che mi conduce in battaglia. Se tu vuoi essere quell’uomo lì, lo sarai da solo”.

Perché l’autorità che viene da Dio, l’autorità di questo Verbo Incarnato è quella che Bonhoeffer dice “l’autentica autorità di servizio”. E in effetti Gesù che cosa fa, prima della passione? La lavanda dei piedi. Interessante. E qual è il gesto che scatena il tradimento di Giuda, dice la scrittura? L’unzione di Betania, altro gesto di servizio, vedete?

Sono questi gesti di servizio che stanno proprio prima della Passione che scatenano la reazione empia di chi nel cuore porta questo bisogno patologico. Perché lì non riconosce l’esaudimento del suo bisogno e quindi perseguita. Di questa autorità che viene dal servire, loro non se ne fanno niente. E cosa me ne faccio io di un re che mi viene a lavare i piedi e me li asciuga? Mah, uno che moltiplica i pani e dà da mangiare a 5000 persone, questo mi sta anche bene. Infatti, volevano farlo re perché dicono: “Questo qui mi è utile”. Quello che guarisce, ok, ma questo che mi viene a parlare della liberazione dal peccato, dei problemi del peccato, beati i poveri in spirito… A me cosa interessa? Tu mi devi liberare dai Romani. Tu devi togliere questa dominazione!

E quindi? Questa penso che sia la cosa ancora più terribile: quindi liberano Barabba, che è un avanzo di galera. Mel Gibson lo rende molto bene, brutto come la morte. “Ma è meglio di te. Non mi interessa che sia ingiusto, assassino, ladro, malfattore, galeotto. Non mi interessa. Almeno è ciccio,  almeno quello è concreto, visibile e fa qualcosa. Vabbè, ammazza la gente un po’ a caso, però almeno fa qualcosa, è sempre meglio di te che sei lì come il Dio dell’Antico Testamento, tra i fumi, fuochi, i lampi e il vento e che non sei tangibile, non sei, non sei concretizzabile”.

Ora, cosa succede che noi se viviamo secondo questo bisogno patologico di ammirare gli uomini per trovare certezza? Noi, alla fine, crocifiggiamo Dio. Finisce così, la storia. Noi alla fine buttiamo fuori Dio dalla nostra vita. E questo è un problema.

Ecco perché Bonhoeffer dice: “Niente si oppone di più a questo desiderio del Nuovo Testamento”. E cita la figura del vescovo. Io ho fatto un po’ di carrellate anche su altri momenti della scrittura. Se poi prendiamo l’Apocalisse… lì ci sono la bestia, il drago, il marchio. Vedete quanto bisogno di concretezza, di evidenza, quanto bisogno di visibilità noi abbiamo? Bisogno di questa autorità che è concreta, che è visibile, che addirittura mi marchia, mi piace, mi va bene, marchiami la fronte, il braccio, la gamba, tutto! Voglio essere un marchio vivente, perché così io visibilmente appartengo a qualcuno.

E non pensate: “Ah no, il marchio della bestia. Una roba terribile”. Guardate che è una delle cose più seducenti che ci sia. Noi la dipingiamo anche nei social il marchio della bestia, una roba terribile, una roba mostruosa, orrenda. Stiamo attenti a fare tanto i supereroi, perché quando poi arriva quel momento lì, io non so quanti di noi ne escono sani e salvi. Perché ha una seduzione psicologica, una seduzione umana e spirituale potentissima, l’anticristo non a caso pensa a questo sistema.

Perché proprio il marchio? Perché proprio sulla mano, poi? Ricorda molto i segni della passione di Gesù — perché il demonio scimmiotta — ricorda molto l’ordinazione presbiterale, le mani unte. E poi la fronte, dove si viene unti per il battesimo. Ma se io guardo le mie mani sacerdotali non vedo un marchio, se guardo la mia fronte, non c’è il marchio. Ma il demonio invece te lo dà. “Se tu mi appartieni, io ti do qualcosa di visibile, che dice che tu mi appartieni, che tu sei mio, che tu hai scelto me, te lo do io. Non solo io bestione — e la bestia, la pantera, il drago e la grande prostituta — non solo questo, no, ti do proprio un marchio, che dice che tu sei mio, così tu visibilmente vedi che mi appartieni”, perché l’uomo è alla ricerca costante di questa cosa.

E allora, appunto, Bonhoeffer dopo cita San Paolo. E San Paolo ci fa vedere come il vescovo, ad esempio, deve essere una persona che fa una cosa sola — oltre a essere retto, semplice, integro e fedele — l’autorità, da vescovo, viene dal servizio, la sua utilità è data dal servizio.

La persona in sé stessa non ha niente di notevole.

Non è speciale. Secondo San Paolo, per diventare vescovo, uno non deve essere brillante o chissà cosa. No: uomo integro, fedele nel credere e nel vivere e fa servizio, punto. Una cosa semplicissima. Non c’è niente di notevole.

Viceversa, se si cerca l’autorità in motivi inautentici, si finisce sempre per istituire nella chiesa qualche rapporto immediato, qualche legame umano. — certo, vedete ad esempio il marchio —Un’autorità autentica sa quanto sia dannoso ogni specie di rapporto immediato proprio in questioni di autorità, e sa che il suo unico fondamento è il servizio. — abbiamo già trattato questo tema dell’immediatezza nel rapporto. — Un’autorità autentica sa di essere legata in modo strettissimo alla parola di Gesù: «Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). La comunità non ha bisogno di personalità brillanti, ma di fedeli servitori di Gesù e dei fratelli.

Capite? Quindi è questo che fa veramente la comunità. Servitori di Gesù e dei fratelli, essere servi. E i nostri rapporti devono sempre essere mediati dalla presenza di Gesù, dalla parola di Dio e dell’Eucaristia. È Gesù che ci media, è Gesù che questa immediatezza che noi cerchiamo. Tu per me, io per te e uno per l’altro, non va bene. Non va bene. Ci deve essere sempre in mezzo, un terzo. È fondamentale.

Non le mancano elementi del primo tipo, — cioè brillanti — ma del secondo — i servitori — La chiesa darà fiducia solo al semplice servitore della parola di Gesù, perché sa di non esser guidata in questo caso dalla saggezza e dalla presunzione degli uomini, ma dalla parola del buon pastore.

Quindi se tu sei servitore della parola di Gesù, se tu sei servitore dell’Eucarestia, qual è la tua saggezza? La tua saggezza è Gesù, il tuo fondamento è Gesù, non sei tu. Tu non porti nella predicazione il tuo pensiero e basta, tu devi predicare legato alla parola di Gesù, trasmettere la parola di Gesù. Ecco perché vi dico, dobbiamo tutti sforzarci di avere sempre le fonti di appoggio, di riferimento, perché, certo, poi ogni predicatore poi trasmette tutto questo bagaglio col suo pensiero, con la sua forma, con le sue caratteristiche, le sue qualità. Va bene, però tutti devono riconoscere che, all’interno di quella peculiarità che è il predicatore, c’è un fondamento che è incontestabile, dal quale anche il predicatore attinge e non attinge da sé, dalla sua intelligenza e dalla sua bravura, ma attinge da Gesù, attinge dall’auctoritas, quella divina, quella della Chiesa, quella dei santi. Non da: “Adesso arrivo io, che sono il piccolo genietto della teologia e vi spiego tutto quello che in questi 2000 anni non è ancora stato detto”. E uno gli scoppia in faccia a ridere. Perché dice: “Vabbè, se questo è l’inizio… Chiudiamo tutto e andiamo a casa.”

Si può riconoscere autorità nella cura pastorale solo al servitore di Gesù Cristo, che non cerca autorità per sé, ma che si inchina all’autorità della Parola, come un fratello tra i fratelli.

Questo è il vero pastore. Il vero pastore è colui che, insieme a tutti, serve Dio. Questo è il vero pastore, è colui che insieme a tutti cerca Dio, è colui che, insieme a tutti, contempla Dio, prega Dio insieme. Ho ancora in mente — ve l’ho già detto — quella bellissima scena commovente di Papa Benedetto alla Giornata mondiale della gioventù — non mi ricordo mai in quale città fosse anche se me l’avete scritto — e alla sera ha voluto fare l’Adorazione Eucaristica notturna. Pioveva, pioveva, un freddo, un’acqua… E questi ragazzi lì, fermi, col Papa, tutti in ginocchio davanti all’Eucarestia. C’era il vento che ha portato via al Papa la papalina, gli ha girato il mantello… Insomma, di tutte gliene ha fatte, il vento. I ragazzi erano immersi nel fango. Fa niente, tutti lì insieme in ginocchio davanti a Gesù Eucaristia. Questo è il vero pastore.

Poi, certo, il Papa fa il Papa, il sacerdote fa il sacerdote, il vescovo fa il vescovo, la mamma fa la mamma, ok. Ma tutti partiamo da lì e tutti torniamo lì e tutti troviamo fondamento lì e tutti prendiamo lì la nostra autorità. La mia autorità di papà, di mamma, da dove viene? Viene dall’Eucarestia, viene dalla mediazione la parola di Dio, viene dalla meditazione degli scritti dei santi. L’autorità del sacerdote da dove arriva? Dall’Eucarestia, dalla parola di Dio. L’autorità del Papa da dove arriva? Dall’Eucarestia, dalla parola di Dio, viene tutto lì, è da lì che arriva l’autorità e quindi poi gli va riconosciuta.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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